Il mondo è in mano al potere del demonio. Con Satana ci sono tanti suoi profeti. Tante persone che la Bibbia chiama falsi profeti. Falsi perché portano alla menzogna e non alla verità. Queste persone esistono fuori ma anche dentro la Chiesa. Si riconoscono subito: dicono di parlare nel nome della Chiesa e invece parlano nel nome del mondo. Chiedono alla Chiesa di vestire i panni del mondo e così facendo confondono i fedeli e portano la Chiesa in acque non sue. Sono le acque del maligno. Le acque che la Bibbia descrive in modo mirabile nel suo ultimo testo, l’Apocalisse. (Padre Amorth)
martedì 21 febbraio 2012
"La verità vi farà liberi": Diamo spazio ai fuori usciti dalla setta eretica Neocatecumenale
Diamo Spazio alle numerose testimonianze, PER FAR MEGLIO COMPRENDERE LA VITA INTERNA DEL MOVIMENTO E METTERE IN LUCE TUTTI GLI ASPETTI SETTARI DEL CN, di fuori usciti dalla setta eretica Neocatecumenale, naturalmente siamo disposti a pubblicare tutte quelle esperienze "nuove" che ci dovessero giungere.
Il mondo è in mano al potere del demonio. Con Satana ci sono tanti suoi profeti. Tante persone che la Bibbia chiama falsi profeti. Falsi perché portano alla menzogna e non alla verità. Queste persone esistono fuori ma anche dentro la Chiesa. Si riconoscono subito: dicono di parlare nel nome della Chiesa e invece parlano nel nome del mondo. Chiedono alla Chiesa di vestire i panni del mondo e così facendo confondono i fedeli e portano la Chiesa in acque non sue. Sono le acque del maligno. Le acque che la Bibbia descrive in modo mirabile nel suo ultimo testo, l’Apocalisse. (Padre Amorth)
Il mondo è in mano al potere del demonio. Con Satana ci sono tanti suoi profeti. Tante persone che la Bibbia chiama falsi profeti. Falsi perché portano alla menzogna e non alla verità. Queste persone esistono fuori ma anche dentro la Chiesa. Si riconoscono subito: dicono di parlare nel nome della Chiesa e invece parlano nel nome del mondo. Chiedono alla Chiesa di vestire i panni del mondo e così facendo confondono i fedeli e portano la Chiesa in acque non sue. Sono le acque del maligno. Le acque che la Bibbia descrive in modo mirabile nel suo ultimo testo, l’Apocalisse. (Padre Amorth)
TESTIMONIANZA DI MARINA E CONCETTO, DUE EX
CATECHISTI DELLA SETTA ERETICA NEOCATECUMENALI...
Coniugi
ex-catechisti del Cammino
Mi
chiamo Marina, sono austriaca ed oggi ho 61 anni. Dal 1972 sono sposata
con Concetto. Abbiamo tre figli: Raffaella, Elisabetta ed Alfredo.
Ho
conosciuto il "Movimento Neocatecumenale", noto come
"Cammino Neocatecumenale", per la mia professione di
fisioterapista. Fu infatti la madre d’una bambina affetta da handicap
(che curavo) a farci conoscere questa realtà.
Subito
accolsi l’invito a partecipare agli incontri, perché da tempo volevo
avere un’esperienza religiosa che mi mettesse in comunione con altre
persone.
Con
mio marito entrai in Comunità nel 1984 iniziando così un’esperienza
che avremmo concluso solo nel 1998. Ancor oggi, che pur denunciamo quel
che segue, risentiamo delle idee che ci furono inculcate allora, specie di
quella che "Il Cammino" è "La" strada da seguire
per giungere alla Salvezza.
I
discorsi martellanti che ci facevano, ci portavano a perdere la coscienza
della nostra libertà e c’inducevano a sentirci legati indissolubilmente
al "Cammino" convincendoci, nell’intimo, che avremmo rischiato
la salvezza eterna, se ne fossimo usciti. Appena entrata mi sembrava di
realizzare finalmente il mio desiderio. Ero felice, e nella Comunità mi
sentivo "voluta bene". Da subito presi tutto con un certo
entusiasmo. Le catechesi (anche se molto lunghe e martellanti), i
fratelli, la Parola di Dio, la Mensa Eucaristica, le convivenze: tutto mi
dava un’immensa gioia. Pensavo d’aver trovato finalmente la vera
Chiesa. Con mio marito fui scelta come responsabile dopo il 1° passaggio.
In seguito (sempre con mio marito), fui nominata Catechista. Concetto non
era entusiasta come me. Io però lo incoraggiavo e lo trascinavo, perché
prendevo alla lettera ogni cosa che mi dicevano. Pian piano anche lui
crebbe nel fervore.
LA
NOSTRA FAMIGLIA ED IL CAMMINO (di Marina)
In
Comunità tutto andava per il meglio, ma a casa, si affacciavano le prime
nuvole all’orizzonte. Su suggerimento dei Catechisti, volevamo che anche
i nostri figli frequentassero il "Cammino". Divenni ossessiva
con loro: non potevo disobbedire ai Catechisti! Questi, infatti,
continuavano a sostenere che, se loro non venivano, era perché noi non li
invogliavamo a sufficienza e non davamo loro i giusti segni. Era nostro
dovere trasmettere loro, specie dopo le convivenze, quelle esperienze
tanto toccanti.
La
situazione in famiglia diventava sempre più insopportabile. Continue
sofferenze, incomprensioni, diffidenze, accuse e minacce erano all’ordine
del giorno. Dopo qualche tempo abbiamo convinto Elisabetta e Raffaella ad
entrare in Comunità. Raffaella lasciò dopo il 2° Passaggio, mentre
Elisabetta non ne volle più sentire dopo che agli ‘scrutini’
i catechisti la umiliarono assai. Dopo lo Shemà non tornò più. Da quel
momento cominciai a vedere ogni suo insuccesso come conseguenza dell’abbandono
della Comunità.
Altro
motivo di sofferenza per noi, era sapere che il fidanzato di Raffaella non
fosse un membro del "Cammino". I catechisti erano stati precisi
in merito. Ci dicevano: "Il matrimonio tra due persone del ‘Cammino’
è molto importante, anzi, indispensabile per formare una buona famiglia
cristiana". Se in fidanzato di Raffaella fosse entrato in Comunità,
entrambi avrebbero dovuto iniziare il Cammino insieme. Infatti, quando una
persona si fidanzava o si sposava, doveva ricominciare daccapo il Cammino,
insieme al partner, indipendentemente dalla Tappa cui era giunta.
Per
anni abbiamo portato questi pesi senza accorgerci che la nostra famiglia,
invece di unirsi nell’amore in Cristo, si sbriciolava da tutte le parti.
