In conseguenza alla visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga e al congresso delle religioni ad Assisi
Roma ci ha fatto chiedere se abbiamo
l’intenzione di proclamare la nostra rottura con il Vaticano in
occasione del congresso di Assisi. A noi sembra piuttosto che la domanda
dovrebbe essere la seguente:
Credete e avete l’intenzione di
proclamare che il Congresso di Assisi consumi la rottura delle Autorità
romane con la Chiesa Cattolica?
Perché è proprio questo che preoccupa
coloro che sono ancora cattolici. In effetti, è ben evidente che a
partire dal Concilio Vaticano II il Papa e gli Episcopati si allontanano
sempre più nettamente dai loro predecessori. Tutto ciò che è stato
messo in opera dalla Chiesa nei secoli passati per difendere la fede, e
tutto ciò che è stato compiuto dai missionari per diffonderla, fino al
martirio, è ormai considerato come un errore di cui la Chiesa dovrebbe
scusarsi e per il quale dovrebbe farsi perdonare.
L’attitudine degli undici papi che dal
1789 al 1985 hanno condannato la rivoluzione liberale, con documenti
ufficiali, è considerata come «una mancanza di comprensione del soffio
cristiano che ha ispirato la Rivoluzione». Da qui il voltafaccia
completo di Roma a partire dal Vaticano II, che ci ha fatto ripetere le
parole rivolte da Nostro Signore a coloro che stavano per arrestarlo: Haec est hora vestra et potestas tenebrarum – Questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre (Lc XXII 52-53).
Adottando la religione liberale del
protestantesimo e della Rivoluzione, i princípi naturalisti di J. J
Rousseau, le libertà atee della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, il
principio della dignità umana senza più alcun rapporto con la verità e
la dignità morale, le Autorità romane voltano le spalle ai loro
predecessori e rompono con la Chiesa Cattolica, esse si mettono al
servizio dei distruttori della Cristianità e del Regno Sociale di Nostro
Signore Gesù Cristo.
Gli atti attuali di Giovanni Paolo II e
degli Episcopati nazionali illustrano di anno in anno questo cambiamento
radicale della concezione della fede, della Chiesa, del sacerdozio, del
mondo, della salvezza che si ottiene con la grazia.
Il colmo di questa rottura con il magistero anteriore della Chiesa si è raggiunto ad Assisi, dopo la visita alla sinagoga.
Il peccato pubblico contro l’unicità di
Dio, contro il Verbo Incarnato e la Sua Chiesa, fa fremere d’orrore:
Giovanni Paolo II che incoraggia le false religioni a pregare i loro
falsi dei: scandalo incommensurabile e senza precedenti.
Noi potremmo riprendere qui la nostra dichiarazione del 21 novembre 1974, che rimane più attuale che mai.
Noi, che restiamo in modo indefettibile
attaccati alla Chiesa Cattolica Romana di sempre, siamo obbligati a
constatare che questa religione modernista e liberale della Roma moderna
e conciliare si allontana sempre più da noi che professiamo la fede
cattolica degli undici papi che hanno condannato questa falsa religione.
La rottura non viene dunque da noi, ma da Paolo VI e da Giovanni Paolo
II, che rompono con i loro predecessori.
Questo rinnegamento di tutto il passato
della Chiesa attuato da questi due papi e dai vescovi che li imitano è
un’empietà inconcepibile ed una umiliazione insostenibile per coloro che
restano cattolici nella fedeltà a venti secoli di professione della
stessa fede.
Noi consideriamo, dunque, come nullo
tutto ciò che è stato ispirato da questo spirito di rinnegamento: tutte
le riforme postconciliari e tutti gli atti di Roma che sono compiuti con
questa empietà.
Noi contiamo nella grazia di Dio e nel
suffragio della Vergine fedele, di tutti i martiri, di tutti i papi fino
al Concilio, di tutti i Santi e le Sante fondatori e fondatrici degli
ordini contemplativi e missionari, perché ci vengano in aiuto nella
rinascita della Chiesa con la fedeltà integrale alla Tradizione.
Buenos Aires, 2 dicembre 1986.
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“Questo diritto alla libertà religiosa è
blasfemo, perché attribuisce a Dio scopi che distruggono la Sua Maestà, la Sua
Gloria, la Sua Regalità. Questo diritto implica libertà di coscienza, libertà
di pensiero, e tutte le libertà massoniche.
