E’ in rete il n. 22 di Opportune, Importune lettera d’informazioni ella Casa San Pio X (IMBC): http://www.casasanpiox.it/ Opportune_Importune_22.pdf
Editoriale di Opportune, Importune n. 22, di don Ugo Carandino
E’ da ormai otto anni che questo bollettino entra nelle case dei lettori per informare sulle attività svolte dalla Casa San Pio X. I contenuti del bollettino sono per forza di cosa ripetitivi (la difesa della fede e la denuncia degli errori da un lato, l’apostolato della nostra casa dall’altro) e ripetitive saranno anche le considerazioni che seguono. Gli antichi proverbi (repetita iuvant) ci incoraggiano in questo senso e quindi mi affido alla pazienza dei ventitré lettori (Guareschi lo scriveva in modo ironico, io in modo più realistico).
Le attività ruotano essenzialmente attorno alla celebrazione della Santa Messa secondo il Missale Romanum di San Pio V. Oggi questo rito sembra essere ritornato di moda, mentre sino a qualche anno fa rappresentava un insuperabile tabù.
Parlare di Messa di San Pio V ai fedeli “della prima ora”, evoca quarant’anni di battaglie, di sacrifici, di umiliazioni. Il numero dei sostenitori e difensori del vecchio rito era davvero piccolo, quando la maggioranza dei cattolici aveva subìto senza particolari proteste la riforma del Messale (in particolare in Italia dove, per superficialità, opportunismo e conformismo, spesso le apparenze sono più importanti della sostanza della Fede).
La difesa della Messa Romana era motivata dal rifiuto della “nuova messa” e di tutto ciò che era (ed è tuttora) legato agli errori dottrinali che avevano preparato la rivoluzione liturgica. Rifiutare il nuovo rito determinava la separazione dalla vita parrocchiale; l’abbandono delle chiese occupate dal clero “conciliare”; la celebrazione dei matrimoni, delle prime comunioni, dei funerali nei “centri di Messa” tradizionali, magari modestissimi (ma si preferiva la sostanza alla forma). Una delle conseguenze, anche sociali, era l’essere additati come una sorta di “male assoluto” all’interno della Chiesa, a volte con delle spiacevoli ripercussioni in ambito familiare e lavorativo. Per chi era giornalista o scrittore, significava, inoltre, avere le porte chiuse nelle redazioni e nelle case editrici legate all’apparato ecclesiale ufficiale. Questi autori venivano letti da poche persone, ma quello che scrivevano era coerente con le proprie idee.
La battaglia “tradizionalista” ha portato un lento ma costante avvicinamento alla “tradizione della Chiesa” di anime disorientate dalle novità conciliari, che erano attratte dagli argomenti e forse anche dalla “vis polemica” con cui essi erano esposti (del resto nel Vangelo si ammonisce che “se il sale diventa insipido con che cosa si salerà?”). Dopo il doveroso approfondimento dei motivi dottrinali, queste anime spesso praticavano una scelta di campo definitiva (anche grazie alla partecipazione agli esercizi spirituali ignaziani). Era una scelta di campo che investiva tutta la vita cristiana e che riguardava anche, come logica conseguenza, la questione della Messa e, in generale, della pratica sacramentale.
Il numero delle truppe cresceva progressivamente, anche se mai in modo spettacolare e, generalmente, le “conversioni” erano profonde e si inserivano in modo armonico in un contesto omogeneo, dove il singolo rafforzava la sua fede e rafforzava a sua volta l’ambiente che gli stava intorno. La costanza dei “pionieri” ha contribuito a impedire la cancellazione del rito dalla Messa e l’assorbimento della minoranza anticonciliare nel “mare magnum” modernista.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una graduale trasformazione dello scenario. Si ha l’impressione che le persone che si avvicinano a quella che viene chiamata la “Tradizione” (e che alcuni si ostinano a contrapporre alla Chiesa, come se fosse possibile scindere e opporre le due realtà) siano motivate semplicemente dal desiderio di partecipare (magari saltuariamente) a una funzione “tridentina”, attratte dalla bellezza del rito e non spinte dal rifiuto del vecchio rito e dagli errori dottrinali ad esso soggiacenti.
Con la stessa superficialità con la quale molti hanno partecipato per decenni alle “messe nuove” ora si cerca “la Messa in latino” più vicina, a volte in tale parrocchia, altre volte in tale priorato o in tale oratorio, indipendentemente da chi è il celebrante, dalla validità della sua ordinazione, dalla posizione dottrinale a cui aderisce, dagli errori che eventualmente accetta, dal numero di riti che utilizza. Ciò che dovrebbe essere il criterio fondamentale per una scelta d’ordine religioso (il dogma, il magistero, la fede, la validità dei sacramenti) non viene neppure preso in considerazione.
