domenica 24 giugno 2012

Spiegazione della Santa Messa di Dom Prosper Guéranger O.S.B Abate di Solesmes (1805-1875)...

 
Il vescovo di Mans, mons. Jacques Faivre, il 21 dicembre 2005 ha aperto il processo diocesano di beatificazione del servo di Dio dom Prosper Guéranger, abate di Solesmes (1805/1875). Ne ha dato notizia un articolo di padre Jacques-Marie Guilmard sulla rivista "France Catholique" (n. 3008, 20 janvier 2006, www.france-catholique.fr).
Dom Guéranger fu il restauratore dell'ordine benedettino in Francia, vi fece ritornare la messa romana in luogo delle liturgie gallicane, fu un grande liturgista, autore del celebre Année liturgique, scrisse di dottrina e storia ecclesiastica e fu un acceso polemista in difesa del Papato romano. Abbiamo già parlato, su questo sito, della sua importanza estrema, specie in questo periodo di crisi liturgica, anche e soprattutto come guida e ispiratore di coloro che difendono e promuovono la liturgia tradizionale della Chiesa cattolica, latino-gregoriana, secondo il rito romano fissato dal Concilio di Trento (www.unavoce-ve.it/04-04-24.htm).
Questo sito contiene anche la traduzione italiana del suo capolavoro, destinato non solo agli specialisti, ma a tutti i cristiani, L'Anno liturgico (in corso di completamento).
L'apertura della causa di beatificazione è un evento che salutiamo con gioia unita alla speranza che presto potremo venerare dom Guéranger sugli altari.
Fides Catholica anno III n.1-2008
Spiegazione delle preghiere e delle cerimonie della Santa Messa secondo alcune note raccolte dalle conferenze di Dom Prosper Guéranger, Abate di Solesmes
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Titolo originale: Explicatìon de la Sainte Messe, 1985. Ristampa dell'edizione del 1906 a cura dell'Association Saint-Jéróme ASBL, Avenue Van Volxem, 321, 1190 Bruxelles, Belgio. Traduzione a cura delle Suore Francescane dell'Immacolata.


INDICE
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XI
X
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
XXI
XXII
XXIII
XXIV
XXV
XXVI
XXVII
XXVIII
XXIX
XXX
XXXI
XXXII
XXXIII
XXXIV
XXXV
XXXVI
XXXVII
XXXVIII
XXXIX
XL
XLI
XLII
IL SALMO "JUDICA"
CONFITEOR
PRIMA INCENSAZIONE
INTROITO
KYRIE
GLORIA IN EXCELSIS DEO
COLLETTA
EPISTOLA
GRADUALE
ALLELUIA - TRATTO
SEQUENZA
VANGELO
CREDO
OFFERTORIO
SECONDA INCENSAZIONE
LAVABO
SUSCIPE, SANCTA TRINITAS
ORATE, FRATRES
PREFAZIO
SANCTUS
CANONE DELLA MESSA - TE IGITUR
MEMENTO DEI VIVI
COMMUNICANTES
HANC IGITUR
QUAM OBLATIONEM
CONSACRAZIONE DELL'OSTIA
CONSACRAZIONE DEL VINO
UNDE ET MEMORES
SUPRA QUAE PROPITIO
SUPPLICES TE ROGAMUS
MEMENTO DEI DEFUNTI
NOBIS QUOQUE PECCATORIBUS
PER QUEM HAEC OMNIA
L'ORAZIONE DOMENICALE
LIBERA NOS QUAESUMUS
AGNUS DEI
ORAZIONE PRIMA DELLA COMUNIONE
COMUNIONE
POSTCOMMUNIO
ITE, MISSA EST
BENEDIZIONE
ULTIMO VANGELO
 

L'eresia antiliturgica e la riforma protestante del XVI secolo considerata nei suoi rapporti con la liturgia
di dom Prosper Guéranger

