Dalle «Catechesi» di san Giovanni
Crisostomo, vescovo
(Catech. 3, 13-19; SC 50, 174-177)
La forza del sangue di Cristo
Vuoi conoscere la forza del sangue di Cristo? Richiamiamone la figura, scorrendo le pagine dell'Antico Testamento.
«Immolate, dice Mosè, un agnello di un anno e col suo sangue segnate le porte» (Es 12, 1-14). Cosa dici, Mosè? Quando mai il sangue di un agnello ha salvato l'uomo ragionevole? Certamente, sembra rispondere, non perché è sangue, ma perché è immagine del sangue del Signore. Molto più di allora il nemico passerà senza nuocere se vedrà sui battenti non il sangue dell'antico simbolo, ma quello della nuova realtà, vivo e splendente sulle labbra dei fedeli, sulla porta del tempio di Cristo.
Se vuoi comprendere ancor più profondamente la forza di questo sangue, considera da dove cominciò a scorrere e da quale sorgente scaturì. Fu versato sulla croce e sgorgò dal costato del Signore. A Gesù morto e ancora appeso alla croce, racconta il vangelo, s'avvicinò un soldato che gli aprì con un colpo di lancia il costato: ne uscì acqua e sangue. L'una simbolo del Battesimo, l'altro dell'Eucaristia. Il soldato aprì il costato: dischiuse il tempio sacro, dove ho scoperto un tesoro e dove ho la gioia di trovare splendide ricchezze. La stessa cosa accade per l'Agnello: i Giudei sgozzarono la vittima ed io godo la salvezza, frutto di quel sacrificio.
E uscì dal fianco sangue ed acqua (cfr. Gv 19, 34). Carissimo, non passare troppo facilmente sopra a questo mistero. Ho ancora un altro significato mistico da spiegarti. Ho detto che quell'acqua e quel sangue sono simbolo del battesimo e dell'Eucaristia. Ora la Chiesa è nata da questi due sacramenti, da questo bagno di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito santo per mezzo del Battesimo e dell'Eucaristia. E i simboli del Battesimo e dell'Eucaristia sono usciti dal costato. Quindi è dal suo costato che Cristo ha formato la Chiesa, come dal costato di Adamo fu formata Eva.
Per questo Mosè, parlando del primo uomo, usa l'espressione: «ossa delle mie ossa, carne dalla mia carne» (Gn 2, 23), per indicarci il costato del Signore. Similmente come Dio formò la donna dal fianco di Adamo, così Cristo ci ha donato l'acqua e il sangue dal suo costato per formare la Chiesa. E come il fianco di Adamo fu toccato da Dio durante il sonno, così Cristo ci ha dato il sangue e l'acqua durante il sonno della sua morte.
Vedete in che modo Cristo unì a sé la sua Sposa, vedete con quale cibo ci nutre. Per il suo sangue nasciamo, con il suo sangue alimentiamo la nostra vita. Come la donna nutre il figlio col proprio latte, così il Cristo nutre costantemente col suo sangue coloro che ha rigenerato.
(Catech. 3, 13-19; SC 50, 174-177)
La forza del sangue di Cristo
Vuoi conoscere la forza del sangue di Cristo? Richiamiamone la figura, scorrendo le pagine dell'Antico Testamento.
«Immolate, dice Mosè, un agnello di un anno e col suo sangue segnate le porte» (Es 12, 1-14). Cosa dici, Mosè? Quando mai il sangue di un agnello ha salvato l'uomo ragionevole? Certamente, sembra rispondere, non perché è sangue, ma perché è immagine del sangue del Signore. Molto più di allora il nemico passerà senza nuocere se vedrà sui battenti non il sangue dell'antico simbolo, ma quello della nuova realtà, vivo e splendente sulle labbra dei fedeli, sulla porta del tempio di Cristo.
Se vuoi comprendere ancor più profondamente la forza di questo sangue, considera da dove cominciò a scorrere e da quale sorgente scaturì. Fu versato sulla croce e sgorgò dal costato del Signore. A Gesù morto e ancora appeso alla croce, racconta il vangelo, s'avvicinò un soldato che gli aprì con un colpo di lancia il costato: ne uscì acqua e sangue. L'una simbolo del Battesimo, l'altro dell'Eucaristia. Il soldato aprì il costato: dischiuse il tempio sacro, dove ho scoperto un tesoro e dove ho la gioia di trovare splendide ricchezze. La stessa cosa accade per l'Agnello: i Giudei sgozzarono la vittima ed io godo la salvezza, frutto di quel sacrificio.
E uscì dal fianco sangue ed acqua (cfr. Gv 19, 34). Carissimo, non passare troppo facilmente sopra a questo mistero. Ho ancora un altro significato mistico da spiegarti. Ho detto che quell'acqua e quel sangue sono simbolo del battesimo e dell'Eucaristia. Ora la Chiesa è nata da questi due sacramenti, da questo bagno di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito santo per mezzo del Battesimo e dell'Eucaristia. E i simboli del Battesimo e dell'Eucaristia sono usciti dal costato. Quindi è dal suo costato che Cristo ha formato la Chiesa, come dal costato di Adamo fu formata Eva.
Per questo Mosè, parlando del primo uomo, usa l'espressione: «ossa delle mie ossa, carne dalla mia carne» (Gn 2, 23), per indicarci il costato del Signore. Similmente come Dio formò la donna dal fianco di Adamo, così Cristo ci ha donato l'acqua e il sangue dal suo costato per formare la Chiesa. E come il fianco di Adamo fu toccato da Dio durante il sonno, così Cristo ci ha dato il sangue e l'acqua durante il sonno della sua morte.
Vedete in che modo Cristo unì a sé la sua Sposa, vedete con quale cibo ci nutre. Per il suo sangue nasciamo, con il suo sangue alimentiamo la nostra vita. Come la donna nutre il figlio col proprio latte, così il Cristo nutre costantemente col suo sangue coloro che ha rigenerato.
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DE SOLEMNI
ACTIONE
LITURGICA POSTMERIDIANA
LITURGICA POSTMERIDIANA
IN PASSIONE
ET MORTE DÓMINI
LECTIO ALTERA Ex. 12, 111
Il
Signore disse a Mosè e ad Aronne nel paese d'Egitto: "Questo mese sarà per
voi l'inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell'anno. Parlate a tutta
la comunità di Israele e dite: Il dieci di questo mese ciascuno si procuri
un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo
piccola per consumare un agnello, si assocerà al suo vicino, al più prossimo
della casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere
l'agnello, secondo quanto ciascuno può mangiarne. Il vostro agnello sia
senza difetto, maschio, nato nell'anno; potrete sceglierlo tra le pecore o
tra le capre e lo serberete fino al quattordici di questo mese: allora tutta
l'assemblea della comunità d'Israele lo immolerà al tramonto. Preso un pò
del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull'architrave delle case, in
cui lo dovranno mangiare. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita
al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo,
né bollito nell'acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e
le viscere. Non ne dovete far avanzare fino al mattino: quello che al
mattino sarà avanzato lo brucerete nel fuoco. Ecco in qual modo lo
mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo
mangerete in fretta. È la pasqua del Signore!
RESPONSORIUM
Ps.
139, 210 et 14
Eripe me, Domine, ab homine malo:
a
viro iniquo libera me.
V. Qui cogitaverunt
malitias in corde: tota die
constituebant prcelia. V. Acuerunt linguas
suas sicut serpentes: venenum
aspidum sub labiis eorum. V. Custodi
me, Domine, de manu peccatoris: et ab
hominibus iniquis libera me. V. Qui cogitaverunt
supplantare gressus meos:
absconderunt superbi laqueum mihi.
V. Et funes extenderunt in laqueum
pedibus meis: iuxta iter scandalum
posuerunt mihi. V. Dixi Domino: Deus
meus es tu: exaudi, Domine, vocem
orationis meae. V. Domine, Domine,
virtus salutis meae: obumbra caput
meum in die belli. V. Ne tradas me a
desiderio meo peccatori: cogitaverunt
adversum me: ne derelinquas me, ne
unquam exaltentur. V. Caput circiiitus
eorum: labor labiorum ipsorum operiet
eos. V. Verumtamen iusti confitebuntur
nomini tuo: et habitabunt recti
cum vultu tuo.