Si tratta di una forma di relativismo conciliare che, uscita dai confini del rito riformato da Paolo VI, ha investito anche i nuovi frequentatori del vecchio rito, formatisi proprio nel contesto liberale ed ecumenico. Relativismo teorico e pratico, che attribuisce lo stesso valore a delle Messe valide o forse invalide, celebrate in un contesto legittimo o scismatico, con una base dottrinale cattolica o infarcita di errori!
La conseguenza di tutto ciò è che vi è una certa crescita numerica dei partecipanti alle funzioni legate al vecchio messale, ma poiché il più delle volte queste persone non hanno (e tuttora non ricevono!) una buona formazione dottrinale, l’effetto non è il rafforzamento dello schieramento “tradizionalista”, ma piuttosto il suo indebolimento e la sua graduale assimilazione e annacquamento nel contesto ufficiale. Alcuni pensano di ottenere, grazie a questo stato di cose, strepitosi successi numerici e magari in qualche diocesi la possibilità di ottenere delle chiese. Essi non capiscono (o non vogliono capire) che si stanno applicando anche ai “tradizionalisti” le categorie conciliari della “comunione imperfetta” e dell’ospitalità sacramentale già praticate con gli scismatici greci, con gli anglicani e con i luterani. E tra i fedeli assuefatti alle visite ecumeniche di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI alle chiese di eretici e scismatici (e la concessione agli stessi eretici e scismatici di chiese cattoliche), non vi sono più motivi di escludere o di evitare i “tradizionalisti”, purchè siano comprensivi e rassicuranti nel riconoscere come Papi legittimi Ratzinger e i suoi predecessori.
Un contributo notevole a questa confusione di idee è stato dato da coloro che hanno chiesto e ottenuto (intonando persino dei Te Deum di ringraziamento!) dagli attuali vertici vaticani l’inserimento del vecchio rito nella vita ecclesiale “ufficiale”. Si tratta del famoso “motu proprio” di Benedetto XVI col quale anche i preti che celebrano la “nuova messa” e che sono stati formati nel modernismo possono, una tantum, usare il Messale Romano antico. In questo modo è caduta una delle barriere che separava e proteggeva l’ambiente antimodernista da quello del Vaticano II.
Un ulteriore contributo a questo stato di cose proviene da quei giornalisti e scrittori che, conosciuti (a torto o a ragione) come tradizionali, conducono una campagna mediatica per presentare Benedetto XVI come restauratore. Indubbiamente, ora i loro libri sono venduti a migliaia di copie (magari editi da case editrici un po’ sospette, che mescolano la fede cattolica e la cultura massonica), i loro articoli vengono pubblicati su taluni quotidiani a tiratura nazionale, ma i contenuti di questi scritti non sono più una testimonianza della verità.
Per concludere: le analisi contenute nel presente articolo potranno contribuire a migliorare la situazione? Probabilmente no, e magari potranno suscitare il disappunto di qualche amico, ma mi sembra inaccettabile, dopo tanti anni di battaglie e di sacrifici, il tacere davanti alla deriva liberale del “tradizionalismo”. Sì, perché il problema di fondo è il “cattolicesimo liberale”, che intende conciliare l’inconciliabile (ai giorni nostri: il Concilio di Trento e il Vaticano II, la Messa di San Pio V e il rito di Paolo VI, Cristo Re e la “laicità positiva”, l’apologetica tradizionale e i “mea culpa” di Wojtyla e di Ratzinger…), attraverso il compromesso e un errato concetto di moderazione. I catto-liberali hanno aperto le porte agli errori modernisti già condannati dai Papi, permettendo ad essi di penetrare e imporsi all’interno della Chiesa. Senza la schiera dei “benpensanti moderati” del liberalismo cattolico, i modernisti avrebbero avuto molte più difficoltà a imporsi. Ma i liberali, invece di sostenere l’azione degli antimodernisti, basata sulle direttive di san Pio X, hanno assecondato gli innovatori. Del resto tanti “tridentini” di oggi, ai tempi di Papa Sarto si sarebbero trovati quantomeno a disagio di fronte alla fermezza dottrinale del Santo Pontefice e avrebbero accusato gli intransigenti di allora con le stesse critiche che riservano agli intransigenti di oggi. Ai cattolici liberali (e ai cattolici “tradizionalisti” liberali) l’adesione integrale all’insegnamento dei Papi va stretta, preferiscono annacquarlo o contraddirlo con le proprie opinioni o con l’insegnamento contrario di qualche figura ritenuta carismatica (magari episcopale, ma che non gode certamente dell’infallibilità promessa da Gesù Cristo a Pietro e ai suoi successori).
