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mercoledì 22 febbraio 2012

"Roma ha perso la fede, cari amici, Roma è nell'apostasia. Queste non sono parole, non sono parole (sparate) in aria che vi dico, è la verità! Roma è nell'apostasia. Non si può più dare fiducia a questa gente. Hanno abbandonato la Chiesa, abbandonano la Chiesa, e sicuro, sicuro, sicuro..." Mons. Marcel lefebvre


Giuramento AntimodernistaPer lo che, se alcuno da Noi richiede una parola d’ordine, che sia espressione della Nostra volontà, questa sempre daremo e non altra: "Restaurare ogni cosa in Cristo".
Nella quale magnifica impresa C’infonde somma alacrità, o Venerabili Fratelli, la certezza che vi avremo tutti cooperatori generosi.
Del che se dubitassimo, dovremmo, ingiustamente, ritenervi o inconsci o noncuranti di quella guerra sacrilega che ora, può darsi in ogni luogo, si muove e si mantiene contro Dio. Giacché veramente contro il proprio Creatore "fremettero le genti e i popoli meditarono cose vane" (Psal. II, 1), talché è comune il grido dei nemici di Dio: "Allontanati da noi" (Iob. XXI, 14). E conforme a ciò, vediamo nei più degli uomini estinto ogni rispetto verso Iddio Eterno, senza più riguardo al suo supremo volere nelle manifestazioni della vita privata e pubblica; che anzi, con ogni sforzo, con ogni artifizio si cerca che fin la memoria di Dio e la Sua conoscenza sia del tutto distrutta. Chi tutto questo considera, bene ha ragione di temere che siffatta perversità di menti sia quasi un saggio e forse il cominciamento dei mali, che agli estremi tempi son riservati; che già sia nel mondo il figlio di perdizione, di cui parla l’Apostolo (II Thess. II, 5). Tanta infatti è l’audacia e l’ira con cui si perseguita dappertutto la religione, si combattono i dogmi della fede e si adopera sfrontatamente a sterpare, ad annientare ogni rapporto dell’uomo colla Divinità! In quella vece, ciò che appunto, secondo il dire del medesimo Apostolo (Sap. XI, 24), è il carattere proprio dell’anticristo, l’uomo stesso, con infinita temerità si e posto in luogo di Dio, sollevandosi soprattutto contro ciò che chiamasi Iddio; per modo che, quantunque non possa spegnere interamente in se stesso ogni notizia di Dio, pure, manomessa la maestà di Lui, ha fatto dell’universo quasi un tempio a sé medesimo per esservi adorato: "Si asside nel tempio di Dio mostrandosi quasi fosse Dio" (II Thess. II, 2).

Per verità nessuno di sana mente può dubitare con qual sorte si combatta questa lotta degli uomini contro l’Altissimo. Può l’uomo, abusando della sua libertà, violare il diritto e la maestà del Creatore dell’universo; ma la vittoria sarà sempre di Dio; ché, anzi, allora è più prossima la disfatta, quando l’uomo, nella lusinga del trionfo, si solleva più audace: Dio stesso di tanto ci assicura nei santi libri: "Quasi dimentico della sua forza e della sua grandezza, dissimula i peccati degli uomini (Sap. XI, 24); ma ben tosto, dopo queste apparenti ritirate, scosso quasi fosse risorto dall’ebbrezza (Psal. LXXVII, 65), stritolerà il capo dei suoi nemici (Ib. LXVII, 22); affinché tutti conoscano che Dio è il Re di tutta la terra (Ib. XLVI, 7), e sappiano le genti che son uomini" (Ib. IX, 20).