EVANGÉLIUM
Evangelium
Pássio Dómini nostri Jesu Christi secúndum Ioánnem. 18, 1-40; 19, 1-42
In illo témpore: Egréssus est Jesus cum discípulis suis trans torréntem
Cedron, ubi erat hortus, in quem introívit ipse et discípuli ejus. Sciébat
autem et Judas, qui tradébat eum, locum: quia frequénter Jesus convénerat
illuc cum discípulis suis. Judas ergo cum accepísset cohórtem, et a
pontifícibus et pharisaéis minístros, venit illuc cum latérnis et fácibus et
armis. Jesus ítaque sciens ómnia, quæ ventúra erant super eum, procéssit, et
dixit eis: + Quem quaéritis?
C. Respondérunt ei: S. Jesum Nazarénum. C. Dicit eis Jesus:
+
Ego sum. C. Stabat autem et Judas, qui tradébat eum, cum ipsis. Ut ergo
dixit eis: Ego sum: abiérunt retrorsum, et cecidérunt in terram. Iterum ergo
interrogávit eos: + Quem quaéritis? C. Illi autem dixérunt: S. Jesum
Nazarénum. C. Respóndit Jesus: + Dixi vobis, quia ego sum: si ergo me
quaéritis, sínite hos abíre.
C. Ut implerétur sermo, quem dixit: Quia quos dedísti mihi, non pérdidi ex
eis quemquam. Simon ergo Petrus habens gládium edúxit eum : et percússit
pontíficis servum: et abscídit aurículam ejus déxteram. Erat autem nomen
servo Malchus. Dixit ergo Jesus Petro: + Mitte gládium tuum in vagínam.
Cálicem, quem dedit mihi Pater, non bibam illum? C. Cohors ergo et tribúnus
et minístri Judæórum comprehendérunt Jesum, et ligavérunt eum: et adduxérunt
eum ad Annam primum, erat enim socer Cáiphæ, qui erat póntifex anni illíus.
Erat autem Cáiphas, qui consílium déderat Judaéis: Quia expédit, unum
hóminem mori pro pópulo. Sequebátur autem Jesum Simon Petrus et álius
discípulus. Discípulus autem ille erat notus pontífici, et introívit cum
Jesu in átrium pontíficis. Petrus autem stabat ad óstium foris. Exívit ergo
discípulus álius, qui erat notus pontífici, et dixit ostiáriæ: et introdúxit
Petrum. Dicit ergo Petro ancílla ostiária: S. Numquid et tu ex discípulis es
hóminis istíus?
C. Dicit ille: S. Non sum.
C.
Stabant autem servi et minístri ad prunas, quia frigus erat, et
calefaciébant se: erat autem cum eis et Petrus stans et calefáciens se.
Póntifex ergo interrogávit Jesum de discípulis suis et de doctrína ejus.
Respóndit ei Jesus: + Ego palam locútus sum mundo: ego semper dócui in
synagóga et in templo, quo omnes Judaéi convéniunt: et in occúlto locútus
sum nihil. Quid me intérrogas? intérroga eos, qui audiérunt, quid locútus
sim ipsis: ecce, hi sciunt, quæ díxerim ego.
C.
Hæc autem cum dixísset, unus assístens ministrórum dedit álapam Jesu, dicens:
S. Sic respóndes pontífici?
C. Respóndit ei Jesus: + Si male locútus sum, testimónium pérhibe de malo:
si autem bene, quid me cædis?
C. Et misit eum Annas ligátum ad Cáipham pontíficem. Erat autem Simon Petrus
stans et calefáciens se. Dixérunt ergo ei: S. Numquid et tu ex discípulis
ejus es? C. Negávit ille et dixit: S. Non sum. C. Dicit ei unus ex servis
pontíficis, cognátus ejus, cujus abscídit Petrus aurículam: S. Nonne ego
tevidi in horto cum illo? C. Iterum ergo negávit Petrus: et statim gallus
cantávit. Addúcunt ergo Jesum a Cáipha in prætórium. Erat autem mane : et
ipsi non introiérunt in prætórium, ut non contaminaréntur, sed ut
manducárent pascha. Exívit ergo Pilátus ad eos foras et dixit: S. Quam
accusatiónem affértis advérsus hóminem hunc?
C. Respondérunt et dixérunt ei: S. Si non esset hic malefáctor, non tibi
tradidissémus eum. C. Dixit ergo eis Pilátus: S. Accípite eum vos, et
secúndum legem vestram judicáte eum. C. Dixérunt ergo ei Judaéi: S. Nobis
non licet interfícere quemquam. C. Ut sermo Jesu implerétur, quem dixit,
signíficans, qua morte esset moritúrus. Introívit ergo íterum in prætórium
Pilátus, et vocávit Jesum et dixit ei: S. Tu es Rex Judæórum?
C. Respóndit Jesus: A temetípso hoc dicis, an álii dixérunt tibi de me? C.
Respóndit Pilátus: S. Numquid ego Judaéus sum? Gens tua et pontífices
tradidérunt te mihi: quid fecísti? C. Respóndit Jesus:
+
Regnum meum non est de hoc mundo. Si ex hoc mundo esset regnum meum,
minístri mei útique decertárent, ut non tráderer Judaéis : nunc autem regnum
meum non est hinc. C. Dixit itaque ei Pilátus: S. Ergo Rex es tu? C.
Respóndit Jesus: + Tu dicis, quia Rex sum ego.
Ego in hoc natus sum et ad hoc veni in mundum, ut testimónium perhíbeam
veritáti : omnis, qui est ex veritáte, audit vocem meam. C. Dicit ei Pilátus:
S. Quid est véritas? C. Et cum hoc dixísset, íterum exívit ad Judaéos, et
dicit eis: S. Ego nullam invénio in eo causam. Est autem consuetúdo vobis,
ut unum dimíttam vobis in Pascha : vultis ergo dimíttam vobis Regem Judæórum?
C. Clamavérunt ergo rursum omnes, dicéntes: S. Non hunc, sed Barábbam. C.
Erat autem Barábbas latro. Tunc ergo apprehéndit Pilátus Jesum et
flagellávit. Et mílites plecténtes corónam de spinis, imposuérunt cápiti
ejus: et veste purpúrea circumdedérunt eum. Et veniébant ad eum, et dicébant:
S. Ave, Rex Judæórum. C. Et dabant ei álapas. Exívit ergo íterum Pilátus
foras et dicit eis: S. Ecce, addúco vobis eum foras, ut cognoscátis, quia
nullam invénio in eo causam. C. (Exívit ergo Jesus portans corónam spíneam
et purpúreum vestiméntum.) Et dicit eis: S. Ecce homo. C. Cum ergo vidíssent
eum pontífices et minístri, clamábant, dicéntes: S. Crucifíge, crucifíge eum.
C. Dicit eis Pilátus: S. Accípite eum vos et crucifígite : ego enim non
invénio in eo causam. C. Respondérunt ei Judaéi: S. Nos legem habémus, et
secúndum legem debet mori, quia Fílium Dei se fecit. C. Cum ergo audísset
Pilátus hunc sermónem, magis tímuit. Et ingréssus est prætórium íterum: et
dixit ad Jesum: S. Unde es tu? C. Jesus autem respónsum non dedit ei. Dicit
ergo ei Pilátus: S. Mihi non lóqueris? nescis, quia potestátem hábeo
crucifígere te, et potestátem hábeo dimíttere te? C. Respóndit Jesus: + Non
habéres potestátem advérsum me ullam, nisi tibi datum esset désuper.
Proptérea, qui me trádidit tibi, majus peccátum habet. C. Et exínde quærébat
Pilátus dimíttere eum. Judaéi autem clamábant dicéntes: S. Si hunc dimíttis,
non es amícus Caésaris. Omnis enim, qui se regem facit, contradícit Caésari.
