sabato 28 luglio 2012

Le varie riforme Liturgiche "moderne" fatte dai soliti personaggi che hanno promulgato il "Novus Orror Missae"...

 
Di don Francesco Ricossa dalla Rivista SODALITIUM,11-86.

IMPORTANZA DELLA QUESTIONE LITURGICA


"La Liturgia, considerata in generale, è l'insieme dei simboli, dei canti e degli atti per mezzo dei quali la Chiesa esprime e manifesta la sua religione verso Dio" (Dom Guéranger. Institutions Liturgiques). Questa definizione della Sacra Liturgia ci fa apprezzare l'importanza capitale del culto pubblico che la Chiesa rende a Dio. Nell'Antico Testamento Dio stesso si fa, per così dire, liturgista, precisando nei minimi particolari il culto che Gli dovevano rendere i fedeli (cfr. il Libro Levitico; e anche Pio XII, Mediator Dei, 12). Tanta importanza per un culto che non era che l'ombra (Ebrei, 10,1) di quello sublime del Nuovo Testamento che Gesù, Sommo Sacerdote, vuole continuato fino alla fine del mondo per mezzo della Sua Chiesa...!. Nella Divina Liturgia della Chiesa Cattolica tutto è grande, tutto è sublime, fin nei minimi particolari; è questa la verità che fece pronunciare a Santa Teresa d'Avila queste celebri parole: "Darei la mia vita per la più piccola delle cerimonie della Santa Chiesa". Non si stupisca quindi il lettore dell'importanza che daremo in quest'articolo alle rubriche liturgiche e l'attenzione che presteremo alle "riforme" (che potrebbero essere giudicate minori) che hanno preceduto quelle del Concilio Vaticano II. Consci dell'importanza della Liturgia sono sempre stati, d'altro canto, i nemici della Chiesa: dobbiamo ricordare che da sempre la corruzione della Liturgia fu un veicolo, da parte degli eretici, per attentare alla Fede stessa? Lo fu con le antiche eresie cristologiche, e poi, via via, col luteranesimo e l'anglicanesimo nel XVI secolo, con le riforme illuministe e gianseniste nel XVIII secolo... per concludere con lo stesso Concilio Vaticano II che non a caso iniziò i suoi lavori di "Riforma" proprio con lo schema sulla Liturgia, sfociato nel "Novus Ordo Missae".

ORIGINI DELLA "RIFORMA" LITURGICA DEL VATICANO II

La "Riforma" liturgica voluta dal Vaticano II e realizzata nel post-concilio è una vera rivoluzione: "la via aperta dal Concilio è destinata a cambiare radicalmente il volto delle assemblee liturgiche tradizionali" ammette Mons. Annibale Bugnini, uno dei principali artefici di detta "riforma", aggiungendo che si tratta di un "reale stacco dal passato". (Bugnini, La Riforma Liturgica [1948-1975] CLV Edizioni Liturgiche – 1983) Ora, nessuna rivoluzione esplode improvvisamente, ma è il frutto di lunghi assalti, lente cadute e progressivi cedimenti. Lo scopo del nostro articolo è di mostrare al lettore, dopo un'introduzione di carattere storico, le origini della rivoluzione liturgica specialmente dopo un esame delle riforme delle rubriche avvenute nel 1955 e nel 1960. Infatti, se "una radicale rottura con la Tradizione si è compiuta ai nostri giorni con l'introduzione del Novus Ordo Missae e dei nuovi libri liturgici (...) è doveroso domandarsi dove affondino le radici di tanta desolazione liturgica. Che esse non siano da ricercare esclusivamente nel Concilio Vaticano II sarà chiaro ad ogni persona di buon senso. La Costituzione liturgica del 4 dicembre 1963 rappresenta la conclusione temporanea di una evoluzione le cui cause molteplici e non tutte omogenee risalgono a un lontano passato". (Mons. Klaus Gamber. Die Reform der Römischer Liturgie. Vorgeschichte und Problematik. pag. 9 e 10 dell'ed. italiana).

L'ILLUMINISMO
"La piena fioritura della vita ecclesiale nell'età barocca (Controriforma e Concilio di Trento. N.d.R.) fu investita, verso la fine del sec. XVIII, dal gelo dell'Illuminismo. Si era insoddisfatti della Liturgia tradizionale perché si reputava che troppo poco corrispondesse ai problemi concreti del tempo". (Mons. Gamber, op. cit., pagg. 15-16). L'Illuminismo razionalista trovò il terreno preparato ed un solido alleato nell'eresia Giansenista, che come il protestantesimo, di cui era la quinta colonna, avversava la Liturgia Romana tradizionale. Giuseppe II nell'Impero Asburgico, l'episcopato gallicano in Francia, quello toscano in Italia, riunito nel Sinodo di Pistoia, attuarono riforme ed esperimenti liturgici "che somigliano in modo sorprendente agli attuali: sono altrettanto fortemente orientati verso l'uomo ed i problemi sociali". (Gamber. op. cit., pag. 16) "Possiamo pertanto affermare che nell'Illuminismo affonda la più tenace radice dell'attuale desolazione liturgica. Molte idee di quell'epoca hanno trovato piena attuazione soltanto nel nostro tempo, in cui si assiste a un nuovo illuminismo". (Gamber. op. cit., pag. 17) L'avversione alla tradizione, la smania di novità e riforme, la sostituzione graduale del latino col volgare, e dei testi ecclesiastici e patristici con la sola Scrittura, la diminuzione del culto della Madonna e dei Santi, il razionalismo contro i miracoli ed i fatti straordinari narrati nelle letture liturgiche dei Santi, la soppressione del simbolismo liturgico e del mistero, la riduzione infine della Liturgia, giudicata eccessivamente ed inutilmente lunga e ripetitiva...: ritroveremo tutti questi capisaldi delle riforme liturgiche gianseniste nelle riforme attuali, ad incominciare da quella di Giovanni XXIII. La Chiesa, nei casi più gravi, condannò i novatori: così Clemente IX condannò il Rituale della Diocesi d'Alet nel 1668, Clemente XI condannò l'oratoriano Pasquier Quesnel (1634-1719) nel 1713 (Denz. 1436), Pio VI dannò il Sinodo di Pistoia ed il Vescovo Scipione de' Ricci con la Bolla "Auctorem Fidei" del 1794. (Denz. 1531-1533)

IL MOVIMENTO LITURGICO
"Una reazione al gelo illuministico è rappresentata dalla restaurazione del secolo XIX.(...) Sorsero allora la grande abbazia benedettina di Solesmes, in Francia, e quella della Congregazione di Beuron". (Gamber. pag. 17) Dom Prosper Guéranger (1805-1875), Abate di Solesmes, restaurò in Francia l'antica liturgia latina e diede la nascita ad un movimento, poi chiamato "liturgico", teso a far amare ed a difendere la liturgia tradizionale della Chiesa. Tale movimento operò per il bene della Chiesa fino a San Pio X, che con le sue decisioni rimise in onore il canto gregoriano e trovò un equilibrio ammirabile tra ciclo Temporale (feste del Signore, Domeniche e ferie) e quello Santorale (feste dei Santi).

