Il Santissimo Sacramento e la devozione a Pio IX (parte prima)
Il nuovo
anno inizia con una festa di Gesù; e la festa commemora il primo
spargimento del Suo Sangue. E’ una sorta di tipizzazione di tutta la
vita cristiana. Cristo vive in noi e noi viviamo di nuovo la Sua vita. La vita del redento è così intrecciata con quella del Redentore che noi non siamo capaci di comprenderla senza di Lui.
Egli è coinvolto in tutto ciò che facciamo, in tutto ciò che siamo, in
tutto ciò che soffriamo. Non abbiamo un dolore o una gioia che non sia
nostro quanto Suo. Sono Suoi perché sono nostri. E’ il fine, la forza,
il significato di tutta la vita santa. Fa Sue tutte le cose, anche
quelle che sembrano appartenere meno ai Suoi interessi. La Sua
giurisdizione è allo stesso tempo universale e minuta. E’ parte del Suo
amore che i nostri piccoli interessi siano grandi per Lui. Il Vecchio
Anno finisce con la Sua nascita, come se dovesse togliere tutta la
tristezza dal grembo del tempo tramite un così dolce ammonimento
d’eternità. Il Nuovo Anno inizia col Suo dolore, come se dovesse calmare
la spensieratezza della gioia e temperare ogni impetuosità d’azione.
E’ l’esatta descrizione della nostra vita che Gesù è ovunque e in
qualsiasi cosa. Quando invecchiamo, la Sua attrazione assorbe le nostre
vite più potentemente e più esclusivamente. Dato che Egli era il
pensiero principale di Dio per tutta l’eternità, anche il Suo pensiero
in noi deve dominare ogni altro pensiero. Viviamo solo per adorarlo.
Siamo stati predestinati solo perché Egli era predestinato prima. E’ il
primo nato di tutte le creature. Siamo stati fatti a Sua immagine e per
il Suo bene. Ognuno di noi ha qualche lavoro da compiere per Lui,
qualche ufficio speciale da adempiere nella Sua corte, qualche vocazione
peculiare dalla quale Egli trarrà qualche gloria speciale. Questo è il
nostro significato. Siamo nulla senza di Lui. Ma per Lui noi siamo sia
cari, sia importanti. Fa molto di noi; ed è il nostro sapere, come la
nostra felicità, di rendere Lui tutto per noi.
E’ vero
che Gesù non è solamente la nostra vita. E’ vero anche che la Sua vita è
la nostra vita; e questo è vero in infiniti modi, dall’augusta realtà
del Santissimo Sacramento fino all’influenza che uno qualunque dei
misteri del Signore esercita sulla nostra preghiera e sulla nostra
personalità. In tutta la creazione di Dio, a parte gli angeli, non
c’è nulla di così meraviglioso come la vita dell’uomo. Ce ne sono state
milioni di tali vite, ciascuna con la sua meraviglia. Ma una Vita è la
vita vera di tutte queste vite, una Vita più stupenda di tutte le vite
angeliche. E’ la vita del nostro Salvatore Gesù Cristo, Dio e Uomo.
Visse per trentatré anni sulla terra. La Sua vita è una serie
ininterrotta di misteri. I Sui meriti infiniti e le Sue infinite
soddisfazioni sono i tesori che hanno arricchito la povertà del mondo. La
Sua vita umana ci ha fornito i mezzi per redimerci, e ci ha anche
fornito, in tutti i suoi esempi, il percorso di tutta la santità umana.
Le nostre vite devono essere modellate sulla Sua. L’amore di Gesù e
la somiglianza con Gesù: queste due cose costituiscono l’intera santità.
Tutta la storia reale del mondo, tutta quella che ci deve preoccupare
per la salvezza, è contenuta nei quattro Vangeli, nel racconto dei
trentatré anni. Ma questa è solo parte della verità. La vita di Nostro
Signore non è un semplice esempio esterno. E’ un potere, una grazia,
un’efficacia, la cui energia immortale è trasmessa ai secoli più
lontani, sia nell’operato dei Sacramenti, che nelle grazie della
contemplazione. In altre parole, i trentatré anni non sono finiti, e non
lo saranno mai. Andranno avanti nella Chiesa fino alla fine dei tempi.