Tutto questo, Venerabili Fratelli, Noi crediamo ed aspettiamo con fede incrollabile. Ma ciò non toglie che ancor Noi, per quanto a ciascuno è dato, Ci adoperiamo ad affrettare l’opera di Dio non gia solo pregando assiduamente: "Levati, o Signore, non prenda ardire l’uomo" (Ib. IX, 19); ma, ciò che più monta, affermando "con fatti e parole, a luce di sole, il supremo dominio di Dio sugli uomini e sulle cose tutte, di guisa che il diritto ch’Egli ha di comandare e la Sua autorità siano pienamente apprezzati e rispettati".
Il che, non solo ci vien richiesto dal dovere che natura ci impone, ma altresì dal comune nostro vantaggio. Chi è infatti, Venerabili Fratelli, che non abbia l’animo costernato ed afflitto nel vedere la maggior parte dell’umanità, mentre i progressi della civiltà meritamente si esaltano, combattersi a vicenda cosi atrocemente da sembrar quasi una lotta di tutti contro tutti? Il desiderio della pace si cela certamente in petto ad ognuno e niuno è che non l’invochi con ardore. Ma voler pace, senza Dio, è assurdo; stanteché donde è lontano Iddio, esula pur la giustizia; e tolta di mezzo la giustizia, indarno si nutre speranza di pace. "La pace è opera della giustizia" (Is. XXXII, 17).

(S. Pio X, E supremi apostolatus cathedra, 1903)


Esercizio di esegesi della Tradizione:
da Giovanni Paolo II a Mons. Bernard Fellay
L'ultimo grande Papa  con Marcel lefebvre, promossi con 10 e lode...

di Giovanni Servodio

Sono passati quasi 24 anni da quel fatidico 1988, quando Giovanni Paolo II, nel Motu Proprio Ecclesia Dei adflicta, scriveva: «La radice di questo atto scismatico [la consacrazione dei 4 vescovi della FSSPX] è individuabile in una incompleta e contraddittoria nozione di Tradizione. Incompleta, perché non tiene sufficientemente conto del carattere vivo della Tradizione (…) contraddittoria una nozione di Tradizione che si oppone al Magistero universale della Chiesa, di cui è detentore il Vescovo di Roma e il Corpo dei Vescovi». 


(Cosa si intende per "carattere vivo della Tradizione"? questo si intende, secondo il pensiero modernista: "Disse il Cardinal Ratzinger, non ricordando cio' che disse il Suo predecessore Pio XII : “[l’Istruzione “Donum Veritatis”] afferma - forse per la prima volta con questa chiarezza - che ci sono delle decisioni del magistero che non possono essere un’ultima parola sulla materia in quanto tale, ma sono in un ancoraggio sostanziale nel problema, innanzitutto anche un’espressione di prudenza pastorale, una specie di disposizione provvisoria. Il loro nocciolo resta valido, ma i singoli particolari sui quali hanno influito le circostanze dei tempi, possono aver bisogno di ulteriori rettifiche. Al riguardo si può pensare sia alle dichiarazioni dei Papi del secolo scorso sulla libertà religiosa, come anche alle decisioni antimodernistiche dell’inizio del secolo”. (Osservatore Romano, 27 giugno 1990, p. 6 ).

Ed ecco ciò che scrive il cardinale Ratzinger, ora Benedetto XVI, nel suo libro “I principi della teologia cattolica a proposito del testo della Chiesa nel mondo (Gaudium et spes) con il titolo: “Il Vangelo ed il mondo riguardo alla questione della ricezione del secondo Concilio del Vaticano.” Sviluppa le sue argomentazioni su più pagine e precisa: “Se cerchiamo una diagnosi globale del testo, potremmo dire che è (in connessione con i testi sulla libertà religiosa e sulle religioni nel mondouna revisione del Sillabo di Pio IX, una specie di contro-Sillabo (Dignitatis Humanæ)”.
Disse nella sua interezza questo:
"Se si deve offrire un'analisi del testo (Gaudium et Spes) nella sua interezza, bisognerebbe affermare che esso è (insieme ai testi sulla libertà religiosa e le religioni del mondo) una revisione del Sillabo di Pio Nono, una specie di Contro-Sillabo ... Lasciateci essere felici nel dire che il testo serve come Contro-Sillabo e pertanto rappresenta, da parte della Chiesa, un tentativo di riconciliarsi ufficialmente con la nuova era inaugurata nel 1789 ... la partigianeria della posizione adottata dalla Chiesa sotto Pio IX e Pio X in risposta alla situazione creata dalla nuova fase storica, inaugurata dalla Rivoluzione Francese, è stata corretta via facti in larga misura, specialmente in Europa Centrale, ma non esisteva ancora una base comune su cui fondare le relazioni tra la Chiesa ed il mondo che si era venuto a creare dopo il 1789. Infatti, un atteggiamento largamente contro-rivoluzionario ha continuato ad esistere tra nazioni a forte maggioranza Cattolica. Ormai quasi nessuno nega al giorno d'oggi che i concordati con la Spagna e l'Italia si sforzano di conservare un'impostazione del mondo che non corrisponde più ai fatti. E difficilmente si può negare che, per quanto riguarda l'educazione ed il metodo critico-storiografico della scienza moderna, vi è stato un anacronismo strettamente legato alla fedele adesione a questa vecchia impostazione di rapporti tra Chiesa e stato", quindi a buon titolo si può ben dire che da 50 anni questi Pontefici post conciliabolo hanno tentato di distruggere, con un pensiero modernista, ciò che la Chiesa aveva fissato definitivamente per 1958 anni).