C. Pilátus autem cum audísset hos sermónes, addúxit foras Jesum, et sedit
pro tribunáli, in loco, qui dícitur Lithóstrotos, hebráice autem Gábbatha.
Erat autem Parascéve Paschæ, hora quasi sexta, et dicit Judaéis: S. Ecce Rex
vester. C. Illi autem clamábant: S. Tolle, tolle, crucifíge eum. C. Dicit
eis Pilátus: S. Regem vestrum crucifígam? C. Respondérunt pontífices: S. Non
habémus regem nisi Caésarem. C. Tunc ergo trádidit eis illum, ut
crucifigerétur. Suscepérunt autem Jesum et eduxérunt. Et bájulans sibi
Crucem, exívit in eum, qui dícitur Calváriæ, locum, hebráice autem Gólgotha:
ubi crucifixérunt eum, et cum eo alios duos, hinc et hinc, médium autem
Jesum. Scripsit autem et títulum Pilátus: et pósuit super crucem.
Erat autem scriptum: Jesus Nazarénus, Rex Judæórum. Hunc ergo títulum multi
Judæórum legérunt, quia prope civitátem erat locus, ubi crucifíxus est
Jesus. Et erat scriptum hebráice, græce et latíne. Dicébant ergo Piláto
pontífices Judæórum: S. Noli scríbere Rex Judæórum, sed quia ipse dixit: Rex
sum Judæórum. C. Respóndit Pilátus: S. Quod scripsi, scripsi. C. Mílites
ergo cum crucifixíssent eum, acceperunt vestimenta ejus (et fecérunt quátuor
partes: unicuique míliti partem), et túnicam.
Erat autem túnica inconsútilis, désuper contéxta per totum.
Dixérunt ergo ad ínvicem: S. Non scindámus eam, sed sortiámur de illa, cujus
sit.
C. Ut Scriptúra implerétur, dicens: Partíti sunt vestiménta mea sibi: et in
vestem meam misérunt sortem. Et mílites quidem hæc fecérunt. Stabant autem
juxta Crucem Jesu Mater ejus et soror Matris ejus, María Cléophæ, e María
Magdaléne. Cum vidísset ergo Jesus Matrem et discípulum stantem, quem
diligébat, dicit Matri suæ: + Múlier, ecce fílius tuus. C. Deinde dicit
discípulo: + Ecce mater tua.
C. Et ex illa hora accépit eam discípulus in sua. Póstea sciens Jesus, quia
ómnia consummáta sunt, ut consummarétur Scriptúra, dixit: + Sítio. C. Vas
ergo erat pósitum acéto plenum. Illi autem spóngiam plenam acéto, hyssópo
circumponéntes, obtulérunt ori ejus. Cum ergo accepísset Jesus acétum,
dixit: + Consummátum est. C. Et inclináte cápite trádidit spíritum.
(Hic
genuflectitur, et pausatur aliquantulum)
Judaéi ergo (quóniam Parascéve erat), ut non remanérent in cruce córpora
sábbato (erat enim magnus dies ille sábbati) rogavérunt Pilátum, ut
frangeréntur eórum crura et tolleréntur. Venérunt ergo mílites: et primi
quidem fregérunt crura et alteríus, qui crucifíxus est cum eo. Ad Jesum
autem cum veníssent, ut vidérunt eum jam mórtuum, non fregérunt ejus crura,
sed unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et
aqua.
Et qui vidit, testimónium perhíbuit: et verum est testimónium ejus.
Et ille scit, quia vera dicit: ut et vos credátis. Facta sunt enim hæc, ut
Scriptúra implerétur: Os non comminuétis ex eo. Et íterum ália Scriptúra
dicit: Vidébunt in quem transfixérunt.
Post hæc autem rogávit Pilátum Joseph ab Arimathaéa (eo quod esset discípulus Jesu, occúltus autem propter metum Judæórum), ut tólleret corpus Jesu. Et permísit Pilátus. Venit ergo et tulit corpus Jesu. Venit autem et Nicodémus, qui vénerat ad Jesum nocte primum, ferens mixtúram myrrhæ et áloes, quasi libras centum. Accepérunt ergo corpus Jesu, et ligavérunt illud línteis cum aromátibus, sicut mos est Judaéis sepelíre. Erat autem in loco, ubi crucifíxus est, hortus: et in horto monuméntum novum, in quo nondum quisquam pósitus erat. Ibi ergo propter Parascéven Judæórum, quia juxta erat monuméntum, posuérunt Jesum.
Post hæc autem rogávit Pilátum Joseph ab Arimathaéa (eo quod esset discípulus Jesu, occúltus autem propter metum Judæórum), ut tólleret corpus Jesu. Et permísit Pilátus. Venit ergo et tulit corpus Jesu. Venit autem et Nicodémus, qui vénerat ad Jesum nocte primum, ferens mixtúram myrrhæ et áloes, quasi libras centum. Accepérunt ergo corpus Jesu, et ligavérunt illud línteis cum aromátibus, sicut mos est Judaéis sepelíre. Erat autem in loco, ubi crucifíxus est, hortus: et in horto monuméntum novum, in quo nondum quisquam pósitus erat. Ibi ergo propter Parascéven Judæórum, quia juxta erat monuméntum, posuérunt Jesum.
M.
Laus tibi Christe.
Detto questo, Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente
Cèdron, dove c'era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche
Giuda, il traditore, conosceva quel posto, perché Gesù vi si ritirava spesso
con i suoi discepoli. Giuda dunque, preso un distaccamento di soldati e
delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei, si recò là con
lanterne, torce e armi. Gesù allora, conoscendo tutto quello che gli doveva
accadere, si fece innanzi e disse loro: "Chi cercate?". Gli risposero:
"Gesù, il Nazareno". Disse loro Gesù: "Sono io!". Vi era là con loro anche
Giuda, il traditore. Appena disse "Sono io", indietreggiarono e caddero a
terra. Domandò loro di nuovo: "Chi cercate?". Risposero: "Gesù, il
Nazareno". Gesù replicò: "Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me,
lasciate che questi se ne vadano". Perché s'adempisse la parola che egli
aveva detto: "Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato". Allora
Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del
sommo sacerdote e gli tagliò l'orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco.
Gesù allora disse a Pietro: "Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse
bere il calice che il Padre mi ha dato?". Allora il distaccamento con il
comandante e le guardie dei Giudei afferrarono Gesù, lo legarono e lo
condussero prima da Anna: egli era infatti suocero di Caifa, che era sommo
sacerdote in quell'anno. Caifa poi era quello che aveva consigliato ai
Giudei: "È meglio che un uomo solo muoia per il popolo". Intanto Simon
Pietro seguiva Gesù insieme con un altro discepolo. Questo discepolo era
conosciuto dal sommo sacerdote e perciò entrò con Gesù nel cortile del sommo
sacerdote; Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora
quell'altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla
portinaia e fece entrare anche Pietro. E la giovane portinaia disse a
Pietro: "Forse anche tu sei dei discepoli di quest'uomo?". Egli rispose:
"Non lo sono". Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché
faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.
Allora il sommo sacerdote interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e alla
sua dottrina. Gesù gli rispose: "Io ho parlato al mondo apertamente; ho
sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si
riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me?
Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che
cosa ho detto". Aveva appena detto questo, che una delle guardie presenti
diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: "Così rispondi al sommo sacerdote?". Gli
rispose Gesù: "Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male; ma se ho
parlato bene, perché mi percuoti?". Allora Anna lo mandò legato a Caifa,
sommo sacerdote. Intanto Simon Pietro stava là a scaldarsi. Gli dissero:
"Non sei anche tu dei suoi discepoli?". Egli lo negò e disse: "Non lo sono".
Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva
tagliato l'orecchio, disse: "Non ti ho forse visto con lui nel giardino?".
Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò. Allora condussero Gesù dalla
casa di Caifa nel pretorio. Era l'alba ed essi non vollero entrare nel
pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Uscì dunque Pilato
verso di loro e domandò: "Che accusa portate contro quest'uomo?". Gli
risposero: "Se non fosse un malfattore, non te l'avremmo consegnato". Allora
Pilato disse loro: "Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!".
Gli risposero i Giudei: "A noi non è consentito mettere a morte nessuno".
Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte
doveva morire. Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli
disse: "Tu sei il re dei Giudei?". Gesù rispose: "Dici questo da te oppure
altri te l'hanno detto sul mio conto?". Pilato rispose: "Sono io forse
Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa
hai fatto?". Rispose Gesù: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio
regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché
non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù". Allora
Pilato gli disse: "Dunque tu sei re?". Rispose Gesù: "Tu lo dici; io sono
re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere
testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce".
Gli dice Pilato: "Che cos'è la verità?". E detto questo uscì di nuovo verso
i Giudei e disse loro: "Io non trovo in lui nessuna colpa. Vi è tra voi
l'usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi
il re dei Giudei?". Allora essi gridarono di nuovo: "Non costui, ma
Barabba!". Barabba era un brigante.
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati,
intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso
un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: "Salve,
re dei Giudei!". E gli davano schiaffi. Pilato intanto uscì di nuovo e disse
loro: "Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui
nessuna colpa". Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello
di porpora. E Pilato disse loro: "Ecco l'uomo!". Al vederlo i sommi
sacerdoti e le guardie gridarono: "Crocifiggilo, crocifiggilo!". Disse loro
Pilato: "Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna
colpa". Gli risposero i Giudei: "Noi abbiamo una legge e secondo questa
legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio". All'udire queste
parole, Pilato ebbe ancor più paura ed entrato di nuovo nel pretorio disse a
Gesù: "Di dove sei?". Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora
Pilato: "Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il
potere di metterti in croce?". Rispose Gesù: "Tu non avresti nessun potere
su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha
consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande". Da quel momento Pilato
cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: "Se liberi costui, non sei
amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare". Udite
queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel
luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Preparazione della
Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: "Ecco il vostro re!". Ma
quelli gridarono: "Via, via, crocifiggilo!". Disse loro Pilato: "Metterò in
croce il vostro re?". Risposero i sommi sacerdoti: "Non abbiamo altro re
all'infuori di Cesare". Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.
Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo
del Cranio, detto in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri
due, uno da una parte e uno dall'altra, e Gesù nel mezzo. Pilato compose
anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: "Gesù il
Nazareno, il re dei Giudei". Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché
il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in
ebraico, in latino e in greco. I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a
Pilato: "Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re
dei Giudei". Rispose Pilato: "Ciò che ho scritto, ho scritto". I soldati
poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro
parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza
cuciture, tessuta tutta d'un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro:
Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca. Così si adempiva la
Scrittura:
Si son divise tra loro le mie vesti
e sulla mia tunica han gettato la sorte.
E i soldati fecero proprio così. Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco il tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco la tua madre!". E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: "Ho sete". Vi era lì un vaso pieno d'aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù disse: "Tutto è compiuto!". E, chinato il capo, spirò. Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all'altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera e egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto. Dopo questi fatti, Giuseppe d'Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portò una mistura di mirra e di àloe di circa cento libbre. Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. Là dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino.
M.
Laus tibi Christe.
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Cap. DCIII. Riflessioni sull'agonia nel Getsemani e premessa agli altri dolori della Passione
Dice Gesù:
«La sofferenza della mia agonia spirituale tu l'hai contemplata nella sera del Giovedì. Hai visto il tuo Gesù accasciarsi come uomo colpito a morte che sente fuggire la vita attraverso le ferite che lo svenano, o come creatura soverchiata da un trauma psichico superiore alle sue forze. Ne hai visto le fasi crescenti, di questo trauma, culminate nell'effusione sanguigna, provocata dallo squilibrio circolatorio causato dallo sforzo di vincermi e di resistere al peso che mi si era abbattuto sopra.
Io ero, sono, il Figlio del Dio altissimo. Ma ero anche il Figlio dell'uomo. Da queste pagine voglio che sgorghi nitida questa mia duplice natura, ugualmente totale e perfetta.
Della mia Divinità vi fa fede la mia parola, la quale ha accenti che solo un Dio può avere. Della mia Umanità i bisogni, le passioni, le sofferenze che vi presento e che patii nella mia carne di vero Uomo, proposta a modello della vostra umanità, così come vi istruisco lo spirito con la mia dottrina di vero Dio.
Tanto la mia santissima Divinità come la mia perfettissima Umanità, nel corso dei secoli e per l'azione disgregante della "vostra" umanità imperfetta, sono risultate menomate, svisate nella loro illustrazione. Avete resa irreale la mia Umanità, l'avete resa inumana, così come avete resa piccola la mia figura divina, negandola in tante parti che non vi faceva comodo riconoscere o che non potevate più riconoscere con i vostri spiriti, menomati dalle tabi del vizio e dell'ateismo, dell'umanismo, del razionalismo.
Io vengo, in quest'ora tragica, prodromo di universali sventure, vengo a rinfrescarvi nella mente la mia duplice figura di Dio e di Uomo, perché voi la conosciate quale Essa è, perché voi la riconosciate dopo tanto oscurantismo con cui l'avete coperta ai vostri spiriti, perché voi la amiate e torniate ad Essa e vi salviate per mezzo di Essa. È la figura del vostro Salvatore, e chi la conoscerà e l'amerà sarà salvo.
«La sofferenza della mia agonia spirituale tu l'hai contemplata nella sera del Giovedì. Hai visto il tuo Gesù accasciarsi come uomo colpito a morte che sente fuggire la vita attraverso le ferite che lo svenano, o come creatura soverchiata da un trauma psichico superiore alle sue forze. Ne hai visto le fasi crescenti, di questo trauma, culminate nell'effusione sanguigna, provocata dallo squilibrio circolatorio causato dallo sforzo di vincermi e di resistere al peso che mi si era abbattuto sopra.
Io ero, sono, il Figlio del Dio altissimo. Ma ero anche il Figlio dell'uomo. Da queste pagine voglio che sgorghi nitida questa mia duplice natura, ugualmente totale e perfetta.
Della mia Divinità vi fa fede la mia parola, la quale ha accenti che solo un Dio può avere. Della mia Umanità i bisogni, le passioni, le sofferenze che vi presento e che patii nella mia carne di vero Uomo, proposta a modello della vostra umanità, così come vi istruisco lo spirito con la mia dottrina di vero Dio.
Tanto la mia santissima Divinità come la mia perfettissima Umanità, nel corso dei secoli e per l'azione disgregante della "vostra" umanità imperfetta, sono risultate menomate, svisate nella loro illustrazione. Avete resa irreale la mia Umanità, l'avete resa inumana, così come avete resa piccola la mia figura divina, negandola in tante parti che non vi faceva comodo riconoscere o che non potevate più riconoscere con i vostri spiriti, menomati dalle tabi del vizio e dell'ateismo, dell'umanismo, del razionalismo.
Io vengo, in quest'ora tragica, prodromo di universali sventure, vengo a rinfrescarvi nella mente la mia duplice figura di Dio e di Uomo, perché voi la conosciate quale Essa è, perché voi la riconosciate dopo tanto oscurantismo con cui l'avete coperta ai vostri spiriti, perché voi la amiate e torniate ad Essa e vi salviate per mezzo di Essa. È la figura del vostro Salvatore, e chi la conoscerà e l'amerà sarà salvo.
In
questi giorni ti ho fatto conoscere le mie sofferenze fisiche. Esse
hanno torturato la mia Umanità. Ti ho fatto conoscere le mie sofferenze
morali, connesse, intrecciate, fuse a quelle della Madre mia, così come
sono le inestricabili liane delle foreste equatoriali, che non si
possono separare per reciderne una sola, ma che si deve spezzarle con un
unico colpo d'accetta per aprirsi il varco, uccidendole insieme; così
come sono le vene di un corpo, che non se ne può privare di sangue una
perché un unico umore le empie; così, meglio ancora, così come non si
può impedire che nella creatura, che si forma nel seno della madre,
entri la morte se la madre muore, perché è la vita, il calore, il
nutrimento, il sangue della madre quello che, con ritmo sonante sul moto
del materno cuore, penetra, attraverso le interne membrane, sino al
nascituro e lo completa alla vita.