Per
14 anni non abbiamo potuto vivere un sabato sera con i nostri figli,
abbandonandoli a se stessi e privandoci della loro compagnia. Mai una
passeggiata insieme! Mai una sera dai parenti o in pizzeria! Oggi sono
adulti e non ci perdonano di averli abbandonati, quando dovevamo stare
loro vicini più che in ogni altro periodo della loro vita. Ogni sabato
sera andavamo alla Mensa Eucaristica e tornavamo tardi. Il giorno
seguente, dopo averli invitati in modo opprimente a dire le Lodi,
ci ritenevamo liberi da ogni impegno, mentre loro ci lasciavano soli per
andare a Messa. Spesso, la domenica, andavamo in Convivenza, mentre loro
facevano una scampagnata o andavano da amici o parenti perché si
sentivano soli. Ho ricordo di poche domeniche passate serenamente insieme
come dovrebbe succedere in ogni famiglia. Di questo i nostri figli ci
hanno sempre accusato. Alle loro accuse noi rispondevamo che il
"Cammino" era più importante di qualsiasi altro impegno, anche
se familiare o religioso. Dovevamo, infatti, mettere gli impegni del
"Cammino" prima d’ogni altra cosa: ricorrenze del compleanno
dei figli, riunioni con parenti o, addirittura, feste patronali. Se
qualcuna di queste ricorrenze si svolgeva in concomitanza con una riunione
della Comunità, non c’era possibilità di scelta: bisognava non
andarci! Ad incontri importanti come Convivenze Regionali, non dovevamo
mancare nemmeno per motivi seri, come gravi problemi di lavoro, familiari
o di salute. L’unico interesse che dovevamo avere, era di partecipare
alla vita della Comunità.
Una
volta, una sorella della nostra Comunità (S.G.) non poté partecipare ad
una Convivenza della "Redditio" perché, qualche giorno prima,
sua madre aveva avuto un ictus. Quando i catechisti la videro in un
successivo incontro, l’accusarono d’essere attaccata al danaro,
perché avrebbe dovuto far accudire la madre da un’infermiera, per poter
così partecipare alla Convivenza. Lei scoppiò in lacrime, ma questo non
servì a nulla: le fu imposto di andare con un’altra Comunità a fare
quella Convivenza.
Un’altra
sorella, giunta dopo decenni all’ultima tappa dell’"Elezione"
o, come la chiamano, di "Gerusalemme", chiese ai catechisti di
poter partire per la Terra Santa, il giorno seguente, per conto proprio,
perché proprio nel giorno previsto per la partenza, sua figlia doveva
sposarsi. I catechisti le risposero che questo non era possibile. Lei
doveva scegliere: o andare al matrimonio di sua figlia o partire per la
Terra Santa. L’episodio mi è stato raccontato dalla figlia di questa
mia ‘sorella’. Questi episodi ci facevano capire come, facendo
parte del Cammino dovevamo cambiare. Ci convincevamo così che "Nulla
giova alla Salvezza come il Cammino".
LA
VITA NELLA COMUNITA' (di Marina)
Come
membri del ‘Cammino’, dovevamo attender continuamente la venuta del
Cristo: ogni istante poteva essere quello buono. Dovevamo pertanto essere
sempre presenti alle catechesi e a tutte le celebrazioni: in queste
occasioni, infatti, il Signore ci parlava! Ogni parola, ogni segno
potevano essere per ognuno di noi, quello che ci avrebbe fatto convertire.
Per sottolineare l’esigenza di conversione, ci martellavano
incessantemente sul fatto d’essere peccatori. Tutti eravamo dei servi
inutili. Solo la grazia ci avrebbe salvato. Per mezzo della nostra sola
volontà non saremmo mai arrivati a nulla.
Nelle
nostre menti si faceva strada l’idea di non potere nulla senza l’aiuto
del ‘Cammino’ e dei Catechisti. Ogni volta che dovevamo fare una
scelta di vita chiedevamo aiuto ai Catechisti. Tutta la nostra vita
passava per le loro mani, dalle cose più banali alle cose più serie. I
Catechisti avevano l’obbligo di non essere nostri amici (questo lo
dicevano chiaramente). Si univano a noi solo per la catechesi e per
dirigerci spiritualmente. In tutte le altre cose, erano completamente
distaccati. Ad esempio, nelle cene sedevano nel loro tavolo isolandosi. A
causa del distacco dei Catechisti e con i membri della Comunità più
vanti nel Cammino, pensando a quanta strada avessero già fatto, vedevamo
questi fratelli, come esempi da seguire e speravamo di poter fare anche
noi, un giorno, quello che facevano loro. I membri delle Comunità più
vecchie dovevano essere d’esempio. Anche loro si comportavano in modo
distaccato e si distinguevano come nell’Agape della Domenica di Pasqua.
Alle 5.30 di tutti i giorni di Quaresima (eccetto sabato e domenica) si
riunivano nella parrocchia alla quale apparteneva la loro Comunità, per
pregare insieme le Lodi. Noi li guardavamo con ammirazione e
speravamo che un giorno saremmo riusciti anche noi ad arrivare a tanto.
A
chi entrava nel Cammino veniva caldamente sconsigliato di far parte di
altre associazioni o gruppi religiosi. Un giorno mio marito disse ai
Catechisti che aveva deciso di diventar Ministro straordinario dell’Eucarestia.
Questi tentennarono ma, non potendo impedirglielo, gli dissero: "…però
procedi con moderazione".
Dentro
la Comunità non si parlava mai di quello che accadeva nella Chiesa. Era
tutto un mondo a parte. Avevamo i nostri riti, le nostre immagini, i
nostri canti, i nostri seminari, i nostri preti, il nostro modo di
pregare. Quando partecipavamo ad incontri non organizzati da noi (come la
venuta del Papa a Catania) dovevamo distinguerci dagli altri portando le
nostre immagini e cantando i nostri canti. Tutto quello che ci distingueva
era opera di Kiko Argüello: la Madonna dipinta da lui, il Cristo
dipinto da lui, i canti composti da lui… Tutto era grazie a lui!
Nelle
adunanze di carattere nazionale o regionale, Kiko aveva la capacità di
chiamare sul palco tutti coloro che volessero diventare missionari,
sacerdoti o suore di clausura. Dentro il Cammino, ogni suo scritto, ogni
sua opera era legge e nessuno mai era sfiorato dall’idea di poter
confutare i suoi pensieri (che sono comunque di laico, pur impegnato).
Durante i 14 anni passati nel Cammino mi è capitato più volte di
lamentarmi di alcune prese di posizione o di certe idee espresse da
sacerdoti o addirittura da Vescovi della Chiesa cattolica. Mai questo mi
è capitato nei confronti di Kiko o di Carmen.
Ogni
volta che nel Cammino si svolge un evento si deve cantare. Questi canti si
riconoscono subito appena si sentono. Il ritmo monotono viene intercalato
dai "crescendo" del coro. Le chitarre, i tamburi, e ogni altro
strumento ripetono le note con un ritmo martellante e tutti accompagnano
cantando e battendo le mani. Chi cantava era invitato a farlo con tutto se
stesso. In pochi minuti si perdeva la coscienza e si pensava solo che si
stava dando lode al Signore. Era una specie di droga. Il tempo passava
senza che ce ne rendessimo conto. L’incoscienza che mi assaliva cantando
e ballando era la stessa che molti ragazzi d’oggi, vivono in discoteca.
Per noi, come per loro, il tempo passava senza che ce n’accorgessimo.
Qualche volta nel ballo che si faceva alla fine della Messa, io ero un po’
stordita dall’alcool del vino bevuto nella celebrazione. Allora mi
lasciavo andare un po’ troppo, insieme agli altri fratelli che come me
non reggevano molto l’alcol. Sovente nella Comunità ho palpato l’atmosfera
dell’incoscienza. Infatti, tutti gli incontri avvenivano tardi e molti,
pur essendo fisicamente presenti, non capivano nulla. Spesso, le cose che
ci erano dette erano prese da noi per buone senza che ce ne rendessimo
conto. Di conseguenza (anche quando ci assaliva il dubbio) eravamo
convinti che probabilmente avevano ragione i Catechisti. Questo modo di
vivere in Comunità ci spingeva ad accettare qualunque cosa ci venisse
"suggerita". Nelle Catechesi e nelle Risonanze c’era un’"ispirazione
divina". Qualche giorno fa, ho incontrato un amico Catechista del
Cammino che mi spiegava come nelle catechesi doveva attenersi fedelmente
alle tracce che gli erano consegnate. Anch’io, che sono stata catechista
, ho ricevuto una di queste tracce. Trattava di come porre la catechesi ai
nuovi arrivati.
