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domenica 3 luglio 2011

I fautori dell'affossamento del Messaggio di Fatima continuano a farsi promotori della scandalosa reiterazione di Assisi 1986...

“Causa l’ingiustizia dilagante e l’abuso di potere, siamo giunti al compromesso col materialismo ateo, negatore dei diritti di Dio. Questo è il castigo preannunciato a Fatima […] tutti i sacerdoti che sostengono la possibilità di un dialogo coi negatori di Dio e coi poteri luciferi del mondo, sono ammattiti, hanno perduto la fede, non credono più nel Vangelo! Così facendo tradiscono la parola di Dio, perché Cristo venne a portare sulla terra perpetua alleanza solamente agli uomini di cuore, ma non si alleò cogli uomini assetati di potere e di dominio sui fratelli […] il gregge è disperso quando i pastori si alleano con i nemici della Verità di Cristo. Tutte le forme di potere fatte sorde al volere dell’autorità di Dio sono lupi rapaci che rinnovano la Passione di Cristo e fanno versare Lacrime alla Madonna”. (San Padre Pio)



Nell'articolo: 

Abbiamo descritto l'inutilita' dei proclami di pace invocati dai governanti della Chiesa odierna, ora ad Ottobre 2011, questi Prelati, dal Papa in giu', hanno indetto la reiterazione della giornata della preghiera relativistica con le false religioni di questa terra del 1986. Ora di seguito, dopo le nostre considerazioni,  si puo' leggere un intervento del Cardinale di Stato Vaticano Cardinale Tarcisio Bertone, uno degli affossatori del Messaggio di Fatima insieme ad Ratzinger, oggi Papa, il Cardinale Sodano e il Cardinale Hoyos.


 In questo testo del libro "La battaglia finale del diavolo", si puo' leggere con chiarezza tutte le manovre operate da questi alti Prelati per affossare, colpevolmente,  il messaggio di Fatima:

Capitolo 16
       La situazione in cui si trovano oggi la Santa Chiesa ed il mondo è davvero gravissima. In questi tempi così preoccupanti, proprio come durante la crisi ariana, i laici devono sostenere delle responsabilità che in tempi normali non gli competerebbero.
       In quanto membri del Corpo Mistico di Cristo, abbiamo il dovere di impegnarci positivamente per combattere questa crisi, in base alle nostre possibilità. Nel fare ciò, non possiamo venire distolti dal falso appello alla pietà, che ci chiede di indulgere nella grossolana presunzione per la quale sarebbe “Dio a guidare la Chiesa”, se questo significa per i Cattolici di rango inferiore di stare zitti ed ubbidienti e non far niente per opporsi agli errori ed alle ingiustizie perpetrate dai membri della gerarchia, ed anzi obbedire ciecamente a qualsiasi decisione delle autorità, non importa quanto distruttive possano esserne le conseguenze...



Ora questi signori anziché compire le richiesta e della Madonna, la consacrazione della Russia da parte del Papa con tutti i Vescovi della Chiesa Cattolica, promuovono la reiterazione di Assisi 1986, per invocare una falsa pace dalle religioni, di origine diabolica, che di fatto mette da parte l’unica vera pace che solo Gesu’ Cristo puo’ dare. Chiedono la pace ma da Dio otterranno solo la spada per riparare gli innumerevoli peccati commessi contro di Lui…
Pur di portare avanti le novita’ conciliari che hanno rotto con la millenaria tradizione della Chiesa questi consacrati modernisti si pongono contro le direttive del cielo non pensando che questo atteggiamento nei confronti di Dio porta conseguenze sia a loro che al gregge che il Signore gli ha dato da pascolare…


The Consecration of Russia: Fatima's False Friends


Christopher Ferrara


Da Assisi 1986 ad Assisi 2011 "Il significato di un cammino" di Tarcisio Bertone


Da Assisi 1986 ad Assisi 2011

Il significato di un cammino

Anche chi non crede o «fa fatica a credere» può avere un ruolo positivo per la religione, evidenziandone «degenerazioni o inautenticità» che non avvicinano, ma allontanano da Dio. È per questo che tra gli invitati alla giornata di preghiera per la pace convocata ad Assisi il prossimo 27 ottobre da Benedetto XVI ci saranno «personalità del mondo della scienza e della cultura che si definiscono non religiose». Lo riferisce il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, presentando le motivazioni e il senso dell’incontro voluto dal Papa a venticinque anni dal primo raduno promosso da Giovanni Paolo II il 27 ottobre 1986.