“La Chiesa che afferma tali errori è al tempo
stesso scismatica ed eretica. Questa Chiesa Conciliare è, pertanto, non
cattolica. Nella misura in cui Papa, vescovi, preti e fedeli aderiscono a
questa nuova Chiesa, essi si separano dalla Chiesa Cattolica.” (Monsignor Marcel Lefebvre)
Veniamo ora alle frasi eretiche sulla "libertà religiosa conciliare" del personaggio da scoprire....
19. La natura e la vocazione universale della Chiesa esigono che essa sia in dialogo con i membri delle altre religioni.Questo dialogo in Medio Oriente è basato sui legami spirituali e storici che uniscono i cristiani agli ebrei e ai musulmani. Questo dialogo, che non è principalmente dettato da considerazioni pragmatiche di ordine politico o sociale, poggia anzitutto su basi teologiche che interpellano la fede. Esse derivano dalle Sacre
Scritture e sono chiaramente definite nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, e nella Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, Nostra aetate.17 Ebrei, cristiani e musulmani credono in un Dio Uno, creatore di tutti gli uomini.
26. La libertà religiosa è il culmine di tutte le libertà. È un diritto sacro e inalienabile. Comporta sia la libertà individuale e collettiva di seguire la propria coscienza in materia religiosa, sia la libertà di culto. Include la libertà di scegliere la religione che si crede essere vera e di manifestare pubblicamente la propria credenza.21 Deve essere possibile professare e manifestare liberamente la propria religione e i suoi simboli, senza mettere in pericolo la propria vita e la propria libertà personale. La libertà religiosa è radicata nella dignità della persona; garantisce la libertà morale e favorisce il rispetto reciproco. Gli ebrei che hanno sofferto a lungo ostilità spesso letali, non possono dimenticare i benefici della libertà religiosa.
Da parte loro, i musulmani condividono con i cristiani la convinzione che in materia religiosa nessuna costrizione è consentita, tanto meno con la forza. Tale costrizione, che può assumere forme molteplici e insidiose sul piano personale e sociale, culturale, amministrativo e politico, è contraria alla volontà di Dio. Essa è una fonte di strumentalizzazione politico-religiosa, di discriminazione e di violenza che può condurre alla morte. Dio vuole la vita, non la morte. Egli proibisce l’omicidio, anche quello dell’omicida (cfr Gen 4,
15-16; 9, 5-6; Es 20, 13).
27. La tolleranza religiosa esiste in diversi paesi, ma essa non impegna molto perché rimane limitata nel suo raggio di azione. È necessario passare dalla tolleranza alla libertà religiosa. Questo passaggio non è una porta aperta al relativismo, come alcuni affermano. Questo passo da compiere non è una crepa aperta nella fede religiosa, ma una riconsiderazione del rapporto antropologico con la religione e con Dio. Non è una violazione delle verità fondanti della fede, perché, nonostante le divergenze umane e religiose, un raggio di verità illumina tutti gli uomini.22
Sappiamo bene che la verità non esiste al di fuori di Dio come una cosa in sé. Sarebbe un idolo. La verità si può sviluppare soltanto nella relazione con l’altro che apre a Dio, il quale vuole esprimere la propria alterità attraverso e nei miei fratelli umani. Quindi non è opportuno affermare in maniera esclusiva: « io possiedo la verità ». La verità non è possesso di alcuno, ma è sempre un dono che ci chiama a un cammino di assimilazione sempre più profonda alla verità. La verità può essere conosciuta e vissuta solo nella libertà, perciò all’altro non possiamo imporre la verità; solo nell’incontro di amore la verità si dischiude.
91. I centri di educazione, le scuole, gli istituti superiori e le università cattoliche del Medio Oriente sono numerosi. I religiosi, le religiose e i laici che vi operano compiono un lavoro impressionante, che apprezzo e incoraggio. Estranee ad ogni proselitismo, queste istituzioni educative cattoliche accolgono alunni o studenti di altre Chiese e di altre religioni.83
Essendo degli inestimabili strumenti di cultura per la formazione dei giovani
alla conoscenza, dimostrano in modo evidente il fatto che esiste, in Medio Oriente, la possibilità di vivere nel rispetto e nella collaborazione, attraverso un’educazione alla tolleranza e una ricerca continua di qualità umana.
Ecco scoperto l'indovinello su CHI ha scritto queste eresie sulla libertà religiosa, dottrina eretica del conciliabolo Vaticano II, anti cristiano...
