EPISTOLA Léctio Epístolæ B. Pauli Ap. ad Corínthios, I, 1, 4-8
Fratres: Grátias ago Deo meo semper pro vobis in grátia Dei, quæ data est vobis in Christo Iesu: quod in ómnibus dívites facti estis in illo, in omni verbo, e t in omni sciéntia: sicut testimónium Christi confirmátum est in vobis ita ut nihil vobis desit in ulla grátia, exspectántibus revelatiónem Dómini nostri Iesu Cristi, qui et confirmábit vos usque in finem sine crímine, in die advéntus Dómini nostri Iesu Christi. M. - Deo grátias. Fratelli: Ringrazio continuamente il mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della scienza. La testimonianza di Cristo si è infatti stabilita tra voi così saldamente, che nessun dono di grazia più vi manca, mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. Egli vi confermerà sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo. M. - Deo grátias.
GRADUALE Ps. 121, 1 et 7 - Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus. Fiat pax in virtúte tua: et abundántia in túrribus tuis. Sal. 121, 1 e 7 - Mi rallegrai di ciò che mi fu detto: andremo alla casa del Signore. Regni la pace nelle tue mura e la sicurezza nelle tue torri.
Dagli scritti di Padre Adophe Tanquerey (1854 - 1932).
Conformità alla volontà di beneplacito.
Questa conformità consiste nel
sottomettersi a tutti i provvidenziali avvenimenti voluti o permessi da
Dio per il nostro maggior bene e principalmente per la nostra
santificazione.
a) Si appoggia sopra questo fondamento:
che nulla succede senza il volere o il permesso di Dio, e che Dio,
essendo infinitamente sapiente e infinitamente buono, nulla vuole e
nulla permette se non per il bene delle anime, anche quando noi non
riusciamo a vederlo. [...]
Ma per capir questa dottrina, bisogna
guardar le cose con l'occhio della fede e dell'eternità, della gloria di
Dio e della salute degli uomini. Chi si ferma alla vita presente e alla
terrena felicità, non riuscirà mai a intendere i disegni di Dio, che
volle assoggettarci alla prova quaggiù per ricompensarci poi nel cielo.
Tutto è subordinato a questo fine, non essendo i mali presenti che un
mezzo per purificarci l'anima, rinsaldarla nella virtù, e farci
acquistare dei meriti; ogni cosa poi per la gloria di Dio che resta il
fine ultimo della creazione.
b) È dunque un dovere per noi di
sottometterci a Dio in tutti gli avvenimenti lieti o tristi che siano,
nelle pubbliche calamità o nelle private sventure, nelle intemperie
delle stagioni, nella povertà e nei patimenti, nel lutto che ci colpisce
come nel gaudio, nell'ineguale ripartizione dei doni naturali o
soprannaturali, nella povertà come nella ricchezza, nei rovesci come nei
buoni successi, nelle aridità come nelle consolazioni, nella malattia
come nella sanità, nella morte e nei dolori ed incertezze che
l'accompagnano. [...] S. Francesco di Sales, commentando queste parole,
ne ammira la bellezza: "O Dio, quale parole di grandissimo amore! Pensa,
Teotimo, che dalla mano di Dio Giobbe ricevette i beni, dichiarando con
ciò che non aveva tanto stimato i beni perchè beni quanto perchè
provenivano dalla mano del Signore. Stando così le cose, ne conchiude
che bisogna amorosamente sopportare le avversità perchè procedono dalla
stessa mano del Signore, che è egualmente amabile quando distribuisce
afflizioni come quando largisce consolazioni". Le afflizioni infatti ci
porgono occasione di meglio attestare il nostro amore a Dio; l'amarlo
quando ci ricolma di beni è cosa facile, ma spetta solo all'amore
perfetto il ricevere i mali dalla sua mano, non essendo essi amabili se
non per riguardo di chi li dà.
Questo dovere di sottomissione al
beneplacito di Dio negli avvenimenti tristi è dovere di giustizia e
d'obbedienza, perchè Dio è Supremo nostro Padrone che ha su di noi ogni
autorità; è dovere di sapienza, perchè sarebbe follia volersi sottrarre
all'azione della Provvidenza, mentre che nell'umile rassegnazione
troviamo la pace; è dovere d'interesse, perchè la volontà di Dio non ci
prova che per nostro bene, per esercitarci nella virtù e farci
acquistare dei meriti; ma è sopratutto dovere d'amore perchè l'amore è
dono di sè fino all'immolazione.
EPISTOLA Léctio Epístolæ B. Pauli Ap. ad Ephésios, 4, 1-6
Fratres: Obsecro vos ego vinctus in Dómino, ut digne ambulétis vocatióne, qua vocáti estis, cum omni humilitáte, et mansuetúdine, cum patiéntia, supportántes ínvicem in caritáte, sollíciti serváre unitátem spíritus in vínculo pacis. Unum corpus, et unus spíritus, sicut vocati estis in una spe vocatiónis vestræ. Unus Dóminus, una fides, unum baptísma. Unus Deus, et Pater ómnium, qui est super omnes, et per ómnia, et in ómnibus nobis. Qui est benedíctus in sǽcula sæculórum. Amen. M. - Deo grátias.
Fratelli: vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti. Egli che è benedetto nei secoli dei secoli. Amen.
Estratti dalle opere “De nuptiis et concupiscentiâ” e “De bono coniugali” di Sant’Agostino d’Ippona,
Padre e Dottore della Chiesa (354 – 430).
Ciascun uomo è parte del genere umano; la sua natura è qualcosa di
sociale e anche la forza dell’amicizia è un grande bene che egli
possiede come innato. Per questa ragione Dio volle dare origine a tutti
gli uomini da un unico individuo, in modo che nella loro società fossero
stretti non solo dall’appartenenza al medesimo genere, ma anche dal
vincolo della parentela. Pertanto il primo naturale legame della società
umana è quello fra uomo e donna.
E Dio non produsse neppure ciascuno dei due separatamente,
congiungendoli poi come stranieri, ma creò l’una dall’altro, e il fianco
dell’uomo, da cui la donna fu estratta e formata, sta ad indicare la
forza della loro congiunzione. Fianco a fianco infatti si uniscono
coloro che camminano insieme e che insieme guardano alla stessa meta.