Ma non
dobbiamo attardarci ora, sebbene ne siamo tentati, sulle dolci verità e
consolazioni inspiegabili che ci fornisce questo fatto. Per noi è
sufficiente sapere che tutta la santità consista nel vivere i nostri
anni per Gesù trovando nella Sua vita il modello e il potere nascosto
che ci permette di conformarci a quel modello. La Chiesa ci insegna
questo durante l’anno ecclesiastico. Non solo ha delle feste separate
per celebrare i vari misteri del Signore, ma si sforza di farci vivere i
trentatré anni della vita di Nostro Signore di nuovo in ciascuno dei
nostri anni. Attraversiamo i dodici bellissimi anni della sua Infanzia
nelle settimane fra Natale e Quaresima. La Quaresima ci tiene con Lui
nel deserto, e ci purifica per la versione dettagliata della Sua
Passione, che la Settimana Santa ci mostra così prepotentemente. Il
tempo di Pasqua è la Sua vita da Risorto, e la festa dell’Ascensione è
incompleta senza quella del Santo Sacramento, il trionfale giorno santo
del Santissimo Sacramento. Da lì fino all’Avvento ci nutriamo per mesi
con i Sermoni, le parabole e gli avvenimenti del Suo Ministero di tre
anni. Nel frattempo, sotto questa vita annuale di Cristo giace la
vita annuale di Maria, che è anche una vita di Gesù. La sua Immacolata
Concezione è quasi mescolata con la sua Maternità.
Celebriamo la sua
Purificazione, ma un po’ prima celebriamo la tentazione di Nostro
Signore nel deserto. La commemorazione dei suoi Dolori sta vicino alla
commemorazione della Sua Passione. L’Assunzione sta alle feste di Maria
come l’ascensione a quelle di Gesù. In tutta quest’organizzazione
percepiamo il costante e forte richiamo della Chiesa al fatto che la
vita di Gesù è la nostra vita, l’esempio della nostra vita, e anche la
sua energia soprannaturale. Tutto è riassunto in questa semplice ma
inesaustibile verità, che i cristiani sono Cristo.
E’
dunque una forma comune del nostro amore verso il nostro carissimo
Signore lo sperare che, con la nostra conoscenza e la nostra fede
attuali, siamo stati con Lui durante i Suoi trentatré anni sulla terra.
Pensiamo a quanto amorevolmente avremmo dovuto servirLo. Immaginiamo
mille casi nei quali il nostro amore si sarebbe espresso in atti di
reverenza e di adorazione. I nostri pensieri si abbandonano sulle
continue riparazioni che avremmo dovuto fare al Suo onore, come avremmo
dovuto intuire i Suoi desideri meglio di coloro che Lo attorniavano,
come le nostre assiduità si sarebbero avvicinate all’entusiastica
devozione degli Apostoli, e come, come l’angelo confortante sul
Getsemani, avremmo dovuto per sempre alleviare le sofferenze della Sua
vita col nostro amore. Desiderare queste cose fa parte del nostro
spirito cristiano. Ma ecco che arriviamo in vista della grande
meraviglia della vita cristiana. Questo non è un semplice desiderio, un
sogno romantico, un irreale strumento dell’amore. I trentatré anni
non sono finiti. Gesù è ancora con noi. Qua e là, come nell’antica
Giudea, reali ministri personali a Gesù sono le azioni con le quali ci
santifichiamo. Devono essere allo stesso tempo l’accensione e la
soddisfazione del nostro amore. Per questo fine Egli è tornato a noi
sotto forma del Santissimo Sacramento. Abita in mezzo a noi nella timida
magnificenza del tabernacolo. Mostra i margini dei Suoi bianchi
vestiti ai nostri occhi. Si mette nelle nostre mani. Affida il suo
essere indifeso a noi. Si appoggia sulla nostra lingua e scende nei
nostri cuori in tutte le sorpassanti realtà del potente Sacramento. E’
più accessibile a noi adesso che nei Suoi trentatré anni. Dà a ciascuno
di noi più tempo e più attenzione. Possiamo averLo totalmente per noi.
Possiamo goderLo con più comodo e più in privato. Di conseguenza il
Santissimo Sacramento è il centro della nostra vita. Possiamo
difficilmente comprendere come si può vivere senza di esso, o lontani da
esso. Carissimo Signore. Come sapeva bene la maniera con la quale
dovevamo tendere ad amarlo, e quanto incredibilmente ha soddisfatto
questo desiderio!
E’ il
fine del Santissimo Sacramento rendere Gesù presente per noi, e
miracolosamente moltiplicare la Sua presenza. I Sacramenti, come li
chiama la teologia, sono le azioni di Cristo. Il Santissimo sacramento è
Cristo stesso vivente. Così vengono continuati sulla terra i
trentatré anni, e continuati in migliaia di posti allo stesso tempo, in
modo che milioni di anime vengano attratte nella loro sfera, e che
vivano vite soprannaturali grazie al calore ed alla luce con la quale la
perenne vita umana del Salvatore li circonda. Come potrebbe il cielo
interferire più palesemente mostrando che l’amore personale di Gesù è
l’essenza della religione, e che la presenza di Gesù era la necessità
della sua vita e del suo potere?
