Fonte: Progetto Barruel…
Da: Études religieuses, philosophiques, historiques et littéraires par des Pères de la Compagnie de Jesus, dix-huitième année — cinquième série, tome V, Lyon - Paris 1874 pag. 5-24
R.P. Henri Ramière d.C.d.G.
Il fallimento del liberalismo
Se abbracciassimo collo sguardo il mondo civilizzato in tutta la sua estensione, vedremmo risultare dagli avvenimenti che vi si attuano due verità in apparenza contraddittorie, ma in realtà legate l'una all'altra da una connessione necessaria: il liberalismo ottiene ovunque un completo trionfo, ed ovunque è costretto a distruggersi da sé.
Che trionfi ovunque non è necessario provarlo, è sufficiente aprire gli occhi per convincersene; domina infatti contemporaneamente negli spiriti, nelle leggi e nei costumi; e la stampa, questa regina delle società moderne, è ovunque al suo servizio. Il liberalismo riunisce partigiani di tutti i regimi politici, adepti di tutte le credenze, rampolli di tutte le razze sotto i suoi stendardi; gli stati che con le loro leggi paiono escluderlo, come la Russia, subiscono anch'essi l'influenza delle sue dottrine. In Germania «l'uomo di ferro e sangue» [Bismarck, N.d.T.] ha conquistato il potere assoluto che ha usato così tirannicamente solo a partire dal momento in cui si è posto alla testa del partito nazional-liberale; è in nome del liberalismo che le antiche franchigie provinciali dell'Austria ed i diritti sovrani dei Cantoni elvetici sono stati sacrificati alla centralizzazione; è il liberalismo a governare l'Inghilterra, l'Italia, l'Olanda, il Belgio, il Portogallo col meccanismo della monarchia parlamentare; nella repubblica radicale di Spagna e nella repubblica provvisoriamente conservatrice di Francia i partiti, pur essendo su posizioni le più opposte, si accordano a riconoscere la sua supremazia, e solo il Giappone non ci tiene all'onore di sottomettersi alle sue leggi. Ma proprio nel momento in cui i suoi complotti sono stati coronati da un pieno successo, nel momento in cui si è assicurato il concorso di tutti i poteri deputati a combatterlo, un difensore della verità sconfitta [1] ha osato proclamare al parlamento di Berlino il fallimento del liberalismo!
Sì, proprio così ha detto, e noi dimostreremo che è pura verità. Talora gli avversari del liberalismo sono accusati di sostituire i ragionamenti colle declamazioni, e di non definire neppure la dottrina che combattono, ma noi non ci esporremo ad una tale critica: daremo una definizione di liberalismo, ne distingueremo accuratamente i differenti generi ed i differenti gradi, analizzeremo la menzogna che costituisce la sua essenza e gli errori radicali che implica: e proprio in tal modo troveremo il principio della duplice refutazione, teorica e pratica, colla quale è condannato dalla Provvidenza a disingannare i popoli che ha tratto in inganno. Tale è infatti la vendetta che Dio riserba a difesa dell'eterna verità, temporaneamente vinta dall'errore: nel momento in cui il liberalismo è giunto all'apogeo della potenza, nel momento in cui si vanta d'aver acquisito sulle anime e su nazioni intere un incontrastabile dominio, deve espiare tale sua vittoria con un duplice castigo: col flagello che scatena sui popoli sottomessi al suo giogo, e colle contraddizioni in cui lo trascinano, nel suo sviluppo, gli errori celati sotto formule ipocrite.
Il liberalismo è giunto all'ora fatale in cui, rinnegando tutte le proprie massime e smentendo tutte le proprie promesse, distrugge i propri principî con lo sviluppo all'estremo delle loro conseguenze; per constatare questo duplice fallimento sarà sufficiente comprendere il suo linguaggio ed osservare le sue opere, studiare dapprima i suoi principî e poi i suoi risultati [2]. Ma innanzi tutto è necessario definire con precisione il termine liberalismo, che è ben lungi dall'avere lo stesso significato nello spirito e sulle labbra di tutti coloro che lo impiegano. Avremo fatto fare un gran passo in avanti alla discussione se riusciremo a dare una nozione assai netta della dottrina designata da tale espressione.
I.
Che cos'è il Liberalismo?
È possibile darne una definizione? Come capire questo Proteo che assume in diversi tempi ed in diversi luoghi le forme più opposte fra loro? Bismarck si fa passare per liberale, ed il primo ministro inglese Gladstone si attribuisce anch'egli la stessa qualità; Minghetti e Castelar la rivendicano come fosse una gloria, e molti dei nostri ministri francesi non la considererebbero probabilmente un'offesa. Che vi è di comune tra il liberalismo di questi uomini di Stato la cui politica è così differente? «Sono cristiano penitente, ma liberale impenitente,» diceva Lacordaire al termine di sua vita, e si credeva perciò autorizzato dal proprio amore alla religione a custodire il proprio liberalismo; pochi anni più tardi uno dei suoi successori sulla cattedra di Notre-Dame sarà condotto dal suo liberalismo ad una scandalosa apostasia. Com'è che uno stesso principio può produrre effetti così opposti? Siamo in presenza di una mera mistificazione, di uno spettro le cui forme cangianti permettano a ciascuno di rivestirne arbitrariamente il sistema che preferisce?
No, il liberalismo cela sotto queste apparenze differenti una unità reale, ma per trovare questa unità non bisogna esaminare a caso chi, a buon diritto o a torto, porta il nome di liberale; bisogna procedere come i dotti che si applicano allo studio delle stirpi: quando vogliono comprendere il vero tipo della stirpe negra, ad esempio, non studiano gli individui in cui il tipo è più o meno fuso con tipi differenti, ma cercano dei veri negri, negri dal sangue puro; considerandoli con attenzione, comparandolo gli uni cogli altri non si fa fatica a discernere i caratteri della stirpe, e così diviene facile ritrovare tali caratteristiche negli individui di tipo misto.