Conseguenza è che la società si continua nei figli che sono l’unico
frutto onesto non del legame tra l’uomo e la donna, ma della relazione
sessuale. Infatti anche senza un simile rapporto vi sarebbe potuta
essere nei due sessi una forma di amichevole e fraterna congiunzione,
fungendo l’uomo da guida e la donna da compagna.
Riguardo la fedeltà, il tradimento e il divorzio
Ciò che vogliamo dire ora, riferendoci a questa condizione di nascita
e di morte che conosciamo e nella quale siamo stati creati, è che il
connubio del maschio e della femmina è un bene. E tale unione è
approvata a tal punto dalla divina Scrittura che non è
consentito di passare a nuove nozze a una donna ripudiata dal marito,
finché il marito vive, né è consentito di risposarsi all’uomo respinto
dalla moglie, finché non sia morta quella che lo ha abbandonato.
[…] A ciò si aggiunge che mentre essi si rendono a vicenda il debito
coniugale, anche quando esigono questo dovere in maniera piuttosto
eccessiva e sregolata, sono tenuti comunque alla reciproca fedeltà. E a
questa fedeltà l’Apostolo attribuisce un diritto tanto grande da
chiamarla potestà, quando dice: “Non è la moglie che ha potestà sul
proprio corpo, ma il marito; allo stesso modo non è il marito che ha
potestà sul proprio corpo, ma la moglie” (1 Corinzi 7:4).
La violazione di questa fedeltà si dice adulterio, quando, o per impulso
della propria libidine, o per accondiscendenza a quella altrui, si
hanno rapporti con un’altra persona contrariamente al patto coniugale.
Così si infrange la fedeltà, che anche nelle cose più basse e materiali è
un grande bene dello spirito, e perciò è certo che essa dev’essere
anteposta perfino alla conservazione fisica, sulla quale si fonda la
nostra vita temporale. Un filo di paglia di fronte a un mucchio d’oro è
praticamente un nulla; tuttavia la buona fede, quando viene osservata
coscienziosamente, si tratti d’oro o di paglia, non sarà certo di minor
valore perché è osservata in cosa di minor valore. Quando poi la lealtà
viene impegnata per commettere un peccato, certo sorprende che si possa
far ricorso lo stesso a questo termine; ma ad ogni modo, qualunque sia
la natura di questa lealtà, se il peccato avviene anche contro di essa, è
più grave. Si deve eccettuare solo il caso che essa sia trasgredita
proprio per tornare alla buona fede autentica e legittima, cioè per
correggere la perversione della volontà ed emendare il peccato.
Papa Leone XIII, Dum multa (2), 24/12/1902: "Ne consegue, dunque, che il Matrimonio dei Cristiani una volta pienamente compiuto… non può essere dissolto per alcuna ragione salvo la morte di qualunque dei 2 sposi, secondo le sante parole: 'Ciò che Iddio ha unito che nessun uomo divida.'."
"Papa
Francesco ha radicalmente riformato il processo della Chiesa Cattolica
per l'annullamento dei Matrimoni, permettendo le decisioni brevi e
rimuovendo gli appelli automatici in un tentativo di accelerare e
semplificare la procedura… La maggiore riforma di Francesco
coinvolge una nuova procedura breve, gestita da un vescovo, utilizzabile
allorché entrambi gli sposi richiedono un annullamento o non si oppongo
ad esso. Essa può anche essere utilizzata quando dell'altra evidenza
rende un'investigazione più estesa non necessaria. Essa richiede che il processo venga completato entro 45 giorni… Un'altra
riforma è la rimozione dell'appello già prendente luogo automaticamente
appresso l'emissione della prima decisione, anche se nessuna delle
parti lo desiderasse. Un appello è ancora possibile, tuttavia, una delle
parti lo deve richiedere: una semplificazione utilizzata negli Stati
Uniti di America per molti anni. La riforma permette ancora al
vescovo locale, in posti in cui il normalmente richiesto tribunale a 3
giudici non è disponibile, di essere egli stesso il giudice o di
delegare la gestione dei casi ad un sacerdote-giudice munito di 2
assistenti.".
Commento del MFSS
Come
illustrato dal materiale del presente monastero, nella Chiesa Cattolica
non esiste alcuna cosa simile allo "annullamento" di un Santo
Matrimonio consumato, bensì, qualora in presenza di chiara evidenza
dimostrante che una particolare unione non è stata validamente
contratta, solamente una dichiarazione di nullità per cui una certa
unione fu giammai un Santo Matrimonio in prima istanza. Tali
dichiarazioni, donde certune unioni non furono effettivamente dei Santi
Matrimoni in prima istanza, venivano tradizionalmente concesse
rarissimamente. Tali casi sono estremamente difficili da dimostrare e
qualora vi fosse del dubbio circa la valida contrazione del Santo
Matrimonio da parte di una particolare unione la Chiesa Cattolica
presumerebbe la validità del medesimo.
Papa Leone XIII, Dum multa (2), 24/12/1902: "Ne consegue, dunque, che il
Matrimonio dei Cristiani una volta pienamente compiuto… non può essere
dissolto per alcuna ragione salvo la morte di qualunque dei 2 sposi, secondo le sante parole: 'Ciò che Iddio ha unito che nessun uomo divida.'."
Nella
setta del Vaticano II, invece, gli "annullamenti" vengono erogati
continuamente. Essi vengono quasi sempre concessi allorché richiesti.
Essi fungono come divorzio e nuovo sposalizio di fatto. Verbigrazia, negli
SUA, nell'anno 1968, vennero concessi solamente 338 apparenti
annullamenti, allorquando l'insegnamento matrimoniale pre-Vaticano II
era ancora sostenuto dalla più parte delle persone. Ciò malgrado,
con l'esplosione dell'apostasia del Vaticano II l'apostasia
dell'indissolubilità del Santo Matrimonio è stata gettata dalla finestra
assieme agli altri dogmi. Dal 1984 al 1994 la chiesa del Vaticano II, negli SUA, ha concesso poco meno di 59000 pretesi annullamenti all'anno, seppure
il numero di Santi Matrimoni "Cattolici" sia caduto di un terzo dal
1965 in poi. La setta del Vaticano II ratifica chiaramente il divorzio
ed il nuovo sposalizio.