DEVIAZIONI DEL MOVIMENTO LITURGICO

Dopo San Pio X, poco a poco, il cosidetto "Movimento Liturgico" deviò dai suoi intenti, per raggiungere, con una rivoluzione copernicana, le tesi che combatteva nel suo nascere. Tutte le idee dell'eresia antiliturgica - come Dom Guéranger chiamava le tesi liturgiche del XVIII secolo - furono riprese negli anni venti e trenta da liturgisti come Dom Lambert Beauduin (1873-1960) in Belgio e Francia, Dom Pius Parsch e Romano Guardini in Austria e Germania.Partendo dalla "Messa dialogata", a causa di "una eccessiva enfasi data alla parte attiva dei fedeli nelle funzioni liturgiche", (Gamber. pag. 17) i riformisti degli anni '30 e '40 giunsero (specialmente nei campi scout e nelle associazioni giovanili e studentesche) ad introdurre de facto nientemeno che la Messa in volgare, la celebrazione su di un tavolo faccia al popolo, la concelebrazione... Fra i giovani sacerdoti che si dilettavano di esperimenti liturgici c'era a Roma, nel 1933, il cappellano della F.U.C.I., tal Giovanni Battista Montini, per fortuna contrastato dal Cardinal Vicario. (Fappani-Molinari. Montini giovane. Ed. Marietti 1980. pagg. 282-292). In Belgio, Dom Beauduin dava al Movimento Liturgico un fine dichiaratamente ecu-menista, ipotizzando una Chiesa Anglicana "unita (alla cattolica), ma non assorbita" e fondando un "Monastero per l'unione" con gli "ortodossi" orientali, col risultato di "convertire" molti dei suoi monaci allo scisma orientale. Roma interviene: l'Enciclica contro il Movimento ecumenico, "Mortalium animos" (1928) è seguita, nel 1929 e 1932 da (troppo) discreti richiami che lo distolgono temporaneamente dalle sue attività. (Cfr. Bonneterre. Le Mouvement Liturgique. Ed. Fideliter. 1980. pagg. 35-42). Gran protettore del Beauduin era - naturalmente - il Card. Mercier, iniziatore dell'ecumenismo "cattolico" e definito dal "Sodalitium Pianum" come "amico di tutti i traditori della Chiesa". (Poulat. Intégrisme et catholicisme integral. Castermann. pag. 330). Negli anni '40 il lavoro di sabotaggio di simili liturgisti aveva già ottenuto il sostegno di vaste parti dell'episcopato, specialmente in Francia (col C.P.L.: centro di pastorale liturgica) e nel Reich tedesco. All'inizio del 1943, il 18 gennaio, "venne lanciato l'attacco più serio contro il Movimento Liturgico (...) da parte di un eloquente e vigoroso membro dell'episcopato, l'Arcivescovo di Friburgo (in Brisgau) Conrad Gröber. (...) In una lunga lettera indirizzata ai confratelli Vescovi, Gröber raccoglieva in 17 punti le sue preoccupazioni concernenti la Chiesa. (...) Criticava la teologia kerigmatica, il movimento di Schönstatt, ma soprattutto il Movimento Liturgico (...) coninvolgendo implicitamente anche il Card. Theodor Innitzer. (...) Pochi sanno che il p. Karl Rahner s.j. che viveva allora a Vienna (diocesi del Card. Innitzer. N.d.R.), scrisse (...) una risposta a Gröber. (Robert Graham s.j. Pio XII e la Crisi liturgica in Germania durante la guerra. La Civiltà Cattolica. 1985 pag. 546). Ritroveremo Karl Rahner come esperto conciliare dell'episcopato tedesco al Concilio Vaticano II assieme ad Hans Küng e Schillebeeckx. La questione arrivò a Roma: nel 1947 l'Enciclica di Pio XII sulla liturgia, "Mediator Dei", avrebbe dovuto sancire la condanna del Movimento liturgico deviato. Pio XII "espose fortemente la dottrina cattolica" (...) "ma questa enciclica fu sviata nel suo senso dai commenti che ne fecero i novatori; e Pio XII, se ricordò i principi, non ebbe il coraggio di prendere delle misure efficaci contro le persone; si sarebbe dovuto sciogliere il C.P.L. e vietare un buon numero di pubblicazioni. Ma queste misure avrebbero avuto come conseguenza un conflitto aperto con l'episcopato francese". (Jean Créte. Le Mouvement Liturgique. Itinéraires. Gennaio 1981. pagg. 131-132). Misurata la debolezza di Roma, i novatori capirono di poter andare (prudentemente) avanti: dalle sperimentazioni si passò alle riforme ufficiali romane.