Le idee stabiliscono tra gli spiriti delle affinità analoghe alla parentela fisica delle stirpi: esse costituiscono delle stirpi intellettuali dai tipi assai differenti; ma tra queste idee si possono produrre delle mescolanze; vi sono meticci nell'ordine morale come nell'ordine fisico, e non è in loro che bisogna studiare i tipi delle dottrine alle quali si ricollegano. Se dunque vogliamo sapere ciò che sia il liberalismo, dobbiamo considerarlo come è presso coloro che non pongono alcuna riserva nella professione dei loro principî; quando avremo potuto discernere in loro l'essenza del sistema, allora sapremo cosa pensare delle forme sotto cui si può mescolare a sistemi differenti.
I. — Il principio del liberalismo. Partendo da questo dato, giungeremo senza fatica ad una definizione precisissima del liberalismo: esso è la dottrina che afferma la completa indipendenza della libertà umana e nega di conseguenza ogni autorità superiore all'uomo nell'ordine intellettuale, religioso e politico, perchè tale è di fatto l'idea che emerge dalla famosa Dichiarazione dei diritti dell'uomo, simbolo fondamentale del liberalismo; e se l'ambiguità di talune formule potesse far nascere qualche dubbio, sarà sufficiente, per comprenderne il senso reale, leggere i dibattiti che ne precedettero la redazione definitiva. Si acconsentì, è vero, dopo molte discussioni, a porre in testa a tale nuovo evangelo il nome dell'Essere supremo ma, in conformità al deismo di Rousseau, si riconobbe nella prima riga l'esistenza del Creatore solamente per negare poi la sua autorità nell'intero documento. Solo dall'uomo deriva la sovranità (art. 3). Il pensiero e la parola sono indipendenti. Ogni uomo è libero non solo di respingere interiormente la Rivelazione divina, ma anche di minare l'autorità di tale Rivelazione nello spirito dei suoi simili; e tale libertà è proclamata uno dei diritti più preziosi dell'uomo (art. 11). La religione cristiana, agli occhi della società, non è altro che un'opinione, assolutamente identica ai falsi culti (art. 10).
Di conseguenza Dio non è più padrone né nell'ordine intellettuale, né nell'ordine religioso, né nell'ordine politico: al contrario è l'uomo ad essere sovrano in questa triplice sfera. Ecco il principio del liberalismo: negazione diretta ed assoluta della dottrina cattolica, la quale afferma la sovranità di Dio in tutti gli ordini in cui l'errore liberale proclama l'indipendenza dell'uomo.
L'eresia nuova, negando questo dogma fondamentale, porta alla verità rivelata un colpo ben più mortale che se si contentasse di combattere uno o più articoli del simbolo della fede: essa rovescia, per quanto può, la base stessa della fede, nega virtualmente ogni verità, riconoscendo alla ragione il diritto di professare qualsivoglia errore: è l'anticristianesimo completo e radicale.
Logicamente non vi è alcuna via di mezzo tra queste due dottrine: se il cristianesimo è vero, il liberalismo è falso in tutte le sue differenti forme. Nell'ordine intellettuale, se la ragione umana rifiuta di sottomettersi alla ragione divina, si rende colpevole d'una inescusabile ribellione; nell'ordine religioso la libertà non può ripudiare senza colpa i doveri che le sono intimati dalla salda autorità di Dio; nell'ordine politico non può essere permesso di resistere al legittimo potere; infine nell'ordine politico-religioso la società temporale non può avere il diritto di impedire l'azione dell'autorità spirituale.
D'altra parte, se non si accetta puramente e semplicemente l'autorità che il Figlio di Dio è venuto a fondare sulla terra e si vuole prenderne il posto, non resta alcun potere capace di guidare la ragione dell'uomo, di governare la sua volontà libera e di raffrenare le sue passioni malvagie; tolto Dio, a comandare all'uomo restano solo degli uomini suoi simili; e qual'è l'uomo così ardito da arrogarsi, nei confronti dei propri simili, l'autorità che egli rifiuta al Creatore? Lo ripetiamo: se la dottrina cattolica è respinta, la logica dà ragione al liberalismo estremo: nell'ordine intellettuale, nell'ordine religioso e nell'ordine politico l'uomo è indipendente, la libertà individuale è sovrana, ed il diritto di ciascuno non ha altro limite che il proprio potere: ecco ciò che richiede la logica delle idee e ciò che presto o tardi esigerà la logica dei fatti.
Ma non è certo in un sol giorno che gli spiriti giungono alle conseguenze ultime dei loro principî; quanto pochi sono coloro che sono pienamente d'accordo con la dottrina che professano! Così, se i cristiani per la maggior parte sono meno buoni di quanto esigerebbe la loro credenza, gli increduli per la maggior parte sono migliori della loro dottrina. Presso la maggior parte degli uomini la verità e l'errore, per quanto incompatibili tra loro, si mescolano nelle proporzioni più diverse; non stupiamoci dunque di trovare, nel grande partito liberale, tante varietà di opinioni quante sono le gradazioni che dividono la notte oscura dal giorno pieno; tale partito, escluso il bianco puro della verità, racchiude tutte le sfumature, dalla negazione radicale del positivista fino al liberalismo cattolico, la cui tinta delicata può essere individuata solamente da un occhio allenato.
Tale estrema varietà rende difficilissimo il compito dei difensori della verità che intraprendono il combattimento contro questo inafferrabile nemico: come possono misurare opportunamente i loro colpi per portarli con eguale giustezza ad avversari così differenti gli uni dagli altri? Evidentemente non c'è che una cosa da fare: attaccare l'errore in sé stesso e lasciare poi che ciascuno dei suoi difensori si prenda la sua parte di biasimo in proporzione all'adesione che ad esso dà. Sia chiaro che in tutto ciò che diremo contro il liberalismo non c'interessano le persone ma solo la dottrina.