ESORTAZIONE APOSTOLICA
POSTSINODALE
ECCLESIA IN MEDIO ORIENTE
DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
AI PATRIARCHI, AI VESCOVI
AL CLERO
ALLE PERSONE CONSACRATE
E AI FEDELI LAICI
SULLA CHIESA IN MEDIO ORIENTE,
COMUNIONE E TESTIMONIANZA
NEL DOCUMENTO E' INOLTRE RIBADITO IL FALSO, QUINDI ERETICO, ECUMENISMO CONCILIARE...
Questo documento si può definire la "carta magna" eretico della Gerarchia modernista della "nuova chiesa conciliare". Difatti si son fatti il proprio rito, si sono fatti le loro dottrine, precedentemente condannate dalla Vera Chiesa Cattolica, sin son fatti i loro preti, i loro Vescovi, i loro Cardinali ed infine i loro Pontefici che aderiscono alle eresie conciliari. Il punto di domanda è questo, dato che le eresie professate sono pubbliche e facilmente confutabili, può un Papa che ha "l'autorità divinamente assistita" proferire questi strafalcioni? ASSOLUTAMENTE NO.
In definitiva "ANATEMA" A QUESTO ERETICO DOCUMENTO, che riprende per intiero le eresie conciliari sull'ecumenismo e la libertà religiosa...
Quindi questo pontefice rappresenta l'autorità della "nuova Chiesa conciliare" mentre non rappresenta l'autorità della Vera Chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo proprio in virtù di cio che asserisce di continuo, LE ERESIE CONCILIARI, che in questo ridicolo documento sono ampiamente rivelate...
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Monsignor Antonio De Castro Mayer
LA LIBERTA' RELIGIOSA
In materia di libertà
religiosa nell’ordine civile, tre punti capitali, tra gli
altri, sono assolutamente chiari nella tradizione cattolica:
1) nessuno può essere costretto
con la forza ad abbracciare la Fede;
2) l’errore non ha diritti;
3) il culto pubblico delle
religioni false può eventualmente essere tollerato dai poteri
civili, in vista di un bene più grande da ottenersi o di un male
maggiore da evitarsi, però per se stesso deve essere represso
anche con la forza se necessario.
E' quello che si deduce, per
esempio, dai seguenti documenti:
a) Pio IX, Enciclica Quanta
Cura: "E contro la dottrina delle Scritture, della Chiesa
e dei SS. Padri [i seguaci del naturalismo] non dubitano di asserire:
"La migliore condizione della società essere quella, in cui non si riconosce
nello Stato il dovere di reprimere con pene stabilite i violatori della cattolica
religione, se non in quanto ciò richiede la pubblica quiete". Dalla quale
idea di governo dello Stato, in tutto falsa, non temono di dedurre quell’altra
opinione sommamente dannosa alla Chiesa cattolica e alla salute delle anime,
chiamata deliramento dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di recente memoria,
cioè "La libertà di coscienza e dei culti essere diritto proprio di ciascun
uomo, che si deve con legge proclamare e sostenere in ogni società bene costituita,
e essere diritto d’ogni cittadino una totale libertà, che non può essere
limitata da alcuna autorità vuoi civile, vuoi ecclesiastica, di manifestare
e dichiarare i propri pensieri, quali che siano sia di viva voce, sia per iscritto,
sia in altro modo palesamente ed in pubblico".»
b) Syllabus
di Pio IX: proposizioni condannate 77 e 78: «Ai tempi nostri non giova più tenere
la religione cattolica per unica religione dello Stato, escluso qualunque sia
altro culto.» «Quindi lodevolmente in alcuni paesi cattolici fu stabilito per
legge esser lecito a quelli che vi recano il pubblico esercizio del proprio
qualsiasi culto.»
c) Leone XIII, Enciclica Libertas:
«Nell’ordine sociale dunque la civile libertà, degna di questo nome, non
consiste già in far quel che talenta a ciascuno, ciò che anzi partorirebbe confusione
e disordine, che riuscirebbe in ultimo ad oppressione comune; ma in questo unicamente,
che con la tutela e l’aiuto delle leggi civili si possa più agevolmente
vivere secondo le norme della legge eterna [...].
«Considerata rispetto alla società,
la libertà dei culti importa non esser tenuto lo Stato a
professarne o a favorirne alcuno: anzi dover essere indifferente
a riguardo di tutti e averli in conto di giuridicamente uguali,
anche se si tratti di nazioni cattoliche [...].
«Iddio è quegli che creò l’uomo
socievole, e lo pose nel consorzio de’ suoi simili, affinché
i beni, onde ha bisogno la natura di lui, e ch’ei,
solitario, non avrebbe potuto conseguire, li trovasse nell’associazione.