«La costruzione della pace — scrive in proposito il porporato — è una responsabilità di tutti». Anche dei non credenti, il cui contributo «salutare» allo spirito religioso dell’incontro si inserisce nel solco di quell’«illuminismo rettamente inteso» presente nella stessa tradizione biblica. Ogni uomo di buona volontà è inserito nel «comune cammino che è la storia umana». Da qui la scelta del tema della giornata «Pellegrini della verità, pellegrini della pace». Con la sottolineatura che l’aver ricevuto il dono della fede non impedisce ai cristiani di sentirsi «compagni di viaggio di ogni uomo e donna».
Nel solco dei precedenti incontri di Assisi — oltre al raduno del 1986 il porporato ricorda quello del 24 gennaio 2002, all’indomani degli attacchi terroristici dell’11 settembre — l’appuntamento del prossimo 27 ottobre si svolgerà all’insegna dei tre elementi che caratterizzarono anche la giornata di venticinque anni fa: preghiera, digiuno, pellegrinaggio. La prima — puntualizza il cardinale — «sarà vissuta soprattutto nella dimensione del silenzio e del raccoglimento interiore»: dimensione privilegiata rispetto alla forme pubbliche di preghiera, soprattutto per evitare «l’impressione di qualsiasi relativismo». Il secondo esprimerà «la dimensione penitenziale» e la disponibilità di ciascuno «a un processo di purificazione». Il terzo, infine, sarà simboleggiato dal viaggio in treno delle delegazioni da Roma ad Assisi e dal percorso che tutti i partecipanti compiranno dalla basilica di Santa Maria degli Angeli alla piazza dove si concluderà l’incontro. «Ci riconosceremo pellegrini della verità, pellegrini della pace — afferma il porporato — impegnandoci a essere costruttori di un mondo più giusto e solidale».


di Tarcisio Bertone
Cardinale, segretario di Stato

Il 25 gennaio del 1986, nell’omelia della messa celebrata nella basilica di San Paolo fuori le Mura, il beato Giovanni Paolo II pronunciò un appello, nel contesto dell’Anno internazionale della pace indetto dall’Onu, rivolto non solo ai cattolici o ai credenti in Cristo, ma anche agli appartenenti alle diverse religioni del mondo e a tutti gli uomini di buona volontà, affinché da tutti venisse invocato con insistenza il dono della pace. «La Santa Sede desidera contribuire a suscitare un movimento mondiale di preghiera per la pace che, oltrepassando i confini delle singole Nazioni e coinvolgendo i credenti di tutte le Religioni, giunga ad abbracciare il mondo intero» (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, 1986, vol. I, p. 198).

Nella medesima circostanza, il Papa annunciava di voler farsi promotore di uno speciale incontro, che si sarebbe tenuto in Assisi, aperto ai responsabili delle Chiese, delle comunità cristiane e delle principali religioni del mondo. Il raduno, che ebbe luogo il 27 ottobre 1986, trovò vastissima risonanza presso l’opinione pubblica mondiale.

Ciò che a prima vista catalizzò l’attenzione e l’immaginazione di molti fu il vedere, forse per la prima volta nella storia, tanti esponenti delle principali religioni radunati insieme.

A uno sguardo più attento, tuttavia, si poteva cogliere con chiarezza le intenzioni profonde che avevano guidato il grande Pontefice: in primo luogo, mettere in luce la dimensione intrinsecamente spirituale della pace, di fronte a un clima culturale che tendeva a relegare nella marginalità il fenomeno religioso. Le componenti della pace sono molteplici e la sua costruzione necessita certamente dell’impegno in campo politico, sociale, economico, da parte di Governi, organizzazioni internazionali, società civili. Tuttavia rimane vero che la pace è, primariamente e fondamentalmente, una realtà che va costruita nei cuori, che nasce dalle aspirazioni più alte dell’uomo.