Quando
venivano affidati documenti del genere ai Catechisti e alle persone di
responsabilità o nelle riunioni si parlava del "metodo" da
seguire, si raccomandava il massimo segreto. A questo segreto eravamo
vincolati come ai "segreti familiari"! Nelle catechesi tutto era
ben organizzato. L’"Ispirazione divina" era finalizzata a
stordire le menti che, visti gli orari e i ritmi martellanti e ripetitivi,
non ti permettevano altro che dare per scontato tutto quello che si
diceva, tanto più che, ogniqualvolta qualcuno chiedeva un chiarimento,
gli veniva risposto sempre di sedersi e di ascoltare.
Tutto
quanto si ascoltava nelle catechesi era giusto. Del resto, lo si diceva
sotto "ispirazione divina". I Catechisti sostenevano d’essere
"angeli mandati dalla Chiesa", e noi li guardavamo con
ammirazione.
Nelle
Convivenze Regionali le catechesi incominciavano a tarda ora. In quelle
occasioni ci si sarebbe potuti organizzare meglio, in modo che gli orari
aiutassero ad apprendere il messaggio che volevano trasmetterci. Invece,
no. Si facevano grandi cene e dopo… tutti alle catechesi. Qualcuno non
riusciva a stare sveglio. Appena i Catechisti se ne accorgevano, lo
riprendevano dicendogli di stare attento, perché poteva capitare che
proprio quella sera Dio passasse per lui. Durante gli anni trascorsi come
"neocatecumeni" eravamo inibiti anche in comportamenti che, per
chi compie un cammino di fede, dovrebbero sembrare ovvii:
Non
potevamo inginocchiarci. Nemmeno davanti a Gesù sacramentato;
Non
potevamo menzionare passi della Bibbia, perché questo era consentito solo
ai catechisti;
Non
potevamo fare domande, perché le risposte sarebbero venute durante il
Cammino che avevamo intrapreso (che nel migliore dei casi, dura 25 anni!).
Il
fatto di non poter fare domande, perché prima o poi avremmo ricevuto una
risposta in qualche catechesi, ci convinceva nell’intimo che il Cammino
era la risposta a tutto: per questo vedevamo i Catechisti e coloro che
erano ormai vicini alla tappa di "Gerusalemme", con estrema
ammirazione e venerazione.
Non
potevamo correggere i fratelli, neppure quando ci accorgevamo di gravi
mancanze. Dovevamo convincerci che se un fratello sbagliava e si
comportava da peccatore, noi dovevamo sempre pensare d’essere più
peccatori di lui. Non dovevamo comportarci da farisei "cercando la
pagliuzza nell’occhio del fratello, non vedendo la trave nel nostro
occhio". Se poi, l’errore del fratello avveniva involontariamente
(magari perché era nuovo del Cammino), egualmente non dovevamo
correggerlo, perché dovevamo mettere in pratica la virtù della pazienza.
La
vita nella Comunità era serena solo per i primi mesi. Passati questi,
iniziavano i primi asti: ci si accusava e spesso si litigava. C’era un
momento particolare destinato ai "chiarimenti": subito dopo il
pranzo in ogni Convivenza della Comunità. In quell’occasione
incominciavamo a chiedere ai fratelli il perché e il per come… e si
finiva sempre per litigare aspramente. Finito l’incontro ci
abbracciavamo e ci baciavamo nel nome del Signore, ma tornavamo a casa,
nervosissimi ed esausti. A detta dei catechisti, era quasi auspicabile
litigare. Ci dicevano, infatti, che in questo modo ci saremmo messi di
fronte alla nostra piccolezza, e questo ci sarebbe servito per crescere
spiritualmente. Addirittura, come esempio ci portavano le "famose
litigate" di Kiko e di Carmen. Nessuno poteva correggere i Catechisti
o esprimere pareri sui metodi usati: nemmeno i Presbiteri. Un giorno, un
Sacerdote che presiedeva ad una Convivenza Regionale alla ‘Perla Jonica’,
si ribellò alle parole dei Catechisti. Questi lo portarono via quasi con
la forza. Poi ci hanno detto che non era successo niente e subito
chiamarono urgentemente Padre P.P. che in quel momento era assente. Chi ci
sedeva accanto disse che quello "era pazzo". Non ho potuto
capire, però, a che cosa si ribellasse quel prete, perché non ebbe il
tempo di parlare.
Gli
ultimi mesi della mia esperienza nel Cammino, esternai i miei dubbi ad
amico non neocatecumeno, ma semplicemente cattolico praticante. Questi mi
disse che aveva letto delle testimonianze simili alle mie, in un libro.
Allora gli chiesi di farmi sapere il titolo, ma lui non si limitò a
questo, ma me ne regalò una copia. Leggendo quel libro mi accorsi di non
essere sola. Capii che i miei dubbi erano gli stessi, identici, di quelli
di molte altre persone. Capii che non ero fuori della Chiesa, se avessi
dubitato del Cammino e questo mi diede la forza di riflettere seriamente
sulla possibilità di uscirne. Da quei giorni in poi la mia anima si
sarebbe sempre più lacerata: capivo che in 14 anni avevo fatto gravi
errori e questo mi faceva molto male. Nell’ultima Convivenza (alla quale
presi parte), durante la Penitenziale, decisi di confessare questi miei
gravi dubbi. Raccontai al Sacerdote questo mio strazio e gli dissi come le
mie gravi perplessità erano le stesse di decine di altre persone.
Raccontai anche che le loro testimonianze erano raccolte in un libro che
mi era stato regalato. Lui mi rispose che dovevo rimanere nel Cammino e,
con tono risoluto, mi ordinò di bruciare quel libro. In quel momento ebbi
la conferma che sbagliavo a continuare a far parte dei neocatecumeni. L’atteggiamento
di quel Sacerdote m’ha fatto comprendere definitivamente, senza più
dubbi od esitazioni, che la verità non stava solo nel Cammino e che
potevo abbandonarlo senza scrupoli.
I
Catechisti sostenevano che chi fosse uscito dal Cammino si sarebbe perso:
avrebbe divorziato o, comunque, si sarebbe allontanato da Dio. Per
avvallare questa tesi ci facevano molti esempi di gente che, uscita dal
Cammino, aveva divorziato, si era ‘persa’ o si era ammalata (come se
si trattasse di un castigo divino). Dal Cammino non si doveva e non si
poteva uscire! Chi usciva veniva visto dai fratelli come un poveraccio
(sul quale il male aveva avuto il sopravvento) o come un indemoniato. Non
parlo solo di chi abbandonava completamente la Chiesa, ma anche di chi
rimaneva dentro. Anzi, proprio questi erano visti con maggior sospetto,
forse per timore che potessero rivelare le "intimità" della
Comunità o i "Segreti del Cammino", specie per chi come me era
stato neocatecumeno per molti anni. Nel periodo in cui lasciai la
Comunità, salutai Padre P.P. Mi aspettavo un caldo abbraccio, come si fa
con gli amici di vecchia data, ma lui con fare minaccioso mi disse
solamente: "Non far la stolta!".