Laonde la società civile, proprio perché società, deve
conoscere e onorarne il potere e dominio sovrano. Ragione adunque
e giustizia del pari condannano lo Stato ateo o, ch’è lo
stesso, indifferente verso i vari culti, e ad ognuno di loro
largo de’ diritti medesimi.
«Posto pertanto che una religione
debba professarsi dallo Stato, quella va professata che è
unicamente vera, e che per le note di verità, che evidentemente
la suggellano, non è difficile a riconoscersi, massime in paesi
cattolici [...].
«Potestà morale è il diritto, e,
come si disse e converrà spesso ridire, è assurdo che la natura
ne dia indistintamente e indifferentemente alla verità e alla
menzogna, al bene ed al male. Le cose vere ed oneste hanno
diritto, salve le regole della prudenza, di essere liberamente
propagate, e divenire il più ch’è possibile comune
retaggio; ma gli errori, peste della mente, i vizi, contagio dei
cuori e dei costumi, è giusto che dalla pubblica autorità siano
diligentemente repressi per impedire che non si dilatino a danno
comune. L’abuso della forza dell’ingegno, che torna ad
oppressione morale degl’ignoranti, va legalmente represso
con non minore fermezza, che l’abuso della forza materiale a
danno dei deboli. Tanto più che guardarsi dai sofismi dell’errore,
specialmente se accarezzanti le passioni, la massima parte dei
cittadini o del tutto non possono o non possono senza estrema
difficoltà [...].
«Per queste cagioni, senza
attribuire diritti fuorché al vero e all’onesto, ella non
vieta che per evitare un male più grande o conseguire e
conservare un più gran bene, il pubblico potere tolleri qualche
cosa non conforme a verità e giustizia.»
d) Pio XII, allocuzione "Ci
riesce": «Un altra questione essenzialmente diversa è
se in una Comunità di Stati possa, almeno in determinate
circostanze, essere stabilita la norma che il libero esercizio di
una credenza e di una prassi religiosa o morale, le quali hanno
valore in uno degli Stati-membri, non sia impedito nell’intero
territorio della Comunità per mezzo di leggi o provvedimenti
coercitivi, statali. In altri termini, si chiede se il "non
impedire", ossia il tollerare, sia in quelle circostanze
permesso, e perciò la positiva repressione non sia sempre un
dovere.
«Noi abbiamo or ora addotta l’autorità
di Dio. Può Dio, sebbene sarebbe a Lui possibile e facile di
reprimere l’errore e la deviazione morale, in alcuni casi
scegliere il "non impedire", ossia il tollerare, sia in
quelle circostanze permesso, e perciò la positiva repressione
non sia sempre un dovere.
«Noi abbiamo or ora addotta l’autorità
di Dio. Può Dio, sebbene sarebbe a lui possibile e facile di
reprimere l’errore e la deviazione morale, in alcuni casi
scegliere il "non impedire", senza venire in
contraddizione con la Sua infinita perfezione? Può darsi che in
determinate circostanze Egli non dia agli uomini nessun mandato,
non imponga nessun dovere, non dia perfino nessun diritto d’impedire
e di reprimere ciò che è erroneo e falso?
«Uno sguardo alla realtà dà una
risposta affermativa. Essa mostra che l’errore e il peccato
si trovano nel mondo in ampia misura. Iddio li riprova; eppure li
lascia esistere. Quindi l’affermazione: Il traviamento
religioso e morale deve essere sempre impedito, quanto è
possibile, perché la sua tolleranza è in se stessa immorale --
non può valere nella sua incondizionata assolutezza. D’altra
parte, Dio non ha dato nemmeno all’autorità umana un
siffatto precetto assoluto e universale, né nel campo della fede
né in quello della morale. Non conoscono un tale precetto né la
comune convinzione degli uomini, né la coscienza cristiana, né
le fonti della rivelazione, né la prassi della Chiesa. Per
omettere qui altri testi della Sacra Scrittura che si riferiscono
a questo argomento, Cristo nella parabola della zizzania diede il
seguente ammonimento: Lasciate che nel campo del mondo la
zizzania cresca insieme al buon seme a causa del frumento. Il
dovere di reprimere le deviazioni morali e religiose non può
quindi essere una ultima norma di azioni. Esso deve essere
subordinato a più alte e generali norme, le quali in alcune
circostanze permettono, ed anzi fanno forse apparire come il
partito migliore il non impedire l’errore, per promuovere un
bene maggiore.