In secondo luogo, il radunarsi di leader di religioni diverse, poneva ciascuno di essi di fronte alla responsabilità che le proprie credenze religiose si traducessero, sul piano personale e comunitario, nel senso di una effettiva costruzione della pace. È ben noto, infatti, come nella storia l’appartenenza religiosa sia stata spesso anche strumentalizzata quale elemento di contrapposizione e di conflitto.

L’incontro del 1986 valorizzò tre elementi spirituali presenti, seppure in forme diverse, in quasi tutte le tradizioni religiose: la preghiera, il pellegrinaggio, il digiuno.
Giovanni Paolo II spiegò chiaramente il senso del ritrovarsi a pregare nella stessa città: «Il fatto che siamo venuti qui non implica alcuna intenzione di ricercare un consenso religioso tra noi o di negoziare le nostre convinzioni di fede. Né significa che le religioni possono riconciliarsi sul piano di un comune impegno in un progetto terreno che le sorpasserebbe tutte. E neppure è una concessione al relativismo nelle credenze religiose» (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, 1986, vol. II, p. 1252).

Quest’ultimo punto era di capitale importanza: il relativismo o il sincretismo, infatti, finiscono per distruggere, anziché valorizzare, la specificità dell’esperienza religiosa. Su questo aspetto si è tornati più volte in seguito, anche a motivo di interpretazioni superficiali, che non sono mancate, di quel primo incontro di Assisi. Nella lettera inviata al vescovo di Assisi per il XX anniversario dell’evento, Papa Benedetto XVI ricorderà che «è doveroso [...] evitare inopportune confusioni. Perciò, anche quando ci si ritrova insieme a pregare per la pace, occorre che la preghiera si svolga secondo quei cammini distinti che sono propri delle varie religioni. Fu questa la scelta del 1986, e tale scelta non può non restare valida anche oggi. La convergenza dei diversi non deve dare l’impressione di un cedimento a quel relativismo che nega il senso stesso della verità e la possibilità di attingerla» (Messaggio a monsignor Domenico Sorrentino, 2 settembre 2006, Insegnamenti di Benedetto XVI, 2006, vol.II, p. 190).

Che ipocrisia, forse il bugiardo Cardinale si è scordato questo:
Gli incontri ecumenici di Assisi dell’ottobre 1986 e del gennaio 2002.
Durante l’incontro di Assisi del 2002, Giovanni Paolo II assegnò dei locali all’interno del sacro Convento di San Francesco, ai praticanti delle “grandi religioni del mondo”, dall’animismo allo zoroastrismo, affinché potessero compiere i loro riti assortiti all’interno di questo sacro santuario cattolico. Riferendosi con enfasi a questi “luoghi assegnati”, il Papa dichiarò a quell’assemblea eterogenea che includeva i seguaci del Vudù: «pregheremo secondo forme diverse, rispettando le altrui tradizioni religiose» [Discorso ai rappresentanti delle varie religioni del mondo del 24 gennaio 2002. La lista dei partecipanti alla giornata di preghiera è disponibile sul sito del Vaticano].
L’impressione che inevitabilmente ha lasciato l’avvenimento di Assisi, specialmente attraverso la rifrazione dei media mondani, è stata che tutte le religioni piacciono più o meno a Dio – che è esattamente la teoria rigettata come falsa dal Papa Pio XI nella sua enciclica Mortalium Animos del 1928. Se non fosse così, perché il Papa avrebbe convocato tutti i loro “rappresentanti” ad Assisi per offrire le loro «preghiere per la pace»? Onestamente, è possibile negare che ciascuno dei predecessori preconciliari del Papa avrebbe condannato queste esibizioni?

Continua Bertone...
È questa l’interpretazione corretta dello «spirito di Assisi», spesso invocato nel contesto delle iniziative di dialogo e di incontro tra appartenenti a tradizioni religiose differenti, moltiplicatesi a seguito del raduno del 1986, il quale, per parte sua, rimane un evento in qualche modo unico: momento forte di condivisione spirituale, vissuto in semplicità e fraternità, gli atteggiamenti tipici di san Francesco, che ancora oggi si respirano nella sua città natale.

