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martedì 13 marzo 2012

GIUDIZIO SULLA SETTA ERETICA NEOCATECUMENALE...di Mons. P. C. Landucci.

Esposizione e giudizio di Mons. P. C. Landucci*

*Teologo e pubblicista. E' stato consultore per la Congregazione dei seminari e socio ordinario della Pontificia Accademia Teologica Romana. E' in corso una causa di canonizzazione per innalzarlo agli onori degli altari. 

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IL MOVIMENTO NEOCATECUMENALE...
L’opinione approssimata che, per sentito dire, avevo di questo movimento era parzialmente favorevole, ritenendo che si trattasse di gruppi beneficamente attivi e volenterosi, anche se un po' troppo autonomi e un po' fissati su alcune loro originalità liturgiche.

Ma l'accurata analisi che ho potuto ora compiere mi ha purtroppo svelato unquadro ben diverso e gravissimo. Ho potuto studiare attentamente il volume di quasi 400 pagine che contiene gli "orientamenti" per i catechisti del movimento, tratti "dai nastri degli incontri avuti da Kiko e Carmen per orientare i catechisti di Madrid nel febbraio 1972". Storia, finalità, dottrina e prassi sono qui condensati nel modo più autentico. Tutte le citazioni tra virgolette le ho riportate accuratamente da qui, pur non indicando il numero di pagina, trattandosi di affermazioni spesso ripetute e non essendo il libro (dattiloscritto e ciclostilato) normalmente reperibile.

Si tratta infatti di un testo riservato ai catechisti, i quali non lo cedono a nessun altro. Io ho potuto averlo e fotocopiarlo solo con uno stratagemma. Va quindi subito notata questa qualità negativa del movimento: il segreto, l’esoterismo. Ripetutamente è scritto: "Non dite nulla di tutte queste cose". "Ciò che dirò non è perché lo diciate alla gente, ma perché voi l'abbiate come fondo, come base".

Ma sono proprio questo "fondo", questa "base" che risultano inammissibili. Quindi e i neo-catechizzandi e i superiori ecclesiastici (verso i quali i catecumenali ostentano tanto ossequio) non essendo illuminati su tale "fondo" sono ingannati. E si tratta, come mostrerò, di gravi deviazioni dottrinali e pratiche.

Nel quadro dolorosamente statico di certe parrocchie i gruppi catecumenali, con le loro attività settimanali (riunioni bibliche, preparate da alcuni membri, a turno, e lunga riunione eucaristica), con gli scambi di esperienze e l'accentuazione comunitaria delle riunioni di "convivenza" mensili, con il programmatico allenamento alla sopportazione del prossimo e al distacco dai beni, con la confessata prospettiva di essere solo in "cammino" di "conversione" da proseguire nel "pre-Catecumenato" e nel "Catecumenato" (cammino di sette anni), tali gruppi, dico, danno la buona impressione di impegno e fervore.

Ma, in realtà, è fervore o fanatismo? È frutto di grazia o di plagio? Kiko mette le mani avanti: "Non si tratta - dice - di plagiare nessuno", in quanto non viene compiuto alcun "lavaggio del cervello attraverso ragionamenti". Ma tale "lavaggio" e il "plagio" derivano invece proprio dalla mancanza di chiari ragionamenti e dal fuoco di fila di affermazioni drastiche, suggestionanti, di tono carismatico.

A parte le ovvie differenze di contenuto, è con tali analoghi mezzi suggestivi e con la radicale imposizione di una forte autorità di guida che si è avuto in America il plagio di masse, aggiogate ad avveniristici movimenti pseudoreligiosi e sociali, fino all'ultimo di Jim Jones (il "Tempio del popolo"), finito con il tragico eccidio della Guyana del 18 novembre 1978. Sono, senza dubbio, situazioni disparatissime. Ma il metodo suggestivo è quello.

Ecco Kiko: "Il cristianesimo tradizionale, come battezzati... prima Comunione... Messa domenicale... non ammazzare, non rubare... non aveva niente di cristianesimo, era uno schifo... eravamo precristiani... senza aver ricevuto uno Spirito nuovo avuto dal cielo... Ora Dio ci ha convocati per iniziare un Catecumenato, verso la rinascita"; "anche se pochi stiamo segnando una pietra miliare... facendo presente che il regno di Dio è arrivato sulla terra"; per il "rinnovamento del Concilio" ci voleva la "scoperta" del "Catecumenato"; "Abramo è la figura del Catecumenato"; "vi parlo in nome della Chiesa, in nome dei Vescovi... i catechisti catecumenali hanno un carisma confermato dai Vescovi"; "sono Giovanni Battista in mezzo a voi: "Convertitevi, perché il regno di Dio è molto vicino a voi"; "io sto dando la vita a voi, attraverso la parola di Dio depositata in me... la spiegazione della parola la dò io"; "come Mosè nel deserto siamo il vostro aiuto"; "che Gesù è risuscitato è testimoniato dagli Apostoli: ed io pure lo testimonio... garantendolo con la mia vita"; "come Abramo camminò... voi dovete camminare, secondo la parola che vi abbiamo promesso"; "noi vi consegneremo lo Spirito Santo"; "sarete convocati in assemblea dallo Spirito Santo..., vi parlerà Dio"; "tutti voi siete stati segnalati a dito da Dio"; "nessuna comunità fondata da noi è fallita ...: vi assicuro che qui c'è Dio" .

La carica suggestiva e fanatica è continuamente rafforzata dalla radicalità ed esagerazione delle affermazioni e dai richiami integralisti ed acritici alla Bibbia.

Per esempio, la "partecipazione" (soprannaturale) della natura divina è affermata come un divenire "Dio stesso", un "avere la natura divina"; il "risorgere con Cristo" vien fatto corrispondere ad avere "lo stesso sangue redentore di Gesù Cristo", divenire anche noi "Spirito vivificante", con il compito di ripetere e "manifestare ad ogni generazione ciò che è avvenuto una volta sul Calvario, lasciandoci uccidere"; l'influsso deleterio del peccato personale nella comunità è affermato come un "distruggere la comunità, la chiesa"; quando nel pre-Catecumenato "si dirà di vendere i beni, si dovranno vendere tutti... non potendo altrimenti entrare nel Regno e neanche nel Catecumenato"; il nostro cristianesimo, prima della nostra conversione catecumenale, fa "schifo", ecc. Tutto ciò, anziché allontanare, accentua il plagio e il fanatismo di chi si è lasciato prendere, tanto più nella prospettiva del promesso lungo (sette anni) cammino formativo.