CATECHISTI
– SCRUTINI – TESTIMONIANZE (di Marina e
Concetto)
I
catechisti ci dicevano sempre d’avere il "carisma di essere i
nostri angeli, mandati dalla Chiesa" e noi credevamo ciecamente
a questo: erano loro le nostre guide e noi li guardavamo con venerazione.
Ad ogni loro richiesta, noi dovevamo obbedire perché erano mandati dalla
Chiesa.
Ad
ogni passaggio c’erano gli "Scrutini". In quell’occasione, i
Catechisti che seguivano la Comunità ponevano delle domande riguardanti
la vita personale. Queste domande erano fatte ad ogni membro della
Comunità, e davanti a tutti gli altri (35-40 persone). Indipendentemente
dai fatti accaduti, chiedevano ad esempio: "Sei in pace con la
Comunità? Con la famiglia? Sei attaccato al denaro? Quali sono i tuoi
idoli? Hai chiesto perdono a Tizio o a Caio?". Non era importante l’episodio
in se, ma che si abbandonasse il nostro perbenismo fino a renderci conto d’essere
solo dei miseri peccatori. Chiedevano ancora: "Sei aperto alla
vita?". (S’intromettevano, dunque, nell’intimità di ognuno!).
"Perché hai solo un figlio? Perché non ti sei sposato?". E
aggiungevano: "O ti sposi, o fai la vita religiosa!". Per loro,
infatti, non esisteva alcuna via di mezzo. Al dire dei Catechisti, queste
domande dovevano essere fondamentali alla nostra crescita, perché ci
facevano toccare il fondo e lo sporco della nostra anima. Mai, però ci
sono state fatte domande di carattere trascendente; mai ci chiesero del
nostro rapporto diretto col Cristo.
Gli
Scrutini si svolgevano in saloni parrocchiali o d’albergo. La persona
scrutata doveva sedere avanti al Crocifisso e di fronte all’èquipe di
Catechisti. Tutto accadeva dopo le 21 (per arrivare, a volte, fino all’1.30).
Nel frattempo i nostri figli trascorrevano la serata da soli. Noi, nemmeno
pensavamo al giorno dopo, quando saremmo dovuti andare a lavorare.
Ogni
équipe era composta da soli laici, ad eccezione d’un membro che doveva
essere il Presbitero (per la nostra Comunità si trattava di Padre P.P.).
Questi, però, non era obbligato ad essere presente, tanto che gli
Scrutini erano guidati sempre da laici. Se c’era il Sacerdote,
interveniva solo per giustificare le scelte fatte dai Catechisti laici. Al
termine degli Scrutini, i Catechisti si riunivano ed esaminavano gli
appunti da loro presi durante l’"interrogatorio" fatto ad ogni
membro. Alla fine prendevano la decisione di ammettere, o non ammettere,
ognuno di noi alla tappa successiva.
Un
Sacerdote del Cammino, non facente parte dell’èquipe di Catechisti,
seguiva, a volte, gli Scrutini, ma in modo del tutto passivo. Sedeva con i
membri della Comunità, alle spalle di chi era esaminato e, a testa bassa,
pregava col suo breviario. Qualche volta, a richiesta dei Catechisti,
rispondeva a domande, solitamente di questo genere: "Enrico (al
Sacerdote davano sempre del ‘tu’ senza mai chiamarlo ‘Don’ o ‘Padre’),
hai qualcosa da dire su questo fratello? E’ assiduo nella presenza in
Comunità?". In genere, la sua risposta era di poche parole. Spesso l’"interrogatorio"
sfociava in pianto o in penosi silenzi. Noi, che stavamo dietro, ci
guardavamo curiosi di conoscere le risposte alle domande che venivano
poste. Il Sacerdote che a volte era presente, seguiva in modo passivo e
mai interveniva per mitigare i toni che spesso erano drammatici. Alcuni
dichiaravano di aver fatto uso di droghe; altri, alla presenza di tutta la
loro Comunità, scoprivano dalla bocca della moglie d’essere stati
traditi per anni. Ricordo come una coppia, davanti a tutti, apprese
direttamente dalla figlia che aveva rapporti prematrimoniali col
fidanzato. Altre storie, che farebbero sudare anche i confessori più
attempati, riecheggiavano nei saloni in cui ci riunivamo, lasciandoci
(solo inizialmente) attoniti. E’ impossibile descrivere le facce dei
mariti traditi o dei genitori che ascoltavano certe esperienze dei figli:
erano imbarazzati, sconvolti, sconfitti. Si guardavano tra loro e, rossi
in volto, sudavano. Quando accadevano questi episodi, tutti rimanevano nel
mutismo più assoluto. Ci guardavamo in faccia e comunicavamo con le
espressioni del volto. Se poi le vittime erano persone che ritenevamo si
comportassero da "santarelli", ci mostravamo compiaciuti e alla
fine concordavamo che finalmente si erano scoperti. I pettegolezzi, sotto
voce, non mancavano mai! Ricordo come i Catechisti entravano nella vita d’ognuno
di noi, fino alle intimità più recondite, "consigliandoci" i
comportamenti da seguire. Se dopo un po’ di tempo non avevamo ancora
seguito quei "consigli", non potevamo fare il passaggio e quindi
dovevamo rimanere fermi a quella tappa, mentre i nostri fratelli passavano
avanti nel Cammino. Era, insomma, un fallimento! Chi era interrogato,
necessariamente doveva aprirsi del tutto. Chi non aveva molto da dire era
sempre accusato d’essere un sepolcro imbiancato o uno che resisteva alla
conversione. E allora, giù con i peccati d’ogni sorta, compresi quelli
di cui non eravamo sicuri.
Anche
le ‘Testimonianze’, ci facevano perdere la dignità. Ricordo che in
una Assemblea Regionale, un fratello di un’altra Comunità dichiarò
candidamente, davanti a 300 persone (nella stragrande maggioranza gente a
lui sconosciuta), di essersi unito a sua moglie durante la giornata
trascorsa in albergo. In uno Scrutinio una sorella raccontò le
"voglie coniugali" del marito, quasi per difendersi dalle accuse
dei catechisti che ritenevano la coppia "chiusa alla vita". Oggi
mi chiedo dove fosse finita la dignità della famiglia. Mai nessuno ci
parlava del concetto di "procreazione responsabile". Ci
dicevano: "La Chiesa non ammette anticoncezionali, nemmeno quelli
naturali, perché un figlio è sempre mandato per volontà di Dio".
Noi dovevamo solo pensare ad aprirci alla vita, per il resto dovevamo solo
aver fede nel Padre. Alla luce di ciò, erano "vincenti" quelle
coppie che riuscivano a mettere al mondo molti figli.
Ricordo
che, facendo le nostre Testimonianze e "confessandoci" durante
gli Scrutini, incominciammo ad avere un certo sentimento di protagonismo,
in negativo. Far vedere a tutti d’essere peccatori era quasi un motivo d’orgoglio,
perché chi non aveva nulla da raccontare era visto da noi come un
fariseo.
I
SACERDOTI SCRUTINATI COME GLI ALTRI (di
Concetto)
Ad
ogni Scrutinio e ad ogni Testimonianza ci aspettavamo di arricchire la
nostra conoscenza dei peccati possibili. Ricordo la testimonianza di un
Sacerdote maltese: verteva tutta sulla sua passione per le donne. La cosa
che più mi colpì non è stata la pubblica confessione d’un Presbitero
(a questo mi ero già abituato), ma il commento del mio vicino, quando lo
vide salire sul palco: "Questo l’ho già sentito. Lo so quello che
ha fatto". Lo diceva con una certa sufficienza, quasi fosse annoiato
di risentire la stessa storia. Fui spinto a commentare con tragica ironia:
"Ascoltalo! Magari c’è qualcosa di nuovo!".