Diventò così spontaneo guardare nuovamente ad Assisi in un momento particolarmente delicato e drammatico della storia recente, quello seguito agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001.

All’inizio del nuovo millennio, forse proprio nel momento in cui, dopo la fine della divisione del mondo in blocchi contrapposti, più forte era l’attesa per l’affermarsi di un’era di maggiore pace, nubi minacciose venivano improvvisamente a oscurare le speranze di molti.

Giovanni Paolo II diede allora nuovamente appuntamento nella città di san Francesco ai responsabili delle comunità cristiane e delle religioni del mondo, non solo per rendere visibile la condanna, da parte di tutti gli uomini religiosi, del terrorismo di matrice fondamentalista, ma anche per testimoniare che le religioni in quanto tali sono impegnate a favorire nel mondo un clima di pace, di giustizia, di fratellanza, e non intendono lasciarsi strumentalizzare per scontri tra nazioni, popoli e culture.

«Ci si vuol trovare insieme, in particolare cristiani e musulmani, per proclamare davanti al mondo che la religione non deve mai diventare motivo di conflitto, di odio e di violenza» (Angelus del 18 novembre 2001, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, 2001, vol. II, p. 757). Il Papa invitò a prepararsi a quell’incontro con una giornata di digiuno, che significativamente fu collocata in un momento vicino al termine del mese del Ramadan.

La Giornata di preghiera per la pace nel mondo si tenne ad Assisi il 24 gennaio 2002. In quella circostanza, rispetto alla preghiera pubblica delle diverse religioni che distinse l’incontro del 1986, si volle sottolineare il solenne impegno in favore della pace. Ciascun gruppo religioso ebbe modo di pregare in appositi ambienti all’interno del convento francescano, mentre i cristiani si ritrovarono nella basilica inferiore. Tali scelte derivavano dalla volontà, da tutti condivisa, di non offrire il pretesto a interpretazioni di tipo irenista dell’incontro tra uomini appartenenti a religioni diverse.

Durante l’incontro comune, nella piazza San Francesco, si ascoltarono testimonianze in favore della pace e, nel pomeriggio, venne proclamato un solenne impegno, condiviso da tutti i presenti. È un testo che mantiene ancora oggi tutta la sua validità: in esso si esprimeva la condanna della violenza e del terrorismo, contrastanti con l’autentico spirito religioso; si manifestava la volontà di educare alla stima e al rispetto reciproco, di promuovere la cultura del dialogo fra individui e popoli, di vivere il confronto con l’altrui diversità come occasione di migliore comprensione reciproca. Si affermava la volontà di perdono, l’impegno al superamento degli errori e dei pregiudizi del passato; si faceva propria la causa dei più poveri e dimenticati. Il testo concludeva con un appello ai responsabili delle nazioni, affinché ponessero ogni sforzo per consolidare, sul fondamento della giustizia, un mondo di solidarietà e di pace.

La condanna della violenza e del terrorismo operati in nome della religione introduceva nell’incontro interreligioso un elemento forse non nuovo, ma vissuto ora con intensità particolare: il bisogno di purificazione, di cui ogni tradizione religiosa deve farsi carico, davanti alle altre tradizioni religiose e davanti al mondo. Anche la pratica della religione è esposta alle conseguenze del male, del peccato, e può ritrovarsi sfigurata. Radunarsi insieme significa anche essere disposti a perdonarsi e a purificare il proprio modo di vivere la dimensione religiosa. Lo scambio dell’abbraccio di pace tra i presenti, con cui si concluse la giornata del 2002, era espressione eloquente di questa disponibilità.

Sono ormai trascorsi 25 anni dal primo storico incontro di Assisi. Il mondo ha subito profonde trasformazioni. Perché ritornare di nuovo nella città del poverello?

La risposta è semplice: il mondo cambia, ma permangono le aspirazioni del cuore dell’uomo e, oggi più che mai, la dimensione religiosa si rivela essere un elemento imprescindibile per la difesa e la promozione della pace.