Senza questa incompleta e contraddittoria nozione di Tradizione, intendeva Giovanni Paolo II, Mons. Lefebvre non avrebbe “rotto il legame ecclesiale” col Papa.

In questo lasso di tempo è sempre più cresciuta l’attenzione per questa problematica, con considerazioni che però hanno continuato a ribadire le due diverse posizioni, quella del Vaticano e quella della Fraternità San Pio X.

Ultimamente la Fraternità, per bocca di don Jean-Michel Gleize, ha ribadito che queste concezioni divergenti circa la nozione di Tradizione hanno la loro radice in due punti di vista diversi: uno oggettivo e uno soggettivo. A partire dal Vaticano II, nella Chiesa ufficiale ha prevalso il punto di vista soggettivo, a cui si è inteso sottomettere il punto di vista oggettivo. 


Quando Giovanni Paolo II parlava dell’importanza del “carattere vivo della Tradizione”, non intendeva ricordare che la Tradizione è sempre viva, in questo caso non ci sarebbe stata divergenza con la Fraternità, ma ripeteva il convincimento che la Tradizione non possiede una sua oggettività, poiché essa è tale solo in funzione del soggetto che la trasmette, sia esso la comunità ecclesiale o il Papa stesso. Secondo questa concezione la vitalità della Tradizione sarebbe data dalla persistenza in vita di un soggetto che la trasmette, compresa l’interpretazione o l’adattamento che esso/egli volta per volta finisce inevitabilmente col fornirle; tale che non è importante l’unicità e l’oggettività della Tradizione stessa, quanto l’unicità e la soggettività del soggetto, «dell’unico soggetto-Chiesa… che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino», come affermato da Benedetto XVI nel discorso alla Curia del 22 dicembre 2005.

Questa diversità di “nozione” è stata ultimamente ribadita dal Superiore Generale della Fraternità San Pio X, Mons. Bernard Fellay, nell’omelia che ha pronunciato a Winona, USA, il 2 febbraio scorso. «In altri termini, questo significa che essi danno un altro significato alla parola “tradizione” e forse alla parola “coerenza”» … «È per questo che nei nostri colloqui dottrinali con Roma noi eravamo, per così dire, bloccati. In questi colloqui con Roma, la questione chiave era in definita quella del Magistero, dell’insegnamento della Chiesa» … «Se loro accettano i principi che abbiamo sempre sostenuto, è perché questi principi per loro significano ciò che loro pensano, e che è in esatta contraddizione con ciò che affermiamo noi. Credo che non ci si possa spingere oltre nella confusione».