Tutti
i Sacerdoti che nel tempo ci hanno seguito, facevano parte anche loro del
Cammino e quindi percorrevano, passo, passo, la stessa nostra strada.
Anche loro venivano "scrutati" davanti alla loro èquipe alla
presenza dei membri della loro Comunità. Diveniva normale anche per loro
parlare delle cose intime. Ricordo che un Sacerdote G.S., ha dato
testimonianza d’essere peccatore anche lui, elencando i suoi difetti e i
suoi peccati (anche le mancanze più intime). E’ importante sapere che
alla ‘Redditio’ può prendere parte chiunque lo desideri,
indipendentemente dal suo appartenere o meno al Cammino. Per il Padre A.S.
era normale far sapere a chi ascoltava le testimonianze di certe sue
personali debolezze. Come tutti noi, anche i Sacerdoti che facevano parte
della Comunità, avevano un certo timore dei Catechisti. Questi avevano il
potere di decidere su tutti: se erano ‘buoni’ o ‘cattivi’ e se
permettere o meno il passaggio alle fasi successive. I Catechisti dovevano
essere tenuti informati d’ogni cosa. Quando parlavano loro, nemmeno il
Sacerdote poteva contraddirli. Anche lui, come gli altri, doveva imparare
ad obbedire ai suoi Catechisti. Anche Padre P.P., iniziatore del Movimento
in Sicilia, informava i suoi Catechisti a Roma della sua vita e della vita
del Cammino Regionale.
ORGANIZZAZIONE
DEL CAMMINO (di Concetto)
A
settembre si svolgevano le convivenze d’Inizio Corso. In questa
occasione i "Capi Catechisti" d’ogni Diocesi, incontravano
Kiko a Porto San Giorgio (nelle Marche) e, a volte, altrove. Lì si
decidevano e poi si diramavano i programmi. In particolare s’indicavano
gli argomenti di catechesi da trattare durante l’anno. I catechisti che
partecipavano a questa convivenza con Kiko, (per la Sicilia e la Calabria
era S.M.) facevano a loro volta la Convivenza di Riporto ai Catechisti
Regionali. Questi, in seguito, ne facevano una coi Catechisti Provinciali
e delle singole Comunità.
La
Gerarchia interna del Cammino dovrebbe essere questa:
Kiko,
Carmen e Padre Mario, allo stesso livello, anche se il leader è Kiko;
Catechisti
Nazionali - Catechisti Regionali - Catechisti Provinciali;
Equipe
di catechisti per ogni Comunità (almeno 6 persone: 2 responsabili, che
sono anche catechisti, 2 cantori, 2 catechisti. E’ preferibile che ogni
coppia sia formata da coniugi).
Si
poteva diventare Catechisti anche dopo un anno di vita nel Cammino. Da
quel momento, chi riceveva l’incarico, aveva l’illuminazione divina e
il potere di evangelizzare nella propria parrocchia.
I
Responsabili, i Corresponsabili e i Catechisti di ogni singola Comunità
della Diocesi e Provincia, facevano parte del "Centro Lavoro
Provinciale", che per Catania aveva sede nella Parrocchia di San
Leone.
I
membri di tale Centro si riuniscono nella chiesa (proprio nel luogo di
culto e non nei locali adiacenti), per parlare della vita delle singole
Comunità. Prima dell’Avvento e della Quaresima, in questo Centro si
conferivano i "mandati" per evangelizzare nuove o vecchie
parrocchie.
LE
TAPPE DEL CAMMINO (di Concetto)
PRECATECUMENATO
1ª
Catechesi dell’Annuncio (3 mesi, in parrocchia);
1ª
Convivenza (3 giorni in albergo o in una casa religiosa);
Formazione
delle Comunità;
Elezione
dei Responsabili e dei Corresponsabili;
1°
Scrutinio – Rito dell’esorcismo -
Firma
nella Bibbia (Iscrizione nel Libro della
vita)
1°
Passaggio (dopo 2 anni dall’entrata in Comunità);
Shemà
(dopo 1 o 2 anni dal 1° Passaggio). E’ una particolare catechesi per
scrutare il proprio attaccamento agli idoli, in preparazione al 2°
Passaggio. In questa occasione (in segno di distacco) si doveva rinunciare
agli idoli (oggetti di valore e soldi)! Questi venivano inviati ai
catechisti di Roma.
CATECUMENATO
2°
Scrutinio (con invito a una consistente rinuncia ai beni materiali).
2°
Passaggio.
Iniziazione
alla Preghiera – Consegna del Breviario – Rito del sale. (Da allora
eravamo il sale del mondo. Perciò chi giunge a questa tappa deve ingerire
simbolicamente una piccola quantità di sale).
La
Traditio (portare direttamente nelle case l’"Annuncio" e le
proprie esperienze, come esempio (così come fanno i Testimoni di Geova).
Ci raccomandavano che, portando il Vangelo nelle case, dovevamo esaltare i
risultati raggiunti frequentando il Cammino per invogliare le persone a
frequentare le Comunità e a convertirsi.
La
Redditio – Testimonianza e proclamazione del Credo.
(Si
doveva portare la testimonianza dei propri cambiamenti, dal momento in cui
si era iniziato il Cammino. Dopo si proclamava il Credo. A queste
testimonianze potevano assistere non solo le persone delle altre
Comunità, ma soprattutto, persone che non facevano parte del Cammino
perché fossero invogliate a prendervi parte). Questa tappa non l’ho
vissuta in prima persona, ma ho assistito a quelle fatte dai fratelli.
(Le
altre tappe non le ho vissute in prima persona).
LA
LITURGIA (di Marina)
La
penitenziale - Nelle penitenziali i catechisti
ci dicevano che dovevamo SOLO accusare i nostri peccati, e per giunta
velocemente. Per motivi di tempo, il sacerdote non doveva dare consigli
spirituali. Questi consigli avremmo potuto chiederli in altro momento,
fuori della confessione. Anche se si lasciava intendere che avremmo potuto
chiedere consiglio, in effetti, eravamo abituati ad aprirci solo ai
Catechisti, e raramente ai Sacerdoti.
Durante
la Penitenziale, tutti i fratelli che non stavano confessandosi dovevano
cantare a voce molto alta, per coprire la voce di chi si stava
confessando. Avevamo forti momenti d’imbarazzo quando finiva un canto e
ne iniziava un altro. La Confessione doveva svolgersi in fretta perché
eravamo in molti. Avevamo il timore di dire una parola in più oltre l’accusa
dei nostri peccati… Troppa gente aspettava! All’Assoluzione, dovevamo
compiere il gesto di inginocchiarci, per poi essere sollevati dal
Sacerdote.
La
Santa Messa - Celebravamo la Santa Messa sempre
a porte chiuse. Si faceva eccezione per i coniugi e per i genitori dei NC.
La celebrazione si svolgeva sempre in un salone, eccetto la notte di
Pasqua. In quell’occasione si amministravano i battesimi. Allora
venivano ammessi anche i parenti stretti dei catecumeni che celebravano il
battesimo.