«Con questo sono chiariti i due
princìpi, dai quali bisogna ricavare nei casi concreti la
risposta alla gravissima questione circa l’atteggiamento del
giurista, dell’uomo politico e dello Stato sovrano cattolico
riguardo ad una formula di tolleranza religiosa e morale del
contenuto sopra indicato, da prendersi in considerazione per la
Comunità degli Stati. Primo: ciò che non risponde alla verità
e alla norma morale, non ha oggettivamente alcun diritto né all’esistenza
né alla propaganda, né all’azione. Secondo: il non
impedirlo per mezzo di leggi statali e di disposizioni coercitive
può nondimeno essere giustificato nell’interesse di un bene
superiore e più vasto.
«Quanto alla seconda proposizione,
vale a dire alla tolleranza, in circostanze determinate, alla
sopportazione anche in casi in cui si potrebbe procedere alla
repressione, la Chiesa -- già per riguardo a coloro, che in
buona coscienza (sebbene erronea, ma invincibile) sono di diversa
opinione -- si è vista indotta ad agire ed ha agito secondo
quella tolleranza, dopo che sotto Costantino il Grande e gli
altri Imperatori cristiani divenne Chiesa di Stato, sempre per più
alti e prevalenti motivi; così fa oggi e anche nel futuro si
troverà di fronte alla stessa necessità. In tali singoli casi l’atteggiamento
della Chiesa è determinato dalla tutela e dalla considerazione
del bonum commune, del bene comune della Chiesa e dello Stato nei
singoli Stati, da una parte, e dall’altra, del bonum commune
della Chiesa universale, del regno di Dio sopra tutto il mondo.»
(1)
Non si concilia con i documenti
sopra citati la dottrina della Dignitatis Humanae
riguardo questa materia. Infatti nel n. 2 si legge: «Questo
Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto
della libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è
che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da
parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia
potestà umana, così che in materia religiosa nessuno sia
forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro
debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o
pubblicamente, in forma individuale o associata.»
Il testo è chiaro e a rigore
dispensa da commenti. C’è, secondo la Dichiarazione, un
vero diritto (2) alla libertà religiosa nel
senso indicato. L’immunità dalla coercizione è presentata
come un diritto di tutti in relazione a tutti: individui, gruppi
e Stato.
Si noti, perciò, che la
Dichiarazione non considera situazioni concrete anche se molto
frequenti che consiglierebbero la permissione, la tolleranza
del culto falso. Al contrario, il testo prescinde dai fatti
concreti e stabilisce come principio che ogni uomo ha il
diritto di agire secondo la propria coscienza, in privato come in
pubblico, in materia religiosa.
I limiti alla libertà religiosa
stabiliti dalla Dichiarazione ("entro i dovuti limiti")
non sono sufficienti, alla luce dell’insegnamento
tradizionale dei Papi, per liberarla dai difetti segnalati (3).
Più avanti il testo conciliare
continua: «Questo diritto della persona umana alla libertà
religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile
nell’ordinamento giuridico della società.»
Il testo è chiaro. Il motivo per
cui la Dichiarazione desidera che la libertà religiosa, nei
termini indicati, si converta in diritto civile, consiste nel
fatto che, già prima di qualsiasi disposizione legale, l’uomo
avrebbe questo diritto. Si tratterebbe perciò di un vero diritto
naturale (4).
Ebbene, questo principio si oppone all’insegnamento dei Papi
precedenti.
Quel che causa perplessità è il
fatto che la Dignitatis Humanae non soltanto
difende la libertà religiosa in termini che discordano con la
tradizione, ma afferma "ex professo" -- peraltro senza
addurre le prove -- che la sua posizione non si scontra con gli
insegnamenti tradizionali: «E poiché la libertà religiosa,
che gli esseri umani esigono nell’adempiere il dovere di
onorare Iddio, riguarda l’immunità dalla coercizione nella
società civile, essa lascia intatta la dottrina tradizionale
cattolica sul dovere morale dei singoli e delle società verso la
vera religione e l’unica Chiesa di Cristo.»
Ora, la tradizionale dottrina
cattolica circa il dovere morale degli uomini e delle società
in rapporto alla Chiesa Cattolica, ha sempre insegnato che la
vera religione deve essere favorita e sostenuta dallo Stato,
mentre il culto pubblico e il proselitismo delle false religioni
devono essere impediti, se necessario con la forza (malgrado
possano, evidentemente, essere tollerati in considerazione di
determinate circostanze concrete). E questo la tradizionale
dottrina cattolica ha sempre insegnato essere un dovere
morale, nel senso esatto del termine. E qualcosa che le
società, come creature di Dio, devono in modo assoluto
alla religione vera.