Ma ben più gravi appaiono le deficienze e la dannosità di questo movimento se da queste modalità si passa ai contenuti. Non c'è alcuna posizione dottrinale o pratica cattolica che non sia gravemente deformata. Il tutto presentato con impressionante grossolanità e confusione teologica e biblica, congiunte all'ostentato atteggiamento di acuta riscoperta e di suggestionanti prospettive di personale, elitario impegno e sacrificio.


La "riscoperta" dei primitivi e autentici valori cristiani viene presentata su un piano fideistico, carismatico, di fede "esistenzialmente" vissuta. Cordiale disprezzo delle assunzioni "filosofiche" della Chiesa e di quello che viene chiamato il "giuridicismo" della speculazione "teologica", organizzata nei vari trattati: "Avevano messo in scatola lo Spirito Santo, lo avevano imbottigliato e messo in trattati che potevamo dominare, in cui avevamo tutti i più puri gioielli della conoscenza di Dio: de Deo uno et trino, de Deo creante, ecc. e senza rendercene conto avevamo impoverito la visione di Dio". Particolarmente deprecabile "l’immobilismo quasi totale determinato dal Concilio di Trento", che sarebbe stato finalmente superato dal "Vaticano II".

Similmente tutta la struttura, prassi, liturgia ecclesiastica sarebbero caduti, dopo la pace di Costantino e l'irruzione nella Chiesa delle grandi masse, in un "giuridicismo", di puri riti e impetrazioni di favori celesti, comuni ad ogni povera "religiosità naturale" perdendo la autentica vitalità di fede della "Chiesa primitiva", che finalmente, dopo il Vaticano II, viene ora "riscoperta" e ricuperata, proprio mediante il movimento catecumenale.

Il fatto che oggi "le nazioni escono dalla Chiesa" costituirebbe, a tale riguardo, un vantaggio, neutralizzando l'effetto di quella irruzione delle masse e riportandoci all'epoca precostantiniana. "Così il cristianesimo potrà brillare con tutta la sua purezza e freschezza. Così potremo riaccostarci alla Chiesa primitiva".

Un crocione su secoli e secoli di vita della Chiesa, con presuntuosa noncuranza, se non altro, di tanti santi che li hanno costellati.

Si tratta dunque di un movimento non di massa, ma di élite. Esso però intende tutt'altro che restare chiuso in se stesso. Dicono bensì: "Noi non conquistiamo nessuno, non predichiamo un cristianesimo proselitista". Ma, di fatto, premono per moltiplicare nelle parrocchie i loro gruppi (che non devono superare alcune decine di membri). Intendono anche costituire l'unico vero modo per la "salvezza del mondo".

Qui tocchiamo una prospettiva fondamentale del movimento, strettamente collegata a una nebulosa e inammissibile nozione di "salvezza", continuamente e confusamente ripetuta.

La salvezza consisterebbe nell’annuncio e nella accettazione, per fede, della "buona notizia", cioè dell’"evento" salvifico che è la risurrezione di Gesù, quale definitiva "vittoria sulla morte" e segno quindi dell'avvenuto, amoroso, "perdono" di Dio. I catecumenali comunicano tale "buona notizia" e manifestano tale "segno" con l'accettazione dell’"evento" e il suo rinnovamento personale della "vittoria sulla morte". Questa avverrà, come fu per Gesù, "passando attraverso la morte", cioè "facendoci uccidere" per "amore" paziente degli altri, rispondendo con la "non violenza" alla loro opposizione, "finendo sulla croce dei difetti altrui che ci distruggono".

Con tale testimonianza salvano il mondo: "I Catecumeni sono custodi della Parola che è lo sperma dello Spirito, sono la presenza di Dio nel mondo, sono la Chiesa: una comunità di fratelli. Questo è un mistero impressionante: un gruppo di uomini sono deificati e formano il Corpo di Gesù Cristo risorto, il Figlio di Dio. Se questo si dà in un luogo, lì si dà la vittoria sulla morte. Questo è un annuncio costante della Buona Notizia che ormai la Vita Eterna è arrivata, che il Regno di Dio è vicino. E questo salva il mondo".

Siamo davanti ad affermazioni roboanti che, pur con qualche addentellato di verità, sono solo atte a suggestionare e plagiare, oltre che a nascondere la reale loro gratuità e incoerenza. Appare subito evidente che tra il Calvario di Gesù e quello che a noi può procurare il prossimo c'è una bella differenza; che Gesù non ha vinto la morte solo col sopportarla, ma fisicamente risorgendo; e che l'edificante solidarietà e altruismo di un gruppo, oltre che potere influire solo su una ristretta cerchia, non sono certo sufficienti per la universale diffusione della fede e della salvezza.

Ma, a parte ciò, il gravissimo equivoco riguarda la nozione fondamentale di salvezza. È vero che, nel quadro di tanta confusione teologica, si registrano anche, al riguardo, alcune affermazioni corrette. Ma esse sono contraddette da altre innumerevoli, che riducono quelle pochissime esatte a vani rattoppi e artificiosi alibi, difensivi contro il timore di condannare. Inutilmente, per esempio, si afferma, incidentalmente, che bisogna anche "dare i segni della fede. Noi non siamo protestanti. La fede senza le opere è morta".

Prima di tutto le opere non sono richieste solo come segno, ma come doverosa conformità alla legge morale, secondo il divino volere. Poi e soprattutto tale affermazione è dissolta dalle innumerevoli ripetizioni della concezione nettamente luterana al riguardo. Nessuno sforzo ascetico, con il sostegno della grazia; la salvezza solo mediante la fede: "L'uomo, separatosi da Dio, è rimasto radicalmente impotente a fare il bene, schiavo del maligno"; "L’uomo non si salva per mezzo di pratiche"; "per un cristiano alla S. Luigi - col suo: prima morire che peccare - è fondamentale essere in grazia di Dio, non perdere questa grazia, perseverare.