A volte
delle grandi grazie appaiono fantastiche quando le paragoniamo con altre
minori; ma più spesso le minori appaiono specialmente stupende quando
le paragoniamo con quelle più grandi. In altre parole, la misericordia
di Dio colpisce di più nelle piccole cose, in particolare quando le
piccole cose sembrano la ripetizione e la superfluità di quelle grandi. Gesù
ha soddisfatto il Suo immenso amore, e ha dato al nostro amore spazio
per diventare immenso, nel tornare a noi nella Sua natura umana
attraverso il Santissimo Sacramento. Non si può immaginare una più
incredibile continuazione dei suoi trentatré anni. In realtà nessuna
intelligenza creata ne avrebbe potuta immaginare una così incredibile.
Ma il Suo amore copre tutta la creazione; ed Egli ha sentito che questa
invisibile permanenza con noi non fosse abbastanza. Tutte le attenzioni
al Santissimo Sacramento devono per necessità essere di adorazione; e il
potere umano di effettiva adorazione è intermittente. I nostri poveri
cuori vorrebbero sempre adorare il Santissimo Sacramento, ma lo sforzo
sarebbe eccessivo.
Inoltre il nostro servizio al Santissimo
Sacramento rappresenta o le grandi azioni di omaggi pubblici, nelle
quali tutti i fedeli si ritrovano solennemente per unirvisi, e che sono
pertanto poche ed accadono alla distanza temporale che gli uffici della
vita richiede, o rappresenta le nostre intime, nascoste vite di
comunione con Dio. I nostri dolori segreti sono sussurrati alla
porta del Tabernacolo. Portiamo lì le nostre gioie per essere benedette,
raffinate e per essere messe al sicuro. Là ci lamentiamo delle
tentazioni. Là, con timida intrusione, osiamo portare le familiarità
dell’amore, sicuri che solo l’orecchio indulgente del Signore le
sentirà. Là senza vergogna discutiamo con lui, come Giobbe dei tempi
andati, e, anche mentre tremiamo davanti alla Sua Maestà, ci facciamo
coraggio e Lo assaltiamo con la petulanza delle nostre preghiere che
credono solo a metà. Ma il nostro amore ha bisogno di altro oltre a
questo. La nostra vita è una vita di materia, sensi, e cose sensibili.
Nel Santissimo Sacramento Gesù è invisibile. Di conseguenza noi siamo
molto lontani da coloro i quali conversarono col Lui in Giudea. Essi
vedevano il loro amore. Conoscevano con la vista il loro amore.
Leggevano i cari misteri del Divin Cuore dalle divine espressioni della
Sua bellissima Faccia. La luce dei Suoi occhi era per loro un
linguaggio. Il suono della Sua voce era una rivelazione per loro. La Sua
bellezza esterna era un aiuto al loro amore interno. Il Santissimo
Sacramento è migliore in molti modi. Per usare le parole di Nostro
Signore, la Sua invisibile presenza era “più conveniente”. Ma il Gesù
visibile era in un certo modo più dolce, più caro. Non possiamo evitare
di sentire questo, ma dovremmo comunque essere sorpresi di come Gesù ha
rimediato per noi a questa perdita, se non fosse che una tale ripetuta
esperienza del Suo amore ci ha fatto cessare di sorprenderci di
qualunque cosa Egli faccia.
Dovrebbe un’anima conoscere un modo col quale può amare Gesù, e non bruciarsi?
Un’anima dovrebbe conoscere un modo per amare Gesù, e poi scoprire che
Gesù non ha previsto che essa Lo potesse amare in quel modo? Sapeva che,
quando l’amore per Lui avesse preso posto nel nostro cuore e vi avesse
acquisito un delizioso dominio, avremmo dovuto desiderare di prenderci
cura di Lui con le nostre vite esterne, di darGli infinite prove del
nostro affetto, di darGli quelle dimostrazioni di affetto delle quali il
cuore può essere così fertile quando vuole. Il Suo infinito sapere è
sempre il compagno della Sua infinita compassione. Ha cercato la Sua
creazione per trovare un adeguato rappresentate di Se Stesso. Ha cercato
la terra col suo infallibile amore per trovare un adeguato monumento
sul quale, come sul piedistallo di un trofeo, potesse appendere la Sua
insegna, e chiedergli di servirLo. Dev’essere così simile a Lui, che
tutti gli uomini dovrebbero riconoscerlo. Deve avere una tale
somiglianza, da provocare al meglio amore entusiasta e duraturo.
