Ciò che dice Pio XII è sacrosanto, ma nel caso che un Pontefice vada pubblicamente contro la dottrina Cattolica, mantiene la sua autorità datagli da Dio? Subito sotto possiamo leggere le affermazioni non ortodosse di Benedetto XVI riguardo l'ecumenismo...
Ed ora chiediamoci: che cosa significa ristabilire l'unità di tutti i cristiani? Sappiamo tutti che esistono numerosi modelli di unità e voi sapete anche che la Chiesa cattolica si prefigge il raggiungimento della piena unità visibile dei discepoli di Gesù Cristo secondo la definizione che ne ha dato il Concilio Ecumenico Vaticano II in vari suoi documenti (cfr Lumen gentium, nn. 8;13; Unitatis redintegratio, nn. 2; 4 ecc.). Tale unità, secondo la nostra convinzione, sussiste, sì, nella Chiesa cattolica senza possibilità di essere perduta (cfr Unitatis redintegratio, n. 4); la Chiesa infatti non è scomparsa totalmente dal mondo. D'altra parte questa unità non significa quello che si potrebbe chiamare ecumenismo del ritorno: rinnegare cioè e rifiutare la propria storia di fede. Assolutamente no! Non significa uniformità in tutte le espressioni della teologia e della spiritualità, nelle forme liturgiche e nella disciplina. Unità nella molteplicità e molteplicità nell'unità...
Vediamo ora come la Madonna ci viene in soccorso rispetto al problema dell'autorità del Papa nel caso in cui proferisca delle autentiche concezioni teologiche eterodosse:
Il Papa, nel tempo di Santa Brigida, stava facendo molti e gravi peccati e questo frate confessore subiva pressioni da alcune persone che gli dicevano che per tali motivi il sedente non era più Papa.
Attanagliato forse dalla condizione palesemente grave di tale Sovrano, cominciano a sorgere in lui dei dubbi.
La Madonna prontamente fornisce a Santa Brigida la risposta CATTOLICA per liberare il frate da quel problema, oltre a dargli altri consigli e rasserenazioni su altre questioni sue personali.
Scrive Santa Brigida:
“Onore e grazie siano date all’Onnipotente Iddio ed alla Beata Vergine Maria, la sua degna Madre! Mi è sembrato, quale persona indegna qual sono, che mentre ero assorbita in preghiera, la Madre di Dio abbia detto a me, una peccatrice, le seguenti parole:
Dì al mio amico il frate, che tramite te mi ha rivolto le sue suppliche [...]
Digli anche, in nome mio, che egli dovrà rispondere a quelli che dicono che il papa non è vero papa… Egli deve rispondere a questi eretici in questa maniera: “Voi avete voltato le spalle a Dio, e per questo non lo vedete. Porgete a lui i vostri volti, e allora sarete in grado di vederlo”. Perché è la vera e Cattolica fede che un Papa che non fa pubblica defezione dalla Fede non è mai così malizioso che come risultato di questi peccati e delle sue altre opere cattive non ci sia sempre in lui la pienezza dell’autorità e il completo potere per legare e sciogliere le anime – non importa quanto sia macchiato con altri peccati. Egli possiede questa autorità attraverso il beato Pietro e l’ha acquisita da Dio. Prima di Papa Giovanni si sono susseguiti molti supremi Pontefici che ora sono all’inferno…” (Rivelazioni, libro 7, cap. 7).