LE RIFORME DI PIO XII
Pio XII non stimava gravissimo il problema liturgico che metteva a confronto i Vescovi tedeschi: "Produce in noi una strana impressione", scriveva a Mons. Gröber, "se, quasi al di fuori del tempo e del mondo, la questione liturgica viene presentata come il problema del momento". (Lettera di Pio XII a Mons. Gröber del 22 agosto 1943. Cit. in R. Graham, op. cit. pag. 549) Se con queste parole sconfessava gli esponenti del Movimento liturgico, Pio XII ne sottovalutava anche il pericolo. I novatori seppero così infiltrare il loro cavallo di Troia nella Chiesa attraverso la porta, quasi incustodita, della Liturgia, approfittando della poca attenzione di Papa Pacelli in materia e coadiuvati da persone molto vicine al Pontefice come il suo stesso confessore Agostino Bea s.j., futuro Cardinale ed esponente di spicco dell'Ecumenismo (cfr. mio articolo su "Sodalitium": Il Gran Sinedrio in Vaticano per il XX del Concilio). È illuminante questa testimonianza di Mons. Bugnini: "la Commissione (per la riforma della Liturgia istituita nel 1948) godeva della piena fiducia del Papa, tenuto al corrente da Mons. Montini e, più ancora, settimanalmente, dal P. Bea, confessore di Pio XII. Grazie a questo tramite si potè giungere a risultati notevoli anche nei periodi nei quali la malattia del Papa impediva a chiunque di avvicinarlo". (Op. Cit., pag. 22) Padre Bea fu all'origine della prima riforma liturgica di Pio XII, ovverosia la nuova traduzione liturgica dei Salmi, che sostituì quella della Volgata di San Gerolamo così invisa ai protestanti in quanto traduzione ufficiale della Sacra Scrittura nella Chiesa, dichiarata "autentica" dal Concilio di Trento. A questa riforma (Motu proprio "In cotidianis precibus" del 24 marzo 1945) il cui uso era, almeno in teoria, facoltativo e che ebbe poca fortuna, ne fecero seguito altre più durature ed ancora più gravi: 18 maggio 1948: costituzione, con a segretario Annibale Bugnini, di una commissione Pontificia per la Riforma della Liturgia (simile, anche nel nome, al "consilium ad exequendam constitutionem de Sacra Liturgia" istituito da Paolo VI nel 1964 e che partorita la "Nuova Messa"); 6 gennaio 1953 (Costituzione Ap. "Christus Dominus") sulla riforma del digiuno eucaristico; 23 marzo 1955, (decreto "Cum hac nostra aetate"), riforma (non pubblicata negli A.A.S. e non stampata nei libri liturgici) delle rubriche del Messale e del Breviario; 19 novembre 1955 (decreto Maxima Redemptionis), nuovo rito della Settimana Santa, già iniziato per quanto riguarda il Sabato Santo, ad experimentum, nel 1951. Alla riforma della Settimana Santa dedicheremo il capitoletto seguente; che dire, nel frattempo, di quella delle Rubriche e del Messale, operata lo stesso anno da Pio XII? Essendo state dichiarate facoltative, si tende a dimenticarle: esse furono tuttavia una tappa considerevole della Riforma Liturgica. Assorbite ed aumentate dalla riforma di Giovanni XXIIII, le esamineremo in dettaglio con quelle del successore. Basti dire, per ora, che la Riforma del 1955 tendeva ad abbreviare l'Ufficio divino e diminuire il culto dei santi: tutte le feste di rito semidoppio e semplice diventavano semplici commemorazioni, in quaresima e passione diveniva libera la scelta tra l'ufficio di un santo e quello feriale, veniva diminuito il numero delle vigilie e ridotte a tre le ottave. Soppressi i "Pater, Ave e Credo" da recitare prima delle ore liturgiche, veniva tolta anche l'antifona finale alla Madonna (tranne che a Compieta) ed il Simbolo di Sant'Atanasio (tranne che una volta l'anno). Il Bonneterre, nella sua opera citata, pur riconoscendo che le riforme della fine del pontificato di Pio XII sono "le prime tappe dell'autodemolizione della liturgia romana" (non vediamo come la Liturgia possa "autodemolirsi" N.d.R.) cerca di garantire la loro perfetta legittimità a causa della "santità" di chi le ha promulgate. "Pio XII" scrive "ha dunque intrapreso con ogni purezza d'intenzione delle riforme rese necessarie dai bisogni delle anime senza rendersi conto - E NON LO POTEVA - che scuoteva la liturgia e la disciplina in uno dei periodi più critici della loro storia, e soprattutto senza realizzare che metteva in pratica il programma del movimento liturgico deviato", (pagg. 105, 106, 111) Commenta Jean Crété: "Don Bonneterre riconosce che questo decreto segna l'inizio della sovversione della liturgia, ma cerca di scusare Pio XII dicendo che a quell'epoca nessuno, tranne gli uomini del partito della sovversione, potevano rendersene conto. Posso, al contrario, dargli una testimonianza categorica su questo punto. Mi rendevo benissimo conto che questo decreto non era che l'inizio di una sovversione totale della liturgia; e non ero il solo. Tutti i veri liturgisti, tutti i sacerdoti attaccati alla tradizione, erano costernati. La congregazione dei riti non era favorevole a questo decreto, opera di una commissione speciale. Quando, cinque settimane più tardi, Pio XII annunciò la festa di San Giuseppe operaio (che spostava la festa antichissima degli Apostoli Filippo e Giacomo e sopprimeva la Solennità di San Giuseppe Patrono della Chiesa N.d.R.) l'opposizione si manifestò apertamente: durante più di un anno la congregazione dei riti rifiutò di comporre l'ufficio e la messa della nuova festa. Furono necessari molti interventi del Papa perché la congregazione dei riti si rassegnasse, malvolentieri, a pubblicare alla fine del 1956 un'ufficio così mal composto che si può chiedere se non sia stato sabotato volontariamente. Ed è solo nel 1960 che furono composte le melodie (che sono dei modelli di cattivo gusto) dell'ufficio e della messa. Raccontiamo questo episodio poco noto per dare un'idea della violenza delle reazioni suscitate dalle prime riforme liturgiche di Pio XII". (Crété. Op. cit., pag. 133)

IL NUOVO RITO DELLA SETTIMANA SANTA
''Il rinnovamento (liturgico) ha mostrato chiaramente che le formule del messale romano dovevano essere riviste ed arricchite. Il rinnovamento è stato iniziato dallo stesso Pio XII con la restaurazione della veglia pasquale e dell'Ordo della Settimana Santa, CHE COSTITUÌ LA PRIMA TAPPA DELL'ADATTAZIONE DEL MESSALE ROMANO AI BISOGNI DELLA NOSTRA EPOCA". Sono queste le parole stesse di Paolo VI nella "promulgazione" del nuovo messale. ("Cost. Ap. Missale Romanum" del 3 aprile 1969). Analogamente, da sponda diversa, scrive Mons. Gamber: "Il primo Pontefice che abbia apportato un vero e proprio cambiamento al Messale tradizionale fu Pio XII, con l'introduzione della nuova liturgia della Settimana Santa. Riportare la cerimonia del Sabato Santo alla notte di Pasqua sarebbe stato possibile senza grandi modifiche. A lui seguì Giovanni XXIII con il nuovo ordinamento delle rubriche. Anche in queste occasioni, comunque, il Canone della Messa restò intatto (Quasi. Ricordiamo l'introduzione del nome di San Giuseppe nel Canone, voluta da Giovanni XXIII durante il Concilio, contro la tradizione che vuole nel Canone solo nomi di Martiri, da unire al Grande Martire Gesù nel Suo Sacrificio N.d.R.), non venne minimamente alterato, ma dopo questi precedenti, è vero, furono aperte le porte a un ordinamento della Liturgia Romana radicalmente nuovo". (Op. cit., pag. 22). Il decreto "Maxima Redemptionis" col quale si introduce nel 1955 il nuovo rito parla esclusivamente del cambiamento di orario delle cerimonie del Giovedì, Venerdì e Sabato Santo, per facilitare ai fedeli l'assistenza ai Riti sacri riportati dopo secoli alla sera; ma in nessun passaggio del decreto si fa il minimo accenno al drastico mutamento dei testi e delle cerimonie stesse instaurato col nuovo rito e per nulla giustificato da un qualsivoglia motivo pastorale! In realtà il nuovo rito della settimana Santa fu una prova generale della riforma; lo testimonia il domenicano modernista Chenu: "Padre Duployé seguiva tutto ciò con una lucidità appassionata. Mi ricordo che mi disse un giorno, ben più tardi: - Se riusciamo a restaurare la vigilia pasquale nel suo valore primitivo il movimento liturgico avrà vinto; mi do dieci anni per questo -. Dieci anni dopo era cosa fatta." (Un théologien en liberté. J. Dunquesne interroge le P. Chenu. Le Centurion. 1975. pag. 92-93) Infatti, il nuovo rito della Settimana Santa, inserendosi come un corpo estraneo nel resto del messale ancora tradizionale, seguiva i principi che ritroveremo nelle riforme di Paolo VI nel 1965. Facciamo alcuni esempi: Paolo VI sopprimerà nel 1965 l'ultimo vangelo: nel 1955 è soppresso dalla settimana Santa. Paolo VI sopprimerà il Salmo "ludica me" con le preghiere ai piedi dell'altare: lo stesso anticipava la Settimana Santa del 1955. Paolo VI (seguendo Lutero) vorrà la celebrazione della Messa "faccia al popolo": il Novus Ordo della Settimana Santa inizia con l'introdurre tale uso ogni volta che è possibile (specialmente il giorno delle Palme). Paolo VI vuole diminuito il ruolo del sacerdote, sostituito ad ogni piè sospinto dai ministri: nel 1955, di già, il celebrante non legge più le letture, epistole e Vangeli (Passio) che sono cantate dai ministri -benchè facciano parte della Messa- e va a sedersi, dimenticato, in un angolo. Paolo VI, nella stessa Nuova "Messa" del 1969, col pretesto di restaurare l'antico rito romano, sopprime dalla Messa tutti gli elementi della liturgia "gallicana" (anteriore a Carlo Magno) seguendo un cattivo "archeologismo" condannato da Pio XII. Scompare così l'offertorio (con gaudio dei protestanti) sostituito con un rito talmudico che con l'antico rito romano non c'entra niente. Seguendo lo stesso principio il nuovo rito della Settimana Santa sopprime tutte le orazioni di benedizione delle Palme (tranne una), l'epistola, offertorio e prefazio che precedevano, la messa dei presantificati il Venerdì Santo... Paolo VI, sfidando gli anatemi del concilio di Trento, sopprime l'ordine sacro del Suddiaconato; il nuovo rito della Settimana Santa lascia in scena un Suddiacono sempre più inutile, visto che lo sostituisce il Diacono (Orazioni del Venerdì Santo al "levate") o il coro ed il celebrante (all'adorazione della croce). Paolo VI vuole l'ecumenismo? La nuova Settimana Santa lo inaugura, chiamando l'orazione del Venerdì Santo per la conversione degli eretici: "orazione per l'unità della Chiesa" ed introducendo la genuflessione all'orazione per i Giudei che la Chiesa negava loro in odio al delitto compiuto il Venerdì Santo. I simbolismi medioevali sono soppressi (apertura della porta della Chiesa al canto del Gloria Laus, per esempio) la lingua volgare introdotta (promesse bettesimali), il Pater Noster recitato da tutti (venerdì santo), le orazioni per l'Impero sostituite da altre per i governanti la "cosa pubblica" dal sapore molto moderno. Nel Breviario si sopprime il così commovente "Miserere" ripetuto a tutte le ore. Viene rivoluzionato il Preconio Pasquale sopprimendo il simbolismo delle sue parole; sempre il Sabato Santo otto letture su dodici sono soppresse. Il canto della Passione, così toccante, subisce dei gravissimi tagli: scompare persino l'ultima Cena, nella quale Gesù, già tradito, ha celebrato per la prima volta nella storia il Sacrificio della Messa. Il Venerdì Santo viene distribuita la comunione, contrariamente alla tradizione della Chiesa ed alla condanna di San Pio X contro chi voleva instaurare questo uso. (Decreto Sacra Tridentina Synodus - 1905) Tutte le rubriche, poi, del nuovo rito del 1955, insistono continuamente sulla "partecipazione" dei fedeli da un lato, mentre d'altro canto deprecano come abusi molte delle devozioni popolari (così care ai fedeli) che accompagnano la Settimana Santa. Questo seppur sommario esame della riforma della Settimana Santa consente al lettore - così almeno pensiamo - di rendersi conto di come i "periti" che fabbricheranno 14 anni dopo la Nuova "Messa" avevano usato - e sfruttato - la Settimana Santa per compiere su di essa -tamquam in corpore vili- i loro esperimenti rivoluzionari da applicare a tutta la Liturgia.