Nel numero 2 della Dignitatis Humanae, si legge: «A motivo della loro dignità
(5) tutti
gli esseri umani, in quanto sono persone, dotate cioè di ragione
e di libera volontà, e perciò investiti di personale
responsabilità, sono dalla toro stessa natura e per obbligo
morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella
concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla
verità una volta conosciuta e ad ordinare tutta la toro vita
secondo le sue esigenze. Ad un tale obbligo, però, gli esseri
umani non sono in grado di soddisfare, in modo rispondente alla
loro natura, se non godono della libertà psicologica e nello
stesso tempo dell’immunità dalla coercizione esterna. Non
si fonda quindi il diritto alla libertà religiosa su una
disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stessa natura.
Per cui il diritto ad una tale immunità perdura anche in coloro
che non soddisfano all’obbligo di cercare la verità e di
aderire ad essa, e il suo esercizio, qualora sia rispettato
l'ordine pubblico informato a giustizia, non può essere impedito.»
E' evidente, perciò, che la
Dichiarazione non rivendica la libertà religiosa soltanto per
gli adepti di altre religioni, ma per tutti gli uomini. Pertanto,
anche per quelli che non abbracciano nessuna religione e per
quelli che negano l’esistenza di Dio. Anche questi, secondo
la Dignitatis Humanae, possono professare
pubblicamente i loro errori e fare propaganda delle loro
irreligiosità. Non vediamo come la Dichiarazione possa non
trovare in opposizione con la tradizione cattolica questo strano
"diritto" al proselitismo ateistico.
A sostegno del suo concetto di
libertà religiosa, la Dichiarazione conciliare adduce alcuni
testi pontifici. Essi sono: l’Enciclica Pacem in Terris
di Giovanni XXIII, AAS 1963, pp. 260-261; il
Radiomessaggio Natalizio del 1942 di Pio XII, AAS 1943, p. 19, l’Enciclica
Mit Brennender Sorge di Pio XI, AAS 1937, p.
160, l’Enciclica Libertas di Leone
XIII, Acta Leonis XIII, 8, 1888, pp. 237-238.
Esaminiamo brevemente questi
quattro testi pontifici.
Quello dell’Enciclica Libertas
di Leone XIII dice così:
«Non meno celebrata delle altre è la libertà così detta
di coscienza, la quale se prendasi in questo senso che ognuno sia
libero di onorare Dio o di non onorarlo, dagli argomenti recati
di sopra è confutata abbastanza. Ma può avere ancora questo
significato, che l’uomo abbia nel civile consorzio diritto
di compiere tutti i suoi doveri verso Dio senza impedimento
alcuno. Questa libertà vera e degna dei figli di Dio, che
mantiene alta la dignità dell’uomo, è più forte di
qualunque violenza ed ingiuria, e la Chiesa la reclamò e l’ebbe
carissima ognora.»
Può un tale testo costituire una
genuina difesa della libertà religiosa nel senso di immunità da
coercizione esterna per il seguace di qualsiasi religione? L’espressione
«nulla re impediente» dà a questo testo il
significato di una libertà religiosa nel senso sopra indicato?
Il senso reale del testo non avalla
una simile interpretazione. Infatti, parlando della libertà per
seguire la volontà di Dio ed eseguire i Suoi ordini, il testo
colloca faccia a faccia l’uomo da una parte, la volontà di
Dio e i Suoi ordini dall’altra. E chiede per l’uomo la
facoltà di eseguire questa volontà e questi ordini senza
impedimenti. Si capisce subito che il testo parla della volontà
di Dio e dei Suoi ordini come si presentano ufficialmente ed
obiettivamente. D’altronde, l’interpretazione
favorevole al testo della Dignitatis Humanae
sarebbe talmente opposta a tutto il contesto dell’Enciclica
che è difficile comprendere come possa valersi di esso il testo
conciliare. Leone XIII, che aveva appena difeso la "repressione"
contro quelli che oralmente o per scritto diffondono l’errore
(op. cit. p. 196), non potrebbe poi contraddire se stesso!
Il senso della libertà ivi difeso
da Leone XIII è chiaro. Come dice lo stesso testo, si tratta del
diritto di «seguire la volontà di Dio e di compiere i Suoi
precetti» d’accordo con «la coscienza del dovere».