Il Papa e i sacerdoti benché peccatori non perdono la facoltà di assolvere dai peccati
Volgi dunque il capo a Dio, e lo vedrai; non avendo il Papa commesso eresia, (quello del tempo di Santa Brigida) la vera fede è credere che, malgrado i numerosi peccati che ha commesso, egli abbia comunque la piena facoltà e autorità di unire e assolvere le anime, poiché tale potere gli è stato dato da San Pietro e affidato da Dio... Similmente affermo che, malgrado i loro peccati li rendano indegni davanti al Dio di gloria, i sacerdoti sono veri sacerdoti - e quindi consacrano, somministrano l'eucarestia e gli altri sacramenti ai fedeli e con le loro mani sull'altare innalzano e toccano realmente il corpo di Cristo - purché non siano eretici. ((Rivelazioni, libro 7)
Nella Bolla “Cum ex Apostolatus Officio” di S.S. Paolo IV si può leggere:
“Qualsiasi ufficio sarà vacante ipso facto [per il fatto stesso] per tacita rinuncia e senza che sia richiesta alcuna dichiarazione, … §4
per pubblica defezione dalla Fede Cattolica;…
(Ob tacitam renuntiationem ab ipso iure admissam quaelibet officia vacant ipso facto et sine ulla declaratione, si clericus: … 4. A fide catholica publice defecerit;…)” La lunghezza temporale è un castigo per i peccati commessi contro la Fede, che si ripercuote su tutti, ma che non implica affatto la decadenza del “non prevalaebunt”, che rimane il faro della Speranza per i cattolici. La Chiesa Cattolica rimane e rimarrà sempre laddove vi sia chi fa ciò che Essa intende. E, nonostante la crisi senza precedenti che stiamo vivendo, la Provvidenza divina ci fornisce esempi edificanti di questo, pur nella visibilità ridotta della Chiesa stessa.
A tal propos
ito, pur mantenedo una grande prudenza sull'aspetto dell'autorità Divinamente assisitita, l’ Arcivescovo Marcel Lefebvre ebbe a scrivere, il 29 giugno 1976, in occasione della “sospensione a divin
is” comminatagli da Paolo VI:
“La Chiesa Conciliare è una Chiesa scismatica, perché rompe con la Chiesa Cattolica quale è sempre stata. Essa ha i suoi nuovi dogmi, il suo nuovo sacerdozio, le sue nuove istituzioni, il suo nuovo culto, tutti già condannati dalla Chiesa in molti documenti, ufficiali e definitivi.
“Questa Chiesa Conciliare è scismatica, perché ha preso per base per il suo aggiornamento, principi opposti a quelli della Chiesa Cattolica, come la nuova concezione della Messa espressa ai numeri 5 della Prefazione al [decreto] Missale Romanum e 7 del suo primo capitolo, che attribuisce all’assemblea un ruolo sacerdotale che non può esercitare; come similmente il naturale — vale qui a dire divino — diritto di ogni persona e di ogni gruppo di persone alla libertà religiosa.
“Questo diritto alla libertà religiosa è blasfemo, perché attribuisce a Dio scopi che distruggono la Sua Maestà, la Sua Gloria, la Sua Regalità. Questo diritto implica libertà di coscienza, libertà di pensiero, e tutte le libertà massoniche.
“La Chiesa che afferma tali errori è al tempo stesso scismatica ed eretica. Questa Chiesa Conciliare è, pertanto, non cattolica. Nella misura in cui Papa, vescovi, preti e fedeli aderiscono a questa nuova Chiesa, essi si separano dalla Chiesa Cattolica.”
In definitiva si potrebbe asserire che se un Papa compie peccati, anche gravi, ma che non riguardino la fede nella sua genuinità - è dottrina pre-conciliabolo - mantiene l'autorità divinamente assistita, ma nel caso che un Papa si macchi di peccati contro la fede, quindi di eresia, egli perde la sua autorità.
Questo è un argomento complesso e molto delicato per tutta la Chiesa da almeno 50 anni; certo che leggendo le parole della Madonna a Santa Brigida e la dottrina di Paolo IV un brivido corre lungo tutta la schiena. Noi di questo Blog, nonostante le accuse, da parte di ignoranti, per adesso manteniamo una posizione prudenziale, seguendo l'esempio di quel grande Vescovo che è stato Monsignor Lefebvre:
"Come un successore di Pietro ha potuto, in così poco tempo, causare più danni alla Chiesa che la Rivoluzione dell' ' 89? (... ). Abbiamo veramente un papa oppure un intruso seduto sulla cattedra di Pietro? Beati coloro che sono vissuti e che sono morti senza doversi porre una simile questione!".
Tale è l'interrogativo che si pone mons. Lefebvre in Cor Unum, bollettino interno della Fraternità, l'8 novembre 1979. Si tratta del defunto papa Paolo VI - come già nell'estate calda del 1976 - ma si tratterà anche ben presto di Giovanni-Paolo II.