A questo riguardo, uno dei fiori all’occhiello del nostro Istituto in Italia sono le iniziative di Modena e di Milano, relative alle giornate della regalità sociale di Cristo e ai convegni di studi albertariani, dove si illustra il magistero dei Papi per cercare di formare dei cattolici profondamente ancorati all’insegnamento papale; cattolici che siano fermi oppositori degli errori del modernismo e non dei semplici spettatori di liturgie tradizionali svuotate dalla Fede (e spesso prive dalle stessa validità del rito).
Si tratta di un programma impegnativo e più selettivo poiché, come ammoniva San Paolo, le anime rifiutano di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole (anche “tradizionaliste”). Tale è, del resto, il programma intrapreso quarant’anni fa dal clero e dai fedeli che rifiutarono il Concilio Vaticano II e la nuova messa. In questo senso, l’Istituto Mater Boni Consilii rappresenta la continuità e non la rottura con questi primi “tradizionalisti” che, non lo dimentichiamo, erano in buona parte “sedevacantisti” (cfr. il numero n. 56 di Sodalitium). Si tratta di un programma evidentemente ben diverso da quello di chi invece insegue (o ha inseguito già da decenni, come talune congregazioni d’ispirazione francescana) l’approvazione canonica da parte dei nemici della Chiesa a discapito della testimonianza della verità. “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato in più” (Mt, 6,33).
P. S.: Il presente editoriale è stato scritto pochi giorni prima dell’uscita del libro-intervista di Benedetto XVI, il cui contenuto non fa che rafforzare ciò che ho scritto. Molto probabilmente non saranno gli errori espressi da Ratzinger nel libro (seppur gravissimi, come la questione della conversione dei Giudei; l’obbligo per i vescovi di interpretare in un determinato modo la storia per essere accettati nella comunione ecclesiale; l’uso ritenuto lecito in certi casi del preservativo) a modificare le scelte della maggioranza di coloro che si professano cattolici, tanto in ambito “conciliare” quanto in quello “tradizionalista”. Certamente cresce l’amarezza in coloro che amano, non solo a parole e per convenienza, la Chiesa e il primato di Pietro.
Editoriale di Opportune, Importune n. 22, di don Ugo Carandino
E’ da ormai otto anni che questo bollettino entra nelle case dei lettori per informare sulle attività svolte dalla Casa San Pio X. I contenuti del bollettino sono per forza di cosa ripetitivi (la difesa della fede e la denuncia degli errori da un lato, l’apostolato della nostra casa dall’altro) e ripetitive saranno anche le considerazioni che seguono. Gli antichi proverbi (repetita iuvant) ci incoraggiano in questo senso e quindi mi affido alla pazienza dei ventitré lettori (Guareschi lo scriveva in modo ironico, io in modo più realistico).
Le attività ruotano essenzialmente attorno alla celebrazione della Santa Messa secondo il Missale Romanum di San Pio V. Oggi questo rito sembra essere ritornato di moda, mentre sino a qualche anno fa rappresentava un insuperabile tabù.
Parlare di Messa di San Pio V ai fedeli “della prima ora”, evoca quarant’anni di battaglie, di sacrifici, di umiliazioni. Il numero dei sostenitori e difensori del vecchio rito era davvero piccolo, quando la maggioranza dei cattolici aveva subìto senza particolari proteste la riforma del Messale (in particolare in Italia dove, per superficialità, opportunismo e conformismo, spesso le apparenze sono più importanti della sostanza della Fede).
La difesa della Messa Romana era motivata dal rifiuto della “nuova messa” e di tutto ciò che era (ed è tuttora) legato agli errori dottrinali che avevano preparato la rivoluzione liturgica. Rifiutare il nuovo rito determinava la separazione dalla vita parrocchiale; l’abbandono delle chiese occupate dal clero “conciliare”; la celebrazione dei matrimoni, delle prime comunioni, dei funerali nei “centri di Messa” tradizionali, magari modestissimi (ma si preferiva la sostanza alla forma). Una delle conseguenze, anche sociali, era l’essere additati come una sorta di “male assoluto” all’interno della Chiesa, a volte con delle spiacevoli ripercussioni in ambito familiare e lavorativo. Per chi era giornalista o scrittore, significava, inoltre, avere le porte chiuse nelle redazioni e nelle case editrici legate all’apparato ecclesiale ufficiale. Questi autori venivano letti da poche persone, ma quello che scrivevano era coerente con le proprie idee.