Insomma, dopo 24 anni sembra che non sia cambiato niente, ci troviamo ancora fermi a quanto affermato da Giovanni Paolo II, ad “una incompleta e contraddittoria nozione di Tradizione”, una nozione che, da parte della Fraternità, non terrebbe “sufficientemente conto del carattere vivo della Tradizione” e che, da parte di Roma, guarderebbe alla Tradizione come ad un complesso di insegnamenti che crescono e si sviluppano nel tempo.
Ora, per quanto a prima vista possa apparire contraddittorio, c’è da dire che entrambe le nozioni, dal loro rispettivo punto di vista, sono giustificate e coerenti. Dal punto di vista oggettivo, che è quello della Fraternità San Pio X, la Tradizione è un quid che impone al soggetto che la trasmette una coerenza che trascende il soggetto stesso: essendo la Tradizione la guida formativa del soggetto. Dal punto di vista soggettivo, che è quello del Vaticano, la Tradizione è un insieme di indicazioni che via via il soggetto esplicita in funzione del tempo: essendo il soggetto vivente nel tempo il fine ultimo della Tradizione
In altre parole sembra che, essendo la Tradizione funzionale all’uomo, e cioè ad un soggetto, tale funzionalità è possibile che si realizzi in due modi: in senso discendente, con la Tradizione che informa di sé il soggetto rendendolo conforme al principio immutabile di cui è espressione, o in senso ascendente, col soggetto che informa di sé la Tradizione rendendola conforme alla mutabilità dell’esistenza. In entrambi i casi il rapporto fra Tradizione e soggetto sarebbe mantenuto, ma secondo una logica inversa. 
È questo il punto cruciale della questione.
Si è d’accordo sul principio che la Tradizione è funzionale al soggetto, ma in un caso, oggettivamente, è la Tradizione che fa il soggetto, nell'altro caso, soggettivamente, è il soggetto che fa la Tradizione.
Ecco perché Mons. Fellay può affermare: «Siamo d’accordo sul principio, ma ci rendiamo conto che la conclusione è contraria. Grande mistero!».

Questa annosa questione sembra non avere soluzione, se non quella già indicata da Giovanni Paolo II: non opporsi “al Magistero universale della Chiesa, di cui è detentore il Vescovo di Roma e il Corpo dei Vescovi”, tale che il dilemma tra oggettività e soggettività verrebbe meno, non perché risolto, ma perché negato.
Quando Giovanni Paolo II affermava che il Vescovo di Roma e il Corpo dei Vescovi “detengono” il Magistero, e quindi non può esistere una nozione di Tradizione che si opponga a questo Magistero, sosteneva semplicemente che Tradizione, Magistero e Vescovo/i, sono tutt'uno, e che quindi non esiste un rapporto condizionante fra Tradizione e Magistero, tale che la prima, oggetto attivo, imponga al secondo, soggetto passivo, la funzione di “trasmettitore”. Se il soggetto “detiene” l’oggetto, è inevitabile che questo secondo non esista più nella sua oggettività, se non attraverso la soggettività del primo. Vale a dire che il Magistero è l’unico criterio della Tradizione. Ma, in questo modo, non avendo lo stesso Magistero, di per sé, alcuna oggettività, in quanto essa è negata a priori, l’unica cosa che rimane, in perfetta coerenza, è la soggettività del Vescovo/i. In ultima analisi, la Tradizione, e il Magistero stesso, si identificherebbero con l’unico soggetto reale che ha la connotazione di “vivente”: il Papa e il Corpo dei Vescovi: sarebbero essi il Magistero e la Tradizione.

L’inversione è così realizzata: il Papa e i Vescovi non “trasmettono” più la Tradizione, che è altro dal loro esistere, ma “sono” la tradizione, tale che questa non si possa più considerare un “dato” da “trasmettere” lungo l’esistenza e aldilà di essa, bensì il frutto di questa stessa esistenza; fino al punto che si è costretti a concludere che in questo modo la Tradizione non esiste, perché, una volta eliminato l’oggetto da trasmettere, non può esistere per definizione.

Cosa rimane, dunque? Rimane solo la mera trasmissione, cioè l’azione soggettiva del trasmettitore, la quale, priva di oggetto da trasmettere, si risolve in qualcosa di fine a se stessa, fondata solo sulle esigenze che scaturiscono dall'esistenza del soggetto stesso. È questo che dal Vaticano II a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI si usa chiamare “tradizione vivente”.

Ratzinger e Giovanni Paolo II, rimandati a settembre per manifesto modernismo...

Potremmo anche dire che non siamo più di fronte all’amore di un soggetto per l’oggetto amato, ma all’amare praticato da questo stesso soggetto come esercizio auto-appagante. Non più all’amore del soggetto uomo per Dio e quindi per i fratelli, ma all’esercizio dell’amare che, in se stesso, può prescindere da Dio e dai fratelli. 
Non si ama l’oggetto dell’amore, ma l’amore stesso, rendendolo così sterile. 
Non si trasmette più l’oggetto della Tradizione, ma si pratica una trasmissione priva del suo oggetto: una trasmissione sterile… una tradizione vuota. 


