Nota di Piergiorgio Seveso: chi è del “nostro giro” conosce quasi a memoria questo maraviglioso
pezzo, degno di un infiammato quaresimalista, scritto dal musicologo
Monsignor Domenico Celada nei primi anni della rivoluzione liturgica
montiniana (giunta al suo compimento, dopo una progressiva descensus ad inferos,
il 30 novembre 1969 – prima domenica d’Avvento). Il pezzo fu pubblicato
su “Vigilia romana”, l’organo del movimento “Civiltà cristiana”:
movimento e rivista che si dissolsero entrambi a metà degli anni
Settanta. A quest’ultima collaborarono (o direttamente o indirettamente)
molte penne note a chi ci legge: Monsignor Francesco Spadafora, padre
Noel Barbara, il domenicano padre Luciano Cinelli, lo stimmatino padre
Cornelio Fabro, il salesiano Don Giuseppe Pace, il francescano Antonio
Coccia, l’abbè Louis Coache, Cristina Campo, l’allora padre
Guerard Des Lauriers (futuro vescovo), alcuni cappellani militari (anche
della RSI), altri laici come Fausto Belfiori, Tito Casini ed il suo
direttore Franco Antico, poi arrestato durante le indagini per il “golpe
Borghese”.
Iniziativa coraggiosa e molto composita, vera manifestazione
di quel variegato fronte anticomunista conservatore e monarchico che
non seppe mai portare alle giuste conseguenze teologiche e ecclesiali il
suo rifiuto della rivoluzione conciliare e quindi naturalmente
ne venne triturato e si sfaldò in mille rivoli, spesso contraddittori
tra loro e ancor più spesso spurii e in ultima conniventi con quella
rivoluzione che voleva combattere. Se “Vigilia romana” fu spazzata via
per la sua intima e radicale debolezza (subendo anche l’onta suprema di
una neutralizzazione post mortem come nel saggio di Giuseppe
Brienza), va detto che oggi una rivista cattolica, con così grande
spessore culturale, sarebbe impossibile (almeno nelle nostre terre) per
la totale mancanza di ingegni e per la ancor più esiziale mancanza di
coraggio in quel che resta del campo di Dio. Monsignor Celada,
collaboratore anche de “Il tempo” e de “Lo Specchio”, presente alla
stesura del “Breve esame critico del Novus Ordo Missae” , pagò il suo
coraggio con la perdita della cattedra di Gregorianistica alla
Lateranense, morendo relativamente giovane negli anni Settanta, ma i
suoi scritti rimangono a testimonianza di una passione per la difesa
della Messa romana che non vien meno. Siano queste parole di terribile
monito e di severa minaccia a chi oggi vuole barattare i brandelli di
ciò che resta di una primogenitura con un piatto di lenticchie
(argentine).
Tratto da “Vigilia Romana” Anno III, N. 11, Novembre 1971.
di Monsignor Domenico Celada
E’
da tempo che desideravo scrivervi, illustri assassini della nostra
santa Liturgia. Non già perch’io speri che le mie parole possano avere
un qualche effetto su di voi, da troppo tempo caduti negli artigli di
Satana e divenuti suoi obbedientissimi servi, ma affinché tutti coloro
che soffrono per gli innumerevoli delitti da voi commessi possano
ritrovare la loro voce.
Non
illudetevi, signori. Le piaghe atroci che voi avete aperto nel corpo
della Chiesa gridano vendetta al cospetto di Dio, giusto Vendicatore. Il
vostro piano di sovversione della Chiesa, attraverso la liturgia, è
antichissimo. Ne tentarono la realizzazione tanti vostri predecessori,
molto più intelligenti di voi, che il Padre delle Tenebre ha già accolto
nel suo regno. Ed io ricordo il vostro livore, il vostro ghigno
beffardo, quando auguravate la morte, una quindicina d’anni fa, a quel
grandissimo Pontefice che fu il servo di Dio Eugenio Pacelli, poiché
questi aveva compreso i vostri disegni e vi si era opposto con
l’autorità del Triregno.
Dopo
quel famoso convegno di “liturgia pastorale”, sul quale erano cadute
come una spada le chiarissime parole di Papa Pio XII, voi lasciaste la
mistica assise schiumando rabbia e veleno.