DON CURZIO NITOGLIA
12 ottobre 2010
Il Quindicinale antimodernista “sì sì no no” sta riportando tre articoli sull’infallibilità e la questione della pastoralità del Concilio Vaticano II del teologo brasiliano Arnaldo Xavier Vidigal Da Silveira, stretto collaboratore di Sua Eccellenza mons. Antonio de Castro Mayer Vescovo di Campos e Direttore della rivista teologica mensile “Catolicismo” di San Paolo del Brasile nella quale sono apparsi. Adesso li riassumo e li porgo al lettore in maniera semplificata perché ognuno, anche i non esperti in teologia, possa farsi un’idea chiara su questi temi. Chi volesse poi studiare gli articoli stessi li potrà consultare su questo stesso sito tra breve. Il Da Silveira è anche l’autore di numerosi saggi teologici sul “Novus Ordo Missae” di Paolo VI (apparsi su “Catolicismo” tra il 1970-1971), essi furono presentati a Paolo VI da mons. De Castro Mayer (ma attendono ancora risposta come il “Breve Esame Critico del NOM” presentato a papa Montini dai cardinali Ottaviani e Bacci), poi furono pubblicati in francese riuniti in un libro divenuto celeberrimo sotto il titolo “La Nouvelle Messe de Paul VI: qu’en penser?”, Chiré, 1975. * Il magistero straordinario conciliare non è sempre infallibile Il Concilio è magistero straordinario ‘quanto al modo’, nel senso che non è abitualmente o permanentemente riunito, ma straordinariamente o solennemente; tuttavia il suo insegnamento è infallibile soltanto se definisce una verità di fede come da credersi obbligatoriamente. Quindi il magistero sia ordinario che straordinario è infallibile solo se ha la ‘volontà di definire e obbligare a credere’. Il teologo tedesco Albert Lang spiega bene che «non riveste neppure importanza essenziale il fatto che i vescovi esercitino il loro magistero ‘in modo ordinario e universale’ [cioè sparsi nel mondo ciascuno nella propria Diocesi], oppure esercitino il loro magistero ‘in modo solenne’ [straordinario] riuniti in un Concilio ecumenico convocato dal Papa. In entrambi i casi sono infallibili solo se, in accordo tra di loro e con il Papa (prima condizione), annunziano una dottrina in modo definitivo e obbligatorio (seconda condizione)» (Compendio di Apologetica, tr. it. Torino, Marietti, 1960, p. 461). In breve per esercitare l’infallibilità l’essenziale è obbligare i fedeli a credere come divinamente rivelato ciò che si definisce, sia in ‘maniera ordinaria’ sia in ‘maniera solenne o straordinaria’ (il modo è elemento accidentale dell’infallibilità). La forma esterna solenne o straordinaria ‘quanto al modo’ di pronunciarsi non è per sé indice di infallibilità; l’essenziale è imporre ‘quanto alla sostanza’, in ‘maniera ordinaria o straordinaria’, la dottrina annunziata definitivamente e obbligatoriamente per la salvezza. Onde non tutto ciò che è magistero straordinario quanto alla forma esterna e ‘non comune’ o ‘non ordinaria’ di pronunciarsi con formule solenni è infallibile. Le quattro condizioni dell’infallibilità La costituzione ‘Pastor Aeternus’ del Concilio Vaticano I stabilisce le condizioni necessarie per la infallibilità delle definizioni pontificie straordinarie o ordinarie[1]. Insegna che il Papa è infallibile «quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo l’ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica, definisce una dottrina riguardante la fede ed i costumi, che deve tenersi da tutta la Chiesa»[i]. I teologi sono unanimi nel vedervi la soluzione del problema delle condizioni della infallibilità pontificia[ii]. Pertanto; le condizioni necessarie perché si abbia un pronunciamento del magistero pontificio straordinario o ordinario infallibile sono quattro: 1°) che il Papa parli come Dottore e Pastore universale; 2°) che usi della pienezza della sua autorità apostolica; 3°) che manifesti la volontà di definire e di obbligare a credere; 4°) che tratti di fede o di morale. La ‘voluntas definiendi’ nel Papa e nel Concilio a) Il Papa Il punto cruciale del problema è nella terza condizione, e cioè che vi sia intenzione di definire ed obbligare a credere. Come si manifesta questa intenzione? Fondamentale è che sia chiaro, in un modo o nell’altro, che il Papa vuole definire (in maniera ‘ordinaria’ o ‘straordinaria’) una verità da credere obbligatoriamente in quanto divinamente rivelata. b) Il Concilio Ecumenico Il Concilio Vaticano I non ha dichiarato in che condizioni un Concilio ecumenico è infallibile. Ma, per