GIOVANNI XXIII
A Pio XII succede Giovanni XXIII, Angelo Roncalli. Professore al Seminario di Bergamo, fu inquisito perché seguiva i testi del Duchesne, proibiti, sotto San Pio X in tutti i seminari italiani, e la cui opera "Histoire ancienne de l'Eglise", finì all'Indice. (Poulat. Catholicisme, démocratie et socialisme. Pag. 246 e 346; Maccarrone: Mgr. Duchesne et son temps. 1975. pag. 469-472) Nunzio a Parigi, Roncalli svelerà la sua adesione alle tesi del Sillon, condannate da San Pio X (si legga tutto il testo della condanna, pubblicato in "Sodalitium" n. 4, Agosto-Settembre-Ottobre 1984), con una lettera alla vedova di Marc Sangnier, fondatore del movimento proscritto, nella quale, tra l'altro, scrive: "Il fascino potente della sua parola (di Sangnier N.d.r.), della sua anima, mi avevano incantato e conservo della sua persona e della sua attività politica e sociale il ricordo più vivo di tutta la mia giovinezza sacerdotale", (lettera del 6 giugno 1950. Cfr. Itinéraires, n. 247, nov. 1980, pag. 152-153). Nominato Patriarca di Venezia, Mons. Roncalli darà pubblico benvenuto ai socialisti giunti nella sua città per il congresso del partito. Divenuto Giovanni XXIII crea Cardinale Mons. Montini, indice il Concilio Vaticano II e scrive l'Enciclica "Pacem in terris" nella quale afferma di già, cammuffandola con una frase volutamente ambigua, quella libertà religiosa che sarà proclamata dal Concilio, come testimonia il neo-Cardinale Pavan, collaboratore di Giovanni XXIII. L'atteggiamento di Giovanni XXIII, alla morte di Pio XII nel 1958, non poteva essere diverso, in materia liturgica, a quello dimostrato negli altri campi. Ben lo sapeva Dom Lambert Beauduin, ormai noto al lettore come quasi capostipite del movimento liturgico modernista, ed amico di Roncalli dal lontano 1924. P. Bouyer testimonia che Dom Beauduin gli disse il giorno della morte di Pio XII: "Se eleggessero Roncalli, tutto sarebbe salvato: sarebbe capace di convocare un Concilio e di consacrare l'Ecumenismo...". (Bouyer. Dom L. Beauduin, un homme d'Eglise. 1964. pag. 180-181). Il 25 luglio 1960 Giovanni XXIII pubblica il Motu proprio "Rubricarum Instructum". Già aveva deciso di convocare il Vaticano II e di procedere alla riforma del Diritto Canonico; con questo Motu Proprio Giovanni XXIII assorbe ed aggrava le riforme delle rubriche del 1955-56: ''Siamo arrivati alla decisione" scrive "che si doveva presentare ai Padri del futuro Concilio i principi fondamentali concernenti la riforma liturgica, e che non si doveva differire ulteriormente la riforma delle rubriche del Breviario e del Messale romano". In questo quadro così poco ortodosso, con artefici così dubbi, in un clima già "conciliare", nascono il Breviario ed il Messale di Giovanni XXIII, concepiti come "Liturgia di transizione" destinata a durare, come durò, tre o quattro anni: transizione tra la liturgia cattolica consacrata al Concilio di Trento e quella eterodossa preconizzata dal Vaticano II.

“L'ERESIA ANTILITURGICA” NELLA RIFORMA DI GIOVANNI XXIII

Abbiamo visto precedentemente come il grande Dom Guéranger definì "eresia antiliturgica" l'insieme dei falsi principi liturgici del XVIII secolo ispirati dall'illuminismo e dal Giansenismo. Vorrei mostrare in questo capitoletto la somiglianza, a volte letterale, tra le riforme di quel secolo lontano e quelle di Giovanni XXIII.