Nondimeno, persino il passo del
divorzio e del nuovo sposalizio presso la contro-Chiesa Cattolica era
troppo lento per l'apostatico Antipapa Francesco. Mediante i suoi
novelli documenti demoniaci egli ha reso lo "abbandono" e la contrazione
di "nuovi" Santi Matrimoni da parte degli aderenti alla contro-Chiesa
Cattolica molto più facili. Egli ha accelerato il processo, aggiungendo
nuove "ragioni" per richiedere un "annullamento", come l'aborto,
concedendo nuovi poteri alle "autorità" locali. Precedentemente, una
seconda corte avrebbe confermato la decisione; ciò è decaduto.
Precedentemente, vi erano delle spese; ora non più. In alcuni casi,
l'apostatico "vescovo" locale, della setta del Vaticano II, può arrivare
ad una decisione in solitudine. Nella contro-Chiesa Cattolica è tutto
incentrato sul rendere il divorzio ed il nuovo sposalizio più facili di
quanto lo fossero. Ecco come un giornale del "novus ordo" ha riassunto
alcuni dei cambiamenti:
"- È sufficiente una sentenza di 'nullità'; - è sufficiente un giudice, sotto la responsabilità del 'vescovo', per supervisionare il processo; - sotto certe circostanze ciascun 'vescovo' può fungere egli stesso da giudice; - nel caso di un evidente 'annullamento' il processo sarebbe ancor più rapido; -
le conferenze dei 'vescovi' locali sono chiamate ad aiutare i 'vescovi'
individuali tramite il processo di riforma, essendo esortati ad
ausiliare a garantire che il processo sia gratuito, fatta salva 'la
giusta e decente rimunerazione dei lavoratori delle corti'; -
l'appello di una sentenza, nel caso fosse necessario, potrebbe essere
trattato localmente, a livello della 'arcidiocesi' più prossima,
piuttosto che presentarlo in Vaticano.
(http://www.cruxnow.com/church/2015/09/08/pope-francis-streamlines-process-for-granting-annulments/)".
Ancorché
sia richiesta solamente una sentenza, ove fosse avanzato un appello
esso potrebbe essere trattato dalla "arcidiocesi" più prossima; non è
più necessario presentarlo a Roma, Italia. Sotto tale nuovo accordo gli
apostatici "ordinari" della setta del Vaticano II saranno capaci di
appagare chiunque si trovi scontento nel proprio Santo Matrimonio. Gli
aderenti alla setta del Vaticano II possono ritrovarsi "non-sposati" nel
giro di 45 meri giorni dalla lamentela presentata al proprio "vescovo".
Ciò è ripugnante. È tutto incentrato sull'adorazione dell'uomo,
rifiutando giammai le di esso voglie ed i di esso desideri. Ci si può
immaginare quanto disastrosa possa nel futuro essere tale decisione a
livello locale nella setta del Vaticano II, dove i di essa "vescovi"
apostatici difendono nulla e condannano nulla?
Léctio Epístolæ B. Pauli Ap. ad Ephésios, 3, 13-21 Fratres: Obsecro vos, ne deficiátis in tribulatiónibus meis pro vobis, quæ est glória vestra. Huius rei grátia flecto génua mea ad Patrem Dómini nostri Iesu Christi, ex quo omnis patérnitas in coelis et in terra nominátur, ut det vobis secúndum divítias glóriæ suæ, virtúte corroborári per Spíritum eius in interiórem hóminem, Christum habitáre per fidem in córdibus vestris: in caritáte radicáti, et fundáti ut possítis comprehéndere cum ómnibus sanctis, quæ sit latitúdo et longitúdo, et sublímitas, et profúndum: scire étiam supereminéntem sciéntiæ caritátem Christi, ut impleámini in omnem plenitúdem Dei. Ei áutem, qui potens est omnia fácere superabundánter quam pétimus, aut intellígimus secúndum virtútem, quæ operátur in nobis: ipsi glória in Ecclésia, et in Christo Iesu, in omnes generatiónes sǽculi sæculórum. Amen. M. - Deo grátias.
Fratelli: Vi prego quindi di non perdervi d'animo per le mie tribolazioni per voi; sono gloria vostra. Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore. Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio. A colui che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen. M. - Deo grátias.
Da: Opere, classe I,
Opere ascetiche Vol. I: Le glorie di
Maria, Vol. I Torino 1824 pag. 17-31.
SOPRA LA SALVE REGINA
si ragiona delle molte e
copiose grazie, che la madre di dio dispensa a' suoi divoti, dichiarate
in diversi punti sopra la salve regina
Nativitas B. Mariae Virginis
CAPITOLO PRIMO
Salve, Regina, Mater Misericordiae.
§. I. Quanta dev'essere la nostra confidenza in Maria, per
esser ella la Regina della Misericordia.
§. I. Quanta dev'essere la nostra confidenza in Maria, per
esser ella la Regina della Misericordia.
Poichè la gran Vergine Maria fu esaltata ad esser Madre del
Re
de' Regi, con giusta ragione la s. Chiesa l'onora, e vuole che da
tutti sia onorata col titolo glorioso di Regina. Se il Figlio è
Re, dice s. Attanagio (Ser. de Deip.)
giustamente la Madre de[v]e
stimarsi e nominarsi Regina: Si ipse
Rex est qui natus est de Virgine, Mater quae eum genuit, Regina et
Domina proprie ac vere censetur.
Sin da che Maria, soggiunge s. Bernardino da Siena, diede il suo
consenso in accettare d'esser Madre del Verbo eterno, sin
d'allora meritò di esser fatta la Regina del
mondo e di tutte le creature: Haec
autem Virgo in illo consensu meruit primatum orbis, dominium mundi,
sceptrum regni super
omnes creaturas (tom. 2
§. 51.) Se la carne di Maria,
discorre s. Arnoldo Abbate, non fu divisa da quella di Gesù,
come poi dalla monarchia del figlio può esser separata la Madre?
