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sabato 19 febbraio 2011

A colloquio con Mons. Fellay - 2 febbraio 2011 (I parte)...

 Fonte: SanPioX.it
Intervista concessa da Mons. Fellay al Distretto degli Stati Uniti della FSSPX, il 2 febbraio 2011, nella quale sono affrontate tutte le questioni relative alla vita della Chiesa e a quella della Fraternità San Pio X. Non è stato evitato alcun argomento, e noi ringraziamo il Superiore Generale per aver impegnato il suo tempo a rispondere alle nostre domande.





Nell’intervista, che presentiamo in due parti, sono trattati i seguenti argomenti:
Prima parte (pubblicata in questo articolo):
  1. Colloqui dottrinali
  2. L’effetto Motu Proprio
  3. Assisi 2011
Seconda parte (da lunedì 21 febbraio sera) Intervista che il nostro Blog pubblichera':
  1. La beatificazione di Giovanni Paolo II
  2. La Fraternità San Pio X
  3. L’espansione della Fraternità San Pio X negli USA
  4. Conclusioni

I – I colloqui dottrinali

1. Monsignore, Lei ha scelto di intraprendere dei colloqui dottrinali con Roma. Ce ne può ricordare lo scopo?
Occorre distinguere lo scopo romano dal nostro. Roma ha indicato che esistevano dei problemi dottrinali con la Fraternità e che bisognava chiarirli prima di un riconoscimento canonico, - problemi che chiaramente sarebbero da parte nostra, trattandosi dell’accettazione del Concilio. Ma per noi si tratta di altra cosa, noi desideriamo dire a Roma ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e, per ciò stesso, intendiamo evidenziare le contraddizioni che esistono fra questo insegnamento plurisecolare e ciò che si pratica nella Chiesa da dopo il Concilio. Per quanto ci riguarda, è questo il solo scopo che perseguiamo.
2. Qual è la natura di questi colloqui: negoziati, discussioni o esposizione della dottrina?
Non si può parlare di negoziati. Non si tratta affatto di questo. Vi è, per un verso, un’esposizione della dottrina, e per l’altro una discussione, poiché abbiamo effettivamente un interlocutore romano col quale discutiamo su dei testi e sul modo di comprenderli. Ma non si può parlare di negoziati, né di ricerca di un compromesso, poiché si tratta di una questione di Fede.
3. Ci può ricordare il metodo di lavoro utilizzato? Quali sono i temi che sono già stati affrontati?
Il metodo di lavoro è quello dello scritto: vengono redatti dei testi sui quali si baserà il colloquio teologico ulteriore. Sono già stati affrontati diversi temi. Ma per adesso lascio questa domanda in sospeso. Posso dire semplicemente che siamo alla conclusione, poiché abbiamo fatto il giro delle grandi questioni poste dal Concilio.
4. Può presentarci gli interlocutori romani?
Sono degli esperti, cioè dei professori di teologia che sono anche consultori della Congregazione per la Dottrina della Fede. Si può dire dei «professionisti» di teologia. Vi è uno svizzero, il Rettore dell’Angelicum, il Padre Morerod; un gesuita, un po’ più anziano, il Padre Becker; un membro dell’Opus Dei, nella persona del suo Vicario generale, Mons. Ocariz Braña; poi Mons. Ladaria Ferrer, Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, e infine il moderatore, Mons. Guido Pozzo, Segretario della Commissione Ecclesia Dei.
5. Vi è un’evoluzione nel pensiero dei nostri interlocutori, dopo che hanno letto le esposizioni dei teologi della Fraternità?
Non penso che si possa dirlo.
6. Mons. De Galarreta, nel corso dell’omelia per le ordinazioni a La Reja, a dicembre 2010, ha detto che Roma aveva accettato che il Magistero anteriore al Vaticano II fosse assunto come «unico criterio comune e possibile» in questi colloqui. Vi è qualche speranza che i nostri interlocutori rivedano il Vaticano II o si tratta di una cosa impossibile per loro? Il Vaticano II è veramente una pietra d’inciampo?