La liturgia è cosa troppo eccellente nella Chiesa per non essersi trovata esposta agli attacchi dell'eresia. Ma come le sette orientali, che pure avevano infranto il simbolo in tanti altri modi, non hanno combattuto direttamente, come nozione, l'autorità della Chiesa, così non si è neppure visto, in questa patria dei misteri, il razionalismo perseguitare per sistema le forme del culto. Divise tra di loro da violente discordie, le sette orientali hanno unito al cristianesimo o un panteismo mascherato, oppure il principio stesso del dualismo. Ma ciò di cui soprattutto hanno bisogno è credere ed essere cristiani: la loro liturgia è l'espressione completa della loro situazione.
Bestemmie sulla incarnazione del Verbo disonorano certe formule, ma tale disordine non impedisce che in queste formule, e nei riti che le accompagnano, siano conservate le nozioni tradizionali della liturgia. Di più, la fede benché sfigurata è stata feconda fin quasi ai nostri giorni presso questi uomini che credono male, ma vogliono credere. E i giacobiti, i nestoriani, soltanto dopo l'anno 1000, hanno prodotto più formule liturgiche, per esempio anafore, dei greci melchiti, i cui libri non hanno guadagnato più nulla dopo la loro separazione dalla Chiesa romana, se si eccettuano alcune raccolte di inni composte da persone di ogni genere, e aggiunte ai libri dell'officio. Ma quest'ultimo tipo di preghiere non attiene all'elemento fondamentale della liturgia, come le anafore, le benedizioni, ecc., composte dai giacobiti e dai nestoriani moderni, e di cui troviamo il testo o la notizia nell'opera del Renaudot  sulle liturgie d'Oriente [1], oppure nella biblioteca orientale di Assemàni [2]. Peraltro il lettore si ingannerebbe se pensasse che intendiamo tale estrema abbondanza come indice di un progresso. L'antichità, l'immutabilità delle formule dell'altare è la prima delle loro qualità. Ma la fecondità cui ci riferiamo è comunque un segno di vita, e non si può non riconoscere come lo stile ecclesiastico di queste anafore, anche delle più recenti, è perfettamente conforme con quello consacrato dai secoli. Quanto alle tradizioni su riti e cerimonie, le sette d'Oriente le hanno conservate tutte con rara fedeltà, e se talvolta vi si trovano mescolati aspetti superstiziosi, esse attestano comunque un fondo primitivo di fede, mentre da noi la progressiva diminuzione delle pratiche esteriori denunzia invece la presenza di un razionalismo segreto che fa vedere i suoi risultati.
La Chiesa greca ha generalmente conservato con grande cura, se non il genio, almeno le forme della liturgia. Abbiamo detto altrove come Dio l'ha predestinata, almeno per un tempo, con l'immobilità dei suoi antichi usi, a rendere una testimonianza irrinunciabile alla purezza delle tradizioni latine. È per questo che Cirillo Lukaris [3] si arenò in maniera così vergognosa nel suo progetto di iniziare la chiesa orientale alle dottrine del razionalismo d'Occidente. Comunque lo spirito di discussione e di puntiglio di Marco d'Efeso [4] è rimasto nel seno della chiesa greca, e produrrà i suoi frutti naturali dal momento in cui questa chiesa sarà chiamata a fondersi nelle nostre società europee. La chiesa greca deve senza fallo passare per il protestantesimo prima di ritornare all'unità, e si ha ben ragione di credere che la rivoluzione sia già avvenuta nel cuore dei suoi pontefici. In un analogo ordine di cose la liturgia, forma ufficiale di una credenza ufficiale, rimarrà stabile o varierà a seconda della volontà di chi esercita il potere. Così non è possibile eresia liturgica dove il simbolo è già minato, ove non si trova altro che un cadavere di cristianesimo, cui soltanto gli impulsi oppure un galvanismo imprimono ancora qualche movimento, finché, cadendo a pezzi dalla putrefazione, diverrà del tutto incapace di ricevere stimoli esterni, come da tempo non aveva più sentito il tocco della vita.
È dunque solo in seno alla vera Chiesa che può fermentare l'eresia antiliturgica, vale a dire quell'eresia che si pone come nemica delle forme del culto. Soltanto dove c'è qualche cosa da distruggere il genio della distruzione cercherà di introdurre tale deleterio veleno. L'Oriente ne ha provato una volta sola, ma violentemente, i colpi, e ciò è avvenuto ai tempi dell'unità. Nel secolo VIII sorse una setta furibonda la quale sotto il pretesto di liberare lo spirito dal giogo della forma ha rotto, strappato, bruciato i simboli della fede e dell'amore del cristiano. Il sangue fu sparso per la difesa dell'immagine del Figlio di Dio come era stato sparso quattro secoli prima per il trionfo del vero Dio sugli idoli. Ma è stato riservato alla cristianità occidentale di vedere organizzare nel suo seno la guerra più lunga, più ostinata, che ancora continua, contro l'insieme degli atti liturgici. Due cose contribuiscono a mantenere le chiese dell'Occidente in tale stato di prova: innanzi tutto, come si è detto, la vitalità del cristianesimo romano, il solo degno del nome di cristianesimo, e di conseguenza quello contro cui dovevano rivolgersi tutte le forze dell'errore. In secondo luogo il carattere razionalmente materiale dei popoli occidentali, i quali, privi dell'agilità dello spirito greco come del misticismo orientale, in fatto di credenze, non sanno che negare, che rigettare lontano da sé quanto li disturba o li umilia, incapaci per questa duplice ragione, di seguire al pari dei popoli semitici una stessa eresia per lunghi secoli. Ecco il motivo per cui da noi, se si trascurano certi fatti isolati, l'eresia non ha mai proceduto che per via di negazione e di distruzione.In questa direzione, come ora vedremo, vanno tutti gli sforzi della immensa setta antiliturgista.
Il suo punto di partenza conosciuto è Vigilanzio, questo gallo immortalato dagli eloquenti sarcasmi di san Girolamo [5]. Egli declama contro la pompa delle cerimonie, insulta grossolanamente il loro simbolismo, bestemmia le reliquie dei santi, attacca a un tempo il celibato dei sacri ministri e la castità delle vergini. Il tutto per preservare la purezza del cristianesimo. Come si vede ciò non è una cattiva anticipazione in un gallo del IV secolo. L'Oriente che in questo ambito ha prodotto soltanto l'eresia iconoclasta, ha risparmiato, anche se per difetto di consequenzialità, i riti e gli usi della liturgia privi di un rapporto immediato con le sacre immagini.
Dopo Vigilanzio l'Occidente restò tranquillo per vari secoli. Ma quando le stirpi barbariche, iniziate dalla Chiesa alla civiltà, si furono alquanto familiarizzate con l'opera del pensiero, sorsero prima uomini, poi sette che negarono grossolanamente quello che non comprendevano, dicendo che quanto i sensi non percepiscono immediatamente non è reale. L'eresia dei sacramentari, del tutto impossibile in Oriente, ebbe inizio nel secolo XI in Occidente, in Francia, con le bestemmie dell'arcidiacono Berengario [6]. La reazione contro una così mostruosa eresia fu universale nella Chiesa, ma era da prevedere che il razionalismo, una volta scatenatosi contro il più augusto degli atti del culto cristiano, non si sarebbe fermato. Il mistero della presenza reale del Verbo divino sotto i simboli eucaristici doveva diventare il bersaglio di tutti gli attacchi. Bisognava allontanare Dio dall'uomo, e per attaccare con maggiore sicurezza questo dogma capitale bisognava bloccare tutte le strade della liturgia, che se si può dir così sboccassero nel mistero eucaristico.
Berengario non aveva fatto altro che dare un segnale: il suo assalto sarebbe stato rinforzato già nel suo secolo e nei seguenti, e doveva risultarne per il cattolicesimo il più lungo e il più spaventoso attacco che abbia mai subito. Tutto iniziò, dunque, dopo l'anno 1000. "Era forse - dice Bossuet - il tempo della terribile liberazione di satana rivelata dall'Apocalisse dopo mille anni. Ciò può significare disordini estremi: mille anni dopo che il forte armato, vale a dire il demonio vittorioso, fu legato da Gesù Cristo con la sua venuta nel mondo" [7].
L'inferno aveva smosso la feccia più infetta del suo pantano, e mentre il razionalismo si risvegliava, avvenne che satana gettasse sull'Occidente, come un soccorso diabolico, l'impura semenza che l'Oriente aveva seminato con orrore nel suo seno fin dall'origine, la setta che san Paolo chiama il mistero d'iniquità, l'eresia manichea. È noto come sotto il falso nome di gnosi essa aveva macchiato i primi secoli del cristianesimo, con quale perfidia si era nascosta secondo i tempi nel seno della Chiesa, permettendo ai suoi seguaci di pregare, e persino di comunicare con i cattolici, penetrando fino alla stessa Roma, ove fu necessario per scoprirla l'occhio penetrante di un san Leone e di un san Gelasio. Questa setta abominevole, sotto il pretesto di spiritualismo in preda a tutte le infamie della carne, bestemmiava nel segreto le pratiche più sante del culto esteriore come grossolane e troppo materiali. Si può vedere quanto ce ne riferisce sant'Agostino nel libro contro Fausto il manicheo il quale accusava di idolatria il culto dei santi e delle loro reliquie.
Gli imperatori d'Oriente avevano perseguito tale setta infame con le loro disposizioni più severe, senza riuscire a estinguerla. La si ritrova nel IX secolo in Armenia sotto la direzione di un capo chiamato Paolo, dal quale a questi eretici in Oriente fu dato il nome di pauliciani. Ed essi vi divennero così potenti da sostenere guerre contro gli imperatori di Costantinopoli. Pietro Siculo, inviato presso di loro da Basilio il Macedone per trattare uno scambio di prigionieri, ebbe la possibilità di conoscerli e scrisse un libro sui loro errori.
"Egli vi descrive questi eretici - dice Bossuet - con le caratteristiche loro proprie, con i loro due princìpi, con il disprezzo che avevano nei confronti del Vecchio Testamento, con la loro abilità prodigiosa di nascondersi quando volevano, e con gli altri segni che abbiamo visto. Ma ne sottolinea due o tre che non bisogna dimenticare: la loro particolare avversione per le immagini della croce, conseguenza naturale del loro errore, perché essi rifiutavano la passione e la morte del Figlio di Dio; il loro disprezzo per la santa Vergine, che non consideravano la Madre di Gesù Cristo, in quanto egli non avrebbe carne umana; e soprattutto il loro allontanamento dall'eucaristia" [8]. "Essi sostenevano inoltre che i cattolici onorano i santi come divinità, ed è per questo che vietano ai laici di leggere la sacra Scrittura, per paura che scoprano vari errori come questo" [9].