analogia con il magistero pontificio, si può affermare che le condizioni sono le stesse. Come il Papa, il Concilio ha la facoltà di essere infallibile, ma può usarne o no, a sua volontà. Molti cattolici male informati potrebbero a questo punto obiettarci di avere sempre sentito dire che ogni Concilio ecumenico è necessariamente infallibile. Questo non è però quanto dicono i teologi: “a posse ad esse non valet illatio”, ossia “il passaggio da poter essere infallibilmente assistito ed esserlo de facto non è valido”. San Roberto Bellarmino spiega che solo dalle parole del Concilio si può sapere se i suoi decreti sono proposti come infallibili. E conclude che, quando le espressioni al riguardo non sono chiare, non è certo che tale dottrina sia di fede[iii]. E, se non è certo, non è da credere, perché, secondo il Codice di Diritto Canonico, «nessuna verità deve essere considerata come dichiarata o definita come da credere, a meno che questo consti in modo manifesto»[iv]. La costanza dell’insegnamento lo rende infallibile Tuttavia, il magistero ordinario può, in altro modo oltre la voluntas definiendi in ‘maniera non solenne o normale’, comportare l’infallibilità. Padre J. A. Aldama dice: «Benché il magistero ordinario del Pontefice Romano non sia di per sé infallibile, se però [pur senza la voluntas definiendi esplicitata] insegna costantemente e per un lungo periodo di tempo una certa dottrina a tutta la Chiesa, si deve assolutamente ammettere la sua infallibilità; in caso contrario, la Chiesa indurrebbe in errore»[v]. In questo caso ci troviamo di fronte alla infallibilità del magistero ordinario per la continuità di uno stesso insegnamento. Il fondamento dottrinale di questo titolo di infallibilità è quello indicato dal padre Aldama: se in una lunga e ininterrotta serie di documenti ordinari su uno stesso punto i Papi e la Chiesa universale potessero ingannarsi, le porte dell'inferno avrebbero prevalso contro la Sposa di Cristo. Essa si sarebbe trasformata in maestra di errori, alla cui influenza pericolosa e perfino nefasta i fedeli non avrebbero modo di sfuggire. Evidentemente il fattore tempo non è l'unico di cui si debba tenere conto. Ve ne sono numerosi altri. Secondo la classica formula di san Vincenzo di Lerino, dobbiamo credere a quanto è stato insegnato ‘sempre, ovunque e da tutti’, «quod semper, quod ubique, quod ab omnibus». Infatti l'assistenza dello Spirito Santo sarebbe manchevole se una dottrina insegnata “sempre, ovunque e da tutti” potesse essere falsa. Tuttavia è necessario non intendere l'adagio in senso esclusivo, cioè come se l’infallibilità per la continuità di uno stesso insegnamento esistesse soltanto quando si verificassero queste tre condizioni[vi]. Vi può essere anche solo con la voluntas definiendi in maniera ordinaria. Vaticano II e infallibilità Il Concilio Vaticano II ha usato la prerogativa della infallibilità? La risposta è semplice e categorica: no. In nessuna occasione i Padri conciliari hanno avuto la voluntas definiendi et obligandi, cioè in nessuna occasione hanno osservato la terza condizione di infallibilità sopra indicata. Solo dove ha ripetuto ciò che la Chiesa aveva insegnato costantemente e infallibilmente il Vaticano II è stato infallibile de facto. Già nella fase preparatoria del Concilio Giovanni XXIII aveva dichiarato che esso non avrebbe definito verità da credere, ma doveva avere soltanto un carattere pastorale. Si veda inoltre in proposito la “Dichiarazione del 6 marzo 1964 della Commissione Dottrinale”[vii]. Questa dichiarazione ha un’enorme importanza, non solo per essere stata ripetuta posteriormente dalla stessa commissione[viii], e applicata ufficialmente a più di uno schema[ix], ma soprattutto perché Paolo VI l'ha indicata come norma di interpretazione di tutto il Concilio[x]. Vi è la possibilità eccezionale di errore in atti del magistero Possiamo dire che il semplice fatto secondo cui i documenti del magistero si dividano in infallibili e in ‘non infallibili’, lascia aperta, in tesi, la possibilità di errore in qualcuno di quelli ‘non infallibili’, i quali per definizione possono eccezionalmente “fallire” essendo ‘non-infallibili’. Questa conclusione si impone in base al principio metafisico enunciato da san Tommaso d'Aquino: «quod possibile est non esse, quandoque non est», ossia «ciò che può non essere [infallibile], talora non è [infallibile]»[xi]. Se, in via