Ecco una delle tante prove di apostasia della "nuova Gerarchia" post conciliabolo Vaticano Modernista II:

Da Vatican Insider: un servizio dalla Città del Vaticano su “Un documento comune che rilancia il dialogo tra le chiese, annunciata dal cardinale Koch presidente del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani”!
Un documento comune sulla fede cristiana che li unisce, al di là delle divisioni degli ultimi secoli: lo stanno preparando la Chiesa cattolica e la Federazione luterana mondiale in vista del 500.esimo anniversario delle 95 tesi di Martin Lutero nel 2017.

Ad anticipare l'iniziativa era stato papa Benedetto XVI lo scorso dicembre, durante l'udienza al presidente dei luterani mondiali, il vescovo Munib A. Younan. In questi giorni, il cardinale svizzero Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l'Unita' dei Cristiani, ha anticipato alcuni dettagli del documento in una intervista all'agenzia cattolica tedesca Kna.

La dichiarazione comune, preparata dalla Commissione internazionale luterano-cattolica sull'unità, dovrebbe leggere l'evento della Riforma alla luce dei 2000 anni di storia cristiana, di cui 1500 prima della divisione tra cattolici e protestanti. Per il porporato, la divisione della Chiesa non era l'obiettivo dell'azione di Lutero.

Secondo il cardinale Koch, la commemorazione comune della Riforma potrebbe essere l'occasione di arrivare ad una comune ammissione di colpa da parte delle due parti, sulla scia della richiesta di perdono fatta da Papa Giovanni Paolo II nel 2000 per il ruolo cattolico nelle “divisioni della Chiesa”. «Senza una consapevolezza comune, ha detto il card. Koch, senza una purificazione comune della memoria e senza una ammissione di colpa da entrambe le parti, secondo me non ci può essere una sincera commemorazione della Riforma ».

Il porporato ha anche sottolineato che è stato proprio papa Ratzinger, che da tedesco è cresciuto in un Paese la cui popolazione è divisa pressochè equamente tra cattolici e protestanti, a chiedere che il dialogo ecumenico avesse un ruolo più centrale nella sua visita in Germania del prossimo settembre.

Durante l'udienza al vescovo Younan dello scorso 16 dicembre, papa Ratzinger aveva anticipato che il documento per il 500.esimo anniversario delle 95 tesi avrebbe documentato “ciò che i luterani e i cattolici sono capaci di dire insieme a questo punto, guardando alla nostra maggiore vicinanza dopo quasi cinque secoli di separazione”. Nell'anniversario del 1517, aveva aggiunto, “i cattolici e i luterani sono chiamati a riflettere nuovamente su dove il nostro cammino verso l'unità ci ha portato(aggiungiamo noi, all'anticamera dell'inferno) e per invocare la guida di Dio e il suo aiuto per il futuro”.
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In definitiva Monsignor Lefebvre è assolutamente nella ragione in quanto egli ha sempre professato e operato nella perfetta Dottrina Cattolica pre conciliare ...

DALLA LETTERA SCRITTA A GIOVANNI PAOLO II...
"E’ vitale per la Chiesa affermare, tramite il sacrificio della Messa che vi è salvezza unicamente per il sacrificio di Nostro Signore, solo Salvatore, solo Sacerdote, solo Re. La religione cattolica è la sola vera le altre religioni sono false e trascinano le anime nell’errore e al peccato. Solo la religione cattolica è stata fondata da Nostro Signore Gesù Cristo quindi non ci si può salvare che per essa. Da ciò si deduce la necessità per tutte le anime di un battesimo valido e fruttuoso che le renda membra del Corpo Mistico di Nostro Signore. Da ciò proviene l’urgenza della Regalità Sociale di Nostro Signore iscritta nelle costituzioni per proteggere le anime cattoliche contro i pericoli dell’errore e del vizio e favorire le conversioni per la salvezza delle anime."

12 commenti:

  1. Il commento è realmente MOLTO INTERESSANTE.

    In parole semplici mi ero già accorto che da tempo alla tradizione si sostituisce il principio di autorità il quale a sua volta crea la cosiddetta tradizione.

    Si può fare uno schema didattico:

    FIDE --> TRADITIO --> AUCTORITAS

    Dal contenuto di vede viene la tradizione la quale fonda a sua volta l'autorità che serve alla tradizione e dunque alla fede.