Dev’essere un compendio visibile di tutti i trentatré anni. Come se
tutta Betlemme, tutta Nazareth, tutta la Galilea e tutto il Calvario
devono essere invisibili nel Santissimo Sacramento, così ora in questa
nuova visibile presenza di Gesù tutta Betlemme, tutta Nazareth, tutta la
Galilea e tutto il Calvario devono essere chiari e visibili, reali e
patetici. O caratteristica scelta di Colui che scelse tutte le cose
dall’eternità! Il Creatore scelse il Povero. Quando stava per venire
sulla terra, scelse per Sé la povertà, come condizione della Sua vita
privata. Ora, mentre ha nascosto la Sua faccia nelle nuvole del cielo,
ha scelto i poveri per rappresentarLo, e per continuare per il nostro
bene tutte le occasioni di venerazione e opportunità di santità, che
appartenevano ai trentatré anni. Per questo la chiesa ha sempre
aderito al Povero, come Maria aderì nel freddo, nel buio, nell’umido al
bambino di Betlemme. Di conseguenza i generosi slanci verso i Poveri
sono infallibili segni del nostro amore interno per Gesù, e che la
spiritualità è impedita dall’ingannarsi potendo sempre testare la sua
realtà tramite l’abbondanza della sua elemosina. Che rivelazione da
parte di Gesù è questa Sua scelta dei poveri! Sentiamo che sappiamo
molto di più su di Lui, dato che Ne abbiamo avuto questa nuova
rivelazione. Rivela il Suo carattere grazie alla peculiarità della
Sua scelta, mentre lasciarsi dietro questo secondo Sé visibile ci
manifesta ancora più fortemente che i suoi trentatré anni non
termineranno, e che il servizio personale a Lui è l’unica forma della
nostra santificazione.
Ci farebbe
molto bene rimanere su questa materia, ma dobbiamo continuare. In
realtà il nostro carissimo Signore ha fatto molto per soddisfare la
nostra fame di amore. Ma ce ne sono molti che non possono servirLo nelle
opere di carità corporale; e il più grande numero, di molto, anche
delle opere di carità spirituale per i poveri dipende dalle elemosine.
Anche i poveri stessi devono avere un secondo sé in Gesù, che possono
investire con le sollecitudini del loro amore credente. Inoltre ci
sono ancora desideri e amori nei cuori degli uomini, che dovrebbero
essere portati alla dignità di amore per Gesù, e che non sono
soddisfatti nella devozione ai poveri. Quindi Gesù ha scelto un altro Sé
visibile, in modo da coprire tutto il terreno che i cuori umani possono
coprire. E’ stata una cara invenzione di amore, simile a quella che
ha trasformato il matrimonio in un Sacramento. Ha scelto i Bambini. Ha
scelto i piccoli, che riempiono le nostre abitazioni, che giocano nelle
nostre strade, che affollano i banchi delle nostre scuole. Prima di
tutto ci ha spaventato facendoci diventare reverenti raccontandoci della
vendetta dei grandi angeli, che sono incaricati di custodire l’anima
dei bambini, e del loro potere di punirci, a causa di quella cattiva
Vista di Dio che loro vedono sempre; e poi ci dice che tutti gli atti di
gentilezza verso questi deboli piccoli sono atti di gentilezza verso di
Sé. Da questa scelta è venuto l’istinto della Sua Chiesa verso gli
interessi dei più piccoli. Per le loro anime essa combatte coi governi
del mondo, si lascia aperta agli attacchi, mette in pericolo la sua
pace, lascia da parte la protezione dei grandi, rifiuta la sanzione
della sua obbedienza a leggi inique, sopporta di essere considerata
inintelligibilmente fanatica o pretenziosamente falsa, per coloro che
non possono credere nella sincerità di un tale zelo puramente
soprannaturale. Senza dubbio è stato l’amore del nostro caro Signore nei
nostri confronti, che lo ha spinto a fare dei bambini degli altri Sé.
O gloriosa
capacità dei cuori umani di amare! Persino tutto ciò non fu abbastanza.
Quando serviamo il nostro carissimo Signore nelle persone dei poveri e
dei bambini, noi siamo, come fosse, i Suoi superiori. Lo stiamo
provvedendo delle nostre sovrabbondanze. Ci viene di fronte in
condizioni pietose, e noi siamo pieni di compassione, e corriamo verso
la Sua misericordia, e corriamo verso la Sua salvezza, e lo soccorriamo.