La grazia è un qualcosa che non si sa bene cosa sia, che si ha dentro, con cui bisogna morire... Ma poi ho capito che vivere in grazia è vivere nella gratuità di Dio che ti sta perdonando con il suo amore"; "Dio perdona i nostri peccati e il suo Spirito Santo ci fa santi figli di Dio. E questo gratuitamente a chiunque crede che Gesù è l'inviato del Padre come suo Salvatore"; "il cristianesimo non è un appello alla coscienza e all'onestà... ma l'invito ad accogliere l'annuncio del perdono gratuito di tutti i nostri peccati"; "il cristianesimo non è un moralismo.

"Gesù Cristo non è affatto un ideale, un modello di vita, non è venuto a darci l'esempio"; "i sacramenti non costituiscono un aiuto a tal fine"; "lo Spirito vivificante è ben lontano dallo spingere al perfezionismo, alle buone opere, alla fedeltà al Cristo morto"; "il cristianesimo non esige nulla da nessuno, regala tutto"; "al più peccatore, al più vizioso si regala una vita eterna". "Dio è amore al nemico ... ; se abbiamo fatto cose orribili, Dio ci ama, ci perdona... non si esige da te nulla"; la Parola di salvezza non chiede come la legge "uno sforzo in più, uno sforzo intimo, che ce la si metta tutta".

Ancor più grave e al di là della stessa concezione luterana è la negazione di ogni colleganza ontologica, soprannaturale, meritoria tra la salvezza e la immolazione di Gesù. Crolla la nozione fondamentale di redenzione, di riscatto: un cardine della fede. Con la risurrezione, dopo la morte, Gesù avrebbe solo notificato agli uomini che l'hanno ucciso la sua volontà di perdono. Con crassa ignoranza si osa affermare che "con il rinnovamento teologico del Concilio non si è parlato più di dogma della Redenzione, ma di mistero di Pasqua di Gesù", come se questa contraddicesse a quella. E con insistenza, sottolineata perfino da grossolana ironia: "Le idee sacrificali sono entrato nell'Eucaristia per condiscendenza suggerita dal momento storico alla mentalità pagana"; "al posto del Dio giustiziere delle religioni che appena ti muovi ti dà una bastonata in testa, scopriamo il Dio di Gesù Cristo"; "forse che Dio ha bisogno del sangue del suo Figlio per placarsi? Ma che razza di Dio abbiamo fatto? Siamo arrivati a pensare che Dio placava la sua ira nel sacrificio di suo Figlio alla maniera degli dei pagani".

Come ho detto, tutte le verità teologiche fondamentali sono deformate gravemente; e naturalmente anche i sacramenti. Mi limiterò a qualche rilievo su questi, in particolare sulla Confessione e l'Eucaristia.

L’atteggiamento di fondo, in sé lodevolissimo, di voler fare sul serio è continuamente avvelenato dall'incomprensione e dal superficiale e presuntuoso disprezzo per tutto ciò che si è insegnato e fatto finora. Ecco come è trattata, per esempio, dalla Carmen, la classica e profonda distinzione tra attrizione e contrizione: "Si cominciò a dar valore alla contrizione. Fa quasi ridere pensare che è necessaria la sola attrizione se ti vai a confessare e la contrizione se non ti confessi". Ignoranza che irride!

Per la confessione non manca l'affermazione, di facciata, di obbedienza ecclesiale: "Manteniamo la confessione individuale perché si deve conservare e inoltre perché ha il suo valore". Probabilmente ci sarà stato anche al riguardo qualche esplicito richiamo della autorità. Ma è una prassi evidentemente sopportata. Ed è in antitesi comunque a tutto il contestuale insegnamento. La nozione di peccato come violazione della legge morale e ribellione alla volontà divina è rifiutata, essendo "concezione legalistica del peccato, come mancanza a una serie di precetti".

Si irride al presunto automatismo delle assegnate "espiazioni" (penitenze) per il "perdono", dimenticando il loro giusto aspetto di riparazione (che esige, certo, l'antecedente pentimento, assolutamente essenziale). Svalutato il pentimento: "La conversione non è pentirsi del passato, ma mettersi in cammino verso il futuro": come se la conversione possa guardare al nuovo futuro senza riprovare il passato (e avere dolore per l'offesa di Dio, mai nominata in questa catechesi). La conversione senza pentimento del passato si ricollega alla già vista affermazione del "gratuito" perdono di Dio, senza "sforzo" personale, col solo obbligo di riconoscersi peccatori e accettare tale perdono. Anche se nelle riunioni penitenziali sono ammesse le confessioni particolari con il rapido ascolto e le assoluzioni dei presbiteri, tali assoluzioni sono, in sé, ripetutamente svalutate e anzi criticate, unitamente al Tridentino che le ha prescritte, perché darebbero alla confessione un carattere "magico" (completa incomprensione dell'ex opere operato dei sacramenti). In base a pochi, unilaterali autori, pedissequamente seguiti, si espone una specie di storia della confessione, senza alcun riferimento alla precisa narrazione evangelica della sua istituzione.

Scartata la maturazione teologica sancita dal Tridentino, la norma sarebbe data dalla confusamente supposta prassi della Chiesa primitiva. Eccoci a una riunione penitenziale: "Quanto vi abbiamo annunciato dell'amore di Dio e del perdono dei peccati, ora si realizzerà, perché Dio ci dà il potere non solo di annunciare il perdono, ma di comunicarlo attraverso un segno", "nella Chiesa primitiva il perdono non era dato con l'assoluzione, ma con la riconciliazione con tutta la comunità, mediante il segno della riammissione all'assemblea, in un atto liturgico", "il valore del rito non sta nella assoluzione, visto che in Gesù Cristo siamo già perdonati". "è la comunità ecclesiale, lì presente, segno di Gesù Cristo per gli uomini, che perdona concretamente". Siamo in linea con la negazione protestante del vero sacramento.