    Nel caso del cattolicesimo conciliare, invece, abbiamo:

    AUCTORITAS --> TRADITIO --> FIDE

    E' un autentico capovolgimento. Qui è l'autorità che stabilisce la tradizione alla quale si deve prestare fede. L'autorità diviene indiscutibile e non può essere corretta da alcun elemento oggettivo precedente a lei.

    Giovanni XXIII, il giorno in cui gli osservarono che non si possono cambiare certe tradizioni disse:

    "Le tradizioni sono la novità di ieri. La novità di oggi saranno le tradizioni di domani".

    Questo si situa di fatto perfettamente nel secondo schema. Ma, stando così le cose, è posta in atto la dissoluzione della Chiesa, dal momento che, soggettivizzando tutto, è possibile, in nome della libertà di coscienza, fare tutto. Il singolo soggetto, a sua volta, non può essere più corretto con alcunché di oggettivo.

    Paradosi

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  2. Ne consegue che la Fraternità san Pio X, legata al concetto tradizionale di tradizione, non poteva aderire a questo stravolgimento funzionale chiaramente per canonizzare il concilio vaticano II in una storia cattolica che prevedeva tutto il contrario.

    Vorrei far osservare che lo schema tradizionale

    FIDE --> TRADITIO --> AUCTORITAS

    esalta non solo l'oggettività della fede ma il fatto che è Dio e quanto dispone al centro di tutto.

    Viceversa lo schema modernistico

    AUCTORITAS --> TRADITIO --> FIDE

    mette al centro di tutto l'uomo, il puro intendimento umano, il progetto puramente umano, anche se presentato in un ambito religioso e con riferimenti apparentemente cattolici.

    E' questa seconda impostazione che può rendere possibile l'avvento dell'Anticristo, non la prima.

    Paradosi

    RispondiElimina
  3. Questo concetto distorto in cui l'autorità umana è posta a fondamento di tutto, è, a sua volta, origine di molti altri errori ed eresie.

    "Mons" Gilles Wach, superiore dell'Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote, un'istituzione che gode del "privilegio" di avere la liturgia cattolico-romana tradizionale, mi diceva personalmente anni fa:

    "La Chiesa è il papa e i cardinali, nessun altro!".

    Questo concetto strettamente autoritaristico e clericocentrico non solo fa a botte con quanto la Chiesa ha da sempre sostenuto (il "monsignore" non si curava neppure di fare la divisione tra chiesa docente e chiesa discente tipica del tridentino), ma attinge, in definitiva, ad un'impostazione strettamente antropocentrica.

    La Chiesa è prima di tutto una realtà divino-umana e, in quanto tale, è animata da certe realtà fondanti e precendenti all'autorità come la fede e la tradizione.

    Ma per chi, di fatto, idolatrizza l'autorità (ponendola fine se stessa) tutto il resto non conta più.

    E così si comprende come certi "tradizionalisti" approvati dal Vaticano siano della stessa pasta dei modernisti. Se non lo fossero sarebbero su un'altro versante, indubbiamente!!!

    Paradosi

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  4. Papa Benedetto XVI è più furbo e pericoloso di GPII, perchè la sua tattica è quella di voler conciliare sotto la stessa bandiera i più feroci eretici neocatecumenali e i più pii tradizionalisti lefevriani.
    BXVI è un genio conciliare ed è anche molto astuto,perchè sotto una parvenza di tradizionalismo, si annida il più puro modernismo eretico.
    Paolo VI e GiovanniPaolo II non hanno avuto una tattica così astuta come quella di BXVI, infatti in Paolo VI e GiovanniPaolo II subito si capisce che hanno rotto con la tradizione cattolica, invece papa Benedetto XVI vuol farsi vedere come un amante della tradizione, perchè in questo modo li sarà più facile ingannarci è farci entrare nella nuova chiesa conciliare, che altro non è che una setta eretica che non ha nulla a che vedere con l'unica e vera CHIESA CATTOLICA FONDATA DA NSGC.
    i veri nemici della Santa Chiesa Cattolica e del PAPATO sono quindi i papi modernisti da giovanni XXXIII a l'astuto Benedetto XVI.