Penso che bisogna porre la domanda in altro modo. Dalle distinzioni fatte da Papa Benedetto XVI nel suo discorso del dicembre 2005, si capisce molto bene che una certa interpretazione del Concilio non è più permessa e dunque, senza parlare direttamente di una revisione del Concilio, vi è malgrado tutto una certa volontà di rivedere il modo di presentare il Concilio. La distinzione può sembrare sottile, ma è proprio su questa distinzione che si basano coloro che non vogliono toccare il Concilio e che nondimeno riconoscono che, a causa di un certo numero di ambiguità, vi è stata un’apertura in direzione di strade proibite, di cui bisogna ricordare che sono proibite. – Il Vaticano II è una pietra d’inciampo? Per noi sì, senza alcun dubbio!
7. Perché è così difficile per loro ammettere una contraddizione tra il Vaticano II e il Magistero anteriore?
La risposta è molto semplice. Dal momento in cui si riconosce il principio secondo il quale la Chiesa non può cambiare, se si vuole fare accettare il Vaticano II si è obbligati a dire che esso non ha cambiato niente. È per questo che non accettano di riconoscere delle contraddizioni tra il Vaticano II e il Magistero anteriore. E tuttavia sono a disagio nello spiegare la natura del cambiamento che è effettivamente accertato.
8. Al di là della testimonianza della Fede, è importante e vantaggioso per la Fraternità recarsi a Roma? È pericoloso? Pensa che questo possa durare a lungo?
È molto importante che la Fraternità porti questa testimonianza, è anche la ragione di questi colloqui dottrinali. Si tratta veramente di far risuonare a Roma la fede cattolica e – perché no? – ancor meglio farla risuonare in tutta la Chiesa.
Un pericolo esiste, ed è quello di nutrire delle illusioni. Si capisce che certi fedeli hanno potuto nutrire delle illusioni. Ma gli ultimi avvenimenti hanno provveduto a dissiparle. Penso all’annuncio della beatificazione di Giovanni Paolo II o a quello di una nuova Assisi nella linea delle riunioni interreligiose del 1986 e del 2002.
9. Il Papa segue da vicino questi colloqui? Li ha già commentati?
Penso di sì, ma non so nulla di preciso. Li ha commentati? In occasione della riunione dei suoi collaboratori, a Castel Gandolfo, ha detto che era soddisfatto. È tutto.
10. Si può dire che il Santo Padre, che da più di venticinque anni ha trattato con la Fraternità, oggi si dimostri nei suoi confronti più favorevole che nel passato?
Non ne sono sicuro. Sì e no. Penso che in quanto Papa egli abbia il fardello di tutta la Chiesa, la preoccupazione per la sua unità, il timore di vedere dichiarato uno scisma. Lui stesso ha detto che erano questi i motivi che lo spingevano ad agire. Oggi egli è il capo visibile della Chiesa ed è questo che può spiegare perché agisce così. Questo significa che manifesta una maggiore comprensione per la Fraternità? Io credo che egli abbia una certa simpatia per noi, ma con dei limiti.
11. Riassumendo, che direbbe oggi di questi colloqui?
Se occorresse rifarli, li rifarei. È molto importante. È capitale. Se si spera di correggere tutto un movimento di pensiero, non si può fare a meno di questi colloqui.
12. Da qualche tempo si fanno sentire le voci di ecclesiastici, come Mons. Gherardini o Mons. Schneider, che nella stessa Roma pronunciano delle vere critiche sui testi del Vaticano II, non solo sulla loro interpretazione. Si può sperare che questo movimento si amplifichi e penetri all’interno del Vaticano?
Io non dico che lo si può sperare, ma che bisogna sperarlo. Bisogna veramente sperare che questi inizi di critiche - diciamo: obiettive, serene – si sviluppino. Fino ad oggi si è sempre considerato il Vaticano II come un tabù, e questo rende quasi impossibile la guarigione da questa malattia che è la crisi nella Chiesa. Occorre poter parlare dei problemi e andare al fondo delle cose, altrimenti non si arriverà mai ad applicare i rimedi giusti.
13. La Fraternità può svolgere un ruolo importante in questa presa di coscienza? Come? Qual è il ruolo dei fedeli in questo contesto?
Da parte della Fraternità sì, essa può svolgere un ruolo, e precisamente quello di presentare ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e di porre delle obiezioni sulle novità conciliari. Il ruolo dei fedeli consiste nel dare una prova con l’azione, poiché essi sono la prova che oggi la Tradizione è vivibile. Ciò che la Chiesa ha sempre chiesto, la disciplina tradizionale, è non solo attuale, ma realmente vivibile anche oggi.