Per ciascuno dei quattro generi di liberalismo poc'anzi indicati ammettiamo che vi siano infiniti gradi; ma per maggiore chiarezza ricondurremo tali gradi a tre principali, che possiamo denominare il radicalismo, il liberalismo propriamente detto ed il liberalismo cattolico.
II. — Il liberalismo radicale. — Il radicalismo è il liberalismo sincero e logico, che confessa tutti i suoi principî e non indietreggia di fronte ad alcuna delle sue conseguenze; nell'ordine intellettuale si chiama libero pensiero e consiste nell'affermazione che l'uomo dipende solo dalla propria ragione e non risponde dei suoi atti ad alcun potere superiore; nell'ordine religioso è l'individualismo assoluto, la negazione di qualsivoglia insegnamento dogmatico e di qualsivoglia sacerdozio; nell'ordine politico è la demagogia, il diritto attribuito alle masse di rovesciare e cambiare a loro grado le istituzioni civili; nell'ordine politico-religioso è il completo asservimento della società religiosa alla società politica.
Come è evidente il radicalismo in queste differenti sfere non fa altro che sviluppare fino alle ultime conseguenze il principio liberale, ed affermare con totale franchezza l'indipendenza assoluta della libertà umana.
III. — Il liberalismo moderato. — Perché allora riserviamo ad una sfumatura più moderata il nome di liberalismo propriamente detto, che parrebbe convenire meglio alla forma più completa di tale dottrina? Semplicemente perché si usa così. La massa del partito liberale che protesta contro il puro cattolicesimo, protesta anche contro il puro radicalismo; e così facendo si mostra più abile di quanto non sia logica, perché se è vero che i principî del liberalismo sono assai seducenti, è pur vero che le sue conseguenze sono assai ripugnanti. I liberali propriamente detti, ammettendo i principî ma rigettando le conseguenze, conservano alla loro dottrina quel potere di fascinazione che la logica dei radicali non tarderebbe a sottrarle; infatti ciò che rende l'errore seducente non è il suo opporsi alla verità, ma è al contrario la verità che in esso è frammischiata: per questo è menzogna — e di conseguenza si può dire che tanto è più menzogna, quanto più mescola ad una più grande massa d'errore una dose più considerevole di verità. La più ingannevole delle menzogne è sicuramente quella che ha perduto l'umanità, la menzogna del serpente nel paradiso terrestre: Eritis sicut dii. [Gen. III, 5.: «Sarete come Dei» N.d.T.] E tuttavia tale espressione del grande seduttore contiene anche una grande verità: è infatti identica all'espressione della sacra Scrittura ricordata e confermata da Gesù Cristo: Ego dixi: dii estis. [Ps. LXXXI, 6, Joann. X, 34.: «Io dissi: siete dèi» N.d.T.] La deificazione dell'uomo per mezzo della sottomissione a Dio, ecco il cristianesimo; la deificazione dell'uomo per mezzo della rivolta contro Dio, ecco l'anticristianesimo; e per insinuare questo enorme errore il padre della menzogna pone in rilievo ciò che esso racchiude di verità — ed il liberalismo, che ha qual fine il portare a termine l'opera cominciata dal serpente, non fa altrimenti.
Il vero programma del liberalismo non è quello che esprime più nettamente la sua dottrina, ma al contrario quello che la occulta con maggior artifizio, e perciò il liberalismo riconosce come suoi legittimi rappresentanti non i violenti che con la loro logica brutale distruggono del tutto l'illusione generata dal loro sistema, ma gli abili e moderati che fanno professione di alleare insieme le conseguenze della verità coi principî dell'errore; ecco il partito liberale propriamente detto, quello che già si faceva nominare il partito del giusto mezzo, espressione in cui è del tutto scorretto solo l'aggettivo giusto. Il solo giusto mezzo è la verità, ugualmente lontana dai due errori estremi, mentre il liberalismo all'opposto, ugualmente lontano dalla verità completa e da un errore più logico, non è in sé altro che un errore più pericoloso; e dove allora è posto il limite che lo separa dalla verità a destra e dall'errore a sinistra?
Nell'ordine intellettuale tale partito ammette volentieri, a latere della libertà di pensiero, un'autorità nominale, quella cioè della ragione eterna, che non teme di chiamare, se si vuole, la ragione di Dio, ma a condizione che questo Dio, regolatore della ragione individuale, rinunci all'esercizio della propria autorità e, se Gli è piaciuto stabilire sulla terra un interprete della verità, bisogna che si rassegni a che non sia tenuto in alcun conto.
Nell'ordine religioso il partito liberale vuole un culto, ma lascia a ciascun uomo la libertà di ammettere quel che gli conviene.
Nell'ordine politico riconosce la necessità di sottomettere la plebe turbolenta ad un'autorità; ma tale autorità sia sotto il controllo delle classi illuminate, che ne disporranno a modo loro mediante il sistema parlamentare; il parlamentarismo, per questo partito, non è una forma politica destinata a regolare l'esercizio dell'autorità, bensì un principio superiore al principio stesso di autorità.
Nei rapporti tra la Chiesa e lo Stato infine, questi moderati s'asterranno dalla persecuzione violenta; potranno perfino spingere la condiscendenza a circondare la religione di una generosa protezione; ma esigeranno che la società spirituale riconosca la supremazia assoluta dell'autorità temporale, anche nelle questioni in cui sono implicati gli interessi delle anime.
Come si vede, la saggezza di queste persone consiste nel mantenere la neutralità tra i due poteri che si disputano il dominio della terra, a conciliare i diritti di Belial con quelli di Gesù Cristo. Medici dei popoli, costoro credono di non poter meglio guarirli dai loro mali se non offrendo loro, in dosi eguali, l'errore e la verità; e dispiegano un'abilità prodigiosa nel mantenere le società in un equilibrio instabile, che le preservi da ogni scossa troppo violenta senza mai giungere all'ordine completo.
