Continuiamo la publicazione del LIBRO "IL LIBERALISMO E' UN PECCATO" DI Don Félix Sardà y Salvany.
Prima e seconda parte.
Terza e quarta parte.
Dal Capitolo 5° al Capitolo 8°.
Dal Capitolo 9° al Capitolo 12°.
Dal Capitolo 13° al Capitolo 16°.
Capitolo 17°.
Capitolo 18°.
Capitolo 19°.
Capitolo 20°.
Capitolo 21°.
Terza e quarta parte.
Dal Capitolo 5° al Capitolo 8°.
Dal Capitolo 9° al Capitolo 12°.
Dal Capitolo 13° al Capitolo 16°.
Capitolo 17°.
Capitolo 18°.
Capitolo 19°.
Capitolo 20°.
Capitolo 21°.
«La
parte dottrinale di cotesto libro, la quale riguarda il liberalismo,
è
eccellente, conforme ai
documenti di Pio IX e di Leone XIII, e giudicata dalla Sacra
Congregazione dell'Indice dottrina sana.» La Civiltà
Cattolica, anno XXXIX, vol. IX della serie XIII, Roma 1888, pag.
346.
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Capitolo 27
Conclusione dell'opportuna e decisiva citazione dalla "Civiltà Cattolica"
"Noi abbiamo - prosegue la Civiltà -difeso contro i liberali la nostra speciale maniera di scrivere, dimostrando la sua perfetta conformità con la carità che essi ci raccomandano continuamente. E poiché fino al presente noi ci siamo rivolti ai liberali, nessuno sarà stato sorpreso dal tono ironico che abbiamo usato con loro, convinti come noi l’eravamo, che non c'era eccesso di crudeltà nell'opporre ai detti e agli atti del liberalismo tale piccolo numero di figure retoriche.
Tuttavia, poiché tocchiamo oggi questa questione, non sarà forse azzardato, cambiando stile e ripetendo ciò che abbiamo scritto in altre occasioni su questo soggetto, terminare quest'articolo con qualche parola indirizzata seriamente e con rispetto a quelli che, non essendo liberali in alcun modo, si mostrano finanche avversari risoluti della dottrina liberale.
Ciò nonostante essi possono credere che non sia mai permesso, scrivendo contro chicchessia, abbandonare certe forme di rispetto e di Carità, delle quali a loro avviso i nostri scritti non avrebbero tenuto abbastanza conto, meritando così di essere biasimati per l'insufficiente sottomissione a questa legge.
Non vogliamo rispondere a questa censura tanto per il rispetto dovuto a queste persone, che per nostra difesa.
Ora, non possiamo farlo meglio che riesumando brevemente qui ciò che il padre Mamachi, dell'ordine dei frati predicatori, affermò nell'introduzione al libro terzo della sua dottissima opera intitolata: "Del libero diritto che ha la Chiesa di acquisire e possedere beni temporali".
Qualcuno, disse, confessa volentieri di essere vinto dalle nostre ragioni, e tuttavia ci dichiara amichevolmente che avrebbe desiderato nelle risposte che noi abbiamo dato ai nostri avversari più moderazione.
Noi non abbiamo combattuto per noi stessi, ma per la causa di nostro Signore e della sua Chiesa, e, se non fossero stati numerosi gli attacchi diretti contro di noi con l'aiuto di manifeste menzogne di atroci calunnie, noi non avremmo mai voluto prendere la difesa della nostra persona. Se dunque abbiamo impiegato qualche espressione troppo aspra, che non ci si faccia all'ingiuria di attribuirla a un cuore malvagio o al rancore contro gli scrittori che noi combattiamo; non abbiamo ricevuto da loro nessuna ingiuria; noi non abbiamo alcun rapporto con loro; non li conosciamo affatto.
È lo zelo che noi dobbiamo assolutamente avere per la causa di Dio, che ci ha posto nella necessità di gridare e di far risuonare la nostra voce come la voce di una tromba.
Ma il decoro dell'uomo d'onore ? Le leggi della Carità ? Le massime e gli esempi dei santi ? Lo spirito di Gesù Cristo ?