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Esisteva già, come si vede, l'eresia antiliturgica del tutto formata. Non le mancavano che popolazioni disposte ad accoglierla. Per arrivare in Europa la setta passò per la Bulgaria ove gettò profonde radici: questo fu il motivo che diede in Occidente il nome di bulgari ai suoi adepti. Nel 1017, sotto il re Roberto, se ne scoprirono numerosi a Orléans, e poco dopo altri nella Linguadoca, poi in Italia, ove si facevano chiamare càtari, cioè puri, infine fino in fondo alla Germania. La loro parola infame era cresciuta dall'interno come il cancro [10], e la loro dottrina era sempre la stessa, fondata sulla credenza nei due princìpi e sull'odio per tutto l'aspetto esteriore del culto, rafforzato da tutte le abominazioni gnostiche. Del resto erano molto dissimulati, confusi nella Chiesa con gli ortodossi, pronti a ogni sorta di spergiuro piuttosto che farsi scoprire quando avessero deciso di non parlare. Erano già molto forti nel XII secolo nel sud della Francia, e non si può dubitare che Pietro di Bruys [11] ed Enrico [12], le cui dottrine avevano come avversari san Bernardo e Pietro il Venerabile, non fossero due dei capi principali. Nel 1160 li si vede passare in Inghilterra, dove furono chiamati poplicani o publicani. In Francia li si indica con il nome di albigesi a causa della loro potenza in una delle nostre province, e color che sono più profondamente iniziati ai disgustosi misteri della setta sono chiamati patarini. È noto con quanto zelo le popolazioni cattoliche del medioevo si scagliassero contro questi settari: la Chiesa ritenne di poter bandire contro di loro la crociata, e cominciò una guerra di sterminio, alla quale parteciparono direttamente o indirettamente tutti i grandi personaggi della Chiesa e dello Stato. La dottrina degli albigesi fu soffocata, almeno quanto al suo predominio esteriore. Essa rimase sordamente come seme di tutti gli errori che dovevano esplodere nel XVI secolo, e le dottrine del loro mostruoso misticismo si perpetuarono fino ai nostri giorni nell'eresia quietista, probabilmente nemico più pericoloso della vera dottrina liturgica dello stesso razionalismo puro.
Una nuova branca della setta, meno mistica e perciò più appropriata ai costumi dell'Occidente, spuntava a Lione sullo stesso tronco del manicheismo importato dall'Oriente nel momento stesso in cui il primo ramo era minacciato di una distruzione violenta. Nel 1160 a Lione il mercante Pietro Valdo [13] formava la setta dei fanatici turbolenti, conosciuti sotto il nome di poveri di Lione, ma soprattutto sotto quello di valdesi, dal nome del loro fondatore. Fu allora che si poté presagire l'alleanza dello spirito della setta con quella di cui Berengario era stato presso di noi il primo organo. Liberati ben presto dalle opinioni manichee, impopolari da noi, essi predicavano soprattutto la riforma della Chiesa, e per attuarla scalzavano audacemente tutto l'insieme del suo culto. Prima di tutto per loro non vi è più sacerdozio, ogni laico è sacerdote; il sacerdote in peccato mortale non può più consacrare; di conseguenza non vi è più eucaristia certa; i chierici non possono possedere i beni della terra; si devono avere in orrore le chiese, il sacro crisma, il culto della Vergine e dei santi, la preghiera per i morti. Bisogna sottoporre ogni cosa alla sacra Scrittura, ecc. I valdesi ritengono la morale della Chiesa scandalosa per il suo rilassamento, e ostentano un rigore di comportamento che contrasta con la dissolutezza degli albigesi.
Ma la Francia non era il solo teatro di questa reazione violenta contro la forma nell'ambito del cattolicesimo. Alla fine del XIV secolo sorgeva in Inghilterra Wyclif [14] e dava a intendere quasi tutte le bestemmie dei valdesi. Tuttavia, poiché ogni sistema di errore in religione, per avere qualche consistenza, ha bisogno di appoggiarsi da vicino o da lontano sul panteismo, non potendo da noi, come abbiamo osservato, il misticismo gnostico convenire alle masse, Wyclif pensò di sostenere le sue dottrine dissolventi su un sistema di fatalismo, la cui fonte era una volontà immutabile di Dio, nella quale si trovavano assorbite tutte le volontà delle creature.
All'incirca negli stessi tempi Jan Hus [15] dogmatizzava in Germania e preparava quella immensa rivolta che per secoli doveva separare intere nazioni  dalla comunione romana. Anch'egli si fondava molto sulle conseguenze esagerate del dogma della predestinazione, e passando alla pratica umiliava il sacerdozio davanti al laicismo, predicava la lettura della sacra Scrittura a spese della Tradizione e ledeva l'autorità suprema in materia liturgica con le sue rivendicazioni per l'uso del calice nella comunione laica.
Venne infine Lutero, il quale non disse nulla che i suoi precursori non avessero detto prima di lui, ma pretese di liberare l'uomo nello stesso tempo  dalla schiavitù del pensiero rispetto al potere docente, e dalla schiavitù del corpo rispetto al potere liturgico. Calvino e Zwingli lo seguirono portandosi dietro Socini, il cui naturalismo puro era la conseguenza immediata delle dottrine preparate da tanti secoli. Ma col Socini ogni errore liturgico si arresta: la liturgia, sempre più ridotta, non arriva fino a lui. Ora, per dare un'idea dei danni provocati dalla setta antiliturgica, ci è parso necessario riassumere la marcia dei pretesi riformatori del cristianesimo da tre secoli a questa parte, e presentare l'insieme dei loro atti e della loro dottrina sulla epurazione del culto divino. Non vi è spettacolo più istruttivo e più idoneo a far comprendere le cause della così rapida propagazione del protestantesimo. Vi si potrà scorgere l'opera di una saggezza diabolica che agisce a colpo sicuro, e deve condurre senza meno a risultati di vasta portata.
 
1° Odio della Tradizione nelle formule del culto
Il primo carattere dell'eresia antiliturgica è l'odio della Tradizione nelle formule del culto divino. Non si può contestare la presenza di tale specifico carattere in tutti gli eretici, da Vigilanzio fino a Calvino, e il motivo è facile da spiegare. Ogni settario che vuole introdurre una nuova dottrina si trova necessariamente in presenza della liturgia, che è la tradizione alla sua più alta potenza, e non potrà trovare riposo prima di aver messo a tacere questa voce, prima di aver strappato queste pagine che danno ricetto alla fede dei secoli trascorsi. Infatti, in che modo si sono stabiliti e mantenuti nelle masse il luteranesimo, il calvinismo, l'anglicanesimo? Per ottenere questo, non si è dovuto far altro che sostituire nuovi libri e nuove formule ai libri e alle formule antiche, e tutto è stato consumato. Nulla dava più impaccio ai nuovi dottori, essi potevano predicare del tutto a proprio agio: la fede dei popoli era ormai senza difesa. Lutero comprese questa dottrina con una sagacità degna dei nostri giansenisti, quando nel primo periodo delle sue innovazioni, all'epoca in cui si vedeva obbligato a conservare una parte delle forme esteriori del culto latino, stabilì per la messa riformata le regole seguenti:
"Noi approviamo e conserviamo gli introiti delle domeniche e delle feste di Gesù Cristo, vale a dire di Pasqua, di Pentecoste e di Natale. Preferiremmo nella loro interezza i salmi da cui tali introiti sono tratti, come si faceva in antico; ma intendiamo conformarci all'uso presente. Non biasimiamo coloro che vorranno conservare gli introiti degli apostoli, della Vergine e degli altri santi, quando siano tratti dai salmi e da altri passi della scrittura" [16]. Lutero aveva troppo orrore dei cantici sacri composti dalla Chiesa stessa per l'espressione pubblica della fede. Sentiva troppo in essi il vigore della Tradizione che voleva bandire. Riconoscendo alla Chiesa il diritto di unire la propria voce nelle sacre assemblee agli oracoli delle scritture, rischiava di dover ascoltare milioni di bocche anatematizzare i suoi nuovi dogmi. Dunque odio contro tutto ciò che, nella liturgia, non è tratto esclusivamente dalle sacre scritture.

2° Sostituzione delle formule ecclesiastiche con letture della sacra Scrittura
Il secondo principio della setta antiliturgica è, infatti, quello di sostituire le formule di stile ecclesiastico con letture della sacra scrittura. Essa vi trova un duplice vantaggio: prima di tutto quello di far tacere la voce della Tradizione, della quale ha sempre timore; inoltre un mezzo per diffondere e sostenere i suoi dogmi per via di negazione o di affermazione. Per via di negazione passando sotto silenzio, per mezzo di un'abile scelta, i testi che esprimono la dottrina contraria agli errori che vogliono far prevalere; per via di affermazione mettendo in luce passaggi tronchi i quali, non mostrando che un aspetto della verità, nascondono gli altri agli occhi del volgo. Da vari secoli si sa bene che la preferenza data da tutti gli eretici alla sacre scritture rispetto alle definizioni ecclesiastiche non ha altro motivo che la facilità di far dire alla parola di Dio tutto quello che si vuole, mostrandola e nascondendola a seconda delle esigenze. Vedremo d'altronde ciò che hanno fatto in questo campo i giansenisti, obbligati dal loro sistema a conservare il legame esteriore con la Chiesa; quanto ai protestanti, essi hanno ridotto quasi del tutto la liturgia alla lettura della scrittura, accompagnata da discorsi nei quali la si interpreta con la ragione. La scelta e la determinazione dei libri liturgici hanno finito per cadere nel capriccio del riformatore, il quale, in ultima istanza, decide non soltanto il senso della parola di Dio, ma il fatto stesso di detta parola. Così Martin Lutero ritiene che nel suo sistema di panteismo siano dogmi da stabilire l'inutilità delle opere e la sufficienza della sola fede, e quindi dichiarerà che l'epistola di san Giacomo è una epistola di paglia, e non una epistola canonica, per il solo fatto che vi si insegna la necessità delle opere per la salvezza. In tutti i tempi e sotto tutte le forme sarà lo stesso: niente formule ecclesiastiche, la sola scrittura, ma interpretata, ma scelta, ma presentata da colui o da coloro che hanno interesse alla innovazione. La trappola è pericolosa per i semplici, e solo molto dopo ci si rende conto di essere stati ingannati, e che la parola di Dio, questa spada a doppio taglio, come dice l'apostolo, ha causato gravi ferite perché era maneggiata da figli di perdizione.