Nella
parrocchia che ci ospitava (Crocifisso dei Miracoli), nei primi anni della
nostra esperienza, convivevano tre Comunità che celebravano la Messa di
sabato, contemporaneamente e separatamente, mai in chiesa ma nei saloni
messi a disposizione dal parroco. Non ci "mischiavamo" mai agli
altri fedeli. Non pensavamo mai di fare la Messa in chiesa, luogo
certamente più adatto d’un salone parrocchiale o d’una sala d’albergo.
Quello che maggiormente mi colpiva era che mai si cercasse di fare le
funzioni davanti al tabernacolo.
Cantavamo
il "Gloria" solo nella notte di Pasqua, a Pentecoste e in
occasioni straordinarie, come nelle Convivenze Regionali.
Dopo
la proclamazione del Vangelo venivano fatte le "Risonanze" nelle
quali ognuno poteva esprimere quello che l’aveva colpito. Alla fine il
Sacerdote faceva la sua omelia prendendo spunto, spesso, da quanto aveva
ascoltato. Durante le "Risonanze", non solo non era ammessa
alcuna persona estranea alla Comunità, ma anche i bambini venivano
portati fuori dalla sala.
Mai
si professava il "Credo", eccetto che al momento della
"Redditio", o da coloro che erano ormai prossimi all’ultima
tappa, l’"Elezione", e, comunque, sempre fuori della Messa.
Non si faceva mai l’Offertorio. Al suo posto si scambiava il ‘segno
della pace’, come nel Rito Ambrosiano. Questo segno doveva essere
scambiato da tutti e con tutti, cosicché veniva a crearsi una grande
confusione.
Durante
la Messa non si raccoglieva denaro, anche se alla fine si faceva la "Colletta"
per pagare le baby-sitter che, in un salone adiacente, avevano accudito ai
bambini.
Prima
della Preghiera Eucaristica il Sacerdote non si purificava le mani.
Mai
abbiamo risposto: "Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio…".
Al
momento della Consacrazione era PROIBITO
mettersi in ginocchio. Molti fratelli sono stati rimproverati per
averlo fatto, tra questi, mio marito, un diacono mio conoscente, ed altri
miei amici che erano in servizio accanto al Presbitero presso l’altare,
durante la Messa.
Il
fatto che non dovevamo inginocchiarci, e la stretta relazione di quest’atto
con l’adorazione eucaristica, mi hanno fatto riflettere! Ricordo che in
14 anni, non abbiamo fatto mai una sola adorazione eucaristica.
Riferendoci
alla Consacrazione eucaristica, ricordo che ci veniva spiegato che si
trattava della "Esaltazione della Risurrezione del Signore".
Tant’è che alla fine della celebrazione si ballava attorno alla
"Mensa" per festeggiare la vittoria della vita sulla morte.
I
neocatecumeni parlano sempre della Messa come di "Banchetto
nuziale" e, quindi, riferendosi all’altare lo chiamano sempre
e solo "Mensa". Per questo, come gli invitati ad un
banchetto, ci sedevamo attorno alla "Mensa" e, per terra, si
mettevano sempre i tappeti.
Mai
si diceva l’"Agnello di Dio".
Si
contavano i partecipanti. Si spezzava il pane consacrato, che era azzimo,
nella forma e nella dimensione d’una focaccia. Il pane era spezzato dal
Presbitero che chiamava i Ministri Straordinari per essere da loro
aiutato. Se questi mancavano, autorizzava alcuni laici a spezzare il pane
con lui.
Mai
si diceva: "O Signore, non sono degno". Infatti, il
sacerdote, dopo aver pronunciato le parole: "Ecco l’Agnello di Dio
che toglie i peccati del mondo", aggiungeva di seguito: "Il
corpo di Cristo ci custodisca per la vita eterna". Questo, però, non
lo diceva in piedi davanti all’altare, ma seduto al suo posto!
La
Comunione si faceva in modo del tutto originale.
Tutti rimanevamo seduti ed aspettavamo che il Presbitero e coloro che lo
assistevano, passassero per i posti posando un pezzo di Pane consacrato
sulle mani dei partecipanti. Finita questa distribuzione, il Sacerdote si
sedeva al suo posto e mangiava il Pane contemporaneamente a tutti gli
altri. Poi il Sacerdote prendeva il calice (più grosso di quelli usati
per la "Messa comune" e passava per i posti dove i partecipanti,
seduti, bevevano un sorso (abbondante) di Vino consacrato.
Dopo
la Comunione, i responsabili davano avvisi d’ogni genere e si concludeva
con la benedizione.
Alla
fine di tutto si danzava attorno alla
Mensa. Questa danza era parte della celebrazione: tutti dovevano
parteciparvi, anche solo battendo le mani.
Quando
penso alla possibilità che qualche piccolo frammento Eucaristico possa
essere finito per terra e che noi vi abbiamo ballato sopra, provo un
terribile sgomento per la noncuranza dimostrata. Voglia il Signore avere
misericordia di me e di coloro che ancor oggi continuano a compierlo.
Aggiungo
che durante la celebrazione (che non durava meno di due ore e mezza), si
creavano dei momenti di distrazione (alcuni addirittura lasciavano la sala
per andare a fumare o a chiacchierare). I Presbiteri erano contrari a
ciò, ma nemmeno loro potevano correggere i fratelli che sbagliavano.
Quando
qualcuno, impossibilitato a partecipare alla celebrazione del sabato sera,
partecipava alla "Messa comune" della domenica mattina,
incontrando i fratelli della Comunità, raccontava l’esperienza fatta e,
sovente, commentava le notevoli differenze fra le due celebrazioni,
sostenendo che la domenica "non aveva provato niente". Mai
dimenticherò che una sorella "Ostiaria" ha rimproverato mia
figlia perché una domenica era andata a Messa in parrocchia. Secondo lei,
quella Messa non era valida! Con ciò non voglio accusare quella povera
sorella per ciò che diceva, ma semplicemente dare testimonianza del clima
in cui vivono i partecipanti al Cammino. A tutti è inculcata l’idea che
la vera Chiesa, è nel Cammino e che "chi si limita alle solite
pratiche comuni" possiede solo "una fede naturale
immatura". Questa idea era sempre supportata da esempi fatti dai
Catechisti, banali ma incisivi, e che facevano notare a tutta la Comunità
come nel Cammino c’era sempre grande partecipazione, mentre le chiese
rimanevano sempre più vuote. La Chiesa comune era vista come
"statica".
Verso
la fine della mia esperienza nel Cammino, ogni volta che mi fermavo a
riflettere sul Mistero Eucaristico, rimanevo molto turbata. Il fatto che
non dovevamo inginocchiarci davanti al Tabernacolo è stato un forte
stimolo alla riflessione. Non capivo perché non avrei dovuto compiere
questo gesto di adorazione! Nel Cammino, nessuno s’inginocchiava.
Nemmeno i Sacerdoti lo facevano, ad eccezione di Padre Enrico, Gesuita, di
don A.C. e di don G.S.! Nella parrocchia di San Leone (cuore del
"Cammino" a Catania) sono stati tolti gli inginocchiatoi!
In
merito all’Eucarestia, le sofferenze più grosse le ho avute durante la
Messa. La preparazione alla Mensa mi affascinava molto. Tutto era da
sogno: fiori, tappeti, canti; la compagnia dei fratelli, l’attesa del
Signore… Ma negli ultimi tempi, gli insegnamenti religiosi ricevuti da
bambina mi facevano prender coscienza della gravissima situazione che
stavo vivendo. Come tutti coloro che hanno ricevuto un insegnamento
cattolico, conosco l’importanza del Sacramento Eucaristico. L’Ostia ed
il Vino consacrati sono il Corpo e il Sangue di Cristo. Sono tutto il
Cristo! Per questo, ogni volta che in qualsiasi modo si viene a contatto
con queste sacre specie, bisogna porre sempre la massima attenzione.