Pazienza, poco a poco ci arriveremo. È vero che gli uomini sviati, accecati dall'errore, abbiano diritto a qualche carità ?
Sì, quando vi sia una speranza fondata di ricondurli così alla Verità.
No, allorquando questa speranza non sia fondata e l'esperienza abbia dimostrato che conseguirebbe un grande danno per i popoli se noi conservassimo il silenzio e non rivelassimo al pubblico il temperamento e il carattere di colui che semina l'errore.
Ebbene sarebbe davvero una crudeltà non denunciare con forza e molto liberamente tali propagandisti, a non gettar loro in faccia gli epiteti che essi meritano così bene.
I santi Padri avevano senza alcun dubbio una conoscenza molto grande delle leggi della Carità cristiana ed è per questo che il dottor Angelico San Tommaso d'Aquino, all'inizio del suo celebre opuscolo: "Contro gli avversari della Religione", rappresenta Guglielmo e i suoi settari (che non erano certamente ancora condannati dalla Chiesa) come dei nemici di Dio, dei ministri del diavolo, dei membri dell'anticristo, dei nemici della salvezza del genere umano, dei diffamatori, dei seminatori di bestemmie, dei riprovati, dei perversi, degli ignoranti, degli emuli del faraone peggiori di Gioviniano e Vigilanzio.
Noi, siamo andati mai così lontano ?
San Bonaventura, contemporaneo di San Tommaso, ritenne anche lui di dover riprendere Gerardo con la più grande durezza, definendolo insolente, calunniatore, folle, empio, triplo stupido, truffatore, avvelenatore, ignorante, impostore, malfattore, perfido e insensato.
A noi è mai capitato di trattare così uno dei nostri avversari ?
"Giustamente - continua padre Malachi -San Bernardo è stato soprannominato " il mellifluo". Noi non ci fermeremo a riprodurre qui tutte le durezze che lui si è permesso contro Abelardo; noi ci contenteremo di citare ciò che egli scrisse contro Arnaldo da Brescia, che avendo dichiarato guerra al clero e avendo voluto privarla dei suoi beni fu uno dei precursori dei politici dei nostri tempi. Ebbene ! Il santo dottore lo definisce: disordinato, vagabondo, impostore, vaso di ignominia, scorpione vomito di Brescia, visto con orrore a Roma e con abominazione in Germania; egli fu, disse, disdegnato dal Sovrano Pontefice, glorificato dal diavolo, operaio di iniquità, divoratore del popolo, bocca piena di maledizioni, seminatore di discordia, fabbricante di scismi, lupo feroce.
San Gregorio il grande, nella sua reprimenda a Giovanni, vescovo di Costantinopoli, gli getta in faccia il suo profano il criminale orgoglio, la sua superbia luciferina, le sue sciocche parole, la sua vanità, il suo spirito limitato.
Non diversamente si espressero San Fulgenzio, S. Prospero, San Girolamo, il santo papa Siricio, San Giovanni Crisostomo, Sant'Ambrogio, San Gregorio di Nazianzo, San Basilio, sant’Ilario, di Sant’Attanasio, sant'Alessandro vescovo d'Alessandria, i martiri Cornelio e Cipriano, Giustino, Atenagora, Ireneo, Policarpo, Ignazio d'Antiochia, Clemente, tutti i Padri infine, che nei tempi più belli della Chiesa, si distinsero per la loro eroica Carità.
E passerò sotto silenzio le caustiche parole indirizzate da qualcuno dei Padri ai sofisti della loro epoca, tuttavia meno insensati di quelli della nostra, e agitati da passioni politiche molto meno brucianti.
Citerò solamente qualche passaggio di Sant'Agostino. Questo Padre ha rimarcato che nella correzione gli eretici sono tanto insolenti quanto poco resistente.
"Molti di essi, impazienti nella correzione, lanciano a quelli che li riprendono gli epiteti di "chiassosi" e "litigiosi". Egli aggiunge in seguito che qualche sviato ha bisogno di essere combattuto con una caritatevole asprezza."
Vediamo ora, come egli sapeva mettere in pratica le regole tracciate da lui stesso.