IV. — Il liberalismo cattolico. — Il terzo gruppo del partito liberale si tiene ad una distanza ben più grande ancora dal radicalismo, e ci si mostra più come una tendenza ed uno spirito che come una dottrina: è il liberalismo cattolico. Talvolta, è vero, i suoi fautori si distraggono e si lasciano sfuggire talune proposizioni che li fanno confondere con i liberali propriamente detti; ma i più abili sono in grado di evitare di enunciare teorie contrarie alla dottrina rivelata.
Costoro rispettano i principî, e proprio per eccesso di rispetto non vogliono ricorrervi. Astenersi dal combattere i principî, ecco ciò a cui consentono volentieri; ma vogliono che, d'altra parte, ci si astenga dal proclamarli e dal difenderli. Quando li si spinge un po' vigorosamente, costoro riconoscono che a livello di tesi la dottrina cattolica è assolutamente vera; ma per loro tale tesi è una pura astrazione. Essi giudicano inapplicabile tale dottrina non in una certa ipotesi particolare e in conseguenza di determinati fatti transitori, bensì in conseguenza delle permanenti condizioni della natura umana; poiché l'uomo è quel che è, questi cattolici ritengono che la religione abbia più da perdere che da guadagnare nel mantenere la propria dottrina tradizionale sull'alleanza dei due poteri. Costoro credono di poter meglio servire gli interessi della verità col silenzio, perfino nelle circostanze in cui un tale silenzio può essere interpretato come una resa; si comportano come se avessero ricevuto da Gesù Cristo la delega di rinunciare a suo nome alla regalità sociale. L'affermazione dei diritti sovrani è inopportuna ai loro occhi, dal momento che dispiace; mentre in realtà per un cattolico l'opposizione fatta a questi diritti è di per sé stessa un motivo per sostenerli con maggior energia. Sinceramente devoti alla Chiesa, se comprendessero in qual misura questa falsa prudenza compromette i loro interessi, seguirebbero tutt'altra condotta; ma è che l'illusione che li domina non consente loro di riconoscersi quali sono, ed ancor meno possono sopportare di sentirselo dire da altri; e così si mostrano vivamente feriti quando vedono la loro tattica condannata dalla parola e dalla condotta dei cattolici più resoluti. Da ciò deriva loro una irritazione assai naturale che li rende severi fino all'ingiustizia verso i servitori più devoti della Chiesa, mentre sono ossequiosi e pressoché affettuosi nei confronti dei loro avversari dichiarati; qualora questi ultimi esprimano la loro ostilità mantenendo certe forme, li ricopriranno di elogi, mentre non risparmieranno né biasimo né ingiuria ai cattolici per poco che manchino di forme nella professione e nella difesa della loro fede. E se la Chiesa interpone la propria autorità per mantenere l'integrità dei principî, non si rivolteranno contro le sue decisioni, perché vogliono restare cattolici; ma per evitare di abiurare gli errori censurati dalla Chiesa, attenueranno la portata delle sentenze ecclesiastiche e ne svieranno il significato; in ogni caso non si riterranno obbligati a prendere tali decisioni come regola della loro vita pubblica; si faranno due coscienze: una per il foro interiore, l'altra per il foro esteriore. Ogni cattolico liberale porterà in sé due persone, ma in un senso assai diverso da quello di san Paolo: in chiesa ed in famiglia si mostrerà cattolico, ma nel foro e nel pretorio non lascerà trasparire che il liberale [3].
Abbiamo risposto alla prima questione: che cos'è il liberalismo? e, considerato nella sua pura essenza questo pericoloso errore, abbiamo mostrato la sua graduale influenza su tutti coloro che sono più o meno infettati del suo veleno; non abbiamo voluto dissimular nulla, e crediamo di non aver per nulla esagerato. Tuttavia saremmo lo stesso infedeli alla nostra missione se, per timore di dispiacere a qualcuno, nascondessimo una verità utile, o se inventassimo chimerici errori per procurarci il tristo piacere di combatterli. Unicamente desiderosi di seguire la direzione indicata dal Vicario di Gesù Cristo, abbiamo dovuto in primis constatare la realtà e descrivere i sintomi di quella malattia che egli ci ha segnalato nella sua gravità; dobbiamo ora proseguire nel nostro compito rivelando i principî da cui nasce questa pericolosa malattia e gli elementi da cui è costituita, svelando la menzogna che dà al liberalismo la sua potenza di seduzione e distinguendo accuratamente gli errori celati nel suo fondo dall'apparenza di verità che ne colora la superficie.
II
Menzogna ed errori del Liberalismo
«Il nostro secolo è in preda ad una temibile menzogna fatta per perturbare le nazioni. L'orgoglio, assumendo il nome di libertà, ha invaso il mondo, e con questo nome fittizio ha potuto conquistare le idee ad una ad una, impadronirsi delle posizioni, bussare perfino alla porta del santuario, mentre senza un tale travestimento non sarebbe mai riuscito a penetrare contemporaneamente sia nelle anime col nome di libertà intrinseca di coscienza, sia negli Stati col nome di libertà assoluta di culto, sia nei costumi col nome di libertà assoluta di stampa, sia nella folla col nome di sovranità del popolo...
«Da ogni parte s'è veduta uscire la setta immensa di coloro che, prendendo per libertà il loro orgoglio, si chiamano liberali: gli uni andando tanto più ardentemente alla conquista dell'orgoglio quanto più lo prendono per vera libertà, gli altri andando tanto più ardentemente alla ricerca della libertà quanto più sanno che è invece orgoglio.» [4]
Non si poteva descrivere meglio di quanto l'abbia fatto con queste parole il Sig. de Saint-Bonnet l'inganno gigantesco di cui il mondo è preda da un secolo a questa parte. Di fatto il liberalismo è anzitutto, come abbiamo affermato, una menzogna, e conseguentemente un inganno; si dice menzognero un discorso che fa prendere l'errore per verità, e stando così le cose non v'è menzogna peggiore del liberalismo nascosto sotto il nome specioso di libertà.