di principio, in un documento pontificio vi può essere errore per il fatto di non osservare le quattro condizioni dell’infallibilità, lo stesso si deve dire a proposito dei documenti conciliari, quando non osservino le stesse condizioni. In altri termini, quando un Concilio non intende definire con la voluntas obligandi verità di fede come divinamente rivelate, a rigore può cadere in errore. Questa conclusione deriva dalla simmetria esistente tra la infallibilità pontificia e quella della Chiesa messa in evidenza dallo stesso Concilio Vaticano I [xii]. La sospensione dell’assenso ad un atto magisteriale difforme dalla Tradizione apostolica è lecita ●Quando vi sia «un’opposizione precisa tra un testo di enciclica e le altre testimonianze della Tradizione apostolica»[xiii], allora sarà lecito al fedele dotto e che abbia studiato accuratamente la questione, sospendere o negare il suo assenso al documento papale. La stessa dottrina si trova in teologi molto autorevoli. Ne citiamo alcuni. Padre Diekamp: «Questi atti non infallibili del magistero del Romano Pontefice non obbligano a credere e non postulano una sottomissione assoluta e definitiva. Tuttavia bisogna aderire con un assenso religioso e interno a tali decisioni, dal momento che costituiscono atti del supremo magistero della Chiesa, e che si fondano su solide ragioni naturali e soprannaturali. L'obbligo di aderire ad esse può cominciare a cessare solo nel caso, che si dà soltanto rarissimamente, in cui un uomo idoneo a giudicare l'argomento in questione, dopo una diligente e ripetuta analisi di tutte le ragioni, giunga alla convinzione che nella decisione si è introdotto l'errore» [xiv]. Padre Merkelbach: «Finché la Chiesa non insegna con autorità infallibile, la dottrina proposta non è di per sé irreformabile; perciò, se per accidens ossia eccezionalmente, in un’ipotesi per altro rarissima, dopo un esame assai accurato a qualcuno sembra che esistano ragioni gravissime contro la dottrina così proposta, sarà lecito senza temerarietà, ‘sospendere l'assenso interno’» [xv]. Il consiglio dato con frequenza al fedele in tali casi è di «sospendere il giudizio» sull'argomento. Se questa «sospensione del giudizio» comporta un’astensione, da parte del fedele, da qualsiasi presa di posizione di fronte all'insegnamento pontificio in questione, essa rappresenta soltanto una delle posizioni lecite nell’ipotesi considerata. Infatti, la «sospensione dell’assenso interno», di cui parlano i teologi, ha maggiore ampiezza della semplice «sospensione del giudizio» del linguaggio corrente. A seconda del caso, il diritto di «sospendere l'assenso interno›› comporterà, oltre al non giudicare, quello di temere che vi sia errore nel documento del magistero, o quello di dubitare dell’insegnamento in esso contenuto, o anche quello di respingerlo. ●Da tutto quanto esposto si deduce che, in via di principio, 1'esistenza di errori in documenti ‘non infallibili’ del magistero non ripugna, anche pontificio e conciliare. Indubbiamente tali errori non possono essere durevolmente proposti nella Santa Chiesa, al punto da mettere le anime nel dilemma di accettare l’insegnamento falso oppure di rompere con la Chiesa. Tuttavia è possibile, in via di principio, che per qualche tempo, soprattutto in periodi di crisi e di grandi eresie, si trovi qualche errore in documenti del magistero. Come è evidente, facciamo queste osservazioni senza alcun obbiettivo demolitore. Non miriamo a fondare le «contestazioni» ereticali con cui i progressisti o i conciliaristi gallicani cercano, in ogni momento, di scuotere il principio di autorità papale nella Chiesa. Quello a cui di fatto miriamo, mettendo in risalto la possibilità di errore in documenti non infallibili, è offrire un aiuto per illuminare i problemi di coscienza e gli studi di molti antiprogressisti di fronte alle novità introdotte dal Vaticano II e dal post-concilio, perché essi, per il fatto di ignorare tale possibilità, si trovano spesso in condizione di perplessità per quanto riguarda il Concilio Vaticano II e le riforme da esso scaturite. “Resistenza pubblica” all’autorità ecclesiastica che erra San Tommaso d’Aquino, in diverse sue opere, insegna che in casi estremi è lecito resistere pubblicamente a una decisione pontificia, come san Paolo ha resistito in faccia a san Pietro: «essendovi un pericolo prossimo per la fede, i prelati devono essere ripresi, perfino