Ella, oh! Ella, la pura Madre mia, mi ha portato non solo per i nove mesi con cui ogni femmina d'uomo porta il frutto dell'uomo, ma per tutta la vita. I nostri cuori erano uniti da spirituali fibre e hanno palpitato insieme sempre, e non c'era lacrima materna che cadesse senza rigarmi il cuore del suo salso, e non c'era mio interno lamento che non risuonasse in Lei svegliando il suo dolore.
Vi fa pena la madre di un figlio destinato alla morte per morbo insanabile, la madre di un condannato al supplizio dal rigore dell'umana giustizia. Ma pensate a questa Madre mia, che dal momento in cui mi ha concepito ha tremato pensando che ero il Condannato, a questa Madre che quando m'ha dato il primo bacio sulle carni morbide e rosee di neonato ha sentito le future piaghe della sua Creatura, a questa Madre che avrebbe dato dieci, cento, mille volte la sua vita per impedirmi di divenire Uomo e di giungere al momento dell'Immolazione, a questa Madre che sapeva e che doveva desiderare quell'ora tremenda per accettare la volontà del Signore, per la gloria del Signore, per bontà verso l'Umanità. No, non vi è stata agonia più lunga, e finita in un dolore più grande, di quella della Madre mia.
E non vi è stato un dolore più grande, più completo del mio. Ero Uno col Padre. Egli mi aveva dall'eternità amato come solo Dio può amare. Si era compiaciuto di Me ed aveva trovato in Me la sua divina gioia. Ed Io l'avevo amato come solo un Dio può amare, e trovato nell 'unione con Lui la mia gioia divina. Gli ineffabili rapporti che legano ab eterno il Padre col Figlio non possono esservi spiegati neppure dalla mia parola, perché, se essa è perfetta, la vostra intelligenza non lo è, e non potete comprendere e conoscere ciò che è Dio finché non siete seco Lui nel Cielo. Ebbene, Io sentivo, come acqua che monta e preme contro una diga, crescere, ora per ora, il rigore del Padre verso di Me.
A testimonianza contro gli uomini-bruti, che non volevano comprendere chi ero, Egli aveva aperto, durante il tempo della mia vita pubblica, tre volte il Cielo: al Giordano (Vol 1 Cap 45), al Tabor (Vol 5 Cap 349) e in Gerusalemme (Vol 9 Cap 598) nella vigilia della Passione. Ma l'aveva fatto per gli uomini, non per dare sollievo a Me. Io ormai ero l'Espiatore.
Molte volte, Maria, Dio fa conoscere agli uomini un suo servo perché essi ne siano scossi e trascinati, attra-verso esso, a Lui, ma ciò avviene anche attraverso il dolore di quel servo. È desso che paga in proprio, man-giando il pane amaro del rigore di Dio, i conforti e la salvezza dei fratelli. Non è vero? Le vittime d'espia-zione conoscono il rigore di Dio. Poi viene la gloria. Ma dopo che la Giustizia è placata. Non è come per il mio Amore, che alle sue vittime dà i suoi baci. Io sono Gesù, Io sono il Redentore, Colui che ha sofferto e sa, per personale esperienza, cosa sia il dolore d'esser guardato con severità da Dio ed essere abbandonato da Lui, e non sono mai severo, e non abbandono mai. Consumo ugualmente, ma in un incendio d'amore.
Più l'ora dell'espiazione si avvicinava e più Io sentivo allontanarsi il Padre. Sempre più separato dal Padre, la mia Umanità si sentiva sempre meno sorretta dalla Divinità di Dio. E ne soffrivo in tutte le maniere. La separazione da Dio porta seco paura, porta seco attaccamento alla vita, porta seco languore, stanchezza, tedio. Più è profonda e più sono forti queste sue conseguenze. Quando è totale, porta disperazione. E quanto più chi, per un decreto di Dio, la prova senza averla meritata, più ne soffre, perché lo spirito vivo sente la recisione da Dio così come una carne viva sente la recisione di un arto. E uno stupore doloroso, accasciante, che chi non l'ha provato non intende.
Ella, oh! Ella, la pura Madre mia, mi ha portato non solo per i nove mesi con cui ogni femmina d'uomo porta il frutto dell'uomo, ma per tutta la vita. I nostri cuori erano uniti da spirituali fibre e hanno palpitato insieme sempre, e non c'era lacrima materna che cadesse senza rigarmi il cuore del suo salso, e non c'era mio interno lamento che non risuonasse in Lei svegliando il suo dolore.
Vi fa pena la madre di un figlio destinato alla morte per morbo insanabile, la madre di un condannato al supplizio dal rigore dell'umana giustizia. Ma pensate a questa Madre mia, che dal momento in cui mi ha concepito ha tremato pensando che ero il Condannato, a questa Madre che quando m'ha dato il primo bacio sulle carni morbide e rosee di neonato ha sentito le future piaghe della sua Creatura, a questa Madre che avrebbe dato dieci, cento, mille volte la sua vita per impedirmi di divenire Uomo e di giungere al momento dell'Immolazione, a questa Madre che sapeva e che doveva desiderare quell'ora tremenda per accettare la volontà del Signore, per la gloria del Signore, per bontà verso l'Umanità. No, non vi è stata agonia più lunga, e finita in un dolore più grande, di quella della Madre mia.
E non vi è stato un dolore più grande, più completo del mio. Ero Uno col Padre. Egli mi aveva dall'eternità amato come solo Dio può amare. Si era compiaciuto di Me ed aveva trovato in Me la sua divina gioia. Ed Io l'avevo amato come solo un Dio può amare, e trovato nell 'unione con Lui la mia gioia divina. Gli ineffabili rapporti che legano ab eterno il Padre col Figlio non possono esservi spiegati neppure dalla mia parola, perché, se essa è perfetta, la vostra intelligenza non lo è, e non potete comprendere e conoscere ciò che è Dio finché non siete seco Lui nel Cielo. Ebbene, Io sentivo, come acqua che monta e preme contro una diga, crescere, ora per ora, il rigore del Padre verso di Me.
A testimonianza contro gli uomini-bruti, che non volevano comprendere chi ero, Egli aveva aperto, durante il tempo della mia vita pubblica, tre volte il Cielo: al Giordano (Vol 1 Cap 45), al Tabor (Vol 5 Cap 349) e in Gerusalemme (Vol 9 Cap 598) nella vigilia della Passione. Ma l'aveva fatto per gli uomini, non per dare sollievo a Me. Io ormai ero l'Espiatore.
Molte volte, Maria, Dio fa conoscere agli uomini un suo servo perché essi ne siano scossi e trascinati, attra-verso esso, a Lui, ma ciò avviene anche attraverso il dolore di quel servo. È desso che paga in proprio, man-giando il pane amaro del rigore di Dio, i conforti e la salvezza dei fratelli. Non è vero? Le vittime d'espia-zione conoscono il rigore di Dio. Poi viene la gloria. Ma dopo che la Giustizia è placata. Non è come per il mio Amore, che alle sue vittime dà i suoi baci. Io sono Gesù, Io sono il Redentore, Colui che ha sofferto e sa, per personale esperienza, cosa sia il dolore d'esser guardato con severità da Dio ed essere abbandonato da Lui, e non sono mai severo, e non abbandono mai. Consumo ugualmente, ma in un incendio d'amore.
Più l'ora dell'espiazione si avvicinava e più Io sentivo allontanarsi il Padre. Sempre più separato dal Padre, la mia Umanità si sentiva sempre meno sorretta dalla Divinità di Dio. E ne soffrivo in tutte le maniere. La separazione da Dio porta seco paura, porta seco attaccamento alla vita, porta seco languore, stanchezza, tedio. Più è profonda e più sono forti queste sue conseguenze. Quando è totale, porta disperazione. E quanto più chi, per un decreto di Dio, la prova senza averla meritata, più ne soffre, perché lo spirito vivo sente la recisione da Dio così come una carne viva sente la recisione di un arto. E uno stupore doloroso, accasciante, che chi non l'ha provato non intende.
Io l'ho provato.