Questa libertà, secondo la stessa Enciclica, ha «per oggetto un
bene conforme alla ragione» (n. 6, cfr. nn. 69); non si
oppone al principio per cui la Chiesa concede diritti soltanto «a
quello che è vero e onesto» (n. 41); ed è qualificata
come «legittima e onesta» (n. 16), per opposizione
alla libertà di cui parlano i liberali radicali o moderati.
Inoltre il contesto prossimo del
passo della Libertas che stiamo analizzando,
dà ancora più risalto al suo vero significato che non è quello
che la Dignitatis Humanae gli vuol
attribuire.
Infatti, la Commissione del
Segretariato per l’Unione dei Cristiani, citando il testo
teste analizzato (cfr. opuscolo "Schema Declarationis de
Libertate Religiosa", 1965, p. 19), ha trascritto solo
il passo che sopra abbiamo riportato. Se questa citazione si
fosse estesa ancora per qualche rigo, si sarebbe visto subito che
il passo non si riferisce alla libertà religiosa nel senso di
immunità da coercizione esterna contro la diffusione di
religioni false. Poiché, di seguito, la Libertas
dice:
«Siffatta libertà
rivendicarono con intrepida costanza gli Apostoli, la sancirono
con gli scritti gli Apologisti, la consacrarono gran numero di
Martiri col proprio sangue.»
Ora, la libertà religiosa nel
senso di immunità da coercizione esterna per le religioni false,
la stessa Dignitatis Humanae non la difende
come insegnata espressamente dagli Apostoli, ma dichiara soltanto
che «ha radici nella rivelazione divina». Come
potrebbe perciò dire Leone XIII che gli Apostoli costantemente
rivendicavano per sé questa libertà?
E, soprattutto, come potrebbe Leone
XIII dire che «una moltitudine innumerevole di Martiri»
ha consacrato questa libertà col proprio sangue? Non abbiamo
notizia di nessun martire che sia morto per difendere il "diritto"
dei nicolaiti, degli gnostici, degli ariani, dei protestanti o
degli atei a diffondere i loro errori. E, soprattutto, sarebbe
singolare parlare di una «moltitudine di martiri» che
abbiano versato il loro sangue con tale intenzione. Torna perciò
evidente che il tratto citato della Libertas
non riguarda la libertà religiosa nel senso di immunità da
coercizione esterna per i divulgatori dell’errore.
Immediatamente all’inizio del
paragrafo seguente, Leone XIII dichiara:
«Nulla di comune ha [questa
libertà cristiana] con lo spirito di sedizione e di rea
indipendenza, né deroga punto al debito ossequio verso il
pubblico potere, il quale intanto ha diritto di comandare e
obbligare in coscienza, in quanto non discorda dal potere di Dio,
e nell’ordine stabilito da Dio si mantiene. Ma quando si
comandano cose apertamente contrarie alla divina volontà, allora
si esce da quest’ordine e si va contro al volere divino e
quindi non obbedire è giusto e bello.»
Ora, l'«ubbidienza dovuta al
pubblico potere» e il diritto dei cittadini di disubbidire
alle leggi umane ingiuste non dimostrano la libertà religiosa,
nel senso di immunità da coercizione esterna nella pratica delle
false religioni. Ciò riguarda la vera libertà, che è la facoltà
di fare il bene, di seguire la volontà di Dio, di praticare la
religione cattolica, senza essere in questo impedito da nessuno.
Più avanti, il testo della Libertas;
è ancora più chiaro:
«Ai liberali al
contrario, che fanno padrone assoluto e onnipotente lo Stato, e
che inculcano di vivere senza curarsi minimamente di Dio, questa
libertà, congiunta a onestà e religione, è affatto ignota;
tantoché ciò che altri faccia per mantenerla è, a giudizio
loro, delitto e attentato contro l’ordine pubblico.»
Ora, sarebbe totalmente assurdo
dire che i liberali sono contrari alla libertà religiosa nel
senso di immunità da coercizione esterna per la diffusione delle
religioni false. Si rende chiaro, perciò, che Leone XIII propone
ivi quella libertà «legittima ed onesta» da lui stesso
definita e difesa precedentemente nella stessa Enciclica (cfr. p.
186), nel cui nome possiamo e per principio dobbiamo opporci alle
leggi ingiuste.