Nonostante ogni cura, nonostante che le ostie siano preparate in modo che
non si frammentino, il Sacerdote sa che alla fine d’ogni celebrazione
rimangono sempre dei piccoli pezzi di Eucaristia. Per questo durante la
Santa Messa purifica il calice e la patena con scrupolo, alla ricerca dei
più piccoli frammenti residui di Eucaristia, conscio che questi sono
tutto Cristo. I Sacerdoti, i Diaconi e tutti coloro che sono autorizzati
ad accedere al Tabernacolo sono adeguatamente preparati perché mai si
possa sottovalutare il significato del Pane e del Vino consacrati. Queste
nozioni, fondamentali per ogni cattolico, mi hanno spinto ad avere seri
dubbi sulla bontà delle azioni con le quali i neocatecumeni trattano le
specie Eucaristiche. Riporto a tal proposito mie personali esperienze,
perché possano servire a chi ha competenza.
Il
pane - Nelle celebrazioni del Cammino si
consacra esclusivamente pane azzimo, preparato dai membri della Comunità.
Coloro che hanno quest’incarico sono chiamati "Ostiari". Il
pane ha la forma e la grandezza d’una focaccia. Su di esso, devono
essere incise una grande Croce (quella di Cristo) attorniata da piccole
Croci, rappresentanti le nostre Croci. Oggi capisco come il pane (a
differenza delle ostie) si decomponesse molto più lentamente e quindi,
dopo la Comunione, rimanesse dentro di noi per molto tempo ancora.
Pensando a questo non avremmo dovuto fumare, mangiare… ma tutto ciò non
avveniva. Al momento dello spezzare il Pane, si staccavano sempre dei
Frammenti che rimanevano sul Corporale (sempre che questo fosse stato
posto sulla Mensa). Capitava spesso che qualche Frammento cadesse sulla
Mensa o per terra (sui tappeti). Chi riceveva il Pane poneva le mani a
forma di croce, con la sinistra sopra la destra, a formare un trono per
Cristo Eucaristia. Le porzioni di Pane che erano distribuite avevano
dimensioni variabili, a seconda del numero di partecipanti. Poteva
capitare di ricevere un pezzo di Pane molto piccolo oppure grande quanto
un palmo di mano. I pezzi che rimanevano sulla patena venivano distribuiti
ancora fino a che non ne avanzassero. Spesso, al momento di
"magiare" il Pane, viste le dimensioni, eravamo costretti a
morderlo. Era naturale che così si creassero frammenti, che noi cercavamo
di non disperdere.
Mio
marito che è Ministro straordinario dell’Eucarestia, aiutava nella
distribuzione. Più volte fu costretto a richiamare chi riceveva Gesù,
seduto in atteggiamento non consono o, peggio, chi riceveva il Corpo di
Cristo masticando una gomma. Questi episodi fanno capire quanta poca
coscienza noi avessimo di quello che facevamo. Quando qualcuno cercava di
correggere un fratello che riceveva il Pane consacrato con poco rispetto,
era ripreso perché dovevamo avere pazienza, specialmente con chi era nel
Cammino da poco tempo.
Mentre
si aspettava di mangiare il Pane, molti (specie tra i giovani)
commentavano o (addirittura) scherzavano con l’Eucarestia sulla mano. Io
non potevo fare altro che chiedere silenzio. A volte, mentre col Pane in
mano attendevamo di comunicarci, ci si soffermava ad osservarLo, e non
erano infrequenti i commenti ironici sull’eccessiva cottura, sulla
durezza o sul fatto che fosse ancora crudo.
Come
già accennato, mangiavamo il Pane, tutti nello stesso momento. Qualcuno,
avendo ricevuto due o addirittura tre pezzi di Pane, si trovava in
difficoltà a consumarlo in tempo utile, perché subito dopo passava il
Ministro con il Calice. Ricordo come l’Eucarestia veniva mangiata né
più né meno come a tavola si mangia un tozzo di pane. Ciò mi faceva
terribilmente male! Una volta consumato il sacro Pane, molti, restando
seduti spolveravano i pantaloni o le gonne… Con immenso dolore oggi
penso alla possibilità che qualche frammento di Eucaristia potesse essere
caduto per terra. I tappeti erano puliti di tanto in tanto. Venivano
sbattuti o aspirati da qualche fratello disponibile ma, vista l’elevata
probabilità che su di essi si trovassero ancora dei frammenti di Pane,
che fine avranno fatto? Ripensando al ballo finale attorno alla Mensa, mi
chiedo: "Se per terra ci fossero stati dei frammenti Eucaristici,
quale significato poteva avere quella danza? Per che cos’era tutta
quella gioia? Forse perché si stava calpestando il Cristo?".
Una
mia cara sorella (A.Mn.), Ministro Straordinario, dopo una
Celebrazione eucaristica, sconcertata, venne a raccontarmi un episodio
accadutole qualche momento prima. Un uomo, marito d’una nostra sorella,
ma non appartenente al Cammino, aveva messo nella tasca della giacca il
Pane eucaristico. Lei vide questo gesto e, appena terminata la funzione,
ne parlò al Sacerdote celebrante. Questi le rispose: "Interessati tu…".
Lei si avvicinò a quell’uomo e poi disse: "Fratello, dammi il Pane
che hai in tasca. Quello è Gesù. Lo mangio io". Lui glieLo diede e
lei lo "consumò".
Un’altra
sorella (A.Mg.) mi raccontò come poco prima che io uscissi dal Cammino,
durante una Celebrazione Eucaristica alla quale partecipavamo insieme,
mentre attendevamo di consumare il Pane che era sulle nostre mani, si udì
all’esterno della sala un rumore come di incidente automobilistico.
Alcuni fratelli, temendo che la loro macchina fosse rimasta coinvolta, si
precipitarono fuori a controllare. Uno, nella foga di uscire, mise il Pane
consacrato in tasca. Quanta poca rispetto dell’Eucaristia, in qualcuno
del Cammino!
Il
vino - Dopo il Corpo di Cristo, era il momento
del Sangue. Il sacerdote passava per i posti con il calice del Vino
consacrato. All’inizio della mia esperienza nel Cammino i Catechisti ci
suggerirono che durante la celebrazione, quando era il momento di bere dal
calice, bisognava prendere un "bel sorso". Solo oggi riesco a
capire quale grosso errore fosse quello! Ripenso a cosa si riduceva il
bere la Sacra Specie: quasi all’assunzione di una comune bevanda. Questo
mio pensiero è supportato dall’esperienza avuta nella mia Comunità.
Pareva che alcuni fratelli e sorelle amanti del vino, ne bevessero diversi
sorsi e, a volte, cercassero di mettersi ai primi posti, sperando che il
Vino non si esaurisse al primo giro, così da poterne avere ancora. Spesso
provavo grossa sofferenza al vedere un povero fratello che, innamorato del
vino (inteso come bevanda normale), cercava in modo evidente di averne
ancora. Confesso che a volte anch’io speravo che il Sacerdote, o chi per
lui, ripassasse col Vino: questo, infatti, era liquoroso e gradevole da
bere. Alcuni fratelli, seguendo il consiglio dei Catechisti e dei
Sacerdoti del Cammino, bevevano il Sacro Vino a gran sorsate e a volte
capitava che ne versassero sul vestito. In un’occasione vidi un fratello
che, inavvertitamente, preso il calice, versò un po’ del Sacro Vino per
terra. Non ricordo se questo cadde sul tappeto o sul nudo pavimento.