Tutto ho dovuto conoscere per potere di tutto perorare presso il Padre
in vostro favore. Anche le vostre disperazioni. Oh, Io l'ho provato cosa
vuol dire: "Sono solo. Tutti mi hanno tradito, abbandonato. Anche il
Padre, anche Dio non m'aiuta più". Ed è per questo che opero misteriosi
prodigi di grazia presso i poveri cuori che la disperazione soverchia, e
che chiedo ai miei prediletti di bere il mio calice così amaro di
esperienza, perché essi, coloro che naufragano nel mare della
disperazione, non ricusino la croce che offro per àncora e per salvezza,
ma vi si afferrino ed Io li possa portare alla beata riva dove non vive
che pace.
Nella sera del Giovedì, Io solo so se avrei avuto bisogno del Padre! Ero uno spirito già agonizzante per lo sforzo di aver dovuto superare i due più grandi dolori di un uomo: l'addio ad una madre amatissima, la vicinanza dell'amico infedele. Erano due piaghe che mi bruciavano il cuore. Una col suo pianto, l'altra col suo odio.
Avevo dovuto spezzare il mio pane col mio Caino. Avevo dovuto parlargli da amico per non accusarlo agli altri, della cui violenza non ero sicuro, e per impedire un delitto, inutile d'altronde poiché tutto era già segnato nel gran libro della vita: e la mia Morte santa, ed il suicidio di Giuda. Inutili altre morti riprovate da Dio. Nessuno altro sangue che non fosse il mio doveva esser sparso, e sparso non fu. Il capestro strozzò quella vita chiudendo nel sacco immondo del corpo del traditore il suo sangue impuro venduto a Satana, sangue che non doveva mescolarsi, cadendo sulla Terra, al Sangue purissimo dell'Innocente.
Sarebbero bastate quelle due piaghe a fare di Me un agonizzante nel mio Io. Ma ero l'Espiatore, la Vittima, l'Agnello. L'agnello, prima d'esser immolato, conosce il marchio rovente, conosce le percosse, conosce lo spogliamento, conosce la vendita al beccaio. Solo per ultimo conosce il gelo del coltello che penetra nella gola e svena e uccide. Prima deve lasciare tutto: il pascolo dove è cresciuto, la madre al cui petto si è nutrito e scaldato, i compagni con cui ha vissuto. Tutto. Io ho conosciuto tutto: Io, Agnello di Dio.
Perciò è venuto Satana, mentre il Padre si ritirava nei Cieli. Era già venuto all'inizio della mia missione, a tentarmi per sviarmi da essa. Ora tornava. Era la sua ora. L'ora della tregenda satanica.
Torme e torme di demoni erano quella notte sulla Terra, per portare a termine la seduzione nei cuori e farli pronti a volere il domani l'uccisione del Cristo. Ogni sinedrista aveva il suo, e il suo Erode, e il suo Pilato, e il suo ogni singolo giudeo che avrebbe invocato su lui il mio Sangue. Anche gli apostoli avevano il loro tentatore al fianco, che li assopiva mentre Io languivo, che li preparava alla viltà. Osserva il potere della purezza. Giovanni, il puro, si liberò primo fra tutti della grinfia demoniaca e tornò subito presso il suo Gesù e lo comprese nel suo inespresso desiderio, e mi condusse Maria.
Ma Giuda aveva Lucifero, ed Io avevo Lucifero. Egli nel cuore, Io al fianco. Eravamo i due principali personaggi della tragedia, e Satana si occupava personalmente di noi. Dopo aver condotto Giuda al punto di non potere più retrocedere, si volse a Me.
Con la sua astuzia perfetta, mi presentò le torture della carne con un verismo insuperabile. Anche nel deserto aveva cominciato dalla carne. Lo vinsi pregando. Lo spirito signoreggiò le paure della carne.
Mi presentò allora l'inutilità del mio morire, l'utilità di vivere per Me stesso senza occuparmi degli uomini ingrati. Vivere ricco, felice, amato. Vivere per la Madre mia, per non farla soffrire. Vivere per portare a Dio con un lungo apostolato tanti uomini, i quali, una volta Io morto, m'avrebbero dimenticato, mentre se fossi stato Maestro non per tre anni ma per lustri e lustri avrebbero finito ad immedesimarsi della mia dottrina. I suoi angeli mi avrebbero aiutato a sedurre gli uomini. Non vedevo che gli angeli di Dio non intervenivano nell'aiutarmi? Dopo, Dio mi avrebbe perdonato vedendo la messe di credenti che gli avrei portato. Anche nel deserto m'aveva indotto a tentare Iddio con l'imprudenza. Lo vinsi con la preghiera. Lo spirito signoreggiò la tentazione morale.
Mi presentò l'abbandono di Dio. Egli, il Padre, non mi amava più. Ero carico dei peccati del mondo. Gli facevo ribrezzo. Era assente, mi lasciava solo. Mi abbandonava al ludibrio di una folla feroce. E non mi concedeva neppure il suo divino conforto. Solo, solo, solo. In quell'ora non c'era che Satana presso il Cristo. Dio e gli uomini erano assenti, perché non mi amavano. Mi odiavano o erano indifferenti. Io pregavo per coprire col mio orare le parole sataniche. Ma la preghiera non saliva più a Dio. Ricadeva su Me come le pietre della lapidazione e mi schiacciava sotto la sua macia. La preghiera, che per Me era sempre carezza data al Padre, voce che saliva, ed alla quale rispondeva carezza e parola paterna, ora era morta, pesante, invano lanciata contro i Cieli chiusi.
Nella sera del Giovedì, Io solo so se avrei avuto bisogno del Padre! Ero uno spirito già agonizzante per lo sforzo di aver dovuto superare i due più grandi dolori di un uomo: l'addio ad una madre amatissima, la vicinanza dell'amico infedele. Erano due piaghe che mi bruciavano il cuore. Una col suo pianto, l'altra col suo odio.
Avevo dovuto spezzare il mio pane col mio Caino. Avevo dovuto parlargli da amico per non accusarlo agli altri, della cui violenza non ero sicuro, e per impedire un delitto, inutile d'altronde poiché tutto era già segnato nel gran libro della vita: e la mia Morte santa, ed il suicidio di Giuda. Inutili altre morti riprovate da Dio. Nessuno altro sangue che non fosse il mio doveva esser sparso, e sparso non fu. Il capestro strozzò quella vita chiudendo nel sacco immondo del corpo del traditore il suo sangue impuro venduto a Satana, sangue che non doveva mescolarsi, cadendo sulla Terra, al Sangue purissimo dell'Innocente.
Sarebbero bastate quelle due piaghe a fare di Me un agonizzante nel mio Io. Ma ero l'Espiatore, la Vittima, l'Agnello. L'agnello, prima d'esser immolato, conosce il marchio rovente, conosce le percosse, conosce lo spogliamento, conosce la vendita al beccaio. Solo per ultimo conosce il gelo del coltello che penetra nella gola e svena e uccide. Prima deve lasciare tutto: il pascolo dove è cresciuto, la madre al cui petto si è nutrito e scaldato, i compagni con cui ha vissuto. Tutto. Io ho conosciuto tutto: Io, Agnello di Dio.
Perciò è venuto Satana, mentre il Padre si ritirava nei Cieli. Era già venuto all'inizio della mia missione, a tentarmi per sviarmi da essa. Ora tornava. Era la sua ora. L'ora della tregenda satanica.
Torme e torme di demoni erano quella notte sulla Terra, per portare a termine la seduzione nei cuori e farli pronti a volere il domani l'uccisione del Cristo. Ogni sinedrista aveva il suo, e il suo Erode, e il suo Pilato, e il suo ogni singolo giudeo che avrebbe invocato su lui il mio Sangue. Anche gli apostoli avevano il loro tentatore al fianco, che li assopiva mentre Io languivo, che li preparava alla viltà. Osserva il potere della purezza. Giovanni, il puro, si liberò primo fra tutti della grinfia demoniaca e tornò subito presso il suo Gesù e lo comprese nel suo inespresso desiderio, e mi condusse Maria.