Davvero un dolce incarico, e un più meraviglioso sollievo per il nostro
crescente amore, il quale sta aumentando così tanto da essere un peso
per se stesso! Eppure ci sono altri tipi di amore, che noi
raggiungiamo quando cresciamo nella grazia, tipi più alti rivelanti
grazie più alte, più robusti quanto più adatti alla pienezza della
nostra umanità in Cristo. Vogliamo obbedire. Vogliamo ricevere
comandi, dare ascolto agli insegnamenti, praticare la sottomissione.
Abbiamo nostre proprie volontà, e vogliamo rinunciare ad esse per la
volontà di Colui che amiamo. Ci attacchiamo alle nostre opinioni, e
abbiamo fissato un prezzo elevato sui nostri giudizi; e desideriamo
abbandonarli per Suo amore. Vogliamo conquistare l’autoricerca delle
nostre comprensioni, affinché i nostri cuori possano ingrandirsi e noi
possiamo essere in grado di amare con più veemenza e più esclusivamente.
Nel nostro servizio a Gesù vogliamo immolarci più di quanto i poveri e i
bambini possano compensare.
Inoltre, noi vogliamo Gesù in tutti i
modi. Lo vogliamo come nostro Maestro. Era il nome con cui i Suoi
discepoli sulla terra si compiacevano di chiamarLo. In qualche modo
riuscivano a dare a questo nome un suono affettuoso, nel Suo caso al di
sopra di quello che qualunque altro nome possiede. Ascoltavano i
Suoi sermoni sul monte e al piano. Seguivano attentamente le parole che
cadevano come perle di grande valore dalle Sue belle labbra. In
estasiato silenzio essi alimentavano le proprie anime col Suo
insegnamento, che era per loro l’autentico pane della vita eterna. Le
Sue parabole penetravano nei loro cuori e ivi diventavano vaste
rivelazioni dei misteri di Dio. Non possiamo rinunciare a tutto questo.
Egli deve essere anche il nostro Maestro, non in un libro morto, non per
sentito dire, ma il nostro davvero vivente Maestro, ai cui piedi
possiamo deporre la nostra presunzione, e al suono della Sua voce
possiamo smettere d’amare i nostri giudizi e le nostre vanità. Gesù
lasciò Maria alla Chiesa nascente, ma anche Pietro.
Non era forse per
fornire questo ardente desiderio di fervore primitivo, un ardente
desiderio che si era nutrito così recentemente della Sua propria cara
presenza nella carne? Persino le maestosità della santità apostolica non
potevano sopportare che sia Gesù che Maria venissero prelevati in uno
stesso momento. Così allo stesso modo ora Egli ci ha lasciato il Papa.
Il Sovrano Pontefice è una terza visibile presenza di Gesù tra di noi,
di un ordine più elevato, di un significato più profondo, di
un’importanza più immediata, di una natura più esigente della Sua
presenza nei poveri e nei bambini. Il Papa è il Vicario di Gesù sulla
terra, e tra i sovrani del mondo gode di tutti i diritti e poteri
supremi della Sacra Umanità di Gesù. Nessuna corona può essere al di
sopra della sua corona. Per diritto divino egli non può essere soggetto a
nessuno. Qualsiasi sottomissione è una violenza e una persecuzione.
Egli è un re per la virtù del suo ufficio; tra tutti i re egli è il più
prossimo al Re dei re. Egli è l’ombra visibile proiettata
dall’Invisibile Capo della Chiesa nel Santissimo Sacramento. Il suo
ufficio è un’istituzione emanante dalla stessa profondità del Sacro
Cuore, fuori dal quale abbiamo già visto sorgere il Santissimo
Sacramento e l’elevazione dei poveri e dei bambini. E’ una
manifestazione dello stesso amore, un’esposizione dello stesso
principio. Con quale premura poi, con quale reverenza, con quale estrema
fedeltà, non dobbiamo noi corrispondere a una così magnifica grazia, a
un così stupefacente amore, quale è questo che il nostro dilettissimo
Salvatore ci ha mostrato nella Sua scelta ed istituzione del Suo Vicario
in terra! Pietro vive sempre perché i trentatré anni stanno sempre
continuando. Le due verità appartengono l’una all’altra. Il Papa è
per noi in tutta la nostra condotta ciò che il Santissimo Sacramento è
per noi in tutta la nostra adorazione. Il mistero del Suo Vicariato è
simile al mistero del Santissimo Sacramento. I due misteri sono
intrecciati.Il Santissimo Sacramento e la devozione a Pio IX (parte seconda)
La conclusione che va tratta da tutto ciò è di grave importanza. E’ niente di meno che questo: la devozione al Papa è una parte essenziale di tutta la religiosità cristiana.