3° Introduzione di formule erronee
Il terzo principio degli eretici sulla riforma della liturgia, dopo aver eliminato le formule ecclesiastiche e proclamato l'assoluta necessità di non utilizzare che le parole della scrittura nel servizio divino, accorgendosi che la scrittura non si piega sempre, come essi vorrebbero, a tutti i loro voleri, il loro terzo principio è, noi diciamo, di fabbricare e introdurre delle formule diverse, piene di perfidia, mediante le quali i popoli siano ancor più solidamente incatenati nell'errore, e tutto l'edificio della riforma empia sia consolidato per secoli.
 
4° Abituale contraddizione con i princìpi
Non ci si deve meravigliare della contraddizione che l'eresia denota in tal modo nelle sue opere, se si tiene presente che il quarto principio o, se si vuole, la quarta necessità imposta ai settari dalla natura stessa del loro stato di rivolta, è una abituale contraddizione con i loro stessi princìpi. Così deve essere per la loro confusione nel gran giorno, che presto o tardi viene, in cui Iddio rivela la loro nudità alla vista dei popoli che essi hanno sedotto, e anche perché non riesce all'uomo di essere conseguente: la verità sola può esserlo. Così tutti i settari, senza eccezione, cominciano col rivendicare i diritti dell'antichità: vogliono liberare il cristianesimo da tutto ciò che l'errore e le passioni degli uomini vi hanno introdotto di falso e indegno di Dio. Non vogliono nulla che non sia primitivo, e pretendono di riprendere dai suoi albori l'istituzione cristiana. Per conseguire tale effetto essi sfrondano, fanno scomparire, sopprimono: tutto cade sotto i loro colpi, e quando si lavora a ripristinare nella sua originaria purezza il culto divino, si trova che si è inondati di formule nuove che non datano che dal giorno prima, che sono incontestabilmente umane, dato che chi le ha redatte vive ancora. Ogni setta subisce questa necessità: lo abbiamo visto per i monofisiti, per i nestoriani, ritroviamo la stessa cosa in tutte le branche dei protestanti. La loro affettazione di predicare l'antichità non è giunta se non a metterli in condizione di battere in breccia tutto il passato, e poi si sono messi di fronte ai popoli sedotti e hanno giurato loro che tutto andava bene, che le superfetazioni papiste erano scomparse, che il culto divino era ritornato alla sua santità originaria. Sottolineiamo ancora una caratteristica nell'ambito del cambiamento della liturgia da parte degli eretici. Ed è che nella loro furia di innovare essi non si accontentano di sfrondare le formule di stile ecclesiastico, da loro marchiate col nome di parola umana, ma estendono la loro riprovazione alle letture e alle preghiere che la Chiesa ha improntato alla scrittura. Cambiano, sostituiscono, non vogliono pregare con la Chiesa, così si scomunicano da sé stessi e temono fin la minima particella dell'ortodossia che ha presieduto alla scelta di quei passaggi.

5° Eliminazione delle cerimonie e delle formule che esprimono misteri
Dato che la riforma della liturgia è stata intrapresa dai settari con lo stesso scopo della riforma del dogma, di cui è la conseguenza, ne consegue che come i protestanti si sono separati dall'unità al fine di credere di meno, così sono stati indotti a togliere dal culto tutte le cerimonie, tutte le formule che esprimono misteri. Hanno accusato di superstizione, di idolatria tutto quello che non gli sembrava puramente razionale, restringendo così le espressioni della fede, ostruendo con il dubbio e addirittura con la negazione tutte le vie che aprono al mondo soprannaturale. In tal modo non più sacramenti, eccetto il battesimo, in attesa del soccinianesimo che ne libererà i suoi adepti; non più sacramentali, benedizioni, immagini, reliquie dei santi, processioni, pellegrinaggi, ecc. Non vi è più altare, ma semplicemente un tavolo, non più sacrificio, come vi è in ogni religione, ma semplicemente una cena; non più chiesa, ma solamente un tempio, come presso i greci e i romani; non più architettura religiosa, perché non ci sono più misteri; non più pittura e scultura cristiana, perché non vi è più religione sensibile; infine non più poesia, in un culto che non è fecondato né dall'amore né dalla fede.

6° Estinzione dello spirito di preghiera
La soppressione dei misteri nella liturgia protestante doveva produrre senza fallo l'estinzione totale di quello spirito di preghiera che nel cattolicesimo si chiama unzione. Un cuore in rivolta non ha più amore, e un cuore senza amore potrà tutt'al più produrre delle espressioni passabili di rispetto o di timore, con la freddezza superba del fariseo: tale è la liturgia protestante. Si sente che colui che la recita si compiace di non appartenere al numero di quei cristiani papisti i quali abbassano Iddio al loro livello con la familiarità del loro linguaggio volgare.
 
7° Esclusione dell'intercessione della Vergine e dei santi
Trattando nobilmente con Dio la liturgia protestante non ha bisogno di intermediari creati. Essa crede di mancare al rispetto dovuto all'Essere supremo invocando l'intercessione della Santa Vergine, la protezione dei santi. Esclude tutta l'idolatria papista che domanda alla creatura quello che dovrebbe domandare a Dio solo. Sbarazza il calendario da tutti i nomi di uomini che la Chiesa romana iscrive con tanta temerità a fianco del nome di Dio: ha soprattutto in orrore quelli dei monaci e di altri personaggi degli ultimi tempi, che vi vede figurare a fianco dei nomi riveriti degli apostoli scelti da Gesù Cristo, dai quali fu fondata la Chiesa primitiva, che sola fu pura nella fede, e libera da ogni superstizione nel culto e da ogni rilassamento nella morale.

8° L'uso del volgare nel servizio divino
Poiché la riforma liturgica ha tra i suoi fini principali l'abolizione degli atti e delle formule mistiche, ne segue necessariamente che i suoi autori debbano rivendicare l'uso della lingua volgare nel servizio divino. Questo è uno dei punti più importanti agli occhi dei settari. Il culto non è una cosa segreta, essi dicono: il popolo deve capire quello che canta. L'odio per la lingua latina è innato nel cuore di tutti i nemici di Roma: costoro vedono in essa il legame dei cattolici nell'universo, l'arsenale dell'ortodossia contro tutte le sottigliezze dello spirito settario, l'arma più potente del papato. Lo spirito di rivolta, che li induce ad affidare all'idioma di ciascun popolo, di ciascuna provincia, di ciascun secolo la preghiera universale, ha del resto prodotto i suoi frutti, e i riformati sono in grado ogni giorno di accorgersi che i popoli cattolici, nonostante le loro preghiere in latino, gustano meglio e compiono con più zelo i doveri del culto dei popoli protestanti. A ogni ora del giorno ha luogo nelle chiese cattoliche il servizio divino; il fedele che vi assiste lascia sulla soglia la sua lingua materna; al di fuori dei momenti di predicazione egli non intende che accenti misteriosi, che cessano di risuonare nel momento più solenne, il canone della messa. E tuttavia questo mistero lo affascina talmente che non invidia la sorte del protestante, quantunque l'orecchio di quest'ultimo non intenda mai suoni di cui non capisce il significato. Mentre il tempio riformato, una volta alla settimana, riunisce a fatica i cristiani puristi, la Chiesa papista vede senza posa i suoi numerosi altari assediati dai suoi religiosi figli; ogni giorno essi si allontanano dal loro lavoro per venire ad ascoltare queste parole misteriose che devono essere di Dio, perché nutrono la fede e leniscono i dolori. Riconosciamolo, è un colpo maestro del protestantesimo aver dichiarato guerra alla lingua sacra: se fosse riuscito a distruggerla, il suo trionfo avrebbe fatto un gran passo avanti. Offerta agli sguardi profani come un vergine disonorata, la liturgia, da questo momento, ha perduto il suo carattere sacro, e ben presto il popolo troverà eccessiva la pena di disturbarsi nel proprio lavoro o nei propri piaceri per andare a sentir parlare come si parla sulla pubblica piazza. Togliete alla Église française le sue declamazioni radicali e le sue diatribe contro la pretesa venalità del clero, e andate a vedere se il popolo continuerà a lungo ad andare a sentire il sedicente primate delle Gallie gridare: "Le Seigneur soit avec vous"; e altri rispondergli: "Et avec votre esprit". Tratteremo altrove, in modo specifico, della lingua liturgica.