  • Riduzione del Mattutino a tre lezioni. L'Arcivescovo (terzaforzista, cioè filo-giansenista) di Parigi, Vintimille, nella sua riforma del Breviario del 1736 "ridusse la maggior parte degli Uffici a tre lezioni, per renderli più corti". (Guéranger. Institutions Liturgiques. Extraits. Ed. Chiré. p. 171) Giovanni XXIII nel 1960 riduce anch'egli a 3 sole lezioni la quasi totalità degli Uffici. Ne consegue la soppressione di un terzo della Sacra Scrittura, dei due terzi delle vite dei Santi e dei quasi tre terzi (la totalità) dei commenti dei Padri alla Scrittura. Per aiutare il lettore gli mostriamo, in un piccolo schema, ciò che resta del Mattutino (tranne che nelle feste di I e II classe) dopo la riforma,tenendo presente che il Mattutino è una parte considerevole del Breviario.
  • Diminuzione delle formule di stile ecclesiastico a favore della Sacra Scrittura. "Il secondo principio della setta antiliturgica è di rimpiazzare le formule di stile ecclesiastico con delle letture della Sacra Scrittura". (Guéranger. op. cit., p. 107) Mentre il Breviario di San Pio X faceva commentare la Sacra Scrittura dai Padri, quello di Giovanni XXIII, lasciate praticamente intatte le lezioni scritturali, come abbiamo visto sopra, le lascia senza il commento della Chiesa, sopprimendo il commento patristico (soppresso il commento all'Antico Testamento o alle epistole, 5 o 6 righe di commento al Vangelo della domenica).
  • Togliere le feste dei santi dalla Domenica. "È il loro (dei giansenisti. N.d.r.) grande principio della santità della domenica che non permette che si degradi questo giorno fino a consacrarlo al culto di un santo, nemmeno della Santa Vergine. (...) A più forte ragione i doppi maggiori o minori, che diversificano così piacevolmente per il popolo fedele la monotonia delle domeniche, ricordandogli gli amici di Dio, le loro virtù e la loro protezione, non dovevano essere rinviati per sempre a giorni infrasettimanali nei quali la loro festa passerebbe silenziosa ed inavvertita?". (Dom Guéranger. Pag. 163) Giovanni XXIII, andando ben oltre la riforma equilibrata di San Pio X, raggiunge quasi alla lettera l'ideale degli eretici giansenisti: solo nove feste di Santi possono vincere sulla domenica (S. Giuseppe di marzo e di maggio, tre feste mariane: Annunciazione, Assunzione e Immacolata, S. Giovanni Battista, SS. Pietro e Paolo, S. Michele e Ognissanti) contro le 32 che contava il calendario di San Pio X, molte delle quali erano antiche feste di precetto. Per di più, la Domenica, Giovanni XXIII abolisce le memorie dei Santi. Per ottenere questi scopi, la riforma del 1960 eleva tutte le domeniche al rango di I e II classe, e riunisce quasi tutti i santi in una III classe creata ex novo, annullando, come vediamo dallo schema, quei doppi maggiori o minori che loda Dom Guéranger. 
  • Favorire l'ufficio della feria alle feste dei Santi. Dom Guéranger descrive poi così le mosse gianseniste: "Il calendario sarà ormai epurato e lo scopo, ammesso da Grancolas (1727) e dai suoi complici, è di fare che il clero preferisca l'officio della feria a quello dei Santi. Che spettacolo pietoso! Vedere penetrare nelle nostre chiese delle massime infette di calvinismo e così volgarmente opposte a quelle della Sede Apostolica, che da due secoli non ha cessato di fortificare il calendario della Chiesa con l'arrivo di nuovi protettori!", (op. cit. pag. 163) Giovanni XXIII ha soppresso totalmente 10 feste dal calendario (11 in Italia, con la festa della Madonna di Loreto) ha ridotto 29 feste di rito semplice e 9 di rito più elevato al rango di commemorazione, facendo così prevalere l'ufficio feriale; con la soppressione di quasi tutte le ottave e le vigilie ha sostituito altre 24 ferie a uffici di Santi (calcolando per difetto, non tenendo conto dei calendari particolari e delle feste mobili); infine, con le nuove regole di quaresima che vedremo poi, altri 9 Santi, ufficialmente nel calendario, non verranno mai festeggiati. Concludendo, la riforma del 1960-1962 sacrifica ad una "massima calvinista", epurandole, circa 81, 82 feste di santi. Dom Guéranger precisa che i Giansenisti soppressero le feste dei Santi in quaresima (op. cit. pag. 163). Allo stesso modo si comporta Giovanni XXIII, salvando solo le feste di I e II classe; poiché la loro festa cade sempre in Quaresima, non si festeggerà mai più un S. Tommaso d'Aquino, un S. Gregorio Magno, S. Benedetto, S. Patrizio, S. Gabriele Arcangelo ecc.
  • Censurare i miracoli dalle vite dei Santi che sembrano leggendarie. Era il principio dei liturgisti illuministi ("le vite dei santi furono spogliate di una parte dei loro miracoli e dei loro racconti pii" Dom Guéranger, pag. 171). Abbiamo visto che la riforma del 1960 sopprime 2 delle 3 lezioni del 2° Notturno, in cui si leggono le vite dei Santi. Ma ciò non bastava. Come abbiamo detto 11 feste sono totalmente soppresse, probabilmente perché "leggendarie" per i razionalisti preconciliari: per esempio S. Vitale, l'Invenzione della S. Croce, il martirio incruento di S. Giovanni alla Porta Latina, l'apparizione di S. Michele sul Gargano, S. Anacleto, S. Pietro in Vincoli, l'Invenzione ( = Ritrovamento) di S. Stefano, la Madonna di Loreto (una casa che vola!!. Ci si può credere nel XX secolo?); tra le votive, S. Filomena (che stupido il Curato d'Ars che ci credeva). Altri Santi poco illuministi sono eliminati più discretamente: la Madonna del Carmelo e della Mercede, S. Giorgio, S. Alessio, S. Eustachio, le stimmate di S. Francesco, restano come memoria in un giorno feriale. Partono anche due Papi, sembra senza motivo: S. Silvestro (troppo Costantiniano?) e S. Leone II. Quest'ultimo, forse, perché condannò Papa Onorio, e Giovanni XXIII... Segnaliamo infine un "capolavoro" che ci tocca da vicino. Dall'orazione della Messa della Madre del Buon Consiglio la riforma del 1960 ha tolto le parole che parlavano della apparizione miracolosa della Sua immagine. Se la Casa di Nazareth non può volare a Loreto, figuriamoci se un quadro che era in Albania può volare a Genazzano.
  • Spirito antiromano. I Giansenisti soppressero una delle 2 feste della Cattedra di San Pietro, al 10 gennaio, come pure l'Ottava di San Pietro (Dom Guéranger, pag. 170). Identiche misure con Giovanni XXIII.
  • Soppressione del Confiteor prima della comunione dei fedeli. (Messale di Trojes)(Dom Guéranger, pag. 149, 150, 156). Medesima cosa nel 1960.
  • Riforma del Giovedì, Venerdì e Sabato Santo. Nel 1736, col Breviario di Vintimille, "fatto gravissimo e, ancor più, dolorosissimo per la pietà dei fedeli" (Dom Guéranger, pag. 170, 171). Qui Giovanni XXIII è stato preceduto, come abbiamo visto! Idem con la soppressione di quasi tutte le Ottave (uso, che si trova già nel Vecchio Testamento, di solennizzare le grandi feste per otto giorni) anticipata dai Giansenisti nel 1736 (pag. 171) e ripetuta nel 1955-60.
  • Fare, insomma, un Breviario cortissimo e senza ripetizioni. Era il sogno dei liturgisti rinascimentali (Breviario di S. Croce, abolito da S. Pio V) e poi degli Illuministi. Commenta Dom Guéranger: vogliono un Breviario "senza queste Rubriche complicate che obbligano il Sacerdote a fare dell'Ufficio Divino uno studio serio; dal resto le rubriche stesse sono tradizioni, ed è giusto che scompaiono. (...) Senza ripetizioni (...) e molto corto: ecco il grande mezzo di successo! (...). Si vuole un Breviario corto. Lo si avrà; e si troveranno dei Giansenisti per redigerlo", (pag. 162, e anche 159). Questi tre principi saranno il vanto pubblico delle Riforme del 1955 e 1960: scompaiono le lunghe "Preces", le memorie, i suffragi, i "Pater, Ave, Credo", le Antifone alla Madonna, il Simbolo di S. Atanasio, 2/3 del Mattutino, e... chi più ne ha più ne metta!
L'ECUMENISMO NELLA RIFORMA DI GIOVANNI XXIII...
A questo i Giansenisti non ci avevano pensato. La Riforma del 1960 sopprime dalle orazioni del Venerdì Santo l'aggettivo latino "perfidis" ( = senza fede) riferito ai Giudei, ed il sostantivo "perfidiam" ( = empietà) riferito a "Giudaica". È la porta aperta alla visita alla Sinagoga dei nostri giorni. Al numero 181 delle Rubriche del 1960 si legge: "la Messa contro i pagani venga chiamata: per la difesa della Chiesa. La Messa per togliere lo scisma, venga detta: per l'unità della Chiesa" (solita eresia che nega che la Chiesa è UNA! N.D.R.). Questi cambiamenti rivelano il liberalismo, pacifismo e falso ecumenismo di chi li ha concepiti. Un ultimo punto, ma tra i più gravi. Nel "Breve Esame Critico" contro la "nuova Messa" presentato dai Cardinali Ottaviani e Bacci si dichiara giustamente che è "un chiaro attentato al dogma della Comunione dei Santi la soppressione, quando il sacerdote celebri senza inserviente (cioè da solo. N.d.r.), di tutte le salutationes (cioè "Dominus vobiscum" ecc.) e della benedizione finale" (pag. 18). Infatti, anche se solo, il sacerdote nel celebrare la Messa o dire il Breviario prega a nome di tutta la Chiesa e con tutta la Chiesa. Verità questa negata da Lutero. Ora, questo attentato al dogma era già compiuto dal Breviario di Giovanni XXIII che al sacerdote che lo recita da solo impone di non dire più "Dominus vobiscum - il Signore sia con voi" ma "Domine exaudi orationem meam - Signore, ascolta la mia preghiera", pensando, con una "professione di pura fede razionalista" (Breve Esame Critico, pag. 18) che il Breviario non sia più la preghiera pubblica della Chiesa, ma una lettura privata.

