Fonte: Agere Contra...
Nuova strage in Siria. La guerra mediatica contro Assad continua...
di Sebastiano Caputo
I corpi nel fiume
Così se da una parte il governo di Bashar Al Assad combatte sul suo territorio contro un esercito di mercenari finanziato dalle potenze occidentali e dalle petro-monarchie del Golfo, dall’altra, fa fatica a contrastare la campagna di disinformazione pilotata d’Oltremanica dall’Osservatorio siriano dei diritti dell’Uomo e, a cui fa riferimento l’intera comunità internazionale.
Nel giro
di poco tempo – a cavallo delle primavere arabe, definite come un
fenomeno di “libertà” e di autodeterminazione dei popoli – la Siria si è
trovata a dover fronteggiare un doppio attacco. Una guerra mediatica e
una militare. Così se da una parte il governo di Bashar Al Assad
combatte sul suo territorio contro un esercito di mercenari finanziato
dalle potenze occidentali e dalle petro-monarchie del Golfo, dall’altra,
fa fatica a contrastare la campagna di disinformazione pilotata
d’Oltremanica dall’Osservatorio siriano dei diritti dell’Uomo e, a cui
fa riferimento l’intera comunità internazionale.
Lo stesso centro mediatico che in 24 mesi di guerra civile ha additato
al governo legittimo di Damasco tutte le odiose stragi commesse in
Siria, da quella dei civili ad Hula (l’inchiesta Onu pochi mesi dopo
dimostrò che le forze governative non erano responsabili del massacro
delle 108 persone) a quella “del pane” avvenuta il 23 dicembre ad
Halfaya (i video non fornivano nessuna prova dei bombardamenti
dell’aviazione siriana).
La storia si è ripetuta ieri, come da
copione. Sulla rete è circolato il video (la Reuters, che riporta la
notizia, avverte di non aver potuto verificarne la veridicità) di una
serie di corpi – circa ottanta – coperti di fango sulla riva del fiume
Queiq, nel quartiere di Bustan al Qasr, ad Aleppo, controllato dai
terroristi del Fronte Nosra. Il fiume Queiq nasce in Turchia e arriva
nel quartiere di Aleppo dopo aver attraversato quartieri controllati dal
governo, di fatto nonostante i corpi siano stati trovati nella zona
accerchiata dai ribelli, i Comitati di coordinamento locale hanno
incriminato comunque le forze governative come artefici dell’esecuzione
sommaria (il video contiene immagini non adatte ad un pubblico
sensibile: i corpi mostrano ferite d’arma da fuoco alla testa, le mani legate e insanguinate).
Dinanzi
a questa tragedia che non ha tuttora un colpevole, il segretario
generale dell’Onu Ban Ki Moon, all’apertura della conferenza dei
donatori per gli aiuti umanitari in Siria, organizzata in Kuwait, ha
lanciato un appello a tutte le parti e “in particolare al governo
siriano” affinché “si fermi il massacro nel Paese, in nome
dell’umanità”. Anche l’inviato dell’Onu e della Lega Araba, Lakhdar
Brahimi, nelle ultime ore ha chiesto un’azione da parte del Consiglio di
sicurezza dell’Onu. “La Siria sta andando a pezzi sotto gli occhi del
mondo”, ha detto Brahimi parlando in Consiglio di “orrori senza
precedenti”, poche ore dopo la notizia dei corpi morti trovati nel
quartiere in mano ai ribelli ad Aleppo. “Il massimo organo politico
dell’Onu non può restare in disaccordo sulla Siria aspettando che
arrivino giorni migliori”, ha continuato Brahimi esprimendo pessimismo
sull’andamento della sua missione. Un pessimismo che deriva dalla
malafede della comunità internazionale che da due anni alimenta la crisi
siriana permettendo il traffico illegale di armi verso il Paese,
imponendo delle severe pressioni diplomatiche ed economiche al governo
legittimo di Bashar Al Assad ed infine oscurando la vera natura dei
ribelli.
Una natura politica e religiosa che sta venendo a galla,
soprattutto a seguito delle contraddizioni della politica estera
francese dopo l’intervento militare in Mali. Se in questi due anni la
Francia ha sempre sostenuto l’operato degli islamisti in Siria nel nome
della democrazia e della libertà (ironia della sorte, l’Asl utilizza la
bandiera del mandato francese in Siria tra il 1920 e il 1946), oggi si
ritrova a combatterli sul fronte maliano. Tanto che venerdì 18 gennaio,
nella zona “liberata” di Bansh in Siria, vicino alla frontiera turca, è
stata organizzata una dimostrazione dai fondamentalisti islamici, i
quali hanno manifestato solidarietà nei confronti dei loro omologhi maliani, promettendo inoltre una vendetta amara ai danni della Francia.
Gli stessi fondamentalisti che probabilmente sono i veri artefici dei
massacri avvenuti quest’oggi sulla riva del fiume Queiq, nel quartiere
di Bustan al Qasr, ad Aleppo, e che per l’ennesima volta puntano il dito
contro Bashar Al Assad.
Il commento dell’Arcivescovo di Aleppo degli armeni cattolici, Boutros Marayati sulla strage:
“Percepiamo che c’è una deformazione di tutte le informazioni. Non ci si può fidare di quello che si sente dire, e non c’è nessuna possibilità di verificare neanche i fatti che accadono a poca distanza dai nostri quartieri. Anche adesso si sentono i rumori delle esplosioni, ma non sappiamo da chi arrivano e contro chi sono dirette. Siamo al centro di una guerra, ma la viviamo come se fossimo al buio, senza capire davvero cosa sta succedendo. Ci chiediamo solo quando e come tutto questo finirà. E preghiamo il Signore, che ci guardi e ci protegga”.
Anche
i cosiddetti ribelli siriani hanno i loro scheletri nell’armadio:
alcuni giornalisti russi presenti sul territorio hanno documentato le
distruzioni delle infrastrutture e i massacri commessi dall’esercito
libero Siriano (Esl). Le immagini sono inquietanti, le esecuzioni di
tutti i tipi. Al grido di “Allah Akbar” i lealisti civili o soldati
dell’esercito regolare sono eseguiti con freddezza, smembrati o
decapitati:
Fonte: lintellettualedissidente 30/1/2013