I. — Menzogna costitutiva. — La formulazione più abile e più perfida di questa menzogna la troviamo nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo, il cui articolo 4 è così concepito: «La libertà consiste nel poter fare ciò che non nuoce ad altri. Così l'esercizio dei diritti naturali da parte di chiunque non ha altri limiti che quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Tali limiti possono essere determinati solo dalla legge. [La liberté consiste à pouvoir faire tout ce qui ne nuit pas à autrui. Ainsi, l'exercice des droits naturels à chaque homme n'a de bornes que celles qui assurent aux autres membres de la société la jouissance de ces mêmes droits. Ces bornes ne peuvent être déterminées que par la loi.» N.d.T.]
Che di più inoffensivo, in apparenza, di questa definizione? La quale sarebbe infatti perfettamente accettabile, se si supponesse come ammessa l'autorità di Dio, e se la legge alla quale è attribuito il diritto esclusivo di fissare i limiti della verità non fosse solo una legge umana arbitraria, ma anche e soprattutto la legge essenziale del Creatore; la libertà così intesa è proprio quella che Gesù Cristo è venuto ad assicurare a tutti i membri della famiglia umana, e mentre prima di lui la maggioranza di essi erano ridotti allo stato di oggetti e non possedevano alcun diritto personale, l'Uomo-Dio ha restituito loro i diritti umani e conferito loro una dignità divina. A ciascuno di essi Egli ha attribuito un fine personale, e a tutti loro ha imposto il dovere di aiutarsi l'un l'altro nel perseguire tale fine; la libertà così intesa è essenzialmente cristiana; acquistata al prezzo del sangue di Gesù Cristo, tale libertà, che non ha avuto sulla terra difensore più intrepido e più costante della Chiesa, può essere definita la liberazione da ogni ostacolo che impedisce all'uomo di tendere alla propria felicità e di acquisire la propria perfezione.
Ma tale non è la libertà del liberalismo, nella quale Dio non ha la minima parte: e la dichiarazione che abbiamo appena citato non ci consente di avere alcun dubbio a questo proposito. La legge sulla quale essa fonda la libertà, ed alla quale è attribuito il diritto esclusivo di fissarne i limiti non è la legge divina, ma quella che è definita qualche riga più sotto «l'espressione della volontà generale.» Ed è proprio in questo modo del resto che la libertà è stata concepita dalle società moderne formate alla scuola del liberalismo: esse vi hanno veduto non l'eliminazione di ogni potere legittimo usurpato dagli uomini, ma l'indipendenza nei confronti di Dio; non la libertà per il bene, ma la libertà per il male. V'è senza dubbio un potere di fare il male implicito nel potere di fare liberamente il bene, ma non è questo potere fisico che il liberalismo rivendica per l'uomo; è invece il diritto di fare il male, cioè il diritto di violare il diritto; e la libertà ai suoi occhi non è più l'esenzione da ogni ostacolo nel conseguire la felicità, ma l'esenzione da ogni legge che impedisca all'uomo di perdersi, non più verità luminosa, ma assurdità concreta. Nulla infatti è più assurdo che l'attribuire l'indipendenza ad una creatura qualunque; è indipendente solamente colui che, avendo in sé stesso la ragione del proprio essere, vi trova egualmente il principio della propria perfezione; ma la creatura, che non si è fatta da sé e che con la propria forza non può prolungare la propria esistenza di un solo istante, non trova in sé stessa nulla di ciò che le è necessario per conservarsi e svilupparsi. L'uomo che si dichiara indipendente! Ma l'uomo dipende in ogni cosa, e la sua dipendenza è continua: dipende dall'aria che respira, dal sole, dalle piante che predispongono il suo nutrimento, dal padre che l'ha generato, dalla madre che l'ha nutrito, dalla società che colla parola l'ha messo in possesso della propria ragione; dipende da tutte le creature, e oserà dirsi indipendente dal Creatore! Sì, ecco quell'assurdità ributtante che le nazioni cristiane abbracciano con entusiasmo da un secolo a questa parte sotto il nome di liberalismo; la società moderna, così fiera dei suoi lumi, è fondata su di una tale assurdità, altrettanto razionale quanto un circolo quadrato: l'indipendenza di ciò che è essenzialmente dipendente.
Forse si dirà: quest'assurdità è sostenuta solo dal radicalismo, mentre il liberalismo moderato non la professerà giammai. — Il liberalismo moderato, è vero, non ha l'abitudine di ammettere il fondo del proprio pensiero; ma se non professa formalmente questa dottrina, evidentemente la suppone, giacché autorizza a non tenere in alcun conto l'autorità di Dio e la manifestazione certa della sua volontà in tutte le sfere in cui si dispiega la libera attività dell'uomo. Dichiararsi indipendente nei confronti del superiore non equivale forse a ritenere sistematicamente i suoi ordini come nulli e non esistenti?
Una tale nozione menzognera della libertà costituisce tutto il fondo del liberalismo, un errore che non va da solo, ma è accompagnato da tutto un corteggio di altri errori ugualmente capitali su Dio, su Gesù Cristo, sull'uomo, sulla missione dei governi e sull'organizzazione delle società.
II. — Errori implicati dal liberalismo. — Ateismo. Abbiamo già fatto notare che i liberali, benché non siano tutti atei e benché un gran numero di essi abbiano orrore dell'ateismo, non possono professare il dogma liberale dell'indipendenza della società civile nei confronti della religione senza negare implicitamente la sovranità di Dio e di conseguenza la sua esistenza. Cosa vi è di più contraddittorio infatti che riconoscere un Dio creatore dell'uomo e negare che l'uomo sia obbligato ad obbedire a questo Dio? O Dio è il Signore, o non lo è; di conseguenza, negando la sua autorità sociale, si nega la sua stessa esistenza. Non è a seguito di un momentaneo trasporto che uno dei capi della scuola liberale ha detto: «La legge è atea e deve esserlo»; ha parlato così perché, per quanto alcuni liberali possano essere religiosi, il liberalismo è logicamente ateo. [Si tratta di Hyacinthe Camille Odilon Barrot (1791-1873) esponente politico del liberalismo moderato. N.d.T.]