CONCLUSIONE NECESSARIA

Non serve a nulla la teoria, se non la si applica. Questo articolo non può concludersi senza un caldo invito, innanzitutto ai sacerdoti, a ritornare alla liturgia "canonizzata" dal Concilio di Trento ed alle Rubriche promulgate da San Pio X. Scrive Mons. Gamber: "Molte delle innovazioni promulgate in materia liturgica negli ultimi 25 anni - a cominciare dal decreto sul rinnovamento della Liturgia della Settimana Santa del 9 febbraio 1951 (ancora sotto Pio XII) e dal nuovo Codice delle Rubriche del 25 luglio 1960 (ormai di nuovo superato) fino alla riforma, per continue piccole modificazioni, dell'Ordo Missae del 3 aprile 1969 - si sono dimostrate inutili e dannose alla vita spirituale". (Op. cit. pag. 44-45). Purtroppo nel campo "tradizionalista" regna la confusione: chi si ferma al 1955, chi al 1965 o 1967; la Fraternità San Pio X, dopo aver adottato la riforma del 1965 è tornata a quella del 1960, di Giovanni XXIII (accordata ora dall'indulto del 1984) benché ci si permetta di introdurre usi anteriori e posteriori! Nei Distretti di Germania, Inghilterra e Stati Uniti, dove si recitava il Breviario di San Pio X, è stato imposto quello di Giovanni XXIII, e ciò non solo per motivi legalistici ma di principio, mentre si tollera a malapena la recitazione privata del Breviario di S. Pio X. Ci illudiamo, sperando che questo, o altri studi, aiutino a capire che la Riforma è UNA in tante tappe, e che tutta si deve rifiutare se non si vuole (absit) accettarla tutta? Solo con l'aiuto di Dio ed idee chiare si potrà ottenere una restaurazione che non duri un'estate di San Martino.




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Qui sotto mettiamo delle informazioni sul pessimo Paolo VI che andò ancora più in là del Suo degno predecessore, abolendo di fatto la cosidetta "Messa Antica" per promulgare un rito che ha radicalmente cambiato la Lex Credendi e la Lex Orandi.....

Questa fotografia riproduce una cerimonia di enorme importanza simbolica: Paolo VI depone, definitivamente, la tiara sull’altare. È il grande obiettivo della Rivoluzione francese, attuato per mano di colui che sedeva sulla cattedra di Pietro; un risultato più importante della decapitazione di Luigi XVI, e anche della “breccia di Porta Pia”. Richiamiamo le parole del Pontefice della Massoneria Universale, Albert Pike: (Gli ispiratori, i filosofi e i capi storici della Rivoluzione francese avevano giurato di rovesciare la Corona e la Tiara sulla tomba di Jacques de Molay... Quando Luigi XVI fu giustiziato, la metà del lavoro era fatta; e quindi da allora l’Armata del Tempio doveva indirizzare tutti i suoi sforzi contro il Papato) (Albert Pike, Morals and Dogma, vol. VI, p. 156).
Undici mesi più tardi, Paolo VI completo' il suo atto di abdicazione rimettendo al Segretario Generale dell'ONU, M. U Thant, un birmano di alto grado massonico, i due altri simboli del suo Papato: l'ANELLO e la CROCE PETTORALE. In cambio, il 4 Ottobre 1965 ricevera' il simbolo di "Grande Sacerdote Ebreo" del Sanhèdrin (- Sinedrio): l'EPHOD, OSSIA IL PETTORALE CHE CAIFA PORTAVA AL MOMENTO DELLA CONDANNA DI NOSTRO SIGNORE.



E questo "EPHOD", Paolo VI lo porterà per molto tempo, sopra la mozzetta.


Oggi la cosidetta "nuova Chiesa Conciliare" propone ai fedeli la liturgia riformata dal pessimo Paolo VI. Tale messa viene definita  "Novus Ordo Missae"....