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  5. Beh è un'astuzia facilmente smascherabile. Appena osservi i movimenti da lontano, nell'arco di un certo tempo, appena decostruisci i discorsi e cerchi di capire in che direzione vanno, alla fine hai capito con chi hai a che fare.

    si tratta di posizioni particolari: né tradizionali, né chiaramente moderniste. Alla fine non sanno bene neppure loro chi sanno tranne il fatto che sono l'Autorità.

    Questa esasperata autoreferenzialità nella quale vivono e si circondano li porta a svuotarsi e a svuotare di senso la loro stessa creatura: la chiesa conciliare.

    Non a caso gli stessi "tradizionalisti" uniti ad una realtà del genere finiscono per essere ridicoli o contraddittori, come nel caso suaccennato.

    Paradosi

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    Risposte
    1. ....aggiungiamoci anche che questa supposta autorità che si erge apparentemente dalla Tradizione, che è usata come piedistallo, in realtà cozza terribilmente con la negazione dell'autorità che fanno questi papi modernisti (ed anatemizzati dai precedenti in modo chiaro ed inequivocabile)cresciuti col cancro della "misericordia" senza l'autorità che dichiara e punisce.

      Ed ecco dunque perchè il controsenso prevale nei discorsi e negli atti di questi papi che cercano il consenso mediatico e popolare piuttosto che il consenso dei fedeli cattolici fedeli alla Tradizione.

      Ecco perchè Ratzinger insiste nell'emanare discorsi sull'assenza di Dio nella società od altre ovvietà che nulla aggiungono alla devastante realtà di una Chiesa in balia di correnti contrapposte che la sfasciano: cerca il facile consenso fideistico papòfilo senza correggere veramente la rotta di collisione con la Tradizione, anzi cercando e favorendo ovunque la rotta parallela col mondo ed il laicismo, a parole così condannato.

      Ed i semplici tradizionalisti seguaci dell'autorità papale per pura fedeltà a questa autorità, disgiunta dal Corpo Mistico e dal Re dei re, facilitano questo gioco torbido e trascinano nel gorgo ancor più anime.

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  6. L'Autorità viene da Cristo, capo invisibile della Chiesa, Lui è l'Autorità, da Lui passa al Vicario visibile sulla terra e agli apostoli che obbediscono agli ordini...
    Col disfacimento totale a cui oggi assistiamo è certo che non esiste più Autorità perchè non è Dio che sfascia tutto.
    Lo stesso Papa ha affermato recentemente che l'autorità è un discorso chiuso e concluso, lui non intende usarla e la Chiesa non la userà mai più...ma la Chiesa di Cristo è fondata sull'Autorità degli apostoli e del Magistero...è ovvio che quella di oggi allora è una barca di Pietro mezza affondata...un colabrodo...un fantasma...

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  7. La Chiesa del Concilio, è quella bestia di Apocalisse 13, che ha l'aspetto di agnello, ma parla come un drago: è la Chiesa che ha l'aspetto cattolico, ma che parla come la rivoluzione.

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  8. Leggendo le parole di Ghergon mi veniva in mente un passo evangelico in cui si dice al Cristo "TU PARLI CON AUTORITA'!".

    Ed è appunto l'autorità che discende - nel caso di Cristo - dalla sua unione col Padre nello Spirito, dal fatto di vivere i misteri divini.

    I cristiani, ciascuno ad un livello differente chi come prete, chi come vescovo chi come laico, parlano con autorità nella misura in cui si collegano a questo e rendono possibile l'apertura dei cuori al solo vero Dio.

    Fu Paolo VI ad abolire di fatto il termine "autorità" per sostituirlo col termine "dialogo", totalmente inesistente prima del CVII, come rileva giustamente Romano Amerio.

    Il "dialogo" ossia il discutere infinito è entrato ovunque nella Chiesa conciliare. Lo stesso Magistero si è fatto "dialogo", dal momento che non si sente collegato e servitore di una verità oggettiva, che sta al di sopra di tutti.

    Ovviamente questa sorta di rivoluzione a volte è contraddetta o confusa da prese di posizione in favore della verità, con la condanna di qualche teologo super modernista e cose del genere. Ma di fatto basta porre un poco di attenzione e si nota che la rivoluzione prosegue il suo corso ininterrottamente.