Un tale sistema sociale, che pure è raccomandato da molti cristiani come un progresso, con questa negazione radicale necessariamente implicita nel suo proprio principio, fa piombare le nostre moderne società al di sotto delle società pagane dell'antichità, che certo sono cadute in gravi errori religiosi, ma giammai hanno sragionato al punto da ricercare per l'ordine sociale un altro fondamento diverso dalla religione. Non citeremo le espressioni dei filosofi unanimi nel tacciare di follia un simile tentativo, perché a forza d'essere ripetute le loro sentenze sono divenute banali; ma il semplice buon senso diceva a questi pagani che per obbligare l'uomo bisognava cercare un principio d'obbligazione superiore all'uomo. E com'è allora che dei cristiani possono vantare come fosse la perfezione dell'ordine sociale un sistema che da duemila anni è stato riconosciuto come evidentemente assurdo?
III. — Anticristianesimo. — Una simile condotta è ancor più inescusabile in quanto, con la negazione del principale dogma della religione naturale, il sistema liberale implica il rinnegamento del principale articolo del simbolo cristiano; infatti è impossibile credere nella divinità di Cristo e negare la sua regalità sociale, è impossibile ammettere che il Figlio di Dio si sia fatto uomo e insieme non sia con ciò divenuto capo dell'umanità, che abbia accettato il titolo e la missione di Salvatore e che sia possibile alle anime, alle famiglie ed ai popoli ricercare fuori di lui la loro salvezza. È evidente che la natura umana raggiunge la propria perfezione nella società, e si accosta vieppiù alla perfezione divina coll'esercizio delle virtù sociali; perciò limitare l'impero dell'Uomo-Dio nell'angusto ambito delle coscienze individuali e bandirlo dalla società significa privarlo della sua opera più bella ed escluderlo dal suo più magnifico dominio: sarebbe più onesto negare con franchezza la sua divinità.
Del resto il liberalismo se ne viene assai tardi a gettare ombre sul dogma della regalità sociale di Gesù Cristo: infatti tra tutti i titoli dell'Uomo-Dio forse non ve n'è un altro che gli sia stato più solennemente attribuito nelle antiche profezie, e nessuno che sia stato più apertamente e più frequentemente proclamato dalle Scritture. Nostro Signore è annunziato all'umanità come Re e Desiderio delle nazioni molti secoli prima della sua nascita [5]; popoli interi, e non solo alcuni individui isolati, sono invitati a sottomettersi alle sue leggi e ricevere la pace che loro apporta [6], Dio dona a suo Figlio le nazioni come eredità e lo incarica di governarle con scettro di ferro [7], ed infine l'Onnipotente ordina ai re ed ai giudici delle nazioni di venire a rendere omaggio al suo Cristo, se vogliono evitare il suo sdegno [8].
Inoltre Gesù Cristo ha apertamente rivendicato il giorno stesso della sua morte tale regalità, che era stata sì chiaramente predetta prima della sua nascita; di fronte al tribunale del sommo sacerdote Caifa gli era stato ingiunto infatti di proclamare la sua divinità, ma di fronte al tribunale del magistrato romano il suo interrogatorio verteva sulla sua regalità: «Siete dunque Re?» gli chiede Pilato; e Gesù risponde: «L'avete detto. Sì, io sono Re.» E nel confessare la propria regalità, ne spiega l'origine, la natura e l'ambito: l'origine che è celeste: «Il mio regno, afferma, non è di questo mondo»[*]; la natura: è una regalità spirituale nella sua essenza, è la supremazia della verità: «Sono venuto in questo mondo per rendere testimonianza alla verità»; la sua estensione: essa è senza limiti, poiché tutto è sottomesso alla verità: «Chiunque sta per la verità ascolta la mia voce.» Sarebbe stato impossibile enunciare più chiaramente il genere di supremazia che Gesù Cristo avrebbe esercitato sulla terra per mezzo della sua Chiesa; tale regalità non è temporale nel senso che non ha per principio fatti temporali e per oggetto interessi temporali: tuttavia però si estende sulle società temporali in tanto che queste debbono essere regolate dalla verità e dalla giustizia.
Il liberalismo non può dunque negare tale regalità senza nello stesso tempo negare o che la verità e la giustizia dirigano l'azione delle società ed i rapporti fra i loro membri, oppure che l'Uomo-Dio sia per gli uomini la regola suprema della giustizia e della verità; per quattordici secoli le società cristiane, nonostante le loro più colpevoli debolezze, non avevano mai pensato di contestare una siffatta supremazia del Figlio di Dio; principi e popoli erano concordi nel riconoscere l'autorità di Nostro Signore come base di ogni potere, e la sua legge come regola di tutte le leggi, formando, sotto il suo paterno scettro, quella famiglia di nazioni che era denominata la Cristianità. La Rivoluzione, col distruggere questa creazione, la più magnifica che abbia mai avuto quale teatro la terra, ha consumato una vera e propria apostasia sociale, cioè questo colpevole rinnegamento dei diritti di Gesù Cristo eretto dal liberalismo a sistema; abbiamo forse torto a denominarlo anticristianesimo?
IV. — Errori sull'uomo. — Il liberalismo s'inganna gravemente sia sulla persona dell'Uomo-Dio come pure sulla natura dell'uomo, perdendo completamente di vista i due tratti più salienti offerti agli sguardi dell'osservatore dalla umana natura nella sua condizione presente: la sua dignità sublime ed il suo profondo abbassamento; non sa cosa sia l'uomo chi non veda in lui l'unione di questi due estremi. Ed il liberalismo non solo non è in grado di conciliare tali estremi, ma è addirittura incapace di percepirli, dato che suppone l'uomo fatto unicamente per la terra, e da questo punto di vista lo assimila ai bruti. Ma come non rendersi conto che nel bruto facoltà, istinti, felicità, tutto s'armonizza col suo destino puramente temporale, mentre nell'uomo al contrario facoltà, aspirazioni, gioie e dolori, tutto suppone una vita oltre la morte? Questo è stato assai ben dimostrato dal Sig. de Saint-Bonnet perfino dal punto di vista così poco teologico dell'economia sociale: «Per capire la società temporale, ricerchiamo il suo fine al di là del tempo». Ma se si tratta l'uomo come se fosse fatto unicamente per la terra, lo si priva della possibilità di conquistare le stesse gioie terrene; infatti i membri della famiglia umana, rivolgendo verso tali godimenti necessariamente limitati la loro sete illimitata di felicità, divenuti irreconciliabili rivali, si strapperanno gli uni gli altri questo patrimonio insufficiente, ed assimilati ai bruti, ma privi del loro istinto, saranno cento volte più disgraziati di loro giungendo ad una degradazione di cui gli stessi bruti sono incapaci.