Neque a dominatione filii Mater
potest esse sejuncta. Una est Mariae
et Christi caro. Ond'è, che dee giudicarsi la gloria del
regno
non solo esser comune tra la Madre e 'l Figlio, ma ben anche la stessa:
Filii gloriam cum Matre non tam communem judico, quam eamdem(s. Arn. de Laud. Virg.).
E se Gesù è Re dell'universo, dell'universo ancora
è Regina Maria: Regina
constituta totum jure
possidet filii regnum. Ruberto Abbate. Sicchè, dice s.
Bernardino da Siena, quante sono le creature che servono a Dio,
tante debbono ancora servire a Maria; giacchè gli Angeli e
gli uomini e tutte le cose che sono nel cielo e nella terra, essendo
soggette all'imperio di Dio, son anche soggette
al dominio della Vergine; tot
creaturae serviunt
gloriosae Virgini, quot serviunt Trinitati; omnes namque creaturae,
sive Angeli, sive homines, et omnia quae sunt in coelo et in
terra, quia omnia sunt divino imperio subjecta, gloriosae Virgini sunt
subjectae(To. 2. c. 61.)
Quindi rivolto alla divina Madre Guerrico Abbate, così le parla:
Perge, Maria, perge secura, in bonis
filii
tui, fiducialiter age tamquam Regina, Mater regis et sponsa; tibi
debetur regnum et potestas: Siegui dunque, o Maria, siegui
sicura a
dominare, disponi pure a tuo arbitrio de' beni del tuo figlio, mentre
essendo madre e sposa del Re del mondo, si deve a te, come Regina, il
regno e il dominio sopra tutte le creature.
Regina dunque è Maria: ma sappia ognuno per
comune consolazione, che ella è una regina tutta dolce,
clemente ed inclinata al bene di noi miserabili. Perciò la s.
Chiesa vuole, che noi la salutiamo in questa orazione, e la
chiamiamo Regina della misericordia.
Il nome stesso di Regina, come
considera il b. Alberto Magno, significa pietà e provvidenza
verso de' poveri; a differenza del nome d'Imperatrice, che significa
severità e rigore. La magnificenza dei re e delle regine
consiste nel sollevare i miserabili, dice Seneca: Hoc reges habent
magnificum, prodesse miseris. Sicchè dove i Tiranni nel
regnare han per fine il proprio bene, i regi debbono aver per
fine il bene de' vassalli. Onde è, che nella consagrazione de'
re si ungono le loro teste con olio, simbolo di misericordia, per
dinotare che essi in regnando debbono sopra tutto nudrire pensieri di
pietà e beneficenza verso de' sudditi.
Debbono dunque i regi principalmente impiegarsi nelle opere di
misericordia, ma non talmente che si dimentichino di usar la giustizia
verso de' rei, quando si deve. Non così Maria, la
quale benchè Regina, nulladimeno non è Regina della
giustizia intenta al castigo de' malfattori, ma Regina della
misericordia, intenta solo alla pietà ed al perdono de'
peccatori. E perciò la Chiesa vuole, che espressamente la
chiamiamo Regina della misericordia. Considerando il gran Cancelliere
di Parigi Giovan Gersone le parole di Davidde: Duo haec audivi,
quia potestas Dei est, et tibi, Domine, misericordia(Ps. 61. 12.) [«Queste
due cose io udii: che la potenza è di Dio: e e che in te, o
Signore, è misericordia» N.d.R.]
Dice, che, consistendo il Regno di Dio nella giustizia e nella
misericordia, il Signor l'ha diviso; il Regno della Giustizia se l'ha
riserbato per sè, e il Regno della misericordia l'ha ceduto a
Maria, ordinando, che tutte le misericordie che si dispensano agli
uomini, passino per mano di Maria, ed a suo arbitrio si dispensino.
Ecco le parole di Gersone: Regnum
Dei consistit in potestate et misericordia: potestate Deo remanente,
cessit quodammodo
misericordiae pars Matri regnanti(P. 3. Tr. 4. s. Magn.) E lo
conferma s. Tommaso nella prefazione all'Epistole canoniche, dicendo,
che la s. Vergine, allorchè concepì nel seno il divin
Verbo, e lo partorì, ottenne la metà del regno di Dio,
con divenir ella la Regina della misericordia, e restando Gesù
Cristo Re della Giustizia: Quando
filium Dei in utero concepit, et
postmodum peperit, dimidiam partem regni Dei impetravit, ut ipsa sit
Regina misericordiae, ut Christus est Rex justitiae.
L'eterno Padre costituì Gesù Cristo Re di giustizia, e
perciò lo fè Giudice universale del mondo; onde
cantò il Profeta: Deus
judicium tuum Regi da et justitiam tuam filio Regis(Ps. 71. 2.) [«Dà,
o Dio, la potestà di giudicare al Re, e l'amministrazione di tua
giustizia al figliuolo del Re» N.d.R.]
Qui ripiglia un dotto interprete, e dice:
Signore, voi avete data al vostro figlio la giustizia, quia
misericordiam tuam dedisti Matri Regis. [«poichè
la vostra misericordia l'avete data alla Madre del Re» N.d.R.] Onde s. Bonaventura ben
volta il suddetto passo di Davidde, con dire: Deus judicium tuum Regi
da, et misericordiam tuam Matri ejus. [«Dà,
o Dio, la potestà di giudicare al Re, e l'amministrazione di tua
misericordia alla Madre del Re» N.d.R.]
Così parimente l'Arcivescovo di Praga Ernesto dice, che l'eterno
Padre ha dato al
Figlio l'officio di giudicare e punire, ed alla Madre l'officio di
compatire e sollevare i miserabili: Pater
omne judicium dedit Filio,
et omne officium misericordiae dedit Matri. Che perciò
predisse lo stesso Profeta Davidde, che Dio stesso (per così
dire) consacrò Maria per Regina di misericordia, ungendola con
olio di allegrezza: Unxit te Deus
oleo laetitiae(Ps. 44.)
Acciocchè tutti noi miseri figli di Adamo ci rallegrassimo in
pensando di aver in cielo questa gran regina tutta piena d'unzione di
misericordia e di pietà verso di noi, come dice s. Bonaventura: Maria plena unctione misericordiae et oleo
pietatis,
propterea unxit te Deus oleo laetitiae (s. Bon. in Spec. cap. 7.).