Ma Giuda aveva Lucifero, ed Io avevo Lucifero. Egli nel cuore, Io al fianco. Eravamo i due principali personaggi della tragedia, e Satana si occupava personalmente di noi. Dopo aver condotto Giuda al punto di non potere più retrocedere, si volse a Me.
Con la sua astuzia perfetta, mi presentò le torture della carne con un verismo insuperabile. Anche nel deserto aveva cominciato dalla carne. Lo vinsi pregando. Lo spirito signoreggiò le paure della carne.
Mi presentò allora l'inutilità del mio morire, l'utilità di vivere per Me stesso senza occuparmi degli uomini ingrati. Vivere ricco, felice, amato. Vivere per la Madre mia, per non farla soffrire. Vivere per portare a Dio con un lungo apostolato tanti uomini, i quali, una volta Io morto, m'avrebbero dimenticato, mentre se fossi stato Maestro non per tre anni ma per lustri e lustri avrebbero finito ad immedesimarsi della mia dottrina. I suoi angeli mi avrebbero aiutato a sedurre gli uomini. Non vedevo che gli angeli di Dio non intervenivano nell'aiutarmi? Dopo, Dio mi avrebbe perdonato vedendo la messe di credenti che gli avrei portato. Anche nel deserto m'aveva indotto a tentare Iddio con l'imprudenza. Lo vinsi con la preghiera. Lo spirito signoreggiò la tentazione morale.
Mi presentò l'abbandono di Dio. Egli, il Padre, non mi amava più. Ero carico dei peccati del mondo. Gli facevo ribrezzo. Era assente, mi lasciava solo. Mi abbandonava al ludibrio di una folla feroce. E non mi concedeva neppure il suo divino conforto. Solo, solo, solo. In quell'ora non c'era che Satana presso il Cristo. Dio e gli uomini erano assenti, perché non mi amavano. Mi odiavano o erano indifferenti. Io pregavo per coprire col mio orare le parole sataniche. Ma la preghiera non saliva più a Dio. Ricadeva su Me come le pietre della lapidazione e mi schiacciava sotto la sua macia. La preghiera, che per Me era sempre carezza data al Padre, voce che saliva, ed alla quale rispondeva carezza e parola paterna, ora era morta, pesante, invano lanciata contro i Cieli chiusi.
Allora sentii l'amaro del fondo del calice. Il sapore
della disperazione. Era questo che voleva Satana. Portarmi a disperare
per fare di Me un suo schiavo. Ho vinto la disperazione e l'ho vinta con
le sole mie forze, perché ho voluto vincerla. Con le sole mie forze di
Uomo. Non ero più che l'Uomo. E non ero più che un uomo non più aiutato
da Dio. Quando Dio aiuta è facile sollevare anche il mondo e sostenerlo
come giocattolo di bimbo. Ma quando Dio non aiuta più, anche il peso di
un fiore ci è faticoso.
Ho vinto la disperazione, e Satana suo creatore, per servire Dio e voi dandovi la Vita. Ma ho conosciuto la Morte. Non la morte fisica del crocifisso - quella fu meno atroce - ma la Morte totale, cosciente, del lottatore che cade, dopo aver trionfato, col cuore spezzato e il sangue che si stravasa nel trauma di uno sforzo superiore al possibile. Ed ho sudato sangue. Ho sudato sangue per essere fedele alla volontà di Dio.
Ecco perché l'angelo del mio dolore mi ha prospettato la speranza di tutti i salvati per il mio sacrificio come medicina al mio morire.
I vostri nomi! Ognuno m'è stato una stilla di farmaco infuso nelle vene per ridare loro tono e funzione, ognuno m'è stato vita che torna, luce che torna, forza che torna. Nelle inumane torture, per non urlare il mio dolore di Uomo, e per non disperare di Dio e dire che Egli era troppo severo e ingiusto verso la sua Vittima, Io mi sono ripetuto i vostri nomi. Io vi ho visti. Io vi ho benedetti da allora. Da allora vi ho portati nel cuore. E quando è per voi venuta la vostra ora di essere sulla Terra, Io mi sono proteso dai Cieli ad accompagnare la vostra venuta, giubilando al pensiero che un nuovo fiore di amore era nato nel mondo e che avrebbe vissuto per Me.
Oh! miei benedetti! Conforto del Cristo morente! La Madre, il Discepolo, le Donne pietose erano intorno al mio morire, ma voi pure c'eravate. I miei occhi morenti vedevano, insieme al volto straziato della Mamma mia, i vostri visi amorosi, e si sono chiusi così, beati di chiudersi perché vi avevano salvati, o voi che meritate il Sacrificio di un Dio».
«Hai conosciuto ormai tutti i dolori che hanno preceduto la Passione propriamente detta. Ora ti farò conoscere i dolori della Passione in atto. Quei dolori che più colpiscono la vostra mente quando li meditate.
Ma li meditate molto poco. Troppo poco. Non riflettete a quanto mi siete costati e di quale tortura è fatta la vostra salvezza. Voi che vi lamentate di una scorticatura, di un urto contro uno spigolo, di un male di capo, non pensate che Io ero tutto una piaga, che quelle piaghe erano invelenite da molte cose, che le cose stesse servivano a tormento del loro Creatore, perché torturavano il già torturato Dio-Figlio senza rispetto a Colui che, Padre del creato, le aveva formate.
Ma le cose non erano colpevoli. Era ancora e sempre l'uomo il colpevole. Il colpevole dal giorno che ascoltò Satana nel Paradiso terrestre. Non spine, non tossico, non ferocia avevano sino a quel momento le cose del creato per l'uomo creatura eletta. Dio lo aveva fatto re, questo uomo, fatto a sua immagine e somiglianza, e nel suo paterno amore non aveva voluto che le cose potessero essere insidiose all'uomo. Satana mise l'insidia. Nel cuore dell'uomo per prima. Poi essa partorì all'uomo, colla punizione del peccato, triboli e spine.
Ed ecco che Io, l'Uomo, ho dovuto soffrire anche per le cose e dalle cose, oltre che dalle persone. Queste mi dettero insulti e sevizie; quelle ne furono arma.
La mano che Dio aveva fatto all'uomo per distinguerlo dai bruti, la mano che Dio aveva insegnato all'uomo ad usare, la mano che Dio aveva messo in rapporto con la mente rendendola esecutrice dei comandi della mente, questa parte di voi così perfetta e che avrebbe dovuto aver solo carezze per il Figlio di Dio, dal quale aveva avuto solo carezze e guarigione se era malata, si rivoltò contro il Figlio di Dio e lo colpì di guanciate, di pugni, si armò di flagelli, si fece tenaglia per strappare capelli e barba, e maglio per conficcare i chiodi.
I piedi dell'uomo, che avrebbero dovuto unicamente correre solerti ad adorare il Figlio di Dio, furono veloci per venire a catturarmi, a sospingermi e trascinarmi per le vie dai miei carnefici, e per colpirmi di calci come non è lecito fare con un mulo restio.
Ho vinto la disperazione, e Satana suo creatore, per servire Dio e voi dandovi la Vita. Ma ho conosciuto la Morte. Non la morte fisica del crocifisso - quella fu meno atroce - ma la Morte totale, cosciente, del lottatore che cade, dopo aver trionfato, col cuore spezzato e il sangue che si stravasa nel trauma di uno sforzo superiore al possibile. Ed ho sudato sangue. Ho sudato sangue per essere fedele alla volontà di Dio.
Ecco perché l'angelo del mio dolore mi ha prospettato la speranza di tutti i salvati per il mio sacrificio come medicina al mio morire.
I vostri nomi! Ognuno m'è stato una stilla di farmaco infuso nelle vene per ridare loro tono e funzione, ognuno m'è stato vita che torna, luce che torna, forza che torna. Nelle inumane torture, per non urlare il mio dolore di Uomo, e per non disperare di Dio e dire che Egli era troppo severo e ingiusto verso la sua Vittima, Io mi sono ripetuto i vostri nomi. Io vi ho visti. Io vi ho benedetti da allora. Da allora vi ho portati nel cuore. E quando è per voi venuta la vostra ora di essere sulla Terra, Io mi sono proteso dai Cieli ad accompagnare la vostra venuta, giubilando al pensiero che un nuovo fiore di amore era nato nel mondo e che avrebbe vissuto per Me.