    Il tentativo di inglobare la Fraternità san Pio X, in fondo, non era che un tentativo di renderla inoffensiva per favorire questa rivoluzione permanente.

    E non a caso i "tradizionalisti" uniti a Roma di fatto tacciono e hanno deposto le armi (i migliori). Altri (i più furbi) si sono vestiti da tradizionalisti solo per avere dei vantaggi dalla situazione e nulla più.

    La rivoluzione, dunque, prosegue...

    Paradosi

    RispondiElimina
  9. Caro Paradossi,

    Il disegno che hai fatto dell'autorità modernista, si vede meglio nel l proprio discorso alla Curia romana di dicembre 2005 (che Filippo Giorgianni, ha utilizzato male, per cercare di confutare la posizione tradizionalista). In questo discorso, Papa Benedetto XVI, distingue tra i testi del Concilio e il suo spirito, condannando quest'ultimo, ribadendo nel contempo che il vero spirito si trova nei testi conciliari. Ma ridurre lo spirito del Concilio ai loro testi, è presentare i testi come un fine in sé, non come un mezzo. Questa è la stessa comprensione del Sola Scriptura protestante, dove lo spirito, è immanente a lettera dela scriptura (non ce necessità di un magistero) e dove se contraddice l'insegnamento di S. Paolo:

    «La lettera uccide, ma lo Spirito vivifica» (2Cor 3,6)

    Adesso, secondo il discorso di Benedetto XVI è: "Lo spirito uccide, ma la Lettera (i testi) vivifica". É un caso dove se osserva: AUCTORITAS --> TRADITIO --> FIDE.

    Prima hanno detto a noi di interpretare il Concilio alla luce della tradizione, come se lei fosse lo spirito del Concilio (è vero che non se può leggere il Concilio alla luce della tradizione, doveva essere il Concilio a interpretare la tradizione...). Dopo con il discorso della Curia Romana nel dicembre 2005, Benedetto XVI, dice che "lo vero spirito del Concilio se trova in suo testi", ma se è nei suoi testi, il vero spritio, perché ha bisogno di una ermeneutica della continuità?

    Un Saluto dal Brasile

    RispondiElimina
  10. Un'altra cosa interessante è sapere quale sia il ruolo di insegnamento orale ricevuto dai vescovi in occasione del Concilio. Mi viene in mente: qual è il valore di un'apologetica del supposto vero spirito del Concilio, fatta dai vescovi e il Papa (Magistero), se lo spirito del Concilio è solo nei suoi scritti? Non sarebbe un'apologetica, che invece di puntare al Magistero, punta solo ai testi conciliare? Così, non se sclude il magistero? Qual è il valore di apologetica del genere? Non ci va la stessa idea del protestantesimo, in cui l'autorità vivente della Chiesa, doppo la morte dell'ultimo apostolo, è finita?

    Quello che si può visualizzare in remoto, è che il Concilio abbia applicato alla Chiesa e se stesso, lo stesso concetto di rivelazione protestante. Chiudere lo spirito del Concilio nei suoi testi, non è altro che un "Sola Scriptura Concilium", che esclude o magistero. Se guardiamo il protestantesimo, lui negando la tradizione (che è lo spirito delle Sacre Scritture), sostengono che lo spirito della Sacra Scrittura, è immanente alla sua lettera e nonostante di difendere l'inerranza dei suoi testi, l'interpretazioni, ciò che i testi dicono , non corrisponde l'inerranza dei testi. Perché quando si chiude lo spirito nella lettera, se uccide lo spirito....

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  11. Apologetica che esclude il Magistero, ma si avvle dei testi conciliare è apologetica fine a sè stessa senza supporto dogmatico del Magistero.Quindi non vale nulla poichè autoreferenziale dei soli soggetti che la fanno.

    "io dico così perchè faccio apologetica analizzando secondo le mie interpretazioni;le interpretazioni precedenti, del magistero, non mi interessano poichè non più valide perchè quanto dico io che vivo il momento attuale, è più vivo e veritiero"

    Questa è la strutturazione del pensiero di Ratzinger applicata alle precedenti encicliche di papi che condannarono modernismo, comunismo, massoneria ecc...e lui stesso !

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