Egli definisce molti di questi smarriti: seduttori, malvagi, ciechi, stupidi, uomini gonfiati d'orgoglio e calunniatori, annunciatori di mostruose menzogne, perversi, lingue cattive, spiriti in delirio, stupidi chiacchieroni, furiosi, frenetici, spiriti di tenebre, svergognati, impudenti.
Egli diceva a Giuliano "ebbene, tu calunni con proposito deliberato, inventando queste cose; tu non sai ciò che dici, poiché tu dai fede a degli impostori. Altrove lo tratta come "ingannatore, mentitore, spirito falso, calunniatore e imbecille".
Che i nostri accusatori rispondano ora: abbiamo noi detto mai niente di simile ? E non siamo noi molto meno importanti ?
Questi estratti sono sufficienti. Non vi abbiamo inserito nulla di nostro, e, per abbreviare, abbiamo fatto solamente qualche taglio nel testo del padre Mamachi, omettendo tra le altre le sue citazioni dei Padri. Per la stessa ragione, abbiamo omesso la parte della sua caritatevole durezza tratta dal Vangelo.
I nostri amabili censori vorranno ben dedurre da questi esempi che la loro critica, quale ne sia il motivo, che essa si basi su un principio di morale o su delle regole di convenienza sociale e letteraria, si trovi pienamente confutata dall'esempio di tanti santi, tra i quali diversi furono eccellenti scrittori. Per lo meno la loro critica ne risulta molto discreditata e ridotta a non avere che un valore molto incerto.
E ora, se si vuole congiungere all'autorità degli esempi, quella delle ragioni, il cardinale Pallavicini le espone molto chiaramente e brevemente nel capitolo II del libro I della sua " Storia del Concilio di Trento".
In questo capitolo, prima di mostrare ciò che fu Sarpi, cioè "perverso, di una malizia notoria, falsario, vigliacco di prima grandezza, avversario di ogni religione, empio e apostata", il sapiente cardinale afferma, tra le altre cose, che "rifiutare di far grazia della vita a un malfattore, al fine di salvare un gran numero di innocenti, è un atto di Carità; allo stesso modo, è Carità di non far grazia assolutamente alla reputazione di un empio , al fine di salvare l'onore di un gran numero di uomini per bene. Qualsiasi legge permette, per difendere un cliente contro un falso testimone, di citare in giudizio e di provare ciò che è idoneo a condannare quest’ultimo, di fare contro di lui rivelazioni che in altre circostanze sarebbero passibili di gravi pene. Per questo motivo, io, che difendo qui davanti al tribunale del mondo, non un cliente particolare, ma tutta la Chiesa cattolica, io sarei un vile prevaricatore se non imprimessi sulla fronte dei falsi testimoni, prove che siano un marchio d'infamia che annulli o almeno indebolisca la loro testimonianza.
L'avvocato, che, potendo svelare nell'accusatore del suo cliente un calunniatore, restasse in silenzio per carità, sarebbe a buon diritto ritenuto pessimo e prevaricatore. Perché dunque non convenire che non si violi per nulla la carità svelando i fatti vergognosi di coloro che perseguitano ogni innocenza ?
Questo significherebbe disconoscere ciò che San Francesco di Sales insegna nella sua "Filotea" alla fine del capitolo 20º della II parte: "faccio eccezione in questo, disse, riguardo ai nemici dichiarati di Dio e della sua Chiesa, i quali debbono essere diffamati tanto quanto possibile (beninteso senza ferire la Verità): è un'opera di grande Carità gridare "al lupo "quando è in mezzo al gregge o in ogni altro luogo ove lo si scorga.".
Ecco come si esprime la "Civiltà Cattolica" (vol. I, serie V, pag. 27). Questo articolo ha tutta l'autorità che gli conferisce la sua origine così elevata e così degna di rispetto, tutta la forza delle ragioni irrefutabili che fa valutare e quella infine delle gloriose testimonianze che cita.
Ce n’è più che abbastanza, si sembra, per convincere chiunque non sia liberale, o miserabilmente intaccato di liberalismo.
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