Tutto ciò senza che sia stata compresa minimamente la vera natura de sacramento cattolico, come risulta da questa grottesca esposizione che ne viene fatta: "Così abbiamo vissuto noi la confessione, ed ecco perché questa pratica oggi è in crisi. Il perdono passa in secondo piano, rimanendo essenziale il semplice confessare i peccati e ricevere l'assoluzione. La confessione si trasforma in qualcosa di magico. Si ha una visione leglista del peccato, per la quale non importa tanto l'atteggiamento interiore quanto il confessare esternamente e dettagliatamente tutti i peccati di ogni tipo. Visione individualista, completamente privata, in cui la Chiesa non compare da nessuna parte ed è un uomo che ti perdona i peccati". Incomprensione completa della confessione tridentina.

Impressionante saggio della grossolanità teologica del movimento. In questo sacramento, tanto è primario il perdono che se ne cerca la sicurezza nell'assoluzione; è tanto poco magica (ricorso a falsi poteri) che dipende dal divino potere di Gesù; tanto poco incurante dei valori interiori che il pentimento interno ne condiziona la validità; tanto poco dipendente da un semplice uomo che questi opera in persona Christi e per mandato della Chiesa. Anche Lutero fece lo stesso per attaccare le verità cattoliche: deformandole.

Quando ebbi le prime notizie sulle riunioni eucaristiche catecumenali pensai che quelle originalità rituali costituissero soltanto delle libertà liturgiche, in parte tollerabili e in parte correggibili. Non avrei mai immaginato che esse avessero invece un retroterra così gravemente eterodosso. Ora capisco anche perché tanta resistenza a richiami autorevoli per conformare i riti alle prescritte norme liturgiche. Tali atteggiamenti di autonomia e difformità, rispetto alle comuni norme e prassi, sono connessi, dottrinalmente e psicologicamente a opposizioni di fondo.

Si pretende addirittura di "scoprire" la vera Eucaristia, giacché avevamo "frainteso e impoverito tutto".

L’Eucaristia non sarebbe che "il memoriale della Pasqua di Gesù, cioè del suo passaggio dalla morte alla vita, dal mondo al Padre, nel quale esultante evento noi esperimentiamo la risurrezione dalla morte", cioè il "nostro proclamato perdono e la nostra salvezza", essendo "il carro di fuoco che viene a trasportarci verso la gloria".

L'essenza della Messa, come sacrificio, è nettamente negata, a modo luterano: "Le idee sacrificali sono entrate nell'Eucaristia per condiscendenza alla mentalità pagana"; "la massa di gente pagana (che irruppe dopo Costantino) vide la liturgia cristiana con i suoi occhi religiosi, volti all'idea del sacrificio"; "nell'edificio che Dio costruisce, le idee sacrificali che aveva avuto Israele, e che erano state superate dallo stesso Israele nella liturgia pasquale, erano le impalcature: adesso che l'edificio è stato costruito si è tornati a tali impalcature, cioè alle idee sacrificali e sacerdotali del paganesimo"; "le discussioni medievali sul sacrificio riguardavano cose non esistenti nell'Eucaristia primitiva, non essendovi in essa alcun sacrificio cruento, ossia qualcuno che si sacrifica, Cristo, il sacrificio della croce, il Calvario, ma solo un sacrificio di lode, per comunicazione alla Pasqua del Signore, ossia al suo passaggio dalla morte (spezzamento del pane) alla risurrezione (calice)". Con queste ultime affermazioni, mentre giustamente è escluso dall'altare il sacrificio cruento, è escluso anche il sacrificio incruento, di Gesù sacramentalmente presente, e quindi è esclusa l'attualità sacrificale della Messa.

Questa esclusione, d'altra parte, è pienamente coerente con la esclusione già vista della immolazione cruenta e salvifica di Gesù per la nostra proclamata salvezza. Esclusi i redentivi meriti del Calvario non avrebbe senso per i catecumenali la loro applicazione mediante il mistico Calvario dell'altare. Ed è anche penosamente coerente la loro ostilità alle molte ripetizioni delle Messe, essendo ignorato (Lutero) il frutto impetratorio.

Netta opposizione pure a tutta la parte offertoriale. Se è Dio che fa tutto, che dà il grande annuncio di salvezza, che "passa come carro di fuoco e trascina tutta la umanità", a che pro le offerte? "Offrire le cose a Dio per renderlo propizio: come siamo lontani dalla Pasqua!"; "è l'idea pagana di portare offerte per placare Dio"; "si è giunti fino alla enormità di dire: con l'ostia pura, santa e immacolata ti offri tu, il tuo lavoro e il giorno che comincia!"; "nell'Eucaristia non offri nulla: è Dio assolutamente presente che dà la cosa più grande, la vittoria di Gesù Cristo sulla morte"; "processioni, basiliche grandiose... offertori... riempiono la liturgia di idee legate a una mentalità pagana". Sono affermazioni tutte penosamente coerenti alla negazione che Gesù sacramentalmente si immoli e si offra: ogni altra offerta non è concepibile che in unione alla sua.

Sono eliminati così ogni movimento ascensionale a Dio e ogni intimo colloquio con Gesù sacramentato, come se questo non fosse che abbassamento "statico" della Eucaristia, la quale non dovrebbe essere che "esultazione" per la "discesa" del divino intervento e anzi la proclamazione della vittoria già ottenuta: "Abbiamo trasformato l'Eucaristia che era un canto al Cristo risorto nel divino prigioniero del Tabernacolo; abbiamo parlato, come nelle ‘prime Comunioni’, di ‘un bambin Gesù’ che ci mettiamo nel petto quando vogliamo... invece la Eucaristia è tutto il contrario... è Dio che passa e trascina l'umanità".