"Come può avvenire, date le promesse di Nostro Signore Gesù Cristo al suo Vicario, che questo medesimo Vicario possa nello stesso tempo, da sé o per mezzo di altri, corrompere la fede dei fedeli?".
Alcuni dicono: professa delle eresie, ha promulgato la libertà religiosa, ha firmato l'art. 7 del Novus Ordo Missae; ora una eretico non può essere papa, dunque non è papa, dunque non gli si deve l'obbedienza. Si tratta di una logica semplice e comoda che riposa su di una opinione teologica che degli autori seri hanno sostenuto in astratto. Ma, in concreto, si può affermare l'eresia formale di un papa? Chi avrà l'autorità per farlo? Chi farà al pontefice le monizioni necessarie per constatarlo? Inoltre questo ragionamento, in pratica, "mette la Chiesa in una situazione inestricabile. Chi ci dirà dov'è il futuro papa? Come potrà essere designato, dal momento che non vi sono più cardinali" poiché il papa non è papa? "Questo spirito è uno spirito scismatico". D'altra parte "la visibilità della Chiesa è troppo necessaria perché Dio possa ometterla per dei decenni".
Alla "logica teorica" di un Padre Guérard des Lauriers, mons, Lefebvre preferisce "una sapienza superiore: la logica della carità e della prudenza".
"Forse un giorno, fra trenta o quarant’anni, una sessione di cardinali riunita da un futuro papa studierà e giudicherà il pontificato di Paolo VI; forse dirà che vi sono elementi che avrebbero dovuto saltare agli occhi dei contemporanei, delle affermazioni di questo papa assolutamente contrarie alla Tradizione.
Preferisco, sino ad ora, considerare come papa colui che, per lo meno, è sul soglio di Pietro; e se un giorno si scoprisse in modo certo che questo papa non era papa, avrò tuttavia fatto il mio dovere.
Al di fuori dei casi in cui usa del suo carisma di infallibilità, il papa può errare. Perché dunque scandalizzarci e dire: "Allora non è più papa", come Ario si scandalizzava delle umiliazioni del Signore che durante la sua Passione diceva "Mio Dio perché mi hai abbandonato?" e ragionava: "Allora non è Dio!". Non sappiamo fino a dove un papa "trascinato da non so quale spirito o da quale formazione, sottomesso a quali pressioni o per negligenza" possa condurre la Chiesa a perdere la fede; ma "noi constatiamo i fatti. Preferisco partire da questo principio: dobbiamo difendere la nostra fede; su questo punto il nostro dovere è fuor di dubbio".
(Tratto da Marcel Lefebvre: una vita, di mons. Bernard Tissier de Mallerais, Clovis, Etampes, 2002, p. 532 s.)
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"Credo la Chiesa «Una»" - Riflessioni in merito al concetto di piena e non piena comunione...
Don Davide Pagliarani
È ormai nel vocabolario comune l’espressione di “comunità cristiane” in “non piena comunione” con la Chiesa e attraverso questo concetto vengono giustificate le innumerevoli iniziative ecumeniche a cui assistiamo. Ma esaminandolo alla luce della dottrina tradizionale, ci accorgiamo che esso è incompatibile con la natura stessa della Chiesa.
Tra gli elementi più significativi introdotti dall’ecclesiologia del Concilio Vaticano II vi è, com’è noto, una nozione “analogica” del concetto di comunione con la Chiesa; ci riferiamo a quella concezione che ammette la possibilità di unione con la Chiesa Cattolica a vari gradi o livelli: si avranno così una piena comunione e una non piena comunione, il che poi, se traiamo le più logiche conseguenze di questo principio, può essere declinato in mille modi: una comunione imperfetta, una comunione “ai margini”, una comunione crescente, una comunione virtualmente esistente, etc…
Questo elemento, lungi dal rivestire un interesse puramente accademico, è in realtà indispensabile per assicurare dinamismo al movimento ecumenico e soprattutto per dare un fondamento ecclesiologico alle convergenze(1) su cui esso si fonda e che intende stimolare: siamo persuasi che proprio in questo punto si trovi principalmente l’elemento dottrinale più necessario e funzionale a tale scopo. Infatti tutti gli elementi cristiani presenti nelle false chiese (la definizione è ovviamente incompatibile con la nuova ecclesiologia) vengono presentati come un richiamo all’unità di cui la Chiesa Cattolica avrebbe la pienezza. In questo senso essi sarebbero già operanti e in qualche modo si delineerebbero già positivamente come fondamento di una certa unità: la comunione è già presente anche se non è ancora piena; è la non piena comunione, ma comunque comunione.