Papa Benedetto XVI dà nuovamente appuntamento ai responsabili delle Chiese, delle comunità cristiane e delle principali religioni del mondo, anzitutto per fare memoria dell’evento del 1986: esso ha veramente aperto un’epoca nuova nei rapporti tra uomini di religioni diverse; ha permesso a tutti di rendersi conto che il confronto con l’altro da sé è una necessità che nessun uomo religioso può ignorare.

Naturalmente, però, non ci si incontra solo per fare memoria del passato, ma anche per guardare avanti. Quali sono le sfide che attendono oggi gli uomini credenti in rapporto alla costruzione della pace? Quale contributo ciascun individuo e ciascuna tradizione religiosa può offrire, là dove è maggiormente operante, alla causa della giustizia? E, di contro, quale stimolo si può ricevere, nello sforzo di lavorare per la costruzione di un mondo maggiormente giusto e solidale, da chi ha una credenza diversa dalla propria, e anche da chi non manifesta una fede religiosa, ma si sente impegnato in questa nobile causa?

Il tema che il Pontefice ha indicato per la celebrazione della giornata — «Pellegrini della verità, pellegrini della pace» — mostra chiaramente il senso che avrà l’incontro del 27 ottobre 2011.

Vogliamo in primo luogo riconoscerci tutti inseriti in quel comune cammino che è la storia umana. Affermare di essere pellegrini significa ammettere che non si è ancora giunti alla meta o, meglio, che essa sempre ci trascende, costituendo il senso del nostro viaggio. Ogni uomo di buona volontà si sente «pellegrino della verità»: si sente in cammino, perché è consapevole che la verità sempre lo supera.

Da qui il motivo di una scelta qualificante il prossimo raduno, quella di invitare ad Assisi anche alcune personalità del mondo della scienza e della cultura che si definiscono non religiose. E ciò non solo per il fatto che la costruzione della pace è una responsabilità di tutti, credenti e non credenti. Più profondamente, siamo convinti che la posizione di chi non crede, o fatica a credere, possa svolgere un ruolo salutare per la religione in quanto tale, per esempio nell’aiutare a evidenziarne possibili degenerazioni o inautenticità. Tracce di questo «illuminismo» rettamente inteso sono presenti nella stessa tradizione biblica, fortemente critica verso modalità di culto che non avvicinano, ma allontanano da Dio.

Come cristiani, professiamo di avere ricevuto in Cristo la rivelazione piena e definitiva del volto di Dio; sappiamo che tale dono di salvezza è per tutti gli uomini e desideriamo ardentemente che il disegno di amore del Padre si manifesti e realizzi nella sua interezza. Sappiamo bene, però, che mai potremo esaurire la profondità del mistero di Cristo. Non solo, riconosciamo che la nostra fragilità può talora offuscare lo splendore del tesoro che ci è stato rivelato e renderne più difficile la conoscenza. L’avere ricevuto in dono la verità non ci impedisce pertanto di sentirci compagni di viaggio di ogni uomo e donna.

La Giornata di Assisi si svolgerà all’insegna di quegli elementi che già caratterizzarono il primo raduno, venticinque anni fa: la preghiera, il digiuno, il pellegrinaggio.

La preghiera sarà vissuta soprattutto nella dimensione del silenzio e del raccoglimento interiore, che si sono voluti privilegiare rispetto alle forme pubbliche di preghiera di ciascuna tradizione, in continuità con quanto avvenuto già nell’incontro del 2002. La preoccupazione per evitare anche solo l’impressione di qualsiasi relativismo non è solo cattolica, ed è particolarmente comprensibile nell’odierno contesto culturale, per molti versi refrattario alla questione della verità e per questo incline a una presentazione indifferenziata, e ultimamente irrilevante, del fenomeno religioso. Ciò non sminuisce la convinzione profonda che la preghiera rimanga il contributo essenziale che gli uomini religiosi possono offrire alla causa della pace. Papa Benedetto XVI presiederà, la sera precedente, una veglia di preghiera per la pace con i fedeli della diocesi di Roma, invitando a unirsi a lui vescovi e fedeli di tutto il mondo.