Ma al liberalismo non basta di costringere l'uomo a strisciare sulla terra col negare il suo destino celeste: esso finisce per rendere la restaurazione umana impossibile col negare che l'uomo sia decaduto. La dottrina liberale infatti, disconoscendo un fatto che abbiamo costantemente sotto gli occhi, dimenticando ciò che la nostra esperienza quotidiana rammenta, smentendo audacemente la voce dei secoli e la testimonianza unanime del genere umano, suppone l'uomo nato buono e portato naturalmente alla verità ed alla giustizia; abbandonatelo a sé stesso, dice, aumentate solo la sua libertà, e vedrete che per l'inclinazione di sua natura preferirà la verità all'errore, ed assoggetterà le sue passioni disordinate sotto il giogo della giustizia. Se c'è un'ipotesi in manifesta opposizione con la realtà, è proprio questa; e tuttavia è questa che fonda tutta la teoria del liberalismo.
V. — Errori sulla società. — Tale teoria è dunque radicalmente falsa a causa dell'idea della natura umana che ne è il punto di partenza; e lo è nondimeno a motivo del fine che assegna alla società. Secondo la dottrina cristiana il fine della società consiste nel difendere l'uomo decaduto dalle sue inclinazioni malvagie, e di favorire lo sviluppo delle sue facoltà superiori; ma se, come proclamato da Rousseau, l'uomo è nato buono ed è stato depravato solo dalle istituzioni sociali; se lo stato di natura era quello in cui tutti erano uguali ed affrancati da ogni obbligo, dunque la società non può aver altro fine che quello di riportare i suoi membri a quella felice condizione. «Bisogna allora eliminare tutto ciò che ci proviene dalla civiltà per ritrovare l'uomo della natura», e questo è il compito che s'impone il radicalismo; ma siccome con la violenza del suo procedere rischierebbe di compromettere l'opera, ecco intervenire il liberalismo come moderatore: «Vi mette dei temperamenti: prudentemente si impegna non ad abolire, ma a diminuire gradatamente l'autorità, le leggi, soprattutto la religione, fonte di tutti i mali [9].» Chiaramente una tale tattica costante è intellegibile solo a chi suppone vera la teoria sociale che Proudhon ha proclamato con brutale franchezza dicendo: «La società è l'an-archia.»
Anche qui la posizione mediana che il liberalismo pretende di conservare è assolutamente indifendibile; poichè non ammettendo la dottrina sociale che il cristianesimo ha fondato sul dogma della caduta e della redenzione, è costretto ad ammettere in tutta la sua estensione la dottrina antisociale che il socialismo ha tratto dall'ipotesi naturalista. La logica dell'errore, assecondata dalla violenza delle passioni, ha fatto scaturire le conseguenze dai loro principî, e non v'è al mondo potere né maestria capace di arrestare il corso di questo torrente: bisogna otturarne la fonte, oppure rassegnarsi a vederlo sradicare tutte le istituzioni sociali trascinando tutto quanto nel fondo dell'abisso.
È necessario essere cattolici o socialisti, afferma opportunamente il Sig. Blanc de Saint-Bonnet, tutta la politica oscilla tra queste due idee: o l'uomo nasce buono, e da ciò consegue la libertà, l'uguaglianza dei diritti, l'illegittimità del codice penale e dell'autorità; oppure l'uomo nasce malvagio, e da ciò la repressione, l'educazione, la legittimità della pena e quella dei poteri. La questione religiosa è tutta la questione politica; il vostro razionalismo, o uomini di Stato, non è che la metafisica del socialismo [10].»
Tale è dunque la conclusione che risulta già con evidenza da questa prima parte del nostro studio: il liberalismo e la Rivoluzione sono un tutt'uno; il liberalismo è la dottrina della Rivoluzione, e la Rivoluzione è l'applicazione pratica del liberalismo. Tale pratica, come la teoria stessa, può essere più o meno logica: vi è la Rivoluzione moderata e la Rivoluzione radicale; ma tra l'una e l'altra vi è la stessa differenza che passa tra il torrente nell'attimo in cui rompe gli argini ed il torrente stesso quando devasta le campagne: cioè la differenza che c'è tra il principio e le sue conseguenze. Lo comprenderemo ancor meglio considerando l'inesorabile necessità in virtù della quale i popoli che si sono lasciati sedurre dalla menzogna del principio liberale sono costretti a divorare tutta l'amarezza delle sue conseguenze. [Traduzione: C.S.A.B.]
NOTE:
[1] A. von Reichensperger.
[2] Saremo fortemente aiutati in tale studio dal bel libro che il sig. Blanc de Saint-Bonnet ha recentemente pubblicato col titolo La Légitimité (1 vol. gr. in-8, chez Castermann à Tournai, et à Paris, chez Laroche). Un giudice competente, Mons. Vescovo di Poitiers, ha detto di questo libro che «è opera di uno spirito eminente costantemente ispirato da un grande cuore»; ed il prelato ha aggiunto: «Non si può meglio affermare la natura della società, la sua legge essenziale, la funzione datale da Dio nei confronti dell'umanità, la sua necessità, la sua grandezza... La vera nozione della libertà è così liberata dalla menzogna colla quale è presentata al mondo dal liberalismo, a sua disgrazia e rovina. Il liberalismo vi è studiato a fondo, smascherato senza pietà, denunciato con vigore e giudicato senza appello. Il liberalismo cattolico, in particolare, è fortemente combattuto e solidamente refutato.»
