lunedì 11 marzo 2013

"Non c'è niente di nascosto che non debba venire alla luce"... La risposta accomodante di Fellay al "penoso" preambolo degli occupanti modernisti della Santa Chiesa di Cristo



Documento postato dal benemerito Sito de La Sapinière...
 
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Dichiarazione dottrinale del 15 aprile 2012, inviata da Mons. Fellay al cardinale Levada...

I
Noi promettiamo di essere sempre fedeli alla Chiesa cattolica e al romano Pontefice, suo Pastore supremo, Vicario di Cristo, successore di Pietro e capo del Corpo dei vescovi.

II
Noi dichiariamo di accettare gli insegnamenti del Magistero della Chiesa in materia di fede e di morale, dando ad ogni affermazione dottrinale il grado di adesione richiesto, secondo la dottrina contenuta nel n° 25 della Costituzione dogmaticaLumen Gentium del Concilio VaticanoII (1).

III In particolare:

1 Noi dichiariamo di accettare la dottrina sul romano Pontefice e sul Collegio dei vescovi, col suo capo, il Papa, insegnata dalla Costituzione dogmatica Pastor Aeternus del Concilio Vaticano I e dalla Costituzione dogmatica LumenGentium del Concilio Vaticano II, capitolo 3 (De constitutione hierarchica Ecclesiæ et in specie de episcopatu), spiegata e interpretata dalla Nota explicativa prævia a questo stesso capitolo.

2 Noi riconosciamo l’autorità del Magistero, il solo a cui è affidato il compito di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa (2) nella fedeltà alla Tradizione, ricordando che «lo Spirito Santo non è stato promesso ai successori di Pietro perché essi facciano conoscere, sotto la sua rivelazione, una nuova dottrina, ma perché, con la sua assistenza, essi conservino santamente ed esprimano fedelmente la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede» (3).

3 La Tradizione è la trasmissione vivente della Rivelazione «usque ad nos» (4) e la Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni ciò che essa è e tutto ciò che essa crede. La Tradizione progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo (5), non come una novità contraria (6), ma con una migliore comprensione del depositum fidei (7).

4 L’intera Tradizione della fede cattolica dev’essere il criterio e la guida per la comprensione degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, il quale, a sua volta, illumina – cioè approfondisce ed esplicita ulteriormente – certi aspetti della vita e della dottrina della Chiesa, implicitamente presenti in essa o non ancora formulati concettualmente (8).
5 Le affermazioni del Concilio Vaticano II e del Magistero pontificio posteriore, relative alla relazione fra la Chiesa cattolica e le confessioni cristiane non cattoliche, come al dovere sociale della religione e al diritto alla libertà religiosa, la cui formulazione è difficilmente conciliabile con le precedenti affermazioni dottrinali del Magistero, devono essere comprese alla luce della Tradizione intera e ininterrotta, in maniera coerente con le verità precedentemente insegnate dal Magistero della Chiesa, senza accettare alcuna interpretazione di queste affermazioni che possa portare ad esporre la dottrina cattolica in opposizione o in rottura con la Tradizione e con questo Magistero.

6 Per questo è legittimo promuovere, con una legittima discussione, lo studio e la spiegazione teologica di espressioni e di formulazioni del Concilio Vaticano II e del Magistero successivo, nel caso in cu esse non apparissero conciliabili col Magistero precedente della Chiesa (9).

7 Noi dichiariamo di riconoscere la validità del sacrificio della Messa e dei Sacramenti celebrati con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa secondo i riti indicati nelle edizioni tipiche del Messale romano e dei Rituali dei Sacramenti legittimamente promulgati dai papi Paolo VI e Giovanni Paolo II.

8 Secondo i criteri enunciati sopra (III, 5) e il canone 21 del Codice, noi promettiamo di rispettare la disciplina comune della Chiesa e le leggi ecclesiastiche, specialmente quelle che sono contenute nel Codice di Diritto Canonico promulgato dal papa Giovanni Paolo II (1983) e nel Codice di Diritto Canonico delle chiese orientali promulgato dallo stesso Pontefice (1990), fatta salva la disciplina da concedere con una legge particolare alla Fraternità Sacerdotale San Pio X.
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Note
1 - Cfr. anche la nuova formula della Professione di fede e del Giuramento di fedeltà per assumere un incarico esercitato a nome della Chiesa, 1989: cfr. CIC, canoni 749; 750, 1 e 2; 752; CCEO, canoni 597; 598, 1 e 2; 599.
2 – Cfr. Pio XII, enciclica Humani Generis.
3 – Vaticano I, Costituzione dogmatica Pastor Aeternus, DH. 3070.
4 – Concilio di Trento, DH 1501: «questa verità e normativa [ogni verità salvifica e ogni norma morale] è contenuta nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte che, raccolte dagli Apostoli dalla bocca dello stesso Cristo, o dagli stessi Apostoli, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, trasmesse quasi di mano in mano, sono giunte fino a noi.»
5 – Cfr. Concilio Vaticano II, costituzione dogmatica Dei Verbum, 8 e 9, DH 4209-4210.
6 – Vaticano I, Costituzione dogmatica Dei Filius, DH 3020: «Di conseguenza, il senso dei sacri dogmi che deve sempre essere conservato è quello che Santa Madre Chiesa ha determinato una volta per tutte e non bisogna mai allontanarsi da esso sotto il pretesto e in nome di una intelligenza più profonda. «Crescano pure, quindi, e progrediscano largamente e intensamente, per ciascuno come per tutti, per un sol uomo come per tutta la Chiesa, l’intelligenza, la scienza, la sapienza, secondo i ritmi propri a ciascuna generazione e a ciascun tempo, ma esclusivamente nel loro ordine, nella stessa credenza, nello stesso senso e nello stesso pensiero. (San Vincenzo di Lerino, Commonitorium, 28)»
7 – Vaticano I, Costituzione dogmatica Dei Filius, DH 3011; Giuramento antimodernista, n° 4: Pio XII, Lettera enciclica Humani Generis, DH 3886; Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum, 10, DH 4213.
8 – Come per esempio l’insegnamento sulla sacralità dell’episcopato in Lumen Gentium, n° 21.
9 – Si trova un parallelo nella storia, con il Decreto degli Armeni del Concilio di Firenze, in cui il modo di porgere gli strumenti era indicato come materia del sacramento dell’Ordine. Nondimeno, i teologi discussero legittimamente, anche dopo questo decreto, sull’esattezza di una tale asserzione; infine la questione fu risolta in altro modo dal papa Pio XII.

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