Il secondo elemento della giornata è il digiuno, che sarà solo parzialmente interrotto da un sobrio pasto, a esprimere la fraternità tra i presenti. Il digiuno starà a significare la dimensione penitenziale che l’incontro vuole anche assumere, la convinzione di dover sempre essere disposti a un processo di purificazione.

Infine vi è l’elemento del pellegrinaggio, che sarà simboleggiato dal viaggio in treno delle delegazioni da Roma ad Assisi, e dalla salita, nel pomeriggio, di tutti i partecipanti, dalla basilica di Santa Maria degli Angeli verso la ormai storica piazza che ha visto la conclusione anche dei precedenti incontri. Ci troveremo a camminare insieme per le strade di Assisi, così come camminiamo insieme ogni giorno sulle strade di questo mondo, sulle strade della storia. Ci riconosceremo pellegrini della verità, pellegrini della pace, impegnandoci a essere costruttori di un mondo più giusto e solidale e consapevoli che tale compito sfugge alle nostre povere forze e deve essere invocato dall’alto. È con questi sentimenti che ci apprestiamo ad accogliere l’invito di Papa Benedetto XVI e a ritornare ad Assisi.

(© L'Osservatore Romano 3 luglio 2011) 



Dichiarazione di Mons. Marcel Lefebvre e di 
Mons. Antonio de Castro Mayer
in seguito alla visita di Giovanni Paolo II alla sinagogae al congresso delle religioni ad Assisi  
Buons Aires, 2 dicembre 1986


Il colmo di questa rottura con il magistero anteriore della Chiesa si è raggiunto ad Assisi, dopo la visita alla sinagoga. 
Il peccato pubblico contro l’unicità di Dio,
contro il Verbo Incarnato e la Sua Chiesa,
fa fremere d’orrore:
Giovanni Paolo II che incoraggia le false religioni a pregare i loro falsi dei: scandalo incommensurabile e senza precedenti.

Noi potremmo riprendere qui la nostra dichiarazione del 21 novembre 1974, che rimane più attuale che mai.

Noi, che restiamo in modo indefettibile attaccati alla Chiesa Cattolica Romana di sempre, siamo obbligati a constatare che questa religione modernista e liberale della Roma moderna e conciliare si allontana sempre più da noi che professiamo la fede cattolica degli undici papi che hanno condannato questa falsa religione.
La rottura non viene dunque da noi, ma da Paolo VI e da Giovanni Paolo II, che rompono con i loro predecessori.

Questo rinnegamento di tutto il passato della Chiesa attuato da questi due papi e dai vescovi che li imitano è un’empietà inconcepibile ed una umiliazione insostenibile per coloro che restano cattolici nella fedeltà a venti secoli di professione della stessa fede.

8 commenti:

  1. Salve. Vorrei sapere da dove avete tratto la prima citazione di San Padre Pio.

    Grazie.

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  2. E'tratto dal giornale “l’Avvenire” del 19 Agosto 1978, discorso fatto nel 1963 da San Pio da Pietralcina davanti ai suoi figli spirituali, in riferimento alle lacrime di Maria.

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  3. Il mio è un commento un poco fuori tema ma, in fondo, descrive l'andazzo del Cattolicesimo odierno e quindi, per certi versi, va bene.

    Stamane ho sentito in treno tre giovani ragazzi che recitavano le lodi. Mi è parso singolare e quindi ho provato a chiedere se, per caso, fossero studenti di teologia.
    Si è fatto avanti uno dei tre dicendo che lui non era un "semplice" studente di teologia ma "molto più" ossia un seminarista.
    Non ho capito cosa significasse quel "molto più" ma non importa.

    Si è presentato e ha voluto sapere di me: posizione sociale e interesssi. Tempo due secondi ancora e - rivelazione! - si è dichiarato: "Sono un seminarista Redemptoris Mater dei Neocatecumenali".

    Il giovane ventenne ha iniziato tutta una tiretera sui Neocatecumenali elogiando Kiko Arguello e ringraziando Dio perché finalmente tramite loro ha iniziato a capire il Cristianesimo e a viverlo.