Questo libro ha però un glorioso difetto, che condivide col volume sì notevole che l'ha preceduto col titolo La Restauration française: l'uno e l'altro possono essere gustati solamente da spiriti gravi; e non sono gli spiriti gravi che oggi rendono i libri di moda. Forse il Sig. de Saint Bonnet avrebbe potuto, senza pregiudizio per l'elevatezza di sua dottrina, condiscendere un poco all'infermità dei lettori analizzando maggiormente le proprie teorie ed inquadrandole in un metodo più comprensibile. Ma non è a buon diritto che si rimprovera a Platone di non essere Aristotele; e non uno di coloro che avranno il coraggio di seguire il Sig. de Saint-Bonnet fino alla fine si rammaricherà delle fatiche di un viaggio che avrà svelato splendidi orizzonti ai loro sguardi.
Rinviamo dunque a lui i lettori che desiderassero approfondire le questioni che stiamo per trattare, indicando loro anche quattro volumi editi dal Sig. Goemaere a Bruxelles col titolo: La Révolution et la Restauration de l'Ordre social. L'abbé Onclair vi ha raccolto in ordine metodico i lavori più rilevanti pubblicati su tale questione dalla Civiltà Cattolica. Non v'è bisogno di segnalare le due opere che Auguste Nicolas ha recentemente pubblicato sullo stesso tema: L'État sans Dieu, e La Révolution et l'ordre chrétien; per coloro che ancora non li conoscessero, il nome del loro autore costituirà una raccomandazione sufficiente (Paris, Vaton).
[3] In un opuscolo notevolissimo apparso durante il concilio Vaticano col titolo: Il concilio ecumenico Vaticano ed i cattolici liberali, il P. Ludovico da Castelplanio, Francescano, fa una diversa distinzione tra le tre frazioni del partito liberale. Secondo lui i liberali puri sono coloro che negano i diritti di Dio sull'individuo stesso; i liberali moderati coloro che si contentano di sottrarre al suo dominio le società, ed infine i cattolici liberali sono coloro che negano, in quanto cattolici, i principî erronei del liberalismo accettando coi liberali i fatti che derivano da tali principî. Siccome questo genere di classificazioni sono più o meno arbitrarie, non riteniamo necessario difendere la nostra; il lettore giudicherà da sé se abbiamo avuto torto o ragione a distinguere differenti generi di liberalismo e, in ciascun genere, i tre gradi che abbiamo indicato. Ma non possiamo dispensarci di fare un appunto, a riguardo del liberalismo cattolico, che eliminerà l'opposizione apparente che si potrebbe rilevare tra la nostra dottrina e quella del dotto francescano. Nel nostro libro dal titolo: Les Doctrines romaines sur le libéralisme abbiamo affermato, d'accordo, crediamo, con i più eminenti scrittori cattolici, che non merita di essere tacciato di liberalismo colui che si contenta di accettare di fatto, ed in quanto ipotesile libertà moderne, purché nella tesi mantenga i principî nella loro integrità.
Tale affermazione sembra contraddetta dal P. da Castelplanio che fa proprio consistere nell'accettazione dei fatti l'errore dei cattolici liberali. Tale divergenza scomparirà se si distinguono due generi d'accettazione: una approvativa e l'altra puramente permissiva. Accettare le libertà moderne nel senso di non combatterle in quelle società ove la loro distruzione è impossibile o potrebbe produrre perfino un male più grande, questo è ciò che fa la Chiesa stessa e ciò che, di conseguenza può fare ogni cattolico senza incorrere in alcun tipo di biasimo. L'errore dei cattolici liberali consiste perciò unicamente nell'accettazione approvativa di tali libertà contrarie ai diritti di Gesù Cristo e della Chiesa; perché approvandole essi compromettono i principî, anche solo col silenzio che mantengono sistematicamente perfino quando sono posti nella condizione di professarli.
[4] Sig. Blanc de Saint-Bonnet, De la Légitimité, prefazione.
[5] Rex gentium (Jer., X, 7); desideratus cunctis gentibus (Agg. II, 8).
[6] Ps., LXXI, 2; LXXV, 9. — Is., II, 2 et seq.
[7] Ps., II, 8.
[8] Ps., II, 10.
[*] Si noti che il P. Ramière riferisce l'affermazione di Nostro Signore «Il mio regno non è di questo mondo» all'origine del Suo Regno, in conformità con la Tradizione cattolica (cioè: il Regno di N.S. Gesù Cristo non ha la sua origine in questo mondo. Tale interpretazione è spiegata più in dettaglio dal P. Liberatore: «La Chiesa è vero regno. Essa è il regno di Dio sulla terra, del quale Cristo è il monarca invisibile, il suo Vicario è il monarca visibile. Allorchè Cristo dinanzi al presidente romano confessò di essere re, Rex sum ego, non disse (nota opportunamente S. Agostino) «il mio regno non è qui», ma «non è da qui»; non disse «il mio regno non è in questo mondo», ma «non è da questo mondo». Imperocchè veramente il suo regno è quaggiù, ed è duraturo infino alla consumazione de' secoli» («Christus non dixit: Regnum meum non est hic, sed, non est hinc; non dixit: Regnum meum non est in hoc mundo, sed, [non est] de hoc mundo. Hic enim est regnum eius usque in finem saeculi.» S. Agostino, Trattato 115 in Ioan.). R. P. Matteo Liberatore d.C.d.G., La Chiesa e lo Stato (2a ed.) Napoli 1872, pag. 37. Cfr. S. S. Papa Pio XI, Lettera Enciclica Quas primas, 11 dicembre 1925.
[9] De la Légitimité, p. 102.
[10] Restauration française, t. II. c. XXVI, p. 198.
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