Qui già si delinea un oscuramento della fondamentale verità della presenza reale, ammessa la quale dovrebbe apparire invece la preziosità e del Tabernacolo e della presenza in chi si è comunicato e dell'intimo colloquio. Ma ben più grave e diretto tale oscuramento apparisce da altre affermazioni; oscuramento che si riflette ovviamente e sul fatto della consacrazione e sulla natura e il valore dei poteri sacerdotali: "Il sacramento è il pane, il vino e l'assemblea: è dall'assemblea che sgorga l'Eucaristia" (parole adeguate per un rito puramente commemorativo, non certo per il sacramento eucaristico e l'esercizio dei poteri sacerdotali). E, con presuntuosa ostentazione di superiorità su tutta la teologia e la prassi cattolica, spinta fino all'ironia: "La Chiesa Cattolica divenne ossessionata riguardo alla presenza reale, tanto che, per essa, è tutto presenza reale" (falso: non la ritiene tutto, ma fondamento di tutto); le "discussioni teologiche sull'ossessivo fatto se Cristo è presente nel pane e nel vino, fanno ridere"; "in un certo momento fu necessario insistere contro i protestanti sulla presenza reale... ma ora non è più necessario e non bisogna insistervi più (con l'attuale disordine teologico e liturgico è invece più necessario di prima)"; "inutili tentativi filosofici di spiegare come è presente, con gli occhi o senza, fisicamente, ecc. o con la transfinalizzazione olandese... si è preteso con la transustanziazione di spiegare il mistero" (non "spiegarlo" ma precisarlo essenzialmente, determinarlo, come hanno fatto, nel modo più impegnativo, il tridentino e tutto il Magistero successivo, disprezzati dai catecumenali: la noncuranza circa la presenza "fisica" a pari come per l'antitetica transfinalizzazione olandese, svela, per lo meno, l'incomprensione della vera presenza).

Escluso ogni aspetto di sacrificio e tutto ridotto a "banchetto" di esultanza (concezione, questa sì ossessiva, dei catecumenali, spinta fino a ricevere la Comunione a sedere e a considerare "inconcepibile il non comunicarsi di qualcuno, perché alla cena pasquale si va proprio per mangiare"), "tutti i valori di adorazione e contemplazione alieni dalla celebrazione del banchetto vanno eliminati"; "il pane e il vino non sono fatti per essere esposti, perché vanno a male (!); la preoccupazione per i ‘frammenti’, caratteristica di chi crede nella presenza reale, è ridicolizzata: ‘Non è questione di briciole, ma di sacramento di assemblea’"; "Tabernacolo, Corpus Christi, esposizioni solenni, processioni, adorazioni, genuflessioni, elevazione, visite al santissimo, tutte le devozioni eucaristiche, andare a Messa per far la Comunione e portare Gesù nel cuore, ringraziamento dopo la Comunione, Messe private... minimizzano l'Eucaristia... sono molto lontani dal senso della Pasqua".

Altre continue affermazioni cercano di svalutare il problema della presenza, che è invece il fondamento di tutto il resto: "La cosa importante non sta nella presenza di Gesù Cristo nella Eucaristia... ma nel fine, nella Eucaristia qual mistero di Pasqua". E si moltiplicano affermazioni evanescenti: "Come Dio era presente nella Pasqua, cioè nella liberazione dall'Egitto, così Gesù è presente con il suo spirito, risuscitato da morte" (presenza di azione, non di persona?); "invece di porre il problema della presenza di Cristo nella Eucaristia, si pensi che Cristo è una realtà vivente che fa Pasqua e trascina la Chiesa"; "la presenza di Cristo è un'altra cosa. È il carro di fuoco che viene, a trasportarci verso la gloria, a farci passare dalla morte alla risurrezione".

Purtroppo questa stessa evanescenza, proprio su punti che esigerebbero la massima determinazione, comparisce anche a riguardo della risurrezione di Gesù: "Il memoriale che egli lascia è il suo spirito risuscitato da morte"; "come hanno visto gli apostoli Cristo risorto. Come un fantasma? No, l'hanno visto in loro stessi... costituito Spirito vivificante". Questa ultima espressione è spesso ripetuta. Certo Gesù ha mandato il suo Spirito. Ma la risurrezione riguarda il corpo reale di Cristo.
È una evanescenza consona alla grande confusione teologica e scritturale e alla superficialità, congiunte alla presunzione di acutezza e di approfondimento critico, senza dire della presunzione carismatica. Come ho già detto, non c'è verità teologica o biblica che non sia deformata, anche perché questi catechizzatori laici, mancando di qualsiasi solida formazione teologica e biblica di base, dipendono da pochi testi, scelti tra i meno sicuri e più avventati (per esempio, la rivista Concilium). Questa evanescenza e confusione si inquadrano poi nella fondamentale dottrina catecumenale, vista all'inizio, dell'annuncio pasquale di salvezza, nebulosamente presentato, senza alcuna precisazione, e inconsistente quanto al dogma della redenzione.                                              

Il metodo semplicistico e astuto di questi impreparati e improvvisati maestri per scavalcare ogni seria indagine e discussione teologica è di svalutarla in partenza e sostituirla con categoriche affermazioni. E il metodo per evitare condanne e fratture con i superiori sono la raccomandazione del segreto, la nebulosità di certe espressioni (cortine fumogene) e le affermazioni di ossequio al Magistero inserite qua e là, che hanno tutta l'aria di polvere negli occhi, essendo continuamente contraddette dal contesto.

Ci troviamo, in conclusione, davanti a un penoso e dannosissimo lavaggio del cervello, di tipo fanatizzante, sul piano dottrinale, pratico, liturgico, su gruppi di fedeli, animati, in fondo, da ottime intenzioni, ma illusi e deviati dalla giusta via della sicura ascetica, dell'esempio dei santi, e della ortodossia. Questi gruppi suscitano ammirazione, nei confronti con certi ambienti tanto grigi e apatici, perché si presentano volenterosi e impegnati. Sono mossi effettivamente dalla brama dell'autentico, del diverso, del più, rispetto a tanto grigiore. Ma questo "diverso" purtroppo è inteso come ripulsa della maturazione dottrinale e pratica della Chiesa da Costantino in poi, ritorno ossessivo alla Chiesa primitiva (inesattamente interpretata), avversione alle "strutture" ecclesiali, autonomia laica rispetto al clero e alla Gerarchia (nelle riunioni la presidenza data al parroco è fittizia: la guida effettiva è dei catechisti, anche nelle riunioni bibliche).