Non è una questione distinta dalla vita spirituale, come se il Papato
fosse solo l’esercizio di governo della Chiesa, un’istituzione
appartenente alla vita esteriore, un interesse divinamente stabilito del
governo ecclesiastico. E’ una dottrina e una devozione. E’ una parte
integrante del progetto del nostro Santissimo Signore. Egli è nel Papa
in un modo nondimeno più elevato di quanto è nei poveri o nei bambini.
Quel che viene fatto al Papa, per lui o contro di lui, è fatto a Gesù
stesso. Tutto ciò che è regale, tutto ciò che è sacerdotale nel
nostro dilettissimo Signore è messo insieme nella persona del Suo
Vicario, al fine di ricevere il nostro ossequio e la nostra venerazione.
Un uomo potrebbe pure tentare di essere un buon cristiano senza
devozione a Nostra Signora, così come senza devozione al Papa; e in
entrambi i casi per la stessa ragione. Sia Sua Madre che il Suo Vicario
sono parte del Vangelo di Nostro Signore.
Vi
chiederei di prendervi ciò molto a cuore ora. Sono convinto che enormi
conseguenze, per il bene della religione, seguirebbero da una chiara
percezione del fatto che la devozione al Papa è una parte essenziale
della religiosità Cristiana. Correggerebbe molti errori. Chiarirebbe
molte incomprensioni. Eviterebbe molte calamità. Ho sempre detto che
l’unica cosa per risolvere tutte le difficoltà è guardare le cose
semplicemente ed esclusivamente dal punto di vista del nostro Santissimo
Signore. Lasciamo che ogni cosa ci sembri com’è in Lui e per Lui. Ci
sono molte complicazioni oggigiorno, molti intrecci confusi tra la
Chiesa e il mondo; ma se noi restiamo saldi a questo principio, se con
un coraggio fanciullesco siamo tutti per Gesù, ci apriremo con sicurezza
un varco in tutti i labirinti e mai ci ritroveremo infelicemente, per
codardia o per rispetto umano o per la volontà di un discernimento
spirituale, dalla parte dove non c’è Gesù.
Se il Papa
è la presenza visibile di Gesù, unendo in se stesso tutta la
giurisdizione spirituale e temporale così come essa appartiene alla
Sacra Umanità, e se la devozione al Papa è un elemento indispensabile in
tutta la santità Cristiana, cosicché senza di essa nessuna religiosità è
solida, ci riguarda davvero molto vedere cosa noi sentiamo nei
confronti del Vicario di Cristo e se i nostri sentimenti abituali verso
di lui sono adeguati a ciò che il nostro Santissimo Signore esige.
Vorrei discutere della questione da un punto di vista devozionale perché
considero questo un punto di vista molto importante. E’ proprio del mio
ufficio e della mia posizione, così come dei miei gusti e impulsi,
guardare a essa in questo modo. In tempi di pace è perfettamente
concepibile che i cattolici possano difficilmente capire, come
dovrebbero, la necessità della devozione al Papa come un elemento
essenziale della pietà cristiana. Potrebbero in pratica arrivare a
pensare che ciò che li riguarda sia andare in chiesa, frequentare i
Sacramenti e adempiere i loro atti di pietà privati. Potrebbe
sembrar loro che non siano interessati da ciò che potrebbero chiamare
politica ecclesiastica. Questo è certamente sempre un triste errore, e
uno a causa del quale sempre l’anima deve soffrire, così come per quanto
concerne più grandi grazie e avanzamenti verso la perfezione. In ogni
epoca è stata una caratteristica costante dei santi che essi avessero
una profonda e sensibile devozione nei confronti della Santa Sede. Ma
se la nostra sorte in tempi di afflizione è proiettata al Sovrano
Pontefice, dovremo velocemente capire che un decadimento della pietà
pratica segue rapidamente e infallibilmente ad ogni visione erronea del
Papato, o ad ogni vile condotta nei confronti del Papa. Dovremo rimanere
sorpresi di scoprire che stretta connessione c’è tra una grande fedeltà
a lui e tutta la nostra generosità verso Dio, così come per la
munificenza di Dio nei nostri confronti. Dobbiamo entrare,
dev’essere parte della nostra devozione privata entrare, calorosamente
nei sentimenti della Chiesa per il suo Capo visibile, altrimenti Dio non
sarà in armonia con noi. In ogni tempo, come in ogni vocazione, la
grazia è data a certe tacite condizioni. In futuro, quando Dio
permetterà che la Chiesa venga assalita nella persona del suo Capo
visibile, la sensibilità per la Santa Sede sarà una condizione implicita
di tutta la crescita nella grazia.