Queste considerazioni sul testo
della Libertas, citato dalla Dignitatis Humanae, rendono facile la comprensione anche del vero
senso degli altri passi che la Dichiarazione conciliare cita
nello stesso luogo.
Quando la Mit Brennender Sorge rivendica, contro il nazismo, il diritto del
fedele a conoscere e praticare la religione (6), il
testo di fatto non afferma che l’errore gode dell’immunità
nell’ordine civile. D’altronde, sarebbe inconcepibile
che, in quattro brevi righe, Pio XI pretendesse difendere una
nuova nozione cattolica di libertà, in opposizione con i Papi
precedenti. E' evidente che, nello stesso modo in cui Leone XIII
ha proclamato, in nome di questa libertà, il diritto di
resistere alle leggi ingiuste e oppressive dei governi liberali,
così anche Pio XI ha proclamato, in nome di questa stessa libertà,
il diritto di resistere al nazismo.
E quando Pio XII, durante la
seconda Guerra Mondiale, con una semplice frase ha rivendicato,
tra i diritti fondamentali delle persone, «il diritto al
culto di Dio privato e pubblico, compresa l’azione
caritativa religiosa», il testo del suo Radiomessaggio non
affermava -- come abbiamo già osservato a proposito della Mit Brennender Sorge -- il diritto al culto falso reso a
Dio in una religione non vera. Al contrario, il suo senso
naturale è che all’uomo sia riconosciuto il diritto di
rendere a Dio il vero culto, una volta che questo soltanto è il
culto a Lui dovuto.
Inoltre, è evidente che Pio XII
non intendeva modificare la dottrina cattolica riguardo a questa
materia, ma difendeva soltanto la libertà «legittima e onesta»
tanto chiaramente spiegata da Leone XIII. Tanto più che Pio XII,
nell’allocuzione "Ci riesce", dove ha
trattato "ex professo" della questione, nega
qualsiasi diritto a ciò che non corrisponde alla verità e alla
norma morale.
Lo stesso dicasi del brano di
Giovanni XXIII citato dalla Dignitatis Humanae.
Esso dice:
«In hominis iuribus hoc quoque
numerandum est, ut et Deum, ad rectam conscientiae suae normam,
venerari possit, et religionem privatim publice profiteri.»
Poiché il testo dice: «secondo i retti
dettami della propria coscienza», e non «secondo i dettami
della propria coscienza retta» (come hanno voluto
certuni), si rende chiaro che Giovanni XXIII parla qui nello
stesso senso di Leone XIII nella Libertas.
Questa interpretazione si impone ancora più chiaramente se
consideriamo che, per chiarire il senso del passo indicato,
Giovanni XXIII trascrive, nello stesso testo principale della
Pacem in Terris, una pagina di Lattanzio e
una di Leone XIII. Quella di Lattanzio si riferisce al «rendere giusti
e dovuti onori a Dio», mentre quella di Leone XIII è
esattamente la stessa che abbiamo sopra commentato («Haec
quidem vera, haec digna filiis Dei libertas...»).
Al termine di questo studio,
giudichiamo opportuno risolvere un’obiezione che potrebbe
essere formulata come segue:
La Dichiarazione Dignitatis Humanae è stata approvata dalla maggioranza dell’Episcopato.
Non sarebbe perciò garantita dal carisma dell’infallibilità
o almeno, come documento del Magistero Ordinario, non
obbligherebbe tutti i fedeli?
Rispondiamo con le seguenti
osservazioni:
1 - Come è stato ufficialmente
dichiarato, il Concilio Vaticano II non ha avuto intenzione di
fare nuove definizioni solenni. Perciò anche la Dichiarazione
Dignitatis Humanae non è garantita dal
carisma dell’infallibilità, inerente alle definizioni
solenni.
2 - Ciò nonostante, una
risoluzione presa dalla maggioranza dell’Episcopato riunito
in Concilio e approvata dal Sommo Pontefice obbliga tutti i
fedeli, anche se non viene con la garanzia dell’infallibilità.
3 - Quest’obbligo però cessa,
come succede con la Dignitatis Humanae,
quando si verificano nello stesso caso le due seguenti condizioni:
a) è manifesto che l’Episcopato universale non ha avuto l’intenzione
di vincolare in maniera definitiva le coscienze, e inoltre, b) è
anche chiaro che tale documento dell’Episcopato universale
è in contrasto con una dottrina già data come certa dal
Magistero Ordinario di una lunga serie di Papi.
Sarà che in Assisi III aveva qualcuna croce? Ho guardato anche nel Santo Padre e no ho trovato niente...
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