 

II – L’effetto Motu Proprio

14. Monsignore, pensa che il Motu Proprio, malgrado le sue deficienze, sia un passo in favore della restaurazione della Tradizione?
È un passo capitale. È un passo che si può chiamare essenziale, anche se fino ad oggi praticamente non ha avuto effetto, o molto poco, perché vi è un’opposizione massiccia dei Vescovi. In termini di diritto, il fatto di aver riconosciuto che l’antica legge, quella della Messa tradizionale, non è mai stata abrogata è un passo capitale per ridare il suo posto alla Tradizione.
15. Concretamente, a partire dal Motu Proprio, Lei ha visto nel mondo degli importanti cambiamenti da parte dei Vescovi sulla Messa tradizionale?
No. Qui o là alcuni obbediscono al Papa, ma sono rari.
16. E per quanto riguarda i sacerdoti?
Sì, vedo un grande interesse da parte loro, ma molti di essi sono perseguitati. Occorre un coraggio straordinario per osare semplicemente applicare il Motu Proprio così com’è stato emanato. Certo, vi sono sempre più sacerdoti che si interessano alla Messa tradizionale, soprattutto tra le giovani generazioni. E questo è consolante!
17. Vi sono delle comunità che hanno deciso di adottare l’antica liturgia?
Forse ve ne sono diverse, ma ve n’è una che si conosca, in Italia, quella dei Francescani dell’Immacolata, che ha deciso di ritornare all’antica liturgia. Per il ramo femminile questo è già stato fatto. Per i sacerdoti che sono implicati nella vita delle diocesi la cosa non è sempre facile.
18. Cosa consiglia ai fedeli che, a partire dal Motu Proprio e grazie ad esso, hanno una Messa tradizionale più vicina per loro di quanto lo sia una cappella della Fraternità San Pio X?
Per prima cosa io consiglio di chiedere il parere dei sacerdoti della Fraternità, di non andare alla cieca a qualunque Messa tradizionale celebrata vicino a loro. La Messa è un tesoro, ma vi è anche il modo di dirla e tutto quello che l’accompagna: l’omelia, il catechismo, il modo di amministrare i Sacramenti… Ogni Messa tradizionale non è automaticamente accompagnata dalle condizioni richieste perché porti tutti i suoi frutti e protegga l’anima dai pericoli della crisi attuale. Dunque, si chieda prima consiglio ai sacerdoti della Fraternità.
19. La liturgia non è l’elemento di fondo della crisi nella Chiesa. Lei pensa che il ritorno della liturgia sia sempre l’inizio di un ritorno all’integrità della Fede?
La Messa tradizionale ha una potenza di grazia assolutamente straordinaria. Lo si vede nell’azione apostolica, lo si vede soprattutto nei sacerdoti che ritornano ad essa, è veramente l’antidoto alla crisi. Essa è realmente molto potente, a tutti i livelli, quello della grazia, quello della fede… Penso che se si lasciasse una vera libertà alla Messa antica la Chiesa potrebbe uscire assai presto da questa crisi, ma nondimeno questo comporterebbe parecchi anni!
20. Da lungo tempo, il Papa parla della «riforma della riforma». Lei pensa che egli voglia tentare di conciliare la liturgia antica con la dottrina del Vaticano II, in una riforma che sarebbe una via di mezzo?
Ascolti, per adesso non se ne sa niente! Si sa che egli vuole questa riforma, ma fin dove andrebbe? E alla fine tutto sarebbe fuso insieme, «forma ordinaria» e «forma straordinaria»? Non è quello che troviamo nel Motu Proprio, che chiede che si distinguano bene le due «forme» e che non le si mischi: il che è molto saggio. Occorre aspettare e vedere, per adesso atteniamoci a ciò che dicono le autorità romane.