Oh! miei benedetti! Conforto del Cristo morente! La Madre, il Discepolo, le Donne pietose erano intorno al mio morire, ma voi pure c'eravate. I miei occhi morenti vedevano, insieme al volto straziato della Mamma mia, i vostri visi amorosi, e si sono chiusi così, beati di chiudersi perché vi avevano salvati, o voi che meritate il Sacrificio di un Dio».
«Hai conosciuto ormai tutti i dolori che hanno preceduto la Passione propriamente detta. Ora ti farò conoscere i dolori della Passione in atto. Quei dolori che più colpiscono la vostra mente quando li meditate.
Ma li meditate molto poco. Troppo poco. Non riflettete a quanto mi siete costati e di quale tortura è fatta la vostra salvezza. Voi che vi lamentate di una scorticatura, di un urto contro uno spigolo, di un male di capo, non pensate che Io ero tutto una piaga, che quelle piaghe erano invelenite da molte cose, che le cose stesse servivano a tormento del loro Creatore, perché torturavano il già torturato Dio-Figlio senza rispetto a Colui che, Padre del creato, le aveva formate.
Ma le cose non erano colpevoli. Era ancora e sempre l'uomo il colpevole. Il colpevole dal giorno che ascoltò Satana nel Paradiso terrestre. Non spine, non tossico, non ferocia avevano sino a quel momento le cose del creato per l'uomo creatura eletta. Dio lo aveva fatto re, questo uomo, fatto a sua immagine e somiglianza, e nel suo paterno amore non aveva voluto che le cose potessero essere insidiose all'uomo. Satana mise l'insidia. Nel cuore dell'uomo per prima. Poi essa partorì all'uomo, colla punizione del peccato, triboli e spine.
Ed ecco che Io, l'Uomo, ho dovuto soffrire anche per le cose e dalle cose, oltre che dalle persone. Queste mi dettero insulti e sevizie; quelle ne furono arma.
La mano che Dio aveva fatto all'uomo per distinguerlo dai bruti, la mano che Dio aveva insegnato all'uomo ad usare, la mano che Dio aveva messo in rapporto con la mente rendendola esecutrice dei comandi della mente, questa parte di voi così perfetta e che avrebbe dovuto aver solo carezze per il Figlio di Dio, dal quale aveva avuto solo carezze e guarigione se era malata, si rivoltò contro il Figlio di Dio e lo colpì di guanciate, di pugni, si armò di flagelli, si fece tenaglia per strappare capelli e barba, e maglio per conficcare i chiodi.
I piedi dell'uomo, che avrebbero dovuto unicamente correre solerti ad adorare il Figlio di Dio, furono veloci per venire a catturarmi, a sospingermi e trascinarmi per le vie dai miei carnefici, e per colpirmi di calci come non è lecito fare con un mulo restio.
La
bocca dell'uomo, che avrebbe dovuto usare della parola, la parola che è
dote data unicamente all'uomo su tutti gli animali creati, per lodare e
benedire il Figlio di Dio, si empi di bestemmie e menzogne e gettò
queste, insieme con la sua bava, contro la mia persona.
La mente dell'uomo, quella che è la prova della sua origine celeste, stancò se stessa per escogitare tormenti di un raffinato rigore.
L'uomo, tutto l'uomo usò di se stesso, nelle sue singole parti, per torturare il Figlio di Dio. E chiamò la terra, con le sue forme, ad aiuto nel torturare. Fece, delle pietre dei torrenti, proiettili per ferirmi; dei rami delle piante, randelli per percuotermi; della ritorta canapa, laccio per trascinarmi, segandomi le carni; delle spine, una corona di pungente fuoco al mio capo stanco; dei minerali, un esasperato flagello; della canna, uno strumento di tortura; delle pietre delle vie, un'insidia al piede vacillante di Colui che saliva, morendo, per morire crocifisso.
E alle cose della terra si unirono le cose del cielo. Il freddo dell'alba al mio corpo già esausto dell'agonia dell'orto, il vento che esaspera le ferite, il sole che aumenta arsione e febbre e porta mosche e polvere, che abbacina gli occhi stanchi a cui le mani prigioniere non possono far riparo.
E alle cose del cielo si uniscono le fibre concesse all'uomo per rivestire la sua nudità: nel cuoio che diviene flagello, nella lana della veste che si attacca alle aperte piaghe dei flagelli e dà tortura di confricamento e di lacerazione ad ogni mossa.
Tutto, tutto, tutto ha servito per tormentare il Figlio di Dio. Egli, per cui tutte le cose sono state create, nell'ora in cui era l'Ostia offerta a Dio ebbe tutte le cose nemiche. Non ha avuto sollievo, Maria, il tuo Gesù da nessuna cosa. Come vipere inferocite, tutto quanto è si volse a mordermi le carni e ad accrescere il patire.
Questo occorrerebbe pensare quando soffrite e, paragonando le vostre imperfezioni alla mia perfezione e il
mio dolore al vostro, riconoscere che il Padre ama voi come non amò Me in quell'ora, ed amarlo perciò con tutti voi stessi, come Io l'ho amato nonostante il suo rigore».
(https://www.facebook.com/notes/levangelo-come-mi-è-stato-rivelato-maria-valtorta-homage/triduo-pasquale-con-le-opere-di-maria-valtorta
La mente dell'uomo, quella che è la prova della sua origine celeste, stancò se stessa per escogitare tormenti di un raffinato rigore.
L'uomo, tutto l'uomo usò di se stesso, nelle sue singole parti, per torturare il Figlio di Dio. E chiamò la terra, con le sue forme, ad aiuto nel torturare. Fece, delle pietre dei torrenti, proiettili per ferirmi; dei rami delle piante, randelli per percuotermi; della ritorta canapa, laccio per trascinarmi, segandomi le carni; delle spine, una corona di pungente fuoco al mio capo stanco; dei minerali, un esasperato flagello; della canna, uno strumento di tortura; delle pietre delle vie, un'insidia al piede vacillante di Colui che saliva, morendo, per morire crocifisso.
E alle cose della terra si unirono le cose del cielo. Il freddo dell'alba al mio corpo già esausto dell'agonia dell'orto, il vento che esaspera le ferite, il sole che aumenta arsione e febbre e porta mosche e polvere, che abbacina gli occhi stanchi a cui le mani prigioniere non possono far riparo.
E alle cose del cielo si uniscono le fibre concesse all'uomo per rivestire la sua nudità: nel cuoio che diviene flagello, nella lana della veste che si attacca alle aperte piaghe dei flagelli e dà tortura di confricamento e di lacerazione ad ogni mossa.
Tutto, tutto, tutto ha servito per tormentare il Figlio di Dio. Egli, per cui tutte le cose sono state create, nell'ora in cui era l'Ostia offerta a Dio ebbe tutte le cose nemiche. Non ha avuto sollievo, Maria, il tuo Gesù da nessuna cosa. Come vipere inferocite, tutto quanto è si volse a mordermi le carni e ad accrescere il patire.
Questo occorrerebbe pensare quando soffrite e, paragonando le vostre imperfezioni alla mia perfezione e il
mio dolore al vostro, riconoscere che il Padre ama voi come non amò Me in quell'ora, ed amarlo perciò con tutti voi stessi, come Io l'ho amato nonostante il suo rigore».
(https://www.facebook.com/notes/levangelo-come-mi-è-stato-rivelato-maria-valtorta-homage/triduo-pasquale-con-le-opere-di-maria-valtorta
Grande Maria Valtorta ! Solo una mente illuminata a riflettere spesso sulle cose di Dio, poteva descrivere così bene la Passione.
RispondiEliminaE forse, solo una illuminazione particolare poteva aiutare !
Che abbia ricevuto il dono delle visioni di Gesù, non lo sapremo mai con certezza, ma sappiamo con certezza che quello che scrisse è profondo, realistico e dottrinalmente valido.
Grazie anche a lei,a Maria Valtorta. Che riposi in pace nella visione di Dio.