Le interpretazioni integriste e acritiche della Scrittura, come il vendere tutto, l'assoluta passività non violenta, la prospettiva stessa di morire per gli altri, danno l'impressione di grande e ammirevole fervore. Ma, se questo può essere equilibrato e reale in alcuni soggetti, in complesso riflette un falsificante processo di fanatizzazione e una ingannevole costruzione sulla sabbia, con il grande danno complessivo dello sbandamento dottrinale e disciplinare. Anche Valdo (salve le proporzioni) si lanciò e lanciò i suoi laici catechisti, partendo dal totale "vendi ciò che hai", suscitando fervorosi seguaci e finendo nella ribellione ed eresia.

Sleale è il frequente appello che fanno al Vaticano II, come rotto con la Tradizione e in particolare col Tridentino, il che è assolutamente falso. È la falsità diffusa anche oggi da tutti i modernisti. I Catecumenali osano addirittura affiancarsi al Vaticano II, come se la sua linea si identificasse con quella catecumenale e soltanto con quella.

Ecco un saggio di questa sleale identificazione e delle clamorose prospettive fanatizzanti: "Vi assicuro che il rinnovamento del Concilio Vaticano II secondo l'itinerario catecumenale, porterà la Chiesa a una gloria indescrivibile e riempirà di stupore e ammirazione gli orientali e i protestanti, essendo il Concilio ecumenico".

Può servire da sintesi conclusiva.

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  PICCOLA BIOGRAFIA DI MONSIGNOR LANDUCCI...

Suo padre, avvocato Tito, era pretore. Sua madre una distinta signora. Entrambi di origine toscana. Il loro figlio, Pier Carlo, nacque a S. Vittoria in Matenano (Ascoli Piceno), dove il padre esercitava la sua “magistratura”, il 1° dicembre 1900, e fu portato al battesimo, con il nome di Pier Carlo, il giorno di Natale successivo. Quel giorno, mentre ricordava la nascita del Signore, la Chiesa accoglieva nel suo grembo uno dei figli che più l’avrebbero amata, servita e difesa. A cinque anni, Pier Carlo Landucci, rimane orfano del padre e, con la mamma, Teresa Naldini e un fratellino più piccolo, si stabiliscono a Firenze. La fede lo sostiene e ne fa un giovane di singolare dedizione a Gesù, purezza di vita e coraggio

L'ingegnere diventa prete

È un piccolo genio: vivace, rigoroso, intelligentissimo e studioso. A soli 17 anni, già consegue la licenza liceale al “Galilei” di Firenze e con una media altissima e inizia a frequentare Ingegneria civile all’Università di Pisa, poi, dal 1919, stabilitosi a Roma, alla “Sapienza” dove si laurea il 31 luglio 1923. Per provvedere alle sue necessità, ha già cominciato ad insegnare matematica al Ginnasio-liceo S.Appolinare. Ha un ottimo direttore spirituale nel gesuita P. Garagnani, grazie al quale perfeziona la sua formazione cristiana, con un intenso amore a Gesù Eucaristico, alla Madonna e al Papa, iscrivendosi alla “Congregazione Mariana” della “Scaletta” presso S. Ignazio. Si avvia ormai a incentrare la vita in Gesù solo.

Nel 1923, presta servizio militare come ufficiale nell’Arma del Genio, ma l’anno successivo è già docente di matematica alla Scuola Agraria di Cagliari. Presto rimane privo anche della mamma amatissima. Sempre più conquistato da Gesù, matura la vocazione al sacerdozio, cercando nella preghiera prolungata, di averne la certezza. Il 26 luglio 1926, il brillante ingegnere e professore lascia tutto e entra nel Seminario Romano, dove compie studi teologici seri e austeri e alimenta un’intensa intimità con Dio, sostenuto dall’affidamento continuo di sé e delle sue opere alla Madonna. Il 25 maggio 1929, è ordinato sacerdote. Seguono la licenza (22 novembre 1929), poi la laurea in teologia (8 luglio 1930).

Nominato nel 1930, rettore della chiesa del “Corpus Domini”, dove c’è l’adorazione eucaristica quotidiana, e nel medesimo tempo, “minutante” alla Congregazione dei Seminari, don Pier Carlo si distingue per il suo straordinario amore all’Eucarestia e per le luminose capacità di confessore e di direttore spirituale: molte persone si affidano alla sua guida. Assai apprezzato dalle Autorità della Chiesa, nel 1935, è nominato Rettore del Pontificio Seminario Romano minore (Ginnasio-liceo), trovandosi a dirigere circa 250 persone tra allievi, professori e assistenti. L’anno dopo, è chiamato al Seminario Romano maggiore come direttore spirituale. Il Cardinal Vicario Marchetti Selvaggiani, presentandolo agli allievi del “Maggiore”, dichiara apertamente: “Vi porto il più dotto e il più santo dei sacerdoti che ho a Roma”. Ha soltanto 36 anni. 

La disponibilità totale, la preparazione e l’impegno, la dottrina rigorosa e densa, l’umiltà e l’amabilità, la luce che diffonde nelle anime, lo rendono singolarmente autorevole, ascoltato, amato e ricercato come maestro e padre. Tra i suoi allievi, diversi salirono ai vertici della chiesa (come il futuro Card. Pietro Palazzini), mentre il “capolavoro” della sua direzione spirituale in quegli anni è il chierico Bruno Marchesini (1915-1938), di Bologna, che Mons. Landucci conduce alla santità. Dopo la morte ne sciverà la biografia (“Verso l’altare”, Roma, 1941): oggi Bruno è avviato alla gloria degli altari.

Nonostante tanta irradiazione, nel 1942, è costretto a ritirarsi in umiltà, povertà e silenzio in un piccolo appartamento di due stanzette presso le suore di Namur, nella clinica “Madonna della Fiducia”. Potrebbe essere “la notte oscura” dell’anima, invece è l’inizio di una straordinaria missione che lo porrà in modo eccezionale come lampada sul candelabro. 