Diminuire il numero delle preghiere
Togliendo dalla liturgia il mistero che umilia la ragione, il protestantesimo si guardava bene dal dimenticarne la conseguenza pratica, cioè la liberazione dalla fatica e dal disagio imposti al corpo dalle pratiche della liturgia papista. Innanzi tutto non più digiuno e astinenza, non più genuflessione nella preghiera, per il ministro del tempio non più offici giornalieri da compiere, neppure preghiere canoniche da recitare in nome della Chiesa. Questa è una delle forme principali della grande emancipazione protestante: diminuire il numero delle preghiere pubbliche e personali. L'evento ha dimostrato ben presto che la fede e la carità, che si alimentano della preghiera, si sarebbero estinte nella riforma, mentre esse non cessano di alimentare presso i cattolici,  tutti gli atti di devozione a Dio e agli uomini, fecondate come sono dalle ineffabili risorse della preghiera liturgica compiuta dal clero secolare e regolare, cui si unisce la comunità dei fedeli.
 
10° Odio verso Roma e le sue leggi
Come era necessaria al protestantesimo una regola per discernere tra le istituzioni papiste quelle che potevano essere più ostili al suo principio, esso ha dovuto scavare nelle fondamenta dell'edificio cattolico, e trovare la pietra fondamentale che lo sostiene tutto. Il suo istinto gli ha fatto scoprire innanzi tutto il dogma inconciliabile con ogni innovazione: la potestà papale. Quando Lutero scrisse sulla sua bandiera: odio verso Roma e le sue leggi, non faceva che proclamare ancora una volta il grande principio di tutte le branche della setta antiliturgica. Quindi ha dovuto abrogare in massa il culto e le cerimonie, come l'idolatria di Roma; la lingua latina, l'ufficio divino, il calendario, il breviario, tutte abominazioni della grande meretrice di Babilonia. Il romano pontefice pesa sulla ragione con i suoi dogmi, pesa sui sensi con le sue pratiche rituali: bisogna dunque proclamare che i suoi dogmi non sono che bestemmia ed errore, e le sue osservanze liturgiche soltanto un mezzo per fondare più fortemente un dominio usurpato e tirannico. È per questo motivo che, nelle sue litanie emancipate, la chiesa luterana continua a cantare ingenuamente: "Dal furore omicida, dalla calunnia, dalla rabbia e dalla ferocia del turco e del papa, liberaci o Signore" [17]. È questo il luogo per richiamare le ammirabili considerazioni di Joseph de Maistre, nel suo libro Du Pape, ove mostra con tanta sagacia e profondità, che nonostante le dissonanze che dovrebbero separare le une dalle altre le diverse sette separate, vi è una qualità nella quale si uniscono tutte, che è la "non romanità". Immaginate una qualunque innovazione, sia in materia di dogma sia in materia di disciplina, e vedete se è possibile realizzarla senza incorrere, volenti o nolenti, nella nota di "non romano", o se volete in quella di "meno romano", se si manca di audacia. Resta da sapere quale pace potrà trovare un cattolico nella prima, o anche nella seconda di queste situazioni.

11° Distruzione del sacerdozio
L'eresia antiliturgica, per stabilire per sempre il suo regno, aveva bisogno di distruggere in fatto e in diritto il sacerdozio nel cristianesimo, perché sentiva che dove vi è un pontefice vi è un altare, e dove vi è un altare vi è un sacrificio, e quindi un cerimoniale mistico. Dunque dopo aver abolito la qualità di sommo pontefice, bisognava annientare il carattere del vescovo dal quale emana la mistica imposizione delle mani che perpetua la sacra gerarchia. Di qui un lato presbiterianesimo, che non è che la conseguenza immediata della soppressione del sommo pontificato. Da allora non vi sono più sacerdoti propriamente detti: come farà la semplice elezione, senza consacrazione, a rendere un uomo consacrato? La riforma di Lutero e di Calvino non conosce dunque che ministri di Dio, o degli uomini, come si vedrà. Ma è impossibile fermarsi qui. Scelto, istallato da laici, portando nel tempio la toga di una magistratura bastarda, il ministro non è che un laico investito di funzioni accidentali. Dunque nel protestantesimo non vi sono più altro che laici. E doveva essere così, perché non vi è più liturgia, come non vi è più liturgia perché non vi sono più altro che laici.
 
12° Il principe capo della religione
Infine, ed è l'ultimo grado dell'abbrutimento, non esistendo più il sacerdozio, dato che la gerarchia è morta, il principe, la sola autorità possibile tra i laici, si proclamerà capo della religione, e si vedranno i più fieri riformatori, dopo essersi scosso il giogo spirituale di Roma, riconoscere il sovrano temporale come sommo pontefice, e collocare il potere sulla liturgia tra le attribuzioni del diritto maiestatico. Non ci saranno dunque più dogma, né morale, né sacramenti, né culto, né cristianesimo se non in quanto piacerà al principe, perché a lui è devoluto il potere assoluto sulla liturgia, da cui tutte queste cose hanno la loro espressione e la loro applicazione nella comunità dei fedeli. Ecco dunque l'assioma fondamentale della Riforma, e nella prassi e negli scritti dei dottori protestanti. Quest'ultimo tratto completerà il quadro, e metterà il lettore in grado di giudicare la natura della pretesa liberazione, operata con tanta violenza nei confronti del papato per dare luogo in seguito, ma necessariamente, a una dominazione distruttiva della natura stessa del cristianesimo. È vero che ai suoi inizi la setta antiliturgica non aveva l'abitudine di blandire in questo modo i potenti: albigesi, valdesi, viclefiti, hussiti, tutti insegnavano che bisogna resistere e addirittura opporsi ai principi e ai magistrati che si trovano in stato di peccato, pretendendo che un principe sarebbe decaduto dal suo diritto dal momento in cui non fosse più in grazia di Dio. La ragione di ciò è che questi settari, temendo la giustizia dei principi cattolici, vescovi esterni, avevano tutto da guadagnare minando la loro autorità. Ma dal momento che i sovrani, associati alla rivolta contro la Chiesa, volevano fare della religione un affare nazionale, un mezzo di governo, la liturgia, ridotta al pari del dogma, nei confini di un paese, era naturalmente di competenza della più alta autorità di quel paese, e i riformatori non potevano fare a meno di provare una viva riconoscenza verso coloro che in tal modo prestavano il soccorso di un braccio potente per stabilire e mantenere le loro teorie. È ben vero che vi è tutta una apostasia in questa preferenza data al temporale sullo spirituale in materia di religione: ma qui si tratta del bisogno stesso della conservazione. Non bisogna soltanto essere conseguenti, bisogna vivere. È per questo che Lutero, che si era separato fragorosamente dal pontefice romano in quanto fautore di tutte le abominazioni di Babilonia, non si vergognò di dichiarare teologicamente la legittimità del doppio matrimonio per il langravio di Hesse, ed è per questo che l'abbé Gregoire trovò nei suoi princìpi il mezzo di associarsi al voto di morte contro Luigi XVI e in pari tempo di farsi il campione di Luigi XIV e Giuseppe II contro i romani pontefici.
Queste le principali massime della setta antiliturgica. Noi non abbiamo nulla esagerato: non abbiamo fatto che riportare la dottrina cento volte professata negli scritti di Lutero, di Calvino, dei Centuriatori di Magdeburgo, di Hospinian [18], di Kemnitz, ecc. I loro libri si possono consultare facilmente, o meglio l'opera che ne è uscita è sotto gli occhi di tutti. Abbiamo creduto utile porne in luce gli aspetti più importanti. Si ricava sempre una utilità dalla conoscenza dell'errore: l'insegnamento diretto talvolta è meno vantaggioso e meno facile. Spetta ora al logico cattolico trarne il contraddittorio.