E a tale proposito quanto bene si applica dal b. Alberto Magno
l'istoria della regina Ester, la quale fu già figura della
nostra regina Maria. Si legge nel libro d'Ester al cap. 4, che,
regnando
Assuero, uscì ne' suoi regni un decreto, con cui si ordinava
la morte di tutti i Giudei. Allora Mardocheo, che era uno de'
condannati, raccomandò la lor salute ad Ester,
acciocchè si fosse interposta col re, affin di ottenere
la rivocazione della sentenza. Sul principio Ester ricusò di
far quest'officio, temendo di sdegnare maggiormente Assuero. Ma la
riprese Mardocheo e le mandò a dire, ch'ella non
pensasse a salvare solo se stessa, mentre il Signore l'avea posta sul
trono per ottenere a tutti i Giudei la salute: Ne putes, quod animam tuam tantum liberes,
quia in domo regis es prae cunctis Judaeis(Est. 4. 13). Così
disse Mardocheo alla regina Ester, e così
ancora possiamo dir noi poveri peccatori alla nostra regina Maria,
se mai ella ripugnasse d'impetrarci da Dio la liberazione
del castigo giustamente da noi meritato. Ne putes, quod animam
tuam tantum liberes, quia in domo Regis es prae cunctis
hominibus. Non pensate, signora, che Dio vi abbia esaltata ad
essere
Regina del mondo, solo per provvedere al vostro bene, ma
acciocchè ancora voi fatta sì grande possiate più
compatire e meglio soccorrere noi miserabili.
'Tra le culture più esclusive quella romana è la più chiusa, dove neppure i titoli nobiliari e aristocratici sono sufficienti a farvela introdurre; ancor più esclusiva è quella ecclesiastica. Eppure la massoneria in quest'ultima vi entra facilmente dalla porta di servizio e senza biglietto, mimetizzandosi alla perfezione. La massoneria non usa cambiare la metodologia che trova sul posto dove opera. In Vaticano, strenuo baluardo della Chiesa cattolica, essa si arma di diabolica pazienza e aspetta, aspetta tanto finché non riesca a raggiungere le migliori leve del potere e del comando. Tale setta, che s'infiltra sempre là 'dove batte la storia' al dire di Cesare Pavese, sa che il Vaticano resta da sempre un'ardita antenna che capta e trasmette messaggi più avanzati su tutto; riuscire a trasmettergli l'epidemia nello spirito, di riflesso significa distruggere le difese immunologiche nella ragione umana. La parola d'ordine è: «Credere il meno possibile, senza essere eretico; per obbedire il meno possibile, senza essere ribelle» (Giuseppe De Mestre). La mano invisibile della massoneria in Vaticano, al centro di poteri occulti tra alta finanza e alti livelli, non è una diceria: la si avverte da per tutto, nel processo di assunzioni, nel metodo delle promozioni, nel corso di diffamazioni o di elogi per questo o quel monsignore secondo peso e misura. Così, codesto centro che per divino mandato dev'essere un faro, dentro il suo corpo da tempo ospita tumescenze che lo decompongono. Per uno sfregio al giudizio universale della Cappella Sistina il mondo intero scatterebbe in piedi a condannarne la profanazione; ma l'infiltrazione massonica in Vaticano è ancor più dissacrante perchè stravolge le menti e la sacralità del cuore del cristianesimo.
Contraddittorietà e ambiguità di realtà programmate disorientano i credenti, impotenti a frenare e a domare fatti ed eventi fluidi ed evanescenti nell'ambiente.
La piovra nel Palazzo, mai come oggi sui livelli di guardia, si riveste del dono dell'ubiquità in alto e in basso, dentro e fuori. Se ne avverte la presenza opaca dai lunghi tentacoli, ma non dove s'annida. Essa si serve di emissari sul posto, mercenari oscuri che non disdegnano l'equivoco di quella malavita organizzata, ben introdotta nell'ambiente, fatta di miseria e nobiltà. Quando deve colpire, non è mai un atto inconsulto. La maglia è così stretta che chi ne è colpito palpa solo la propria impotenza e capisce che reagire è dannoso piuttosto a sè che alla bestia.
Il
Cardinale Angelo Roncalli (futuro papa Giovanni XXIII) era un Massone
Documentato (Angelo Roncalli è quello al centro con la mano sul
ginocchio destro) seduto alla sua destra il suo "confidente", Edouard
Herriot, Segretario dei Socialisti Radicali e Gran Maestro, che Roncalli
ospitò insieme agli altri ufficiali della "quarta Repubblica Massonica"
di Francia, nel 1953.
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LA MASSONERIA ALLA CONQUISTA DELLA CHIESA
Di Carlo Alberto Agnoli...
Premessa
In queste pagine non ci proponiamo di provare la veridicità, nome per
nome, della famosa lista di prelati massoni pubblicata il 12 settembre
1978 dal giornalista Mino Pecorelli in seguito a molteplici altre liste
che erano già trapelate sulla stampa. Infatti, come escludere che
Pecorelli, che era un piduista, o comunque vicinissimo a Licio Gelli,
Venerabile della più famosa e famigerata Loggia massonica italiana,
possa avere inserito dei nomi per confondere le acque o danneggiare
qualche avversario? Certo, come meglio vedremo, c’è il significativo
riscontro della lista di Panorama, del 10 agosto 1976. Ma anche questo
elemento di per sé non è conclusivo. Anche personaggi fortemente
indiziati di affiliazione massonica potrebbero in realtà non essere
iscritti alla sètta, ma solo idealmente molto prossimi alle sue
posizioni. Proprio per questa ragione abbiamo ritenuto opportuno non
riprodurre per intero l’elenco apparso su Osservatore Politico ritenendo
che le posizioni individuali vadano valutate caso per caso. Quello che
invece ci preme dimostrare è la generale attendibilità della lista
pecorelliana, sintomo di una penetrazione della Massoneria nelle più
alte gerarchie ecclesiastiche così profonda da generare il dubbio che
quella sètta si sia praticamente impadronita del timone di quella Chiesa
cattolica che, nel segreto delle sue Logge, da secoli aveva giurato di
distruggere, e che la stia pilotando verso gli scogli di un disastroso
naufragio da cui solo la mano potente di Dio potrà salvarla.