La battaglia “tradizionalista” ha portato un lento ma costante avvicinamento alla “tradizione della Chiesa” di anime disorientate dalle novità conciliari, che erano attratte dagli argomenti e forse anche dalla “vis polemica” con cui essi erano esposti (del resto nel Vangelo si ammonisce che “se il sale diventa insipido con che cosa si salerà?”). Dopo il doveroso approfondimento dei motivi dottrinali, queste anime spesso praticavano una scelta di campo definitiva (anche grazie alla partecipazione agli esercizi spirituali ignaziani). Era una scelta di campo che investiva tutta la vita cristiana e che riguardava anche, come logica conseguenza, la questione della Messa e, in generale, della pratica sacramentale.
Il numero delle truppe cresceva progressivamente, anche se mai in modo spettacolare e, generalmente, le “conversioni” erano profonde e si inserivano in modo armonico in un contesto omogeneo, dove il singolo rafforzava la sua fede e rafforzava a sua volta l’ambiente che gli stava intorno. La costanza dei “pionieri” ha contribuito a impedire la cancellazione del rito dalla Messa e l’assorbimento della minoranza anticonciliare nel “mare magnum” modernista.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una graduale trasformazione dello scenario. Si ha l’impressione che le persone che si avvicinano a quella che viene chiamata la “Tradizione” (e che alcuni si ostinano a contrapporre alla Chiesa, come se fosse possibile scindere e opporre le due realtà) siano motivate semplicemente dal desiderio di partecipare (magari saltuariamente) a una funzione “tridentina”, attratte dalla bellezza del rito e non spinte dal rifiuto del vecchio rito e dagli errori dottrinali ad esso soggiacenti.
Con la stessa superficialità con la quale molti hanno partecipato per decenni alle “messe nuove” ora si cerca “la Messa in latino” più vicina, a volte in tale parrocchia, altre volte in tale priorato o in tale oratorio, indipendentemente da chi è il celebrante, dalla validità della sua ordinazione, dalla posizione dottrinale a cui aderisce, dagli errori che eventualmente accetta, dal numero di riti che utilizza. Ciò che dovrebbe essere il criterio fondamentale per una scelta d’ordine religioso (il dogma, il magistero, la fede, la validità dei sacramenti) non viene neppure preso in considerazione.
Si tratta di una forma di relativismo conciliare che, uscita dai confini del rito riformato da Paolo VI, ha investito anche i nuovi frequentatori del vecchio rito, formatisi proprio nel contesto liberale ed ecumenico. Relativismo teorico e pratico, che attribuisce lo stesso valore a delle Messe valide o forse invalide, celebrate in un contesto legittimo o scismatico, con una base dottrinale cattolica o infarcita di errori!
La conseguenza di tutto ciò è che vi è una certa crescita numerica dei partecipanti alle funzioni legate al vecchio messale, ma poiché il più delle volte queste persone non hanno (e tuttora non ricevono!) una buona formazione dottrinale, l’effetto non è il rafforzamento dello schieramento “tradizionalista”, ma piuttosto il suo indebolimento e la sua graduale assimilazione e annacquamento nel contesto ufficiale. Alcuni pensano di ottenere, grazie a questo stato di cose, strepitosi successi numerici e magari in qualche diocesi la possibilità di ottenere delle chiese. Essi non capiscono (o non vogliono capire) che si stanno applicando anche ai “tradizionalisti” le categorie conciliari della “comunione imperfetta” e dell’ospitalità sacramentale già praticate con gli scismatici greci, con gli anglicani e con i luterani. E tra i fedeli assuefatti alle visite ecumeniche di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI alle chiese di eretici e scismatici (e la concessione agli stessi eretici e scismatici di chiese cattoliche), non vi sono più motivi di escludere o di evitare i “tradizionalisti”, purchè siano comprensivi e rassicuranti nel riconoscere come Papi legittimi Ratzinger e i suoi predecessori.
Un contributo notevole a questa confusione di idee è stato dato da coloro che hanno chiesto e ottenuto (intonando persino dei Te Deum di ringraziamento!) dagli attuali vertici vaticani l’inserimento del vecchio rito nella vita ecclesiale “ufficiale”. Si tratta del famoso “motu proprio” di Benedetto XVI col quale anche i preti che celebrano la “nuova messa” e che sono stati formati nel modernismo possono, una tantum, usare il Messale Romano antico. In questo modo è caduta una delle barriere che separava e proteggeva l’ambiente antimodernista da quello del Vaticano II.