[1] Eusèbe Renaudot, orientalista e liturgista (Parigi 1648-ivi 1720). È autore tra l'altro della Liturgiarum orientalium collectio, 2 voll. (1715-1716), ristampata a Francoforte nel 1847, opera ancor oggi indispensabile, che contiene la messa di tutti i riti orientali, eccetto i greci e gli armeni, con note e studi eruditi [NdT].
[2] Giuseppe Simone o Simonio Assemàni (arabo as-Sim'ani), orientalista cattolico (Tripoli, Libano 1687-Roma 1768). Fu canonico vaticano, prefetto della Biblioteca vaticana e nel 1766 arcivescovo titolare di Tiro. È autore tra l'altro della Bibliotheca orientalis, opera prevista in 12 volumi, ma dei quali uscirono solo i primi quattro (Roma 1719-1728), che fu universalmente riconosciuta come basilare per la letteratura siriaca [NdT].
[3] Cirillo Lukaris, patriarca di Costantinopoli (Candia 1572-Costantinopoli 1638) Tentò di introdurre nella chiesa greca le dottrine del calvinismo, che aveva fatto proprie nella sua Confessione di fede in diciotto articoli, apparsa in latino a Ginevra nel 1629 [NdT].
[4] Marco Eugenico, arcivescovo d'Efeso, polemista scismatico bizantino (Costantinopoli 1391 o 1392-ivi 1444). Partecipò al Concilio dell'Unione degli "ortodossi" con la Chiesa cattolica (1439), ove si oppose tenacemente all'unione stessa soprattutto mediante la disputa teologica. Per questa battaglia compose una serie di scritti polemici per cui è rimasto famoso [NdT].
[5] Vigilanzio, prete gallo (Calagurris presso i Pirenei ?-dopo il 406). Fu denunziato a san Girolamo nell'anno 404 dal sacerdote Ripario come nuovo eretico di Aquitania, che in uno scritto aveva attaccato il culto dei santi e delle reliquie. Due anni più tardi Girolamo, dopo averne ricevuto le opere, compose per confutarlo il Contra Vigilantium presbyterum Gallum [N.d.T.].
[6] Berengario di Tours, eretico (Tours primi anni dell'XI secolo-ivi 1088). Studiò alla scuola di Chartres, probabilmente fu cancelliere della stessa scuola e certamente arcidiacono di Tours. Verso il 1047 cominciò a diffondere le sue opinioni sull'eucaristia. Intese dapprima negarvi la conversione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo ma da questo sembra passato anche a negare la presenza reale. Il pane e il vino eucaristici sarebbero soltanto un simbolo che nutre le anime con il ricordo della incarnazione e della passione del Figlio di Dio. B. fu scomunicato a Roma nel 1050, la condanna fu reiterata a Vercelli nello stesso anno e a Parigi l'anno successivo. Si fece assolvere da un concilio a Tours (1054), il quale si contentò tuttavia di una professione di fede molto generica. Al Concilio Laterano del 1059 fu costretto a ritrattare le sue opinioni, ma ritornato in Francia riprese a insegnarle. Richiamato a Roma, finì per accettare una formula ortodossa davanti al Sinodo Lateranense del 1079. In seguito si ritirò presso Tours e visse in pace con la Chiesa, pur restando intimamente legato alle sue opinioni [NdT].
[7] Bossuet, Histoire des variations des Églises protestantes lib. XI § 17, Paris, 1688.
[8] Ivi, lib. XI § 14.
[9] Ibidem.
[10] 2Tm 2,17.
[11] Pietro di Bruys, eresiarca (Bruis, Hautes-Alpes, o Broues, Drôme primi del XII secolo-St. Gilles presso la foce del Rodano dal 1132 al 1140). Sacerdote, venne privato dell'ufficio parrocchiale. Si fece allora sobillatore del popolo contro i sacerdoti da lui considerati impostori: tra il 1112 e il 1120 aveva iniziato la sua propaganda ereticale nel Delfinato, per passare poi in Guascogna, a Narbona, Tolosa e Arles. Nel giorno di venerdì santo a St.-Gilles fu finito tra le fiamme dal popolo indignato [NdT].
[12] Enrico di Losanna, eretico (ultimi decenni dell'XI secolo-dopo il 1145). È variamente denominato; a Losanna aveva dimorato prima di comparire notoriamente in Francia. Con una seducente eloquenza popolare si presentava alle folle come profeta di Dio, scagliandosi contro la vita mondana e i vizi del clero. Ma la sua equivoca predicazione di austerità era venata di princìpi eterodossi. Convinto di eresia al Concilio di Pisa (1135) abiurò i suoi errori, continuò tuttavia la sua propaganda antiecclesiastica nel sud della Francia, collegando la sua azione con quella di Pietro di Bruys (vedi nota precedente), di cui fu considerato erede e continuatore Arrestato dal vescovo di Tolosa finì la sua vita in carcere [NdT].
[13] Pietro Valdo. Il nome Valdo, in volgare francese Valdès, derivò probabilmente da un villaggio del Delfinato, Vaux-Milieu, dal quale proveniva il ricco mercante di Lione, solo più tardi, dal 1368, conosciuto con il nome di Pietro: Petrus Valdo o de Valdo. I primi dati su di lui risalgono agli anni tra il 1170 e il 1176; in seguito a una forte emozione, causata probabilmente dal racconto della leggenda di sant'Alessio e dalle devastazioni della carestia del 1173, V. decise di distribuire tutti i suoi beni ai poveri, e di farsi "povero per amor di Dio". Subito si creò intorno a lui un nucleo di discepoli, detti "poveri di Lione", i quali ben presto caddero nello scisma e nell'eresia. Nel XVI secolo i valdesi aderiranno al protestantesimo [NdT].
[14] John Wyclif, eresiarca inglese (castello di Wycliffe-on-Tees, Yorkshire 1324 o 1328-Lutterworth 1384). Studiò a Oxford, nel 1353 divene maestro nel Collegio di Balliol. Fu ordinato sacerdote, si laureò in teologia nel 1372. Fin dal 1370 aveva iniziato a insegnare, commentando le sentenze di Pietro Lombardo. Si mise a capo di un movimento antipapale in Inghilterra, atteggiandosi a riformatore religioso. Scrisse varie opere di teologia. Le sue dottrine, condensate in 45 proposizioni, furono condannate dal Concilio di Costanza (4 maggio 1415) [NdT].
[15] Jan Hus, agitatore religioso (Husinec, Boemia meridionale 1370 ca.-Costanza 1415). Predicatore e professore di teologia all'università di Praga. Fece proprie gran parte delle dottrine dell'eresiarca inglese Wyclif (vedi nota precedente), e diede origine al movimento detto hussitismo. Chiamato davanti al Concilio di Costanza a difendere le proprie tesi, fu accusato di eresia: non avendo voluto ritrattare fu condannato al rogo e giustiziato il 6 luglio 1415. I suoi errori condannati dal concilio riguardano soprattutto l'ecclesiologia [NdT].
[16] Lebrun, Explications de la messe, 4, 13.
[17] Lutherisches Gesangbuch, Leipzig, 667.
[18] Rudolf Hospinian (Wirth), storico della Chiesa protestante (Altdorf, presso Zurigo, 1547-Zurigo, 1626). Figlio del parroco e decano Adrian Wirth. Le sue opere si rivolgono soprattutto contro la dottrina cattolica dei sacramenti [NdT].