    Nel discorso non esistevamo più, né lui né io ma solo la presentazione del Neocatecumenato.
    Ho immediatamente pensato a Gordon Urquhart quando, nel suo libro "le armate del papa", dichiara: "Nel movimento io non ero interessante come persona ma solo come uno che condivideva le loro idee", la qual cosa - evidentemente - è la contraddistinzione dello stile settario.

    Un seminarista diocesano "normale" non si sarebbe comportato così. I seminaristi diocesani hanno poca formazione e idee forse abbastanza vaghe (per non dire errate) ma non si scagliano sugli altri in questo modo. Si fermano e cercano di ascoltare, il che è comunque positivo.

    Questo ragazzino di vent'anni appena poneva domande aspettando di sentire risposte che gli indicassero un errore per poi incuneare il suo discorso sui neocatecumeni. Nessun dialogo, insomma, ma una specie d'interrogatorio giudiziale. A suo dire amava l'umiltà ma non mi pareva così umile dal momento che m'imbarazzava e infastidiva...
    Gli ho ricordato che i Padri della Chiesa non amavano fare lunghi discorsi e, se li facevano, era solo perché ne erano stati costretti. Esiste, infatti, tutta un'altra maniera di comunicare e formare al Cristianesimo nella vita che evidentemente i Neocatecumeni non vogliono conoscere perché pure il ragazzino rifiutò la mia risposta.
    Il nostro singolare "dialogo" durò poco. Il bambino si accorse che non poteva fare presa su di me e mi mollò chiudendosi a riccio con la sua compagnia.

    Non so, forse sono di un'altra "scuola" ma quando incontro una persona non più giovane non mi comporto così. Mi fermo, ascolto, evito di dare giudizi trancianti.
    Che un ragazzino di vent'anni si comporti verso un uomo di quaranta come se fosse un maestro mi sembra molto azzardato ma, evidentemente, questo è quello che imparano tra i neocatecumeni pur di far colpo costi quel che costi.

    Vedendo queste cose che dire? E' una gioia immensa capire che al mondo non tutti sono neocatecumeni e che, alla fine, relativamente pochi lo potranno divenire!

    Paradosi

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  4. a.rita, grazie mille. Se devo divulgare questa bella citazione devo sapere dove e stata espressa.

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  5. Canto dei Vesperi domenicali nella forma romana tradizionale:

    http://www.youtube.com/watch?v=yiCqOmZ0nfE

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  6. Eh,eh, Paradosi ha incontrato giovani neocatec...!Effettivamente sono spesso incontri "unilaterali"dove il monologo loro prevale.Nei miei incontri avrei voluto poterli afferrare per il collo per dare una scossa emotiva salutare,ma alcune volte neanche questo sarebbe sufficente visto il senso di masochismo strutturale in cui vengono coniati a stampo per dar loro l'idea:martirizzato quindi amato da Dio.L'incapacità di riconoscere le ragioni di un "martirio"(che possono essere la loro prevaricazione verbale insulsa che suscita indignazione reattiva e violenta)li rendono ancor piu' pedine manovrabili ed ottuse!mardunolbo

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  7. Voglio essere paradossale.
    Io penso che se un neocatecumenale incontra Gesù Cristo inizia a parlargli di Kiko Arguello e di quanto bene ha ricevuto da costui.
    La situazione è così bene cortocircuitata che non se ne esce: nulla al di fuori dei neocatecumenali!
    Purtroppo se ne accorgono bene solo quelli che sono "fuori" poiché "dentro" si è in preda a un sonno ipnotico.

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  8. Nel mio caso, non avevo alcuna voglia di polemizzare: era una radiosa giornata e il sole rendeva il mare ancora più bello. Perché guastarsi il fegato per un ragazzino fanatizzato?
    Mi sono messo a sorridere. Più parlava più sorridevo osservando il mare. Ad un certo punto ho letto sul suo viso un'espressione di sgomento e il bambino ha mollato la presa.
    Quanta artefazione e quanta prosopopea in quel ventenne!

    Paradosi

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