Dagli scritti di Padre Adophe Tanquerey (1854 - 1932).
Conformità alla volontà di beneplacito.
Questa conformità consiste nel
sottomettersi a tutti i provvidenziali avvenimenti voluti o permessi da
Dio per il nostro maggior bene e principalmente per la nostra
santificazione.
a) Si appoggia sopra questo fondamento:
che nulla succede senza il volere o il permesso di Dio, e che Dio,
essendo infinitamente sapiente e infinitamente buono, nulla vuole e
nulla permette se non per il bene delle anime, anche quando noi non
riusciamo a vederlo. [...]
Ma per capir questa dottrina, bisogna
guardar le cose con l'occhio della fede e dell'eternità, della gloria di
Dio e della salute degli uomini. Chi si ferma alla vita presente e alla
terrena felicità, non riuscirà mai a intendere i disegni di Dio, che
volle assoggettarci alla prova quaggiù per ricompensarci poi nel cielo.
Tutto è subordinato a questo fine, non essendo i mali presenti che un
mezzo per purificarci l'anima, rinsaldarla nella virtù, e farci
acquistare dei meriti; ogni cosa poi per la gloria di Dio che resta il
fine ultimo della creazione.
b) È dunque un dovere per noi di
sottometterci a Dio in tutti gli avvenimenti lieti o tristi che siano,
nelle pubbliche calamità o nelle private sventure, nelle intemperie
delle stagioni, nella povertà e nei patimenti, nel lutto che ci colpisce
come nel gaudio, nell'ineguale ripartizione dei doni naturali o
soprannaturali, nella povertà come nella ricchezza, nei rovesci come nei
buoni successi, nelle aridità come nelle consolazioni, nella malattia
come nella sanità, nella morte e nei dolori ed incertezze che
l'accompagnano. [...] S. Francesco di Sales, commentando queste parole,
ne ammira la bellezza: "O Dio, quale parole di grandissimo amore! Pensa,
Teotimo, che dalla mano di Dio Giobbe ricevette i beni, dichiarando con
ciò che non aveva tanto stimato i beni perchè beni quanto perchè
provenivano dalla mano del Signore. Stando così le cose, ne conchiude
che bisogna amorosamente sopportare le avversità perchè procedono dalla
stessa mano del Signore, che è egualmente amabile quando distribuisce
afflizioni come quando largisce consolazioni". Le afflizioni infatti ci
porgono occasione di meglio attestare il nostro amore a Dio; l'amarlo
quando ci ricolma di beni è cosa facile, ma spetta solo all'amore
perfetto il ricevere i mali dalla sua mano, non essendo essi amabili se
non per riguardo di chi li dà.
Questo dovere di sottomissione al
beneplacito di Dio negli avvenimenti tristi è dovere di giustizia e
d'obbedienza, perchè Dio è Supremo nostro Padrone che ha su di noi ogni
autorità; è dovere di sapienza, perchè sarebbe follia volersi sottrarre
all'azione della Provvidenza, mentre che nell'umile rassegnazione
troviamo la pace; è dovere d'interesse, perchè la volontà di Dio non ci
prova che per nostro bene, per esercitarci nella virtù e farci
acquistare dei meriti; ma è sopratutto dovere d'amore perchè l'amore è
dono di sè fino all'immolazione.
c) Tuttavia, per agevolare alle anime
tribolate la sottomissione alla divina volontà, è bene, quando non sono
ancor giunte all'amor della croce, suggerir loro alcuni mezzi per
addolcirne i patimenti. Due rimedi li possono alleviare, uno negativo e
l'altro positivo. 1) Il primo è di non aggravarli con falsa tattica: ci
sono di quelli che radunano i loro mali passati, presenti e futuri, e ne
formano come un ammasso che pare loro insopportabile. Bisogna invece
fare il contrario: a ogni giorno basta il suo malanno [...]. In cambio
di ravvivar le ferite del passato ormai cicatrizzate, bisogna o non
pensarvi più o pensarvi solo per considerare i vantaggi che se ne sono
tratti: i meriti acquistati, l'aumento di virtù prodotto con la
pazienza, l'assuefazione al dolore. Così il dolore si attenua; perchè un
male non ci punge se non quando vi fissiamo l'attenzione; una
maldicenza, una calunnia, un insulto non ci arrovellano se non quando li
veniamo acrimoniosamente ruminando.
Quanto all'avvenire è follia
l'impensierirsene. È certamente da savi il prevederlo a fine di
prepararvici per quanto possiamo; ma pensare anticipatamente ai mali che
possono coglierci e attristarcene, è uno sprecare il tempo e le forze a
tutto nostro danno; perchè in fin dei conti questi mali potrebbero non
accadere; che se poi ci coglieranno, penseremo allora a sopportarli con
l'aiuto della grazia che ci sarà data per addolcirli; in questo momento
non l'abbiamo, onde, lasciati alle sole nostre forze, non possiamo che
soccombere sotto il peso d'un carico che ci addossiamo da noi stessi. O
non è meglio abbandonarsi nelle mani del Padre celeste e bandire
inesorabilmente, come cattivi e malefici, i pensieri o i fantasmi che ci
rappresentano dolori passati o futuri?
2) Il rimedio positivo è di pensare,
nel momento in cui si soffre, ai grandi vantaggi del dolore. Il dolore è
un educatore, è una forza, è una fonte di meriti. È un educatore, che
ci illumina e ci fortifica, rammentandoci che quaggiù siamo poveri
esiliati diretti verso la patria e che non dobbiamo trastullarci a
cogliere i fiori delle consolazioni, la vera felicità non potendosi
avere che nel cielo. Ora, come canta il poeta:
"Se l'esilio ci porge troppo amore,
Con la patria lo scambia il nostro cuore!"
È anche una forza: l'abitudine del
piacere fiacca l'attività, svigorisce l'animo e dispone a vituperose
cadute; il dolore invece, non per sè ma per la reazione che provoca,
tende e aumenta le energie e ci rende atti alle più maschie virtù, come
si vide nel corso della grande guerra.
È pure una fonte di meriti per sè e per
gli altri. I patimenti, pazientemente sopportati per Dio e in unione
con Gesù Cristo, meritano un peso eterno di gloria, come S. Paolo
continuamente ripeteva ai primi cristiani: "Stimo non adeguati i
patimenti del momento presente rispetto alla ventura gloria da rivelarsi
in noi. Perchè il momentaneo, leggiero fardello della tribolazione
nostra, oltre ogni misura sublimissimo eterno peso di gloria prepara a
noi [...]. E per le anime generose aggiunge che, soffrendo con Gesù, ne
compiono la passione e contribuiscono con lui al bene della Chiesa
[...]. Il che infatti risulta dalla dottrina della nostra incorporazione
a Cristo [...]. Questi pensieri non tolgono certamente il dolore ma ne
attenuano in modo singolare l'asprezza, facendocene toccar con mano la
fecondità.
Tutto dunque c'invita a conformare la nostra volontà a quella di Dio, anche in mezzo alle tribolazioni [...].
[Brano tratto da “Compendio di Teologia Ascetica e Mistica”, di Padre
Adolphe Tanquerey (1854 - 1932), trad. P. Filippo Trucco e Can.co Luigi
Giunta, Società di S. Giovanni evangelista - Imprimatur Sarzanæ, die 18
Novembris 1927, Can. A. Accorsi, Vic. Gen. - Desclée & Co., 1928]
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