Ricordo solo che gli Ostiari andarono ad assorbire il Vino con i
purificatoi.
Dopo
aver fatto la Comunione, non si faceva la purificazione del Calice e della
Patena. Questi erano posati in un angolo della sala e, alla fine della
celebrazione, se ne occupavano il Sacerdote, i Ministri straordinari (in
quel periodo c’era anche mio marito) o semplicemente un Responsabile
incaricato.
Nel
Cammino, i segni sono fondamentali. Per questo fare la Comunione doveva
essere un’azione fisicamente rilevante. Si doveva sentire il Pane in
bocca. Si doveva gustare il Vino. Per questo motivo le "Messe
comuni" ci sembravano scialbe: non provavamo niente! Rispetto al
nostro Pane azzimo, le Ostie erano inconsistenti. La concretezza fisica d’ogni
cosa, ci portava a vedere il Cammino come la vera, unica Chiesa, perché
solo lì "provavamo delle emozioni".
TEMPI
DELL’ANNO LITURGICO (di Marina)
Mai
abbiamo commemorato un Santo o una Santa. Queste Feste e quelle Patronali
erano viste come chiaro esempio di "fede naturale e
devozionismo".
Mai
abbiamo fatto adorazione Eucaristica e ancor meno le "Quarant’ore".
Le
processioni non facevano parte della cultura neocatecumenale. Chi cercasse
un neocatecumeno a qualche processione Eucaristica, come quella del Corpus
Domini, rimarrebbe deluso perché ne troverebbe pochi, e solo quelli
che non possono fare a meno di certe abitudini.
Mai
ci è stato fatto l’invito a partecipare ad un incontro o manifestazione
di carattere diocesano. Soltanto Padre Enrico c’invitava a partecipare
alla processione del Corpus Domini ma, in verità (visti gli
impegni che avevamo in Comunità) le sue parole rimanevano quasi sempre
inascoltate. L’unico momento da vivere intensamente con il Cammino era
la settimana santa. Nelle altre occasioni eravamo liberi di partecipare
dove credevamo.
Settimana
Santa - Il Natale, la Domenica delle Palme…
erano momenti da vivere nelle proprie parrocchie. Ma il neocatecumeno vive
tutta la propria vita religiosa nella sua Comunità! Naturalmente in
quelle domeniche non si andava a Messa, perché la sera prima si era
partecipato alla Celebrazione in Comunità.
La
processione che precede la Messa della Domenica delle Palme, nelle
parrocchie che ospitavano le Comunità neocatecumenali, veniva organizzata
in modo che, chi aveva superato la ‘Redditio’, portasse una
grossa palma. Questa poi sarebbe stata sistemata sul balcone della propria
casa, perché chi la vedeva capisse che in quella casa viveva un
cristiano. Chi portava queste palme aveva il privilegio di salire all’altare.
Gli altri che portavano ramoscelli d’ulivo non paragonabile a quelle
palme rigogliose, seguivano dietro.
Il
Giovedì Santo era dedicato esclusivamente alla
Lavanda dei piedi. Questa era ben preparata. Si pensava alle Letture
e ad ogni particolare. In quell’occasione, il Responsabile
(eventualmente preceduto dal Sacerdote) lavava i piedi a tutti i
componenti la Comunità, facendo comprendere così d’essere il servo di
tutti. Quando questi finiva, tutti eravamo invitati a ripetere lo stesso
gesto, lavando i piedi ai fratelli con i quali ci si doveva riconciliare.
Non
si celebrava la "Messa in Cena Domini" ma eravamo liberi di
partecipare alla Messa nelle parrocchie, ma bisognava farlo prima della
Lavanda dei piedi che, vista l’ora in cui si svolgeva, terminava sempre
verso le 23.30. Niente e nessuno c’invitava mai a partecipare alla
"Celebrazione in Cena Domini", importante evento per tutta la
Chiesa.
Padre
D.C. mi raccontò come quando era parroco a Massa Annunziato, dovette
imporre alle Comunità del Cammino di partecipare alla Messa "in Cena
Domini", prima di fare la Lavanda dei piedi. La discussione fu
accesa, ma questi non si poterono opporre.
Durante
la mia appartenenza al Cammino non ho mai vissuto il Giovedì Santo come
gli altri fedeli. Prima della Lavanda dei piedi cercavo disperatamente,
per conto mio, una chiesa vicina alla mia Comunità, per far conciliare l’orario
di lavoro, quello della Messa e quello della Lavanda dei piedi. Per molti
anni non sono riuscita a partecipare alla Messa "in Cena
Domini".
Il
Venerdì Santo non facevamo il digiuno come gli
altri fedeli cristiani.
Infatti
si digiunava solo dalla tarda serata, e precisamente dal momento dell’Adorazione
della Croce in poi. Ci veniva spiegato che nel Vangelo è scritto che
"quando lo Sposo sarà tolto, allora digiuneranno!". In pratica
il digiuno veniva spostato al Sabato Santo. La sera del Venerdì si
proclamava il Vangelo della Passione e dopo si compiva l’Adorazione
della Croce.
Mai
si parlava della "Via Crucis" e mai l’abbiamo fatta. Ci venne
spiegato che il significato dell’Adorazione della Croce (baciare il
Crocifisso), era quello di baciare la nostra Croce, cioè tutto quello che
ci faceva male (in particolare le persone che ci avevano fatto soffrire).
Dopo
l’adorazione si tornava a casa in silenzio. Questa mesta atmosfera ci
dava il senso del lutto e ci faceva pensare che nella Chiesa comune tutto
ciò non veniva adeguatamente vissuto.
Il
Sabato Santo era il giorno del digiuno e del
silenzio. L’astinenza da cibo era molto
rigida. Si poteva bere solo qualche succo di frutta o the. Per questo a
volte i più deboli si sentivano male e non di rado svenivano. La mattina
si preparava il salone per la Veglia. Tutto si addobbava di fiori. Si
approntava anche il "Pozzo di Giacobbe". L’Acqua di questo
"pozzo" usata per i battesimi e per gli altri riti della Veglia,
alla fine era gettata per strada o, peggio, nello scarico delle acque del
cortile interno. Era tanta!
Accanto
alle sede di chi doveva presiedere, si preparava una sedia che doveva
rimanere vuota. Su di essa si posava una rosa. Quella sedia era per l’
"Ospite". Quella notte, infatti, era il "Passaggio dalla
morte alla vita" e poteva avvenire il "Ritorno Glorioso di
Cristo Risorto".
La
notte di Pasqua, in cattedrale, coloro che
erano giunti all’ultima tappa detta "Gerusalemme",
indicati come "coloro che sono passati per la grande
tribolazione", si presentavano davanti al Vescovo in bianche vesti.
Dalla
mezza notte iniziava la Veglia che si concludeva alle 7 o alle 7.30 del
mattino, ma se vi erano dei Battesimi poteva concludersi anche alle 8.30.
Dopo
la Veglia ogni Comunità si riuniva in un’Agape fraterna, organizzata in
precedenza. Si andava a casa di un fratello, nei salone della parrocchia
o, più frequentemente, si