Attingiamo dal volumetto del Card. Palazzini, dal titolo; ”Mons. P.C. Landucci, maestro, guida e padre. (L.D.C., Torino, 1990) e dagli scritti dello stesso protagonista, che abbiamo potuto avere, come tesoro prezioso.
Rimanendo canonico Lateranense, ma libero da altri impegni, Mons. Landucci si dedica alla predicazione de esercizi spirituali al Clero, ai Seminari e agli Studentati religiosi, ai laici dell’Azione Cattolica, viaggiando anche per l’Italia, fino in Svizzera e a Malta. Si dedica pure al preziosissimo ministero delle Confessioni e della direzione spirituale, in primo luogo dei sacerdoti. Tiene molti corsi di esercizi anche ai Vescovi, raccomandato loro dalla Congregazione dei Seminari. Ogni anno, alla Verna, predica uno speciale corso di esercizi agli Ordinandi, con grande entusiasmo dei giovani medesimi. E’ così buono, che lui, pur non avendo un reddito sicuro, giunge a pagare di tasca sua le spese a giovani o preti poveri, purché possano partecipare agli esercizi, come allo stesso modo, sacrificando del suo, sostiene confratelli in difficoltà. Chi ha avuto la grazia di avvicinarlo, riconoscerà per sempre che è stato “l’angelo del sacerdozio”.

Sentinella della fede

Contemporaneamente porta avanti un’intensa attività di scrittore come apostolo e difensore della Verità del Credo Cattolico, in un tempo che con il passare degli anni, appare spesso sconvolto da sbandamenti dottrinali e disciplinari. Dei suoi numerosi libri, citiamo solo alcuni assai significativi: Maria SS. nel Vangelo (Roma, 1944), Esiste Dio (Assisi, 1948) Il mistero dell’anima umana (Assisi, 1952), Cento problemi di fede (Assisi, 1953) La sacra vocazione (Roma, 1955), Problematica della miscredenza e della fede (Roma, 1968), Il prete contestato (Roma, 1969), Seminaristi e preti (Brescia, 1970), La Verità sull’origine e sull’evoluzione dell’uomo (Roma, 1984).

Durante il Concilio Vaticano II, Mons. Pier Carlo Landucci viene scelto come “perito”: segue tutto con la massima attenzione e vigilanza. Proprio in quegli anni, comprende che il suo compito è quello di sentinella della fede, quindi dell’autentica teologia per segnalare in tempo gli errori, per ribadire, con la Chiesa, la Verità, l’unica Verità. Nelle parole e negli scritti, egli s’impegna a mettere il guardia contro le mine alle basi stesse della Fede, contro le deduzioni erronee di certa esegesi biblica, contro lo snaturamento dell’essenza e della pietà sacerdotale, contro le contraffazioni della formazione seminaristica.

La luce sommamente chiarificatrice, la sicurezza di Verità gli viene soltanto dalla sua vita concentrata in Dio , vissuta in totale unità con Cristo, nell’adorazione a Lui, dall’amore appassionato all’Eucarestia, che come sacrificio e Comunione, è il tesoro più caro, l’unico vero tesoro della sua vita sacerdotale.
“Quella sua Messa così raccolta e devota, quelle parole profonde, chiare, vitali, espresse con l’energia e la convinzione della verità fatta norma di vita, non le potremo dimenticare e il loro ricordo sarà per noi stimolo di santità – gli scrivono alcuni giovani ordinandi (maggio 1952). In coloro che lo ascoltano, rimane fortemente impresso il suo discorso sulla Passione e Morte di Cristo, proprio perché in certo pensiero contemporaneo in certi movimenti, egli vede e denuncia il rifiuto o la dimenticanza del Mistero centrale del Cattolicesimo.

Fama di santità

Sulla stessa linea, Mons. Landucci ha visto sgretolarsi il carattere sacro del sacerdote, come “alther Cristus”, quindi la sua stessa formazione in Seminario. Su questo tema, scende in campo con varie pubblicazioni: “La regola – scrive – deve restare il fondamento della vita dei giovani candidati al sacerdozio”, “invece oggi, l’uso e l’abuso della parola «carisma», è fatto senza alcuna distinzione, il che significa speculare sull’“equivoco””.
È impossibile seguire tutti gli argomenti affrontati da Mons. Landucci in campo dottrinale e pastorale, perché non c’è tema su cui nei libri e negli articoli su riviste come Palestra del Clero, Studi cattolici, Tabor, Renovatio, ecc. …, non abbia portato la luce della Verità andando spesso contro-corrente, convinto che “la sapienza cristiana non consiste nel nuovo che cambia, ma nel Vero che resta , quel vero che la chiesa da sempre ripete alle anime”. Quante sofferenze interiori, quante lacrime siano costato a Mons. Pier Carlo Landucci, il suo orientamento teologico e ascetico è facile immaginarlo, ma tutto avvolge nella preghiera e nella “riparazione trionfatrice”, di cui è maestro incomparabile.

“In ogni momento – scrive il Card. Palazzini nel volumetto citato (pp. 16-17) – dimostrò di conoscere l’angoscia e le povere esaltazioni di chi credeva che la Chiesa avesse inizio solo con il Concilio Vaticano II; le incertezze profonde fino allo smarrimento di chi, non solido nella teologia e non fermo nella preghiera, si sentiva stordito nel travaglio di tesi contrapposte. Medicò più di una di queste anime, assisté pazientemente anime turbate; riprese anche energicamente con l’energia cristiana dell’amore? E non fu mai tra gli equilibristi della teologia, i “prudentiores” a loro dire, che si barcamenano tra ideologie opposte. La Verità è una sola. Mons. Landucci prese posizione e con quella sua logica stringente andava fino in fondo. Era difficile controbatterlo, perciò si preferiva farlo tacere”.

Così, con questo stile, senza mai cercare la sua gloria, ma solo a difendere la Verità della fede e la santità delle anime, sino all’ultimo. La mattina del 26 maggio 1986, preparato da una vita di santità, improvvisamente và incontro a Dio, lasciando scritto nel suo breve intenso testamento: 
“Accetto e offro il dono della morte, in spirito di riparazione per me e di propiziazione per il Papa, la Chiesa e le anime”. Il Santo Padre Giovanni Paolo II, informato e vivamente commosso di questa offerta per lui, con lettera dell’11 novembre 1986, lo definisce “degno prelato” e “generoso ministro del Signore”.
Umili e dotti fedeli, sacerdoti, Vescovi e Cardinali sono concordi nell’attestare la fama di santità. Nel 1994, la sua salma dal Verano è stata traslata alla chiesa di S. Giovanni Battista de Rossi. Si muovono i primi passi “affinché il Signore voglia glorificare qui in terra questo suo Servo, a splendore e conforto dei sacerdoti, per il decoro della Chiesa e consolazione dei fedeli”.
Giovane ardente, ingegnere brillante, soprattutto maestro della fede e padre delle anime: don Pier Carlo Landucci attende la gloria degli altari.  