Quali sono
allora le ragioni sulle quali la nostra devozione al Papa dovrebbe
essere basata? Primo e più importante, sul fatto che egli è il Vicario
del nostro amatissimo Signore. Il suo ufficio è il modo principale col
quale Gesù si è reso visibile sulla terra. Nella sua giurisdizione egli è per noi come se fosse il nostro Beatissimo Signore stesso.
Poi ancora, la spaventosità della funzione del Papa è un’altra fonte
della nostra devozione per lui. Può qualcuno guardare a una
responsabilità così enorme e non tremare? Milioni di conseguenze
dipendono da lui. Moltitudini di appelli stanno aspettando la sua
decisione. Gli interessi con i quali ha a che fare sono di un’importanza senza pari, perché influiscono sugli interessi eterni delle anime.
Un giorno di governo della Chiesa è più ricco di conseguenze di un anno
di governo dell’impero più potente sulla terra. Da quale importanza del
Sovrano Pontefice deve dipendere Dio tutto il santo giorno! Quali
infinite ispirazioni dello Spirito Santo deve aspettarsi senza ansia al
fine di distinguere la verità nel clamore delle contraddizioni o
nell’oscurità della distanza! La Colomba sussurrante all’orecchio di
San Gregorio, – che cos’è se non un simbolo del Papato? Tra questi
giganteschi sforzi, di tutti i lavori sulla terra, forse il più ingrato e
il meno apprezzato, quanto commovente è l’impotenza del Sovrano
Pontefice, così come l’utilità del suo amato Maestro.
Il suo potere è
la pazienza. La sua maestà è la sopportazione. Egli è la vittima di
tutta l’impazienza e indecenza della terra nelle alte sfere. E’
veramente il servo dei servi di Dio. Gli uomini non possono riempirlo di
oltraggi, come quando sputavano in faccia al suo Maestro. Lo possono
annientare con le loro navi da guerra, come Erode con le sue navi da
guerra annientò il Salvatore del mondo. Possono sacrificare i suoi
diritti alle esigenze passeggere della loro cupidigia, come Ponzio
Pilato un tempo sacrificò Nostro Signore. Ci può essere una cupidigia
nei governi tanto profonda che nessuna cupidigia individuale può
avvicinare; ed è soprattutto questa cupidigia che fa soffrire il Vicario
di Cristo. Uomini che indossano corone d’oro invidiano lui che
indossa la corona di spine. Essi gli invidiano la gravosa sovranità, per
la quale egli deve sacrificare la propria vita, perché essa è il
lascito del suo Maestro e non la sua propria eredità. In ogni successiva
generazione Gesù, nella persona del Suo Vicario, precede nuovi Pilati
ed Erodi. Il Vaticano è soprattutto un Calvario. Chi può contemplare
questa commovente magnificenza e comprenderla come la comprende il
cristiano, e non essere spinto a piangere?
Quando
siamo malati, a volte a causa della collera abbiamo il triste pensiero
che il nostro Beatissimo Signore non santificò mai quella croce con la
Sua pazienza. Ma Egli sopportò e santificò ogni tipo di dolore fisico
nelle innumerevoli sofferenze e ingegnose crudeltà della Sua Passione.
Ma non ha mai patito la vecchiaia. Il peso degli anni non ha mai
intaccato i Suoi bei lineamenti. La luce dei Suoi occhi non si è mai
annebbiata. L’energica virilità della Sua voce non è mai svanita. Non
poteva nemmeno essere che le onorevoli decadenze dell’età lo
avvicinassero. Tuttavia Egli si degna di essere vecchio nei Suoi
Pontefici. I Suoi Vicari sono per la maggior parte incurvati per gli
anni. Io vedo in questo un altro esempio del Suo amore, un’altra
disposizione per la nostra diversità d’amore per Lui. Nessuno in Giudea
poteva mai onorarLo con quello speciale amore che gli uomini buoni si
gloriano di pagare alla vecchiaia. Il rispetto per gli anziani è una
delle più belle forme di generosità dei giovani; ma i giovani in Giudea
non potevano gioire nel sottomettersi così pesantemente nei loro
ministeri a Gesù. Ma ora, nella persona del Suo Vicario, le cui premure
sono rese mille volte più toccanti e le sue indegnità più commoventi a
causa dell’età, noi possiamo avvicinarci a Gesù con nuovi ministeri
d’amore. Un nuovo tipo d’amore per Lui è aperto al fervore e
all’appassionata lungimiranza del nostro affetto. Per questo fatto, nel
conflitto di un vecchio uomo inerme con le grandiosità e le diplomazie e
le false sapienze delle orgogliose giovani generazioni appena esse
sorgono, c’è sicuramente un’altra fonte della nostra devozione al Papa.