Il 10 maggio 1970, in occasione dell'udienza concessa ai sei pastori protestanti che hanno collaborato all'elaborazione del Novus Ordo Missæ, Paolo VI, parlando del loro contributo ai lavori del Consilium liturgico, ebbe a dire: ...Vi siete particolarmente sforzati di dare più spazio alla Parola di Dio contenuta nella Sacra Scrittura; di apportare un più grande valore teologico ai testi liturgici, affinché la “lex orandi” (“la legge della preghiera”) concordi meglio con la “lex credendi” (“la legge della fede”)... (cfr. R. Coomaraswamy, Les problèmes de la nouvelle messe, Editions L'Age d'Homme, Losanna 1995, pag. 36). Non si capisce proprio come dei protestanti che negano la Presenza Reale di Nostro Signore Gesù Cristo nell'Eucarestia, l'essenza sacrificale della Messa, il sacerdozio ministeriale, la mediazione universale di Maria SS.ma e dei Santi, e altre verità di fede possano aver apportato «un più grande valore teologico ai testi liturgici...
“... adesso si ha la sensazione che sia
la traduzione di un servizio protestante”
(J. Guitton - 1998)

Considerando la riforma liturgica della Messa, imposta dal Papa Paolo VI a tutta la Chiesa latina negli anni 70, Jean Guitton, modernista e massone, ha fatto, tra altre, le seguente affermazione:
1 – “Prima del concilio la Messa era la Messa. Evidentemente in latino, non ci capiva niente, ma si aveva l’impressione (impressione???) che fosse la Messa. Mentre adesso si ha la sensazione che sia la traduzione di un servizio protestante. Dal mio punto di vista, la riforma della liturgia così come l’ha voluta il concilio (Vaticano II) era buona; certo non voleva che la Messa, l’Eucaristia, fossero sacrificate, né sopratutto ridotte a quello che i protestanti fanno durante la loro cerimonia, che chiamamo la cena. Per esempio, quando si è deciso che il sacerdote non dicesse la messa rivolto all’altare, volgendo le spalle ai fedeli, ma di fronte loro, è stata compiuta una riforma decisiva che ha veramente turbato mlti cristiani. Con ragione (Con ragione???) — perché i fedeli comprendessero — si è voluto celebrare la liturgia nella lingua comune, ma senza volontà di abolire il sacro. Oggi, praticamente, l’Eucaristia non ha più il carattere sacro, serio e divino che aveva in passato. (...)”.
J. Guitton con Francesca Pini, L’infinito in fondo al cuore, Ed. Mondadori, Milano, 1998, p. 103. Il grosseto è nostro).

 
2“(...). Spesso mi domando se i sacerdoti che dicono messa credono veramente che nell’ostia ci sia il corpo e il sangue di Cristo. Sopratutto quando — terminata la funzione — li si vede scapare in fretta e furia dalla chiesa, come se con ciò avessero finito la loro giornata. Allora le persone si domandono se i sacerdoti credono veramente. Se i sacerdoti non credessero, infatti, perché mai dovrebbero essere loro a credere?” (Op. cit. p. 104. Il grossetto è nostro).

   
3 – Alla domanda di Francesca Pini se “quindi oggi la messa rischia di assomigliarsi a una liturgia della parola”, Guitton risponde:
“I protestanti non hanno questa idea del sacramento, della transustanziazione: essi ripetono ciò che ha fatto Gesù Cristo, ma in modo simbolico. La loro cena è una liturgia della parola, non è un atto che trasforma (trasforma o transustanzia???) il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Cristo nel senso fondamentale del gesto, così come pensano (?) i cattolici. La Chiesa cattolica ha ragione di voler rendere la sua liturgia più accessibile e comprensibile ai protestanti, ma non può tuttavia abbandonare l’essenza del cattolicesimo: che nel pane e nel vino consacrati ci sono il corpo e il sangue di Cristo nel senso sostanziale, veritiero e profondo!”  
(ivi. p.104. Il grassetto è nostro).
Domandiamo: Jean Guitton, considerato il “più grande filosofo cattolico del seculo XX”, amico intimo di Paolo VI, presente nel concilio Vaticano II e l’unico laico che, in tutta la storia della Chiesa, ha avuto il diritto di parlare in un concilio, Guitton, nella sua critica alla “Nuova Messa” di Paolo VI, ha affermato, o no, una verità?   
Come semplici cattolici laici, speriamo in una seria risposta, chiara e obbiettiva, particolarmente da parte dei teologi, a questa importante e attuale questione.

Esempio di Messa sacrliega seguendo il nuovo Messale Novus Orror Missae....


Giovanni paolo II, sucessore del modernista e quant'altro Paolo VI, celebra l'Eucarestia blasfema neocatecumenale....