Capitolo I – Mino Pecorelli e la «Gran Loggia Vaticana»: una rivelazione sulla penetrazione massonica nella Chiesa
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Il 12 settembre 1978 la rivista Osservatore Politico del noto
giornalista Mino Pecorelli (1928-1979) pubblicava un articolo intitolato
«La Gran Loggia Vaticana» che destava notevole scalpore. In detto
articolo, il Pecorelli, premesso che tanto in ambiente massonico quanto
in ambiente cattolico tradizionalista correvano insistenti voci su una
massiccia infiltrazione della Massoneria nelle più alte cariche
ecclesiastiche e che l’agenzia di informazioni Euroitalia il 17 e il 25
agosto di quell’anno aveva diffuso, con tanto di numero e data di
iscrizione alla sètta addirittura i nomi di quattro «papabili» in vista
dell’imminente Conclave, elencava 113 nominativi di ecclesiastici e otto
di altre personalità influenti in ambiente cattolico. Il tutto
corredato con data di adesione, numero di matricola e sigla massonica.
Il giornalista non precisava come fosse venuto in possesso di quei
nominativi, ma è noto che era persona molto vicina al «Venerabile» Licio
Gelli e alla famigerata Loggia P2. Da notare che nella lista in
questione erano indicati, con identici dati di immatricolazione e di
iscrizione alla sètta, anche i quattro cardinali di cui aveva parlato
l’agenzia Euroitalia, e precisamente gli autorevolissimi Sebastiano
Baggio (1913-1993), Salvatore Pappalardo (1918-2006), Ugo Poletti
(1914-1997) e Jean Villot (1905-1979).
L’autenticità di questo elenco – se veridico sconvolgente perché
comproverebbe che già almeno dal 1978 (anzi, come vedremo in seguito,
dal 1976) la massoneria, da sempre condannata ed esecrata come la setta
dell’Anticristo, aveva acquistato un potere tanto più smisurato in
quanto occulto e incontrollabile, sull’intera Chiesa cattolica – ha
formato oggetto di polemiche. Data l’eccezionale importanza del tema che
getta lunghe ombre di sospetto sulla gerarchia ecclesiastica conciliare
e persino sul suo insegnamento, riteniamo assai utile fare il punto
sulla questione in base agli elementi in nostro possesso, molti dei
quali sopravvenuti all’articolo del Pecorelli. Prima, peraltro, di
passare alla discussione dell’argomento, e affinché il lettore possa
rendersi conto delle difficoltà in cui, a prescindere da certi
indispensabili personaggi di facciata, si imbatte chiunque voglia
accertare l’appartenenza di una o più persone a quella sètta, riteniamo
necessario illustrare brevemente la questione del segreto
libero-muratorio.
Capitolo II – Una premessa indispensabile: il segreto massonico
Checché affermino i suoi pubblici sostenitori, la Massoneria è sempre
stata e rimane una Società Segreta operante all’insaputa di tutti,
tramite personaggi noti bensì, e spesso anche notissimi, ma la cui
appartenenza ad essa resta circondata dal più rigoroso mistero. Costoro
si incontrano in riservatissimi conciliaboli che li riuniscono al di là
delle apparenti divergenze e dei contrasti anche clamorosi che appaiono
al «mondo profano», per attuare piani e programmi comuni che devono
restare ignoti al pubblico. Ciò è stato recentemente dimostrato dalla
notoria vicenda della Loggia P2 nella quale confluivano uomini dalle più
diverse e in apparenza contraddittorie etichette politiche e
ideologiche. Né si dica, per favore, che la P2 era una Loggia «atipica» e
«deviata». È lo stesso incontestato storico ufficiale della Massoneria,
il professor Aldo Mola, ad affermare in un’intervista a Il Sabato, del
26 settembre 1992 – come sintetizza l’articolista – che la P2 «non fu
una Loggia deviata, ma si dovette sacrificarla perché non si scoprisse
che la vera Massoneria era coperta». Ciò, peraltro, è risultato ben
chiaro a tutti in seguito alle indagini del giudice Agostino Cordova che
hanno rivelato tutto un pullulare di Logge «deviate» in combutta con
mafia, camorra e n’drangheta e immerse fino al collo nel «mercato» degli
appalti truccati e delle tangenti. Tanto clamorose e numerose furono
queste rivelazioni che – è cronaca recente – il 17 aprile 1993 il
professor Giuliano Di Bernardo, fino a poco prima Gran Maestro del
Grand’Oriente d’Italia, fondò una nuova «obbedienza» massonica,
denominata «Gran Loggia Regolare d’Italia» per prendere le distanze –
piuttosto tardivamente invero – da una organizzazione ormai ampiamente
screditata. A dimostrare la gravità, l’importanza e l’essenzialità del
segreto massonico, riportiamo qui da Il libro completo dei rituali
massonici, pubblicato nel 1946 da Salvatore Farina (33º e massimo Grado
del Rito Scozzese Antico e Accettato) parte della formula del giuramento
dell’Apprendista massone, e cioè di colui che viene ammesso al primo
grado della “luce” iniziatica; giuramento pronunciato di fronte ai
“fratelli”, che vi assistono in piedi e con le spade in pugno ad
asseverarne la gravità e l’importanza, nonché i pericoli in cui incorre
l’incauto divulgatore: «”Io N.N. liberamente e spontaneamente, con pieno
e profondo convincimento dell’anima, con assoluta e irremovibile
volontà, alla presenza del Grande Architetto dell’Universo: prometto e
giuro di non palesare giammai i segreti della Libera Massoneria; di non
far conoscere ad alcuno ciò che mi verrà rivelato, sotto pena di aver
tagliata la gola, strappato il cuore e la lingua, le viscere lacere,
fatto il mio corpo cadavere in pezzi, indi bruciato e ridotto in
polvere, questa sparsa al vento per esecrata memoria e infamia eterna;
prometto e giuro di prestare aiuto e assistenza a tutti i fratelli
Liberi Muratori sparsi sulla superficie della terra».