III – Assisi 2011

21. Il Santo Padre ha annunciato la prossima riunione di Assisi. Lei ha reagito nella sua omelia a Saint-Nicolas, del 9 gennaio 2011, e ha fatto sua l’opposizione che fu di Mons. Lefebvre in occasione della prima riunione di Assisi, 25 anni fa. Pensa di intervenire direttamente presso il Santo Padre?
Se me ne sarà data l’occasione e se essa potrà portare dei frutti, perché no?
22. È così grave chiamare le altre religioni ad operare per la pace?
Sotto un certo aspetto, e solo sotto tale aspetto, no. Chiamare le altre religioni ad operare per la pace – una pace civile – non è un problema; ma in questo caso non si tratterebbe del livello religioso, ma di quello civile. Non sarebbe un atto di religione, ma molto semplicemente l’atto di una società religiosa che opera civilmente in favore della pace. E non sarebbe la pace religiosa ad essere ricercata, ma la pace civile tra gli uomini. Invece, chiedere che in occasione di questa riunione si pongano degli atti religiosi è un’assurdità, perché tra le religioni vi è un’incomprensione radicale. In queste condizioni non si capisce cosa significhi tendere alla pace, quando non si è neanche d’accordo sulla natura di Dio, sul significato che si dà alla divinità. Ci si chiede veramente come si possa giungere a qualcosa di serio.
23. Si può pensare che il Santo Padre non intenda l’ecumenismo alla stessa maniera di Giovanni Paolo II. Non si tratterebbe di una differenza di grado nello stesso errore?
No, io credo che egli l’intenda alla stessa maniera. Egli dice proprio: «È impossibile pregare insieme». Ma bisogna vedere cosa intenda con questo esattamente. Ne ha data una spiegazione nel 2003, in un libro intitolato «La fede, la verità, la tolleranza, la cristianità e le religioni del mondo». Trovo che egli tagli il capello in quattro. Cerca di giustificare Assisi. Ci si chiede proprio come questo sarà possibile il prossimo ottobre.
24. Degli intellettuali italiani hanno manifestato pubblicamente la loro inquietudine sulle conseguenze di una tale riunione. Conosce altre reazioni all’interno della Chiesa?
Hanno ragione. Vediamo altre reazioni all’interno della Chiesa? Negli ambienti ufficiali, no. Da noi, evidentemente sì.
25. Vi sono state delle reazioni dalle comunità Ecclesia Dei?
Che io sappia, no.
26. Come spiega che il Santo Padre che denuncia il relativismo in campo religioso e che si era anche rifiutato di assistere alla riunione di Assisi del 1986, possa voler commemorare tale riunione reiterandola?
Per me è un mistero. Non lo so. Penso che forse egli subisca delle pressioni o delle influenze. Probabilmente è spaventato per le azioni anticristiane, le violenze anticattoliche: le bombe in Egitto, in Iraq. Forse è questa la ragione che lo ha spinto ad attuare quest’atto di una nuova Assisi, atto che non voglio chiamare disperato, ma che è stato posto in maniera disperata… Prova a fare qualcosa. Non mi stupirei se fosse così, ma non so niente di più.
27. Vi è la possibilità che il Santo Padre rinunci a questa manifestazione religiosa?
Non si sa molto bene come verrà organizzata. Bisognerà vedere. Suppongo che cercheranno di provare a minimizzarla, poiché, ancora una volta, per l’attuale Papa è impossibile che dei gruppi differenti possano pregare insieme quando non riconoscono lo stesso Dio. Ci si chiede quindi ancora e sempre cos’è che possano fare insieme!
28. Che devono fare i cattolici di fronte a quest’annuncio di un’Assisi III?
Pregare che il Buon Dio in un modo o in un altro intervenga perché la cosa non avvenga, e in ogni caso incominciare già a riparare.
 

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