pubblicamente, da parte dei loro soggetti. Così san Paolo, che era soggetto a san Pietro, lo riprese pubblicamente, in ragione di un pericolo imminente di scandalo in materia di fede»[xvi]. Il magistero ordinario può essere infallibile, ma non lo è sempre di per sé Attenzione! anche il magistero ordinario papale può essere infallibile quando il Papa insegna in maniera ordinaria o non solenne ‘quanto al modo’, ma obbligante ‘quanto alla sostanza’ a credere una verità come rivelata da Dio e sempre ritenuta dalla Chiesa (per es. Giovanni Paolo II sulla impossibilità del sacerdozio femminile). Alle stesse condizioni è infallibile il magistero ordinario universale, che è l’insegnamento moralmente unanime dei vescovi sparsi nel mondo - ciascuno nella propria Diocesi - e uniti al Papa (per es. Pio XII chiede ai vescovi di tutto il mondo se reputano divinamente rivelata l’Assunzione di Maria SS. in cielo). Attenzione, però! se il magistero ordinario può definire infallibilmente una verità da credere obbligatoriamente come di fede, non significa che sia sempre infallibile e che ogni suo pronunciamento sia una definizione dommatica; lo è solo se vuole proporre una verità come di fede rivelata e obbligare a crederla per la salvezza eterna. «Generalmente basta la funzione del magistero ordinario a costituire una verità di fede divino-cattolica, vedi Concilio Vaticano I, sess. III, c. 3, DB, 1792: “Sono da credersi di fede divino-cattolica tutte le cose che sono contenute nella Parola di Dio scritta o tramandata e che sono proposte a credere dalla Chiesa, sia con giudizio solenne sia col magistero ordinario, come divinamente rivelate”» (P. Parente, Dizionario di teologia dommatica, Roma , Studium, 4a ed., 1957, voce “Definizione dommatica”). Pio IX nella Lettera “Tuas libenter” del 21 dicembre 1863 insegna: «se si trattasse della sottomissione dovuta alla fede divina, non la si potrebbe restringere ai soli punti definiti con decreti emanati dai Concili Ecumenici, o dai Romani Pontefici; ma bisognerebbe ancora estenderla a tutto ciò che è trasmesso, come divinamente rivelato, dal magistero ordinario universale di tutta la Chiesa sparsa nell’universo». D. Curzio Nitoglia 12 ottobre 2010 [1] Il Concilio Vaticano I, sess. III, c. 3, DB, 1792 insegna infallibilmente: “Sono da credersi di fede divino-cattolica tutte le cose che sono contenute nella Parola di Dio scritta o tramandata e che sono proposte a credere dalla Chiesa come divinamente rivelate [elemento essenziale], sia con giudizio solenne sia col magistero ordinario [elemento accidentale modale]”. Come si vede il magistero ordinario consta di un giudizio non solenne ‘quanto al modo’ di esprimersi, ma se manifesta la voluntas definiendi anche in maniera ordinaria, comune o non solenne è egualmente infallibile. [i] DB, 1839. [ii] Cfr. F. Diekamp, Theologiae Dogmaticae Manuale, Desclée, Parigi-Tours-Roma, 1933, vol. I, p. 71; L. Billot, Tractatus de Ecclesia Christi, Giachetti, Prato, 1909, tomo I, pp. 639 ss.; L. Choupin, Valeur des décisions doctrianales et dísciplinaires du Saint-Siège, Beauchesne, Parigi, 1928, p. 6; J. M. Hervé, Manuale Theologiae Dogmaticae, Berche, Parigi, 1952, vol. I, pp. 473 ss.; C. Journet, op. cit., vol. I, p. 569; P. Nau, El magisterio pontificio ordinario, lugar teologico, cit., p. 43; I. Salaverri., op. cit., p. 697; S. Cartechini., op. cit., p. 40. [iii] Cfr. R. Bellarmino, De Conciliis, 2, 12, in Opera omnia, Natale Battezzati, Milano, 1858, vol. II.[iv] Codex Iurís Canonici (1917), can. 1323, § 2. Nello stesso senso, cfr. S. Cartechini, op. cit., p. 26. [v] J. A. De Aldama, Mariologia, in Sacrae Theologiae Summa, BAC, Madrid, 1961, vol. III, p. 418. [vi] Cfr. F. Diekamp, op. cit. p. 68. [vii] Cfr. L'Osservatore Romano, edizione in francese, 18-12-1964, p. 10. [viii] Ibidem. [ix] Cfr. L'Osservatore Romano, edizione in francese, 26-11-1965, p. 3. [x] Cfr. Paolo VI, Discorso del 12-l-1966, in Insegnamenti di Paolo VI, cit., vol VI, Roma, 1967, p. 700 [xi] Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3. [xii] DS, 3074. [xiii] P. Nau, Une source doctrinale: les encycliques, Les Editions du Cèdre, Parigi, 1952, pp. 83-84. [xiv] F. Diekamp, Theologiae Dogmaticae Manuale, Desclée, Parigi Tours-Roma, 1933, vol. I, p. 72. [xv] B. H. Merkelbach, Summa Theologiae Moralis, Desclée, Parigi, 1931, vol. I, p. 601. |
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