L’ora del Terremoto: come un ladro nella notte
di Isacco Tacconi
Andare a coricarsi la sera, quando le luci si spengono una ad una
come piccole candele nella notte cheta, e i bambini già dormono nei loro
letti nella spensierata serenità di chi è certo del domani che verrà. E
poi, nel cuore della notte, quando da poco è scoccata l’ora del
Principe delle tenebre che per rovesciare l’ora della Crocifissione e
Morte del Figlio di Dio, imita grottescamente l’opera della nostra
Redenzione trasformandola nel tempo oscuro in cui si rivela il figlio
dell’iniquità, lo avvertiamo, forte, improvviso, orribile e
inarrestabile lo scuotimento degli abissi.
Le fondamenta della terra si squassano, i monti fondono come cera al semplice suono del vento divino che ha aperto in due il «lito rubro».
In un attimo, quel sonno dell’umana superbia che ubriaca la coscienza
si dissolve precipitandoci nel più tetro degli incubi: la terra si apre
sotto i nostri piedi per inghiottirci. In fretta ci si alza, impotenti:
cosa fare? Dove fuggire? Come evitare il colpo vibrante della falce che
cala inesorabile sulle nostre flebili vite, le quali sembravano essere
un granché e, invece, come erba secca alla sera è falciata e dissecca?
Il terrore si impadronisce di ogni fibra del nostro corpo votato alla
morte, ogni nostro sentire è un fremito interno che l’anima non può
dominare, e ci accorgiamo che la nostra vita è veramente un soffio.
“Stolto, questa notte stessa l’anima tua ti sarà ridomandata, e quanto
hai preparato di chi sarà?”. O uomo, non stupirti della tua miseria, ma
riconosci il tuo vuoto nulla, poiché siamo ombre vaporose che appaiono e
dispaiono: “homo natus de muliere, brevi vivens tempore, replétur
multis misériis. Qui quasi flor egréditur et contéritur, et fugit velut
humbra”.
La terra trema, la nostra casa diventa la nostra stessa prigione, non
possiamo uscire, la vita che poc’anzi ci sembrava essere senza fine ora
è appesa al filo impietoso delle laboriose moire; ci è sottratto il
tempo e il luogo dove finire i nostri giorni. La morte non attende,
quando è giunta l’ora essa non tarda e obbedisce alla divina giustizia
che miete dove non ha seminato. Soltanto il nome di Colei che ferma il
braccio infuocato dell’angelo castigatore è la nostra speranza. E d’un
tratto una famiglia colta dallo spavento, si dispone ad affrontare
l’infallibile giudicamento. Le ginocchia si piegano, i cuori si
sciolgono, le dita scorrono sui grani mentre ancora le pareti ondeggiano
e l’uomo è ricondotto a guardare il cielo, giacché la terra frana e non
c’è dove potersi appigliare. Il firmamento, tale è, perché unica
fermezza e stabilità che sovrasta il movimento della terra, sospesa nel
vuoto spazio del cielo universo, mentre volge verso l’ultimo
scioglimento in favilla, come attestarono il santo profeta Davide con la
Cumana Sibilla.
“Ma Dio è buono e misericordioso”, qualcuno dirà, e non può volere la
morte degli innocenti. Eppure la bontà e la misericordia risplendono
nella giustizia, perché al di fuori della giustizia vige l’ingiustizia,
come al di fuori del bene sussiste solo il male, e lontano dalla luce le
tenebre. Possiamo noi sapere agli occhi di Dio chi è senza peccato, chi
senza colpa? “Si iniquitàtes observàveris Domine, Domine, quis sustinébit?”.
Nulla sfugge a Colui che tutto ha creato e tutto conserva nell’essere,
che se solo distogliesse lo sguardo dal mondo esso collasserebbe come un
buco nero per ritornare nel baratro del nulla da cui è uscito. Se Dio
permette il male morale è per non togliere a noi la dignità di creature
dotate di libero arbitrio. Ma quando Dio permette il male che proviene
dalla morte e dalla distruzione è perché vuole ricondurre a sé i suoi
figli smarriti e, nella verità della sua vacuità, fargli levare lo
sguardo verso quae aeterna sunt. Come un padre che per
ricondurre il proprio figlio sulla via del bene deve colpirlo duramente
affinché si ravveda, perché, attraverso il castigo possa aver salva
l’anima come sta scritto: «Lo stolto non si corregge con le parole» e
ancora: «Percuoti tuo figlio con la verga e libererai la sua anima dalla
morte».