Agli
occhi della fede non ci può essere niente di più venerabile del modo in
cui il Papa rappresenta Dio. E’ come se il Cielo fosse sempre aperto
sopra la sua testa, e la luce lo illuminasse e, come Stefano, egli
vedesse Gesù stare alla destra del Padre, mentre il mondo digrigna i
denti contro di lui con un odio, il cui eccesso soprannaturale deve
essere per se stesso un prodigio. Tuttavia, all’occhio incredulo, il
Papato, così come la maggior parte delle cose divine, è una visione
spregevole e miserabile, che provoca soltanto un disprezzo irritato. E’
l’oggetto della nostra devozione che ripara costantemente a questo
disprezzo. Dobbiamo venerare il Vicario di Gesù con fede amorosa e con
una fiduciosa, non biasimante riverenza. Non dobbiamo permetterci di
abbandonarci a pensieri vergognosi, a vili sospetti e a una altrettanto
vile incertezza riguardo a qualsiasi cosa concernente la sua sovranità,
sia spirituale che temporale; giacché anche il suo potere sovrano fa
parte della nostra religione. Non dobbiamo permetterci l’irriverente
infedeltà di distinguere in lui e nella sua funzione ciò che possiamo
considerare come umano da ciò che possiamo riconoscere come divino.
Dobbiamo difenderlo con tutta la tenacia, con tutto l’ardore, con tutta
l’integrità, con tutta la completezza, con cui solo l’amore sa come
difendere le proprie cose sacre. Dobbiamo soccorrerlo nella preghiera
fatta con abnegazione, con una totale, intima, viva, entusiasta
sottomissione, e soprattutto, in questi abominevoli giorni di biasimo e
blasfemia, con una fedeltà più aperta, cavalleresca e senza vergogna.
Gli interessi di Gesù sono in gioco. Non dobbiamo né essere in ritardo,
né stare dalla parte sbagliata.
Ci sono
stati tempi nell’esperienza della Chiesa, in cui la barca di Pietro
sembrava stesse per affondare nei mari oscuri. Ci sono pagine di storia
che ci fanno trattenere il respiro quando le leggiamo, e fermare i
palpiti del nostro cuore, anche se sappiamo molto bene che la prossima
pagina registrerà la brillante vittoria che deriva dalla viva
umiliazione. Ora siamo finiti in una di quelle epoche malvagie. E’
dura da sopportare. Ma la nostra indignazione non compie la giustizia di
Dio e l’amarezza non ci da potere insieme a Lui. Tuttavia c’è un
immenso potere nello scoraggiamento del Fedele. E’ un potere che il
mondo potrebbe temere, se solo lo potesse discernere e capire. Il
silenzio della Chiesa fa sì che i veri angeli guardino a Lei con
speranza. Noi almeno dobbiamo attendere nella paziente tranquillità
della preghiera. L’empietà del miscredente può risvegliare la nostra
fede. L’incertezza dei bambini del Gregge può addolorare i nostri cuori.
Ma non lasciamo che la sacralità del nostro dolore si mischi con
l’amarezza. Dobbiamo fissare i nostri occhi su Gesù e compiere il doppio
dovere che il nostro amore per Lui ci impone. Dico, il doppio
dovere. Poiché questo è un giorno in cui Dio cerca aperte professioni
della nostra fede, annunci senza vergogna della nostra fedeltà. E’ anche
un giorno in cui il senso della nostra impotenza esteriore ci rimanda
più che mai al dovere della preghiera interiore.
Questo è l’altro dovere.
L’aperta professione è di poco valore senza la preghiera interiore;
tuttavia io penso che la preghiera interiore è quasi di minor valore
senza la professione esteriore. Molte virtù crescono in segreto; ma la
fedeltà può fiorire solamente all’aperta luce del sole e sulle aperte
colline.
Come allora stiamo per inaugurare il nostro nuovo anno? Con
l’inenarrabile permesso della Sua compassione, stiamo per innalzare sul
Suo trono sacramentale il Capo Invisibile della Chiesa, cosicché
possiamo venire in soccorso del nostro Capo Visibile, il Suo carissimo e
sacratissimo Vicario, il nostro carissimo e venerabilissimo Padre.
Non c’è bisogno che vi dica per cosa pregare, né come pregare; ma ho un
pensiero, su cui ho riflettuto spesso, e col quale voglio concludere: –
io ho un istinto irrefrenabile, che cioè il premio in paradiso sarà
maggiore per coloro che in terra hanno amato specialmente il Papa che ha
definito l’Immacolata Concezione.
La papolatria è una invenzione del 1870. Prima non esisteva (se non nella corte vaticana)! Leggetevi la storia!
RispondiElimina