Un ulteriore contributo a questo stato di cose proviene da quei giornalisti e scrittori che, conosciuti (a torto o a ragione) come tradizionali, conducono una campagna mediatica per presentare Benedetto XVI come restauratore. Indubbiamente, ora i loro libri sono venduti a migliaia di copie (magari editi da case editrici un po’ sospette, che mescolano la fede cattolica e la cultura massonica), i loro articoli vengono pubblicati su taluni quotidiani a tiratura nazionale, ma i contenuti di questi scritti non sono più una testimonianza della verità.
Per concludere: le analisi contenute nel presente articolo potranno contribuire a migliorare la situazione? Probabilmente no, e magari potranno suscitare il disappunto di qualche amico, ma mi sembra inaccettabile, dopo tanti anni di battaglie e di sacrifici, il tacere davanti alla deriva liberale del “tradizionalismo”. Sì, perché il problema di fondo è il “cattolicesimo liberale”, che intende conciliare l’inconciliabile (ai giorni nostri: il Concilio di Trento e il Vaticano II, la Messa di San Pio V e il rito di Paolo VI, Cristo Re e la “laicità positiva”, l’apologetica tradizionale e i “mea culpa” di Wojtyla e di Ratzinger…), attraverso il compromesso e un errato concetto di moderazione. I catto-liberali hanno aperto le porte agli errori modernisti già condannati dai Papi, permettendo ad essi di penetrare e imporsi all’interno della Chiesa. Senza la schiera dei “benpensanti moderati” del liberalismo cattolico, i modernisti avrebbero avuto molte più difficoltà a imporsi. Ma i liberali, invece di sostenere l’azione degli antimodernisti, basata sulle direttive di san Pio X, hanno assecondato gli innovatori. Del resto tanti “tridentini” di oggi, ai tempi di Papa Sarto si sarebbero trovati quantomeno a disagio di fronte alla fermezza dottrinale del Santo Pontefice e avrebbero accusato gli intransigenti di allora con le stesse critiche che riservano agli intransigenti di oggi. Ai cattolici liberali (e ai cattolici “tradizionalisti” liberali) l’adesione integrale all’insegnamento dei Papi va stretta, preferiscono annacquarlo o contraddirlo con le proprie opinioni o con l’insegnamento contrario di qualche figura ritenuta carismatica (magari episcopale, ma che non gode certamente dell’infallibilità promessa da Gesù Cristo a Pietro e ai suoi successori).
A questo riguardo, uno dei fiori all’occhiello del nostro Istituto in Italia sono le iniziative di Modena e di Milano, relative alle giornate della regalità sociale di Cristo e ai convegni di studi albertariani, dove si illustra il magistero dei Papi per cercare di formare dei cattolici profondamente ancorati all’insegnamento papale; cattolici che siano fermi oppositori degli errori del modernismo e non dei semplici spettatori di liturgie tradizionali svuotate dalla Fede (e spesso prive dalle stessa validità del rito).
Si tratta di un programma impegnativo e più selettivo poiché, come ammoniva San Paolo, le anime rifiutano di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole (anche “tradizionaliste”). Tale è, del resto, il programma intrapreso quarant’anni fa dal clero e dai fedeli che rifiutarono il Concilio Vaticano II e la nuova messa. In questo senso, l’Istituto Mater Boni Consilii rappresenta la continuità e non la rottura con questi primi “tradizionalisti” che, non lo dimentichiamo, erano in buona parte “sedevacantisti” (cfr. il numero n. 56 di Sodalitium). Si tratta di un programma evidentemente ben diverso da quello di chi invece insegue (o ha inseguito già da decenni, come talune congregazioni d’ispirazione francescana) l’approvazione canonica da parte dei nemici della Chiesa a discapito della testimonianza della verità. “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato in più” (Mt, 6,33).
P. S.: Il presente editoriale è stato scritto pochi giorni prima dell’uscita del libro-intervista di Benedetto XVI, il cui contenuto non fa che rafforzare ciò che ho scritto. Molto probabilmente non saranno gli errori espressi da Ratzinger nel libro (seppur gravissimi, come la questione della conversione dei Giudei; l’obbligo per i vescovi di interpretare in un determinato modo la storia per essere accettati nella comunione ecclesiale; l’uso ritenuto lecito in certi casi del preservativo) a modificare le scelte della maggioranza di coloro che si professano cattolici, tanto in ambito “conciliare” quanto in quello “tradizionalista”. Certamente cresce l’amarezza in coloro che amano, non solo a parole e per convenienza, la Chiesa e il primato di Pietro.
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