Paolo Risso
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Pier Carlo Landucci di famiglia toscana (Arezzo), studiò a Firenze, Pisa e Roma dove si trasferì da giovane. Laureato (a 22 anni e mezzo) in Ingegneria civile nel 1923, fece un breve periodo di servizio militare quale sotto ufficiale nell’arma del genio.
Pieno di fede e di pietà, sotto la direzione spirituale del p. A. Garagnani, diede alla sua giovinezza un’impronta cristiana energica e costante. 
Nominato professore di matematica alla Scuola Agraria di Cagliari, vi trascorse due anni durante i quali maturò la vocazione al Sacerdozio. Allorquando ne ebbe la certezza (come lui si esprime per lettera) entrò nel Pont. Seminario Romano, il 26 luglio 1926, e ne ricevette la formazione per 4 anni.
Sacerdote nel 1929, l’anno seguente ricevette i primi incarichi pastorali mentre insegnava Filosofia delle scienze presso la Pont. Università Lateranenese.
Direttore spirituale del Seminario Romano maggiore per 7 anni, vi profuse i doni dello Spirito Santo specialmente sapienza e consiglio, formando generazioni di preti generosi e attivi.

Per 44 anni (1942-86) visse in due stanzette,dedito alla contemplazione ed al servizio dei confratelli nella confessione e direzione spirituale, inframezzate da predicazioni di esercizi al clero ed a laici impegnati.
Avvolto da umiltà e serenità, fu strumento della divina missericordia per tante anime. Fu anche scrittore di opere ascetiche di notevole valore.
Morì improvvisamente a Roma il 28 maggio 1986, ad 86 anni di età. È sepolto nella tomba dei canonici del Laterano.
Ai devoti il compito di imitare le virtù e di affrettare con le preghiere l’inizio della Causa di Canonizzazione

4 commenti:

  1. E' ovvio che a questo punto, innanzi ad un autorità del calibro di Monsignor Landucci, ci sia poco da dire...
    Dopo aver compreso che esiste una Verità Rivelata, Assoluta, insegna il CVII che ognuno è libero in coscienza di rinnegarla e di scegliere altre strade se vuole, dal buddismo, alla new age, alle wicca...
    Comprendano bene però i NC che innanzi ai fatti sopraelencati appare ben chiaro che
    il loro movimento professa un'evidente e conclamata alterazione della Verità di Cristo...

    La Verità di Cristo è quella Verità che Dio, con infinita pazienza e Misericordia, tramite lo Spirito Santo ha solidificato e donato IMMUTABILE nel Magistero della Chiesa Cattolica, nel suo Deposito di Fede...e Dio non cambia mai i Suoi insegnamenti...MAI. MAI. MAI.
    Quelli che ci sono stati dati, quelli sono, quelli di sempre...

    Se è chiaro a tutti dunque che essere NC vuol dire essere in una posizione di grave alteramento della Fede allora rimane solo di accettare il rischio di non essere in linea e in Comunione con Cristo... se regge la coscienza individuale...

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  2. Ho scoperto un elemento molto interessante che vi darà modo di fare un parallelo e un articolo sui neocatecumenali.

    I Neocatecumenali ammettono che bisogna sentirsi tutti "peccato" per gustare del perdono di Dio. Ammettono pure che un cristiano che cerchi di fare il suo dovere vivendo meglio che può è un ipocrita. Per Kiko Dio dovrebbe spingere l'uomo al peccato al fine di convertirlo, facendogli sentire la sua miseria.

    Questi stessi concetti facevano parte della dottrina di uno pseudo-monaco eretico che frequentò delle Sette stravaganti in Siberia: Gregorio Rasputin.
    Per Rasputin era necessario peccare per vivere conformemente all'umiltà cristiana. Egli, infatti, era solito incontrare prostitute nei bagni pubblici e attraeva a sé pure nobildonne. Il nome di Rasputin è legato alla tragedia della famiglia imperiale Romanov, della quale si fece sia benefattore che affossatore. Alla fine pesò su di lui il dubbio che le sue opere magiche e di preveggenza fossero opera demoniaca.

    Il fatto che esista questo parallelo tra Rasputin e Kiko Arguello, indica come entrambi non attingano alle fonti antiche della Chiesa (che in questo sono identiche sia in Oriente che in Occidente) ma a forme ereticali. Ed è esattamente questo parallelo a rilevarlo in modo plateale!

    Come Rasputin accellerò il crollo degli zar così Kiko, quasi un novello Rasputin, sembra accellerare il tracollo della Chiesa conciliare che però acceccata (come lo fu la zarina) continua a sostenerlo!

    Paradosi

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  3. Siete veramente tutti fuori strada ......mi addolora leggere tante parole inutili.
    Tutte le comunità di uomini sia spirituali che non (vedi nazioni,paesi,politica) sono fallaci . Chi giudica dimostra ignoranza profonda.Ogni cammino e ogni comunità ha qualcosa di buono e qualcosa di meno buono......è sempre stato cosi e sempre sarà cosi......
    Raffaella

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  4. Che tutte queste parole siano "inutili" ai tuoi occhi, forse dipende dalla tua capacità di comprensione e di valutazione di quello che leggi.....

    Inoltre un conto è l'essere fallaci negli aspetti puramente umani, altro conto è l'esserlo nella Dottrina della Fede, cioè un campo di ortodossia ed eresia. E soprattutto continuare a volerlo essere (mi riferisco a Kiko) in maniera pertinace ed impenitente lungo cinquant'anni di storia, e di fronte a tanta gente che consiglia la revisione di certe posizioni dottrinali. Cosa non da poco, perchè si sviano le anime e SI RISCHIA E SI FA RISCHIARE A MOLTI LA SALVEZZA ETERNA.

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