Oggi sono state presentati due "Motu Proprio", Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et misericors Iesus, concernenti una presunta riforma del Matrimonio Cattolico. Chiaramente questa ulteriore riforma del Matrimonio Cattolico non ha nessun valore in quanto queste riforme sono apportate all'interno della satanica chiesa Conciliare da fasulli consacrati con il nuovo rito modernista conciliare quindi questi documenti a firma del laico apostata bergoglio, fasullo pontefice materiale e formale, non hanno nessun effetto di legge all'interno della vera Chiesa Cattolica, quindi l'esortazione a tutti coloro che non vogliono avere niente a che fare con gli apostati modernisti conciliari è di studiare per approfondire e mettere in pratica nella vita ciò che insegna la vera Chiesa Cattoica riguardo il vero Matrimonio Cattolico e non seguire le mode del momento e neanche groppuscoli che si definiscono Tradizionali ma camminano con i piedi in due presunte Chiese quella cattolica e quella falsa conciliare.
La Civiltà Cattolica anno LXXXII, vol. I, Roma 1931 pag.
97-112, 193-224, 289-313 e 325-399.
SS. S. N. PAPA PIO XI
LETTERA ENCICLICA
DEL MATRIMONIO CRISTIANO IN ORDINE ALLE CONDIZIONI, AI BISOGNI, AI
DISORDINI PRESENTI DELLA FAMIGLIA E DELLA SOCIETÀ
Quanto grande sia la dignità del casto connubio, si
può principalmente
riconoscere da ciò, Venerabili Fratelli, che Nostro Signore
Gesù
Cristo, Figlio dell'Eterno Padre, quando assunse la natura dell'uomo
decaduto, in quella amorosissima economia con la quale compiè la
totale
riparazione della nostra schiatta, non solo volle comprendere in
maniera particolare anche questo principio e fondamento della
società
domestica e quindi del consorzio umano; ma richiamandolo inoltre alla
primitiva purità della istituzione divina, lo elevò a
vero e «grande» [1]
Sacramento della Nuova Legge, affidandone perciò tutta la
disciplina e
la cura alla Chiesa sua Sposa.
Ma perchè da questo rinnovamento del matrimonio si possano
raccogliere
i frutti desiderati presso i popoli di ogni regione e di ogni
età, si
debbono anzitutto illuminare le menti degli uomini con la vera dottrina
di Cristo intorno al matrimonio; inoltre occorre che i coniugi
cristiani, con la grazia divina che internamente ne corrobora la
debolezza della volontà, conformino in tutto pensieri e condotta
a
quella purissima legge di Cristo, per ottenerne a sè e alla loro
famiglia la vera pace e felicità.
Purtroppo tuttavia, non solamente Noi che da questa Apostolica Sede
come da una specola riguardiamo con occhi paterni tutto il mondo, ma
voi pure, Venerabili Fratelli, e certamente vedete e insieme con Noi
amaramente lamentate come tanti uomini, dimentichi di quell'opera
divina di restaurazione, o ignorino del tutto la grande santità
del
matrimonio cristiano o sfrontatamente la neghino, o persino qua e
là
vadano conculcandola, seguendo i falsi principii di una certa nuova e
del tutto perversa moralità. E poichè si sono cominciati
a diffondere
eziandio tra i fedeli questi perniciosissimi errori e questi depravati
costumi, che tentano d'insinuarsi insensibilmente ma sempre più
profondamente, abbiamo
creduto essere dovere del Nostro ufficio di Vicario di Gesù
Cristo in
terra e di supremo Pastore e Maestro, alzare la Nostra voce apostolica
per allontanare le pecorelle a Noi affidate dai pascoli avvelenati e,
per quanto dipende a Noi, custodirnele immuni.
EPISTOLA Léctio Epístolæ B. Pauli Ap. ad Gálatas, 5, 25-26; 6, 1-10
Fratres: Si spíritu vívimus, spíritu et ambulémus. Non efficiámur inánis glóriæ cúpidi, ínvicem provocántes, ínvicem invidéntes. Fratres, et si præoccupátus fúerit homo in áliquo delícto, vos, qui spirtuáles estis, huiúsmodi instrúite in spíritu lenitátis, consíderans teípsum, ne et tu tentéris. Alter altérius ónera portáte, et sic adimplébitis legem Christi. Nam si quis exístimat se áliquid esse, cum nihil sit, ipse se sedúcit. Opus áutem suum probet unusquísque, et sic in semetípso tantum glóriam habébit, et non in áltero. Unusquísque enim onus suum portábit. Commúnicet áutem is, qui catechizátur verbo, ei, qui se catechízat, in ómnibus bonis. Nolíte erráre: Deus non irridétur. Quæ enim semináverit homo, hæc et metet. Quóniam qui séminat in carne sua, de carne et metet corruptiónem: qui áutem séminat in spíritu, de spíritu metet vitam ætérnam. Bonum áutem faciéntes, non deficiámus: témpore enim suo metémus, non deficiéntes. Ergo dum tempus habémus, operémur bonum ad omnes, máxime áutem ad domésticos fidei. M. - Deo grátias.
La vecchiaia di Leone XIII, il cui regno era stato lungo e glorioso, fu attristata dai gravi pericoli
che minacciavano la Chiesa. Una sottile eresia colpiva il cuore stesso
della Rivelazione e, sotto le spoglie menzogniere d'un progresso
vivificatore, rinnegava la tradizione e alterava i dogmi. Nondimeno,
nessun Papa dei tempi moderni, al pari di Leone XIII, aveva fatto luce
al cammino degli uomini. Il numero e la qualità delle sue Encicliche lo
pongono tra i grandi Dottori che hanno capito il loro tempo e risolto le
scottanti questioni dei momento. Si aveva ascoltato, si aveva
applaudito, ma in molti ambienti non si aveva capito, non solo, ma si
aveva persino alterato, e questa era la cosa più grave, il pensiero
stesso del Papa.