Titolo originale: Institutions liturgiques, I², Paris, 1878, pp. 388-407. Traduzione italiana di Fabio Marino, pubblicata in "Civitas Christiana", Verona n° 7-9, 1997, 13-23

22 commenti:

  1. "La chiesa greca deve senza fallo passare per il protestantesimo prima di ritornare all'unità, e si ha ben ragione di credere che la rivoluzione sia già avvenuta nel cuore dei suoi pontefici."

    Questa frase di dom Gueranger, confido, non l'ho mai capita. L'abate di Solesmes, certamente pieno di tanti altri meriti, mi sembra che qui abbia preso un bel granchio, poiché un'affermazione del genere si può fare solo se sfuggono i fondamenti della Chiesa bizantina che, nella base di fondo, sono quelli esistiti nello stesso mondo latino nell'Alto Medioevo.

    Paradosi

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  2. Altro granchio: Marco d'Efeso non si oppose all'unione, addirittura l'auspicava. Si distanziò da questa posizione solo quando vide che le posizioni dogmatiche ortodosse non venivano accettate. (C'è un bell'articolo di Basilio Petrà, prete greco-cattolico, sull'argomento).

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  3. Certo che leggendo quel che descrive l'Abate di Solesmes, sembra di leggere l'eresia neocatecumenale in pieno, con degno accompagnamento del conciliabolo Vatican secondo e suoi seguaci di ogni risma...

    Ponendo attenzione alle cose, basta informarsi e si scopre che tutta la cultura che può insegnare la Tradizione e la dottrina, veramente cattolica, già fu scritta.
    Si tratta di trovare la fonte, divulgarla e la Verità si fa avanti e manda la sua luce

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  4. Cari amici, purtroppo ho da darvi una pessima notizia.
    Mentre dico qui grazie di cuore a Gianluca per queste pagine preziose che ci mostrano quanto sia grande il Tesoro della Divina Liturgia che la sciagurata riforma di Paolo VI ha stravolto, mandando in soffitta la Messa di sempre, e seppellendola nella memoria dei cattolici, a danno di migliaia di anime che non hanno mai conosciuto la Messa come Santo Sacrificio di Gesù sull'altare, che rinnova il mondo con la Grazia che scaturisce dal suo Costato aperto, ecco.... leggo ora sul web, pensate un po'...
    sembra che il Papa voglia beatificare presto Montini e Luciani.
    (Pare si tratti di nuovi modelli di santità ed eroicità delle virtù, dice un blogger basito....)
    Che Dio non voglia, altrimenti resta da dire che la sciagura della Chiesa ottenebrata si va aggravando ! si perderà del tutto il vero concetto di santità, che ora coincide con "popolarità" o vattelapesca che altro.....

    Ester

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    1. Le campane di Canale suonano a festa come quel 26 agosto 1978 in cui Albino Luciani venne eletto papa.

      «Mi auguro di risentirle presto per la beatificazione di Giovanni Paolo I, insieme a quella di Paolo VI» sorride il cardinale Saraiva Martins, prefetto emerito della congregazione per le cause dei santi.

      È possibile che questo avvenga entro un anno, prima cioè che si concluda l’anno della fede? «È possibile, anche se i processi sono di solito molto complessi, ma in questo caso le fasi sono avanti. Anche per quanto riguarda la certificazione dei miracoli, cosa sempre molto delicata. Dirò di più, considerato che ho conosciuto bene sia Montini che Luciani, spero che possano essere beatificati insieme».

      http://corrierealpi.gelocal.it/cronaca/2012/06/25/news/due-beati-bellunesi-l-auspicio-del-cardinale-1.5315795

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    2. Una prostituta pazza e ubriaca farebbe meno danni di quanti ne stanno facendo ultimamente in Vaticano...

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    3. http://affaritaliani.libero.it/politica/anno-della-fede-colpo-di-scena250612.html

      Ester

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    4. Tremendo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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  5. Mi dispiace ammetterlo, ma queste notizie fanno pendere sempre più, mio malgrado, la bilancia verso il sedevacantismo. Come sarebbe possibile che la somma e infallibile autorità si ingannasse a tal punto da santificare tutto il Concilio Vat II e il postoconcilio? Non consoliamoci dicendo che le beatificazioni non impegnano l'infallibilità; guardiamo la meta reale a cui tendono e la strumentalizzazione ideologica. Veramente questo è l'inganno escatologico per tappare la bocca al dissenso interno ai cattolici. Spero e prego che mons. Fellay riesca a capire questa truffa e si fermi in tempo: dopo non se ne uscirebbe più.

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    1. No, dopo non ne esci più e anzi se senti qualcuno che ne ragiona ti irriti e fai come lo struzzo.
      Quelli che si accordano con Roma ORA finiranno per essere i peggiori dopo. Inoltre, ve lo immaginate, voi, un sacerdote tradizionalista col ricordo di mons. Lefebvre, costretto suo malgrado a celebrare una papa in commemorazione per il futuro "beato Paolo VI"?

      E' un'altra Chiesa e vuol continuare e perserverare ad essere ALTRA.
      Di più non si può dire.

      Paradosi

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    2. errata corrige: "a celebrare un papa" "a celebrare una messa"

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  6. Quel che si accordano ORA con la Roma pseudocattolica sono come quelli che si accordarono ALLORA:
    diventano tutti d'un colpo papolatri totali ed anzi cominciano a detestare con vigore coloro che sono ancora indenni.

    Vedete i vari esempi tra cui don Cantoni citato da mons Gherardini

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    1. Ma, forse non è che Fellay debba capire la truffa, forse FA PARTE della truffa...

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  7. "O Dio che hai dato alla tua Chiesa (conciliare) il beato Paolo VI, che l'ha condotta nei pascoli rinnovati (modernisti) del Concilio Vaticano II, concedi a noi di imitare il suo esempio affinché fortificati dalla sua costanza (in odio alla tradizione) possiamo raggiungere il tuo Regno (mondano)".

    E' solo una delle possibili collette che pure un sacerdote tradizionalista dovrà fare, quando il calendario della Messa tradizionale sarà aggiornato con i nuovi santi e beati.....

    Paradosi

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  8. Grazie per la notizia e per i links messi.
    Da parte nostra moltiplicheremo all'infinito le pubblicazoni contro la beatificazione soprattutto del Montini, utilizzando a piene mani l'enorme materiale messo a disposizione dal benemetiro Don Villa.

    Ne parleremo tanto da far imparare a memoria ai lettori tutte le nefandezze commesse da QUESTO FIGLIO DEL DIAVOLO e a beatificazione avvenuta (Dio non voglia!)persevereremo in questa linea ancora di più, INASPRENDO il linguaggio come mai fatto finora.

    Mi chiedo, con un amarissimo sorriso, quali tipi di miracoli SI INVENTERANNO DI SANA PIANTA per legittimare la beatificazione di questa gente.....

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    1. Ma se c'è gente che ammette di essere stata guarita da Sai Baba non vedo perché non ve ne possa essere altra che sostenga lo stesso attribuendolo a Paolo VI.

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    2. Certo,
      ma la Congregazione per lo studio delle cause dei santi (e dei beati)esiste proprio per verificare con documentazioni e procedimenti scientifici se trattasi veramente di miracoli, oppure no....quindi se le testimonianze risultano attendibili, o no...

      Ma in presenza di chiare "beatificazioni strategiche", come queste, c'è il forte il sospetto che i miracoli, necessari per procedere alla proclamazione del santo o del beato, vengano creati ad hoc per assicurarsi il positivo esito delle analisi della documentazione. Non illudiamoci: chi combatte il Sacrificio di Cristo, come fece Paolo vi per tutta la vita, puo' mai aver ottenuto da Dio di operare miracoli?