Per fare un esempio, in questa prospettiva il sacramento del battesimo amministrato nelle chiese luterane o la fede in Cristo Salvatore, essendo materialmente elementi comuni con il Cattolicesimo, sarebbero già fondamento di una certa unità in nome della quale si può già pregare insieme o si possono organizzare incontri ecumenici.
Notiamo, per il momento, che in questo dinamismo non c’è spazio per la conversione, ma solo per una presunta convergenza comune che deve essere stimolata sempre più per ricostruire l’Unità originaria distrutta dal peccato di tutti.
Notiamo pure – con un pizzico di comprensibile ironia – che gli stessi “lefebvriani” sarebbero in questo stato di non piena comunione con la Chiesa, ma comunque in comunione.
In realtà per essere fedele alla Tradizione costante della Chiesa, un “lefebvriano” come ogni cattolico si vede costretto a rifiutare l’impiego di questa nozione. La comunione con la Chiesa Cattolica è per natura una realtà univoca e indeclinabile: o si è in comunione o non lo si è. O si appartiene alla Chiesa o non vi si appartiene. Nelle riflessioni che seguono cercheremo di illustrare perché.
Il nuovo orientamento ecclesiologico
Prima di entrare nel vivo delle nostre considerazioni, ci sembra opportuno spendere una ulteriore parola sull’attuale orientamento ecclesiologico circa questo punto cruciale.
Si tenga ben presente che l’analisi della teologia contemporanea del fenomeno delle divisioni tra cristiani si basa su criteri prettamente storicistici e naturalisti. Le separazioni sarebbero frutto di gelosie, di litigi, di capricci, di peccato, di cui tutti i cristiani si sarebbero macchiati nel corso dei secoli. Di conseguenza il movimento ecumenico vorrebbe ricomporre l’Unità proprio ripartendo da un’autentica purificazione
della memoria per cancellare le vestigia del peccato che ancora permangono. Di questo peccato si sarebbe macchiata in qualche modo anche la Chiesa Cattolica al pari degli altri: questo primo elemento ci fornisce già un’utile chiave di lettura per i clamorosi meaculpismi di cui siamo stati spettatori negli ultimi anni, in cui è l’istituzione ad essere stata coinvolta e colpevolizzata.
Diciamo subito che questo status quaestionis è inaccettabile e soprattutto presuppone una nozione di Unità che non è cattolica. Il peccato contro l’Unità è un peccato contro la Chiesa Cattolica ed è inammissibile che Questa sia, più o meno direttamente, trascinata sul banco degli imputati allorché non è altro che l’unica vittima di tutti gli scismi e di tutte le divisioni tra cristiani che la Storia ha conosciuto. Il vero peccato di cui bisogna purificarsi per rientrare nell’Unità si chiama “scisma” e per definizione si tratta di un peccato che non può essere stato compiuto dalla Chiesa(2) né da chi resta membro della Chiesa, poiché nel momento in cui è commesso vi è separazione dalla Chiesa stessa. È il peccato di separazione dei “fratelli separati” e, necessariamente, non può essere che loro (3).
Non dimentichiamo che il movimento ecumenico nasce e si sviluppa in ambiente protestante, ben prima del Concilio; averne accettato le regole del gioco, proprio a partire dal Concilio, presuppone un inammissibile disprezzo per la Chiesa del passato, considerata in qualche modo colpevole, e per l’opera generosa di schiere di Papi e di Santi che si sono prodigati per richiamare all’unico ovile i “fratelli separati”, attraverso la riconversione al Cattolicesimo.