Le scienze
ecclesiastiche che egli aveva voluto rinnovare mediante il tomismo, si
incamminavano per vie opposte; l'azione sociale dei cattolici che egli
aveva definito con chiarezza veniva, poco alla volta, sostituita da una
falsa democrazia liberale; il laicismo invadeva ogni campo e minacciava
di oscurare completamente negli spiriti i principi che reggono le
società e stabiliscono i loro rapporti con la Chiesa.
Instaurare omnia in Christo.
A Leone XIII mancò il tempo per smascherare e abbattere il modernismo,
questa idra dalle molteplici teste, in ognuna delle quali riviveva una
antica eresia; a Leone XIII mancò il tempo di riorganizzare le
istituzioni ecclesiastiche in modo che potessero esercitare, con più
ampiezza, più armonia e più efficacia, le funzioni essenziali del
magistero e del governo che esse traggono dall'Autorità suprema della
Sede Apostolica. Iddio, però, suscitò il successore che egli desiderava.
San Pio X era stato uno dei suoi più fedeli discepoli, si era formato
sulla dottrina delle sue grandi encicliche ed aveva egli pure la chiara
intuizione dei gravi pericoli che minacciavano la Chiesa; in più, la
profonda esperienza nel governo delle anime che egli aveva acquisita
come parroco, come vescovo e come Patriarca, unita a non comuni doni
naturali e ad una profonda santità, ne facevano l'uomo adatto per
compiere l'opera di universale rinnovamento nella Chiesa. All'inizio del
suo pontificato, Pio X stabilì le linee fondamentali del suo programma
attraverso le parole con le quali san Paolo aveva parlato del piano di
Dio che salva il mondo: "Instaurare omnia in Christo": opera che aveva
avuto il suo termine con la vita terrena del Redentore, ma la cui
realizzazione continua a compiersi nel tempo col concorso degli uomini.
Con questo suo motto, Pio X faceva capire che le circostanze del tempo
non affidavano al Papa una particolare vigilanza su certi problemi
soltanto ma che tutto, omnia, abbisognava d'una energica presa di
posizione, perché nulla sfuggisse al Cristo e alla sua Redenzione.
La vita liturgica.
È significativo che il suo primo atto, in vista di questa sua
universale riforma, abbia toccato un particolare che molti allora
giudicarono insignificante: con Motu proprio di appena qualche mese dopo
la sua elezione, egli realizzò la prima tappa di una riforma completa
della liturgia, mediante certe prescrizioni sul canto sacro. In questo
atto, Pio X si mostra nel suo carattere più vero e più profondo: forte
uomo di azione, Pio X fu innanzitutto uomo di preghiera. La preghiera
che egli raccomanda è, innanzitutto, la preghiera pubblica e solenne
della Chiesa che racchiude, in un comune linguaggio, una comune
adorazione ed un unico sacrificio, tutte le anime battezzate: essa è
un'anticipazione della preghiera dell'eternità. Pio X volle che i fedeli
ritrovassero il senso di questa grande preghiera liturgica, racchiusa
nella preghiera che il Cristo indirizza al Padre, ispirata dallo Spirito
Santo presente nella Chiesa, che deve essere la sorgente, l'ispirazione
delle preghiere personali che ogni fedele deve recitare, in più, ogni
giorno. La preghiera sarà la leva dell'azione di Pio X; e questo
rinnovamento del canto gregoriano è appena l'inizio d'una serie di
riforme e di iniziative di ordine liturgico che orienteranno, per vie
nuove e al tempo stesso tradizionali, la vita spirituale dei fedeli.
Riforma del breviario, che proporziona e armonizza la distribuzione dei
salmi e che ridona alla domenica quel posto d'onore che il culto dei
santi le aveva strappato nel Medio Evo; sviluppo del culto eucaristico;
invito alla comunione frequente e quotidiana a cominciare dall'età della
ragione; riaffermazione dell'ideale del sacerdozio. La fiamma
dell'amore di questo santo Papa, ignis ardens, trabocca dai suoi
insegnamenti e dalle sue prescrizioni. Così, poco alla volta, prende
vita nella Chiesa un profondo rinnovamento di vita spirituale,
nell'unione più intima delle anime, tra di loro, e in Cristo. E si viene
così a determinare una duplice crescita, da una parte delle forze che
resistono agli attacchi del nemico, dall'altra dell'omaggio reso a Dio
con forma più piena, più alta, più pura.
Padre Pio: « Questi genitori vorrei cospargerli con le ceneri dei loro feti distrutti per inchiodarli alle loro responsabilità
e per negare ad essi la possibilità di appello alla propria ignoranza. [...]
Quelle ceneri vanno sbattute sulla faccia di bronzo dei genitori assassini.»
di Padre Pellegrino Funicelli
"Padre Pio sull'aborto "
Padre Pellegrino un giorno disse al nostro Santo:
«Padre, lei stamattina ha negato l’assoluzione per procurato aborto ad una signora. Perché è stato tanto rigoroso con quella povera disgraziata?».
Rispose P. Pio: «Il giorno in cui gli uomini, spaventati dal, come si dice, boom economico, dai danni fisici o dai sacrifici, perderanno l’orrore dell’aborto, sarà un giorno terribile per l’umanità. Perché è proprio quello il giorno in cui dovrebbero dimostrare di averne orrore».
Poi, afferrato con la mano destra l’interlocutore con il saio, gli calcò la sinistra sul petto, come se volesse impadronirsi del suo cuore, e riprese con un fare molto perentorio: «L’aborto non è soltanto omicidio, ma pure suicidio. E con coloro che vediamo sull’orlo di commettere con un solo colpo l’uno e l’altro delitto, vogliamo avere il coraggio di mostrare la nostra fede? Vogliamo recuperarli sì o no?!».
«Perché suicidio?» domandò p. Pellegrino.
“Assalito da una di quelle, non insolite furie divine, compensate da uno sconfinato entroterra di dolcezza e di bontà”, P. Pio rispose: «Capiresti questo suicidio della razza umana, se, con l’occhio della ragione vedessi ‘la bellezza e la gioia’ della terra popolata di vecchi e spopolata di bambini: bruciata come un deserto. Se riflettessi allora sì che capiresti la duplice gravità dell’aborto: con l’aborto si mutila sempre anche la vita dei genitori.