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    3. Circa il miracolo addotto per la beatificazione di papa Wojtyla, ci fu chi fece osservare che si tratta di una guarigione del tutto reversibile, cioè provvisoria, dunque un miracolo di DUBBIA validità ! (v. Unavox)
      Ma si sa....bisognava far in fretta a proclamare il nuovo beato, perchè Assisi3 era alle porte: c'era tutto un palinsesto di celebrazioni conciliari da rispettare, un'agenda ben programmata a puntino, eventi e date da rispettare (la tabella di marcia della contro-chiesa vista dalla Beata Emmerich è piuttosto disciplinata, non ammette ritardi !); sapete, spesso ho l'impressione che Nostro Signore stia concedendo al suo nemico primordiale tutti i vantaggi possibili, (ricordo la "concessione" di Dio fatta a satana, udita da papa Leone XIII, per cui egli volle istituire la Preghiera a S. Michele Arcangelo) in una sfida epocale -unica e irripetibile, prima dell'anticristo- nella quale Gesù Cristo ha deciso di vincere soltanto alla fine, "quando tutto sembrerà perduto", come ha detto più volte la SS.ma Vergine (cfr. Quito, poi visioni B. Emmerich, La Salette e Fatima: "Alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà").
      Perciò sono convinta che dovremo vedere ancora franare la Santa Chiesa miseramente, fino al fondo della china, all'estremo degrado dottrinale, liturgico e pastorale, con la dissipazione della Fede di molti, grandi e piccoli (che saranno però in modo misterioso aiutati dallo Spirito Santo, il Quale sempre opera e speriamo bene per noi!); vedremo, stando alle visioni della Emmerich, che i sacerdoti fedeli seguaci di Gesù saranno ridotti a un centinaio (ahimè, nel mondo intero...) e che, come Nostro Signore disse alla mistica, non sarà rimasto quasi nessun cattolico degno di questo nome sulla terra.
      ...>
      Ester

      Elimina
    4. ...>
      La VERA Fede si conserverà solo in poche città, poche persone, poche famiglie, sia civili che religiose, temo.
      Sarà proprio quel NUMERO di fedeli, noto solo a Dio, il piccolo gregge custodito dal Signore, ed evocato anche dal tormentato Paolo VI, dopo le sue sciagurate riforme: era (la confidenza a J. Guitton) una consapevolezza dei mali da lui provocati, senza sufficiente timore di Dio ? chissà....però siamo tenuti a pregare per lui, sapendo che, come dicevamo per papa Wojtyla, può aver trovato rifugio nell'infinita Misericordia Divina, nella parte finale della sua vita, in quel foro interno della sua coscienza in cui non possiamo noi giudicare.
      Perciò, cara A.rita, ti prego di non usare quella espressione troppo aspra, (definizione impietosa) dettata da animosità e risentimento umano: non smentire quella giusta precisazione che hai fatto circa il successivo papa "conciliare". Dobbiamo necessariamente affidare questi poveri papi offuscati alla Giusta Misericordia e Misericordiosa Giustizia di Dio, che non lascia nessun "conto in sospeso", ma tutto giudica in modo ineguagliabile e non misurabile da noi, essendo Egli Onnisciente e tutto vedendo ab aeterno. Solo Lui E' Vera Perfetta Giustizia, essendo anche Vero e perfetto Amore, libero dai nostri limiti spazio-tempo-carnali, condizionati come siamo dalla materialità e dal peccato originale, che ci restringe nella visuale dell'ego e del momento contingente.
      I danni gravissimi, incommensurabili, provocati da quel pontificato rimangono oggettivi e tremendi davanti ai nostri occhi, dentro la nostra anima raffreddata nella Carità, incerta sugli oggetti e i tempi della Speranza, e soprattutto CONFUSA; occhi "spirituali" (almeno di chi può intendere gli eventi soprannaturali) angosciati, che ne diventano giorno dopo giorno sempre più consapevoli, accrescendosi l'orrore per gli effetti di un asservimento fatale, per merito di un concilio "pastorale innovativo", aggiogamento dei Pastori supremi e minori allo spirito del mondo, che è schiavo di satana.
      Ma Dio, che ha permesso tutto questo sfacelo, non certo per indifferenza alle sorti della Sua Chiesa, ha provveduto con infinità Bontà, come sapete, ai santi rimedi apprestati per tempo mediante la fedelissima custodia del santo e umile servo mons. Lefebvre, e a suo tempo darà (come sta dando credo da decenni) I BUONI FRUTTI reali che faranno rifiorire la Santa Chiesa dalle attuali macerie.
      Per ora, le scosse di assestamento del terremoto conciliare devono continuare, per un bel pezzo: dobbiamo vedere ancora edifici che "implodono", lasciando solo una facciata fragile e ipocrita di falso cattolicesimo (talora sedicente tradizionale, in falsa continuità col passato), vedremo sempre più tanti miseri ruderi nel desolato panorama ecclesiale.
      Finchè giungerà il momento da Dio stabilito, in cui la Madonna per prima vincerà la battaglia contro il serpente antico, come voluto da Dio all'inizio dei tempi, e preparerà, col suo Trionfo, il Regno di Cristo sul mondo intero
      (ricordate anche S. Luigi Grignon de Monfort: mi consola sempre la lettura delle sue profetiche certezze).

      Ester

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  9. E' comunque una notizia GRAVISSIMA segno che la Chiesa conciliare è più decisa che mai a proseguire la sua rotta.

    Monsignor Lefebvre diceva che la Chiesa conciliare rompe col passato perché ha i suoi nuovi sacramenti e i suoi nuovi preti, oltre ad avere il suo nuovo credo.

    ORA HA PURE I SUOI NUOVI SANTI E UNA NUOVA SANTITA'!

    ALLA FACCIA DELLA ERMENEUTICA DELLA CONTINUITA'!!!!!!!!!

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  10. Papa Ratzinger ha il fare del gambero: un passo verso la tradizione (liberalizzazione della messa tridentina) e due passi verso il progressismo (probabile beatificazione di Paolo VI e convegno di Assisi).

    Che tipo di papa tradizionale sarebbe mai questo?

    Se uno da retta a gente di questo tipo ci diventa matto: è come avere un capoufficio che oggi ti dice una cosa e domani il suo contrario.

    Liberalizzare la messa tridentina, infatti, e beatificare Paolo VI sono in contraddizione tra loro, in vera e propria opposizione. Bisogna avere uno spirito perfettamente scisso per poter fare cose del genere.

    Ne risulta che un cattolico che abbia un poco di buon senso e di sensibilità finirà automaticamente per non dare ascolto a tutto quello che proviene da Roma, visto i messaggi continuamente contraddittori che ne escono e che, con bell'insulto della razionalità umana, si vuole fare rientrare nell' "ermeneutica della continuità".

    Che continuità ci puo' essere tra Paolo VI (che ha combattuto la messa tridentina) e la liberalizzazione della stessa?

    Se la curia vaticana fosse piena di ubriachi o di donne riottose (che oggi decidono una cosa e domani la smentiscono), si potrebbe capire questi comportamenti.
    Ma non pare essere così.
    Inizieranno, allora, le celebrazioni per altri falsi santi con tutto il parlarsi addosso che le contraddistingue.
    Piuttosto di essere solo sfiorato da queste cose vorrei essere in Birmania, lontano da questa falsità vaticana!
    In realtà bisognerebbe mandare in birmania quel ganglio tumorale che risiede in Vaticano, che ne fa di cotte e di crude e che ha oramai generato una nuova chiesa!!

    Paradosi

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  11. Già,già,già!
    Come nel tragico esodo dell'Armir dalla Russia dal fiume Don!
    Pochi comandanti condussero migliaia di uomini verso le retrovie, combattendo ostinatamente contro un nemico che continuava ogni giorno a cercare di fermare quel fiume umano di disperati.

    Lo stesso ai giorni nostri...
    Una chiesa ostile che cerca di amalgamare nella prigionia del modernismo i fedeli cattolici.
    Pochi sparuti gruppi guidati da singoli sacerdoti anche di diversa estrazione, ma uniti contro un Vaticano traditore della fede,che guidano dispersi all'indietro a ritrovare la salvezza con la Tradizione.

    E' un esempio calzante e profondo che mi suggerì Don Abrahmowicz, quando ebbi odo di parlargli. A lui il merito.

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