...Paolo VI si è potuto permettere di invalidare le disposizioni liturgiche riguardanti la Celebrazione Eucaristica che solennemente emise il suo Santo Predecessore Pio V, Lui stesso l’ha detto: "Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino. La stessa disponibilità noi esigiamo, con la stessa autorità suprema che ci viene da Cristo Gesù, a tutte le altre riforme liturgiche, disciplinari, pastorali, maturate in questi anni in applicazione ai decreti conciliari. Ogni iniziativa che miri a ostacolarli non può arrogarsi la prerogativa di rendere un servizio alla Chiesa: in effetti reca ad essa grave danno."(Conclave segreto)
Disse questo ignorando allegramente le sante minacce con cui il Pontefice diffidava chi in futuro volesse attentare all’ortodossia della liturgica cattolica, «E se nondimeno qualcuno osasse attentare con un'azione contraria al Nostro presente ordine, dato per sempre, sappia che incorrerà nell’ira di Dio Onnipotente e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo», e lo fece emettendo un nuovo Messale che praticamente quasi vietava l’uso del precedente: dimostrando che il contenuto conclusivo di un Concilio non è affatto un Dogma inoppugnabile, come non è stato considerato tale da Paolo VI quello di Trento! (Ma il Santo Concilio di Trento era di natura dogmatica, eppure – colmo del controsenso! – fu annullato da un Concilio di tipo pastorale!)
La cosiddetta “Messa Tridentina” fu promulgata e sigillata nei secoli, sino alla fine di codesto mondo, da San Pio V con la Costituzione Apostolica Quo primum del 19 luglio 1570. Il Santo Papa dichiarava: «Con il nostro presente decreto, valido in perpetuo, Noi determiniamo e ordiniamo che mai niente dovrà essere aggiunto, omesso o cambiato in questo Messale».  Al fine di vincolare i posteri, affermò che «mai, in avvenire, un sacerdote, sia regolare che religioso, potrà essere costretto ad usare un altro modo di dire la Messa». E, onde prevenire una volta per tutte ogni scrupolo di coscienza o paura di sanzioni e censure ecclesiastiche, aggiunse: «Noi qui dichiariamo che, in virtù della Nostra Autorità Apostolica, decretiamo e decidiamo che il nostro presente ordine e decreto durerà in perpetuo e non potrà mai essere legalmente revocato o emendato in avvenire». Si può giudicare l’importanza che San Pio V stesso attribuì al suo atto, leggendo queste sue parole: «E se nondimeno qualcuno osasse attentare con un'azione contraria al Nostro presente ordine, dato per sempre, sappia che incorrerà nell’ira di Dio Onnipotente e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo».
Di questo tenore sono le interdizioni e le censure di San Pio V, oltre le quali è andato Paolo VI (1897-1978) con la sua Costituzione Apostolica Missale Romanum del 3 aprile 1969, decretando forme nuove per la Messa e sostenendole con la seguente dichiarazione: “Noi desideriamo che i Nostri presenti decreti e prescrizioni siano fermi e validi per il presente e per l’avvenire, nonostante, nella misura necessaria, le ordinanze promulgate dai nostri predecessori.
Già nel 1969, gli autori del Breve esame critico del Novus Ordo Missæ, presentato a Paolo VI dai Cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci, affermavano: “E’evidente che il Novus Ordo non vuole più rappresentare la fede (del Concilio) di Trento. A questa fede, nondimeno, la coscienza cattolica è vincolata in eterno. Il vero cattolico è dunque posto, dalla promulgazione del Novus Ordo in una tragica necessità di opzione”.
Addirittura imbarazzante la risposta che Paolo VI darà all’amico Jean Guitton nel novembre 1976. Durante un incontro privato Guitton, di fronte al disastro prodotto dalla riforma liturgica, con i tanti abusi permessi, segnala a Paolo VI anche l’irrazionalità e l’autoritarismo con cui si è proceduto: “L’opinione generale non può ammettere che tutte le Messe siano consentite salvo quella di San Pio V, Messa che tutti i Vescovi dicevano durante il Concilio”. Poi dice al Papa che: “Sarebbe auspicabile […] l’annullamento dell’interdizione fatta in Francia di dire questa Messa di San Pio V che il Concilio non ha mai preteso abolire.”
La risposta di Montini è perentoria e agghiacciante: “Questo mai!” Ma ancora più incredibile la motivazione: “Questa Messa, come lo si vede ad Econe, diviene il simbolo della condanna del Concilio. Non accetterò mai che si condanni il Concilio per mezzo di un simbolo.”
(Jean Guitton, Paolo VI segreto, cit., pp. 144-145).
“Inutile sottolineare, come fa Guitton, che il Concilio non aveva affatto abolito quella Messa, che la nuova liturgia ha disastrato la Chiesa e che è stata un’ imposizione autoritaria dello stesso Paolo VI che doveva prendersi le sue responsabilità senza farsi scudo del Concilio. Papa Montini fu ostinato a non volerla dar vinta ad Econe e agli altri Suoi critici. Pur vedendo “auto- demolirsi”, non volle ammettere di aver sbagliato. Così sino alla fine.”
(Antonio Socci “Il quarto segreto di Fatima”, nota n°357 pag. 211)
“In quelle pagine il futuro papa rievoca la pubblicazione del messale di Paolo VI, con il divieto quasi completo del messale precedente. Commenta Ratzinger: “Rimasi sbigottito per il divieto quasi completo del messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia. Si diede l’impressione che questo fosse del tutto normale. Il messale precedente realizzato da San Pio V nel 1570, faceva seguito al Concilio di Trento; era quindi normale che, dopo 400 anni e un nuovo Concilio, un nuovo Papa pubblicasse un nuovo messale. Ma la verità storica è un'altra. Pio V si era limitato a far rielaborare il messale romano allora in uso, come nel corso vivo della storia era sempre avvenuto lungo tutti i secoli […] senza mai contrapporre un messale ad un altro. Si è sempre trattato di un processo continuativo di crescita e di purificazione, in cui però la continuità non veniva mai distrutta […].” “Ora invece - scriveva Ratzinger - la promulgazione del divieto del messale che si era sviluppato nel corso dei secoli, fin dal tempo dei sacramentali dell’antica Chiesa, ha comportato una rottura nella storia della liturgia, le cui conseguenze potevano essere solo tragiche […] si fece a pezzi l’edificio antico e se ne costruì uno nuovo […]. Per la vita della Chiesa è drammaticamente urgente un rinnovamento della coscienza liturgica, una riconciliazione liturgica, che torni a riconoscere l’unità della storia della liturgia e comprenda il Vaticano II non come rottura, ma come momento evolutivo.”
(Joseph Ratzinger, “La mia vita”, cit., pp. 113-115/Antonio Socci, dal suo libro: “Il quarto segreto di Fatima”, nota n°361 a p. 212)
L’incredibile discorso fatto da Paolo VI all’amico Jean Guitton, fa comprendere in pieno ciò che in realtà aveva in mente di fare e ha fatto codesto Pontefice:
“E’qui che la grande novità verrà notata, la grande novità del linguaggio. Non sarà più in latino, ma la lingua parlata sarà la lingua principale per la Messa. L’introduzione del vernacolo costituirà certamente un grande sacrificio per coloro che conoscono la bellezza, il potere e la sacralità espressiva del latino. Stiamo dipartendoci dalla lingua parlata nei secoli Cristiani; siamo quasi come dei profani intrusi all’interno della riserva letteraria dell’espressione sacra. Perderemo una gran parte di quella cosa artistica e spirituale, dalla bellezza incomparabile, quale è il canto Gregoriano. Avremo motivi per rimpiangere questa decisione o almeno per essere perplessi. Cosa potremo mai sostituire alla lingua degli Angeli? Stiamo dando via qualcosa dal valore incalcolabile, perché? Cosa ci può mai essere di più prezioso di questi valori, tra i più elevati della nostra Chiesa? La risposta sembrerà banale, quasi prosaica. Ma è una buona risposta in quanto umana, apostolica. La compressione della preghiera è più importante dei sontuosi vestiti in cui è regalmente vestita. La partecipazione della gente è più preziosa - in particolare la partecipazione  della   gente  moderna -  che  apprezza   il  linguaggio  semplice  che  possa  essere  facilmente compreso e convertito nel linguaggio di tutti i giorni”.

Chiunque ha preso parte a codesto scempio della Liturgia di sempre, non ha fatto altro che portare avanti ciò che lo scellerato Martin Lutero disse 500 anni fa’:
«Affermo che tutti gli omicidi, i furti, gli adulterii sono meno cattivi che questa abominevole Messa …» (Lutero. Sermone della 1° domenica d’Avvento)
“Quando la Messa sarà rovesciata, io penso che avremo rovesciato l’intero papato. (Lutero. Trattato contro Henricum).
 E ancora sempre molto “gentilmente" e con più colori: «Quando la messa sarà stata rovesciata, io sono convinto che avremo rovesciato con essa tutto il papismo. Il papismo, infatti, poggia sulla messa come su di una roccia, tutto intero, con i suoi monasteri, vescovadi, collegi, altari, ministeri e dottrine, in una parola, con tutta la sua pancia. Tutto ciò crollerà necessariamente quando sarà crollata la loro messa sacrilega e abominevole. Io dichiaro che tutti i bordelli, gli omicidi, i furti, gli assassinii e gli adulterii sono meno malvagi di quella abominazione che è la messa papista.»

Il tradimento del modernista Giovanni Battista Montini a Pio XII...che la gente sappia..

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Il "messale" riformato da Angelo Giuseppe Roncalli (Giovanni XXIII) nel 1962... Precursore del Messale di Paolo VI "Novus Ordo"

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Due testimoni luminosi... perseguitati da Paolo VI...

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S. Pio V Bolla "QUO PRIMUM TEMPORE" rigettata da Paolo VI

 CHE DIO ABBIA PIETA' DI LUI E DI TUTTI QUELLI CHE SEGUONO I SUOI TERRIBILI INSEGNAMENTI....

1 commento:

  1. Grazie! Ho riletto con calma la storia particolareggiata del cedimento della Chiesa verso il mondo e le sue forze disgregatrici. Il fumo satanico aveva già infuso le eresie in soggetti che poi sono saliti sul trono pontificio senza abiurare ai loro pensieri, per proseguire la demolizione vista come modernizzazione ed adattamento alla mentalità odierna.

    Proprio l'opposto di quel che la chiesa è stata nei secoli! Cioè la roccia che aveva nei secoli cambiato ben poco della sua liturgia e che dava la certezza ai credenti e non credenti della sua immutabilità fedele agli insegnamenti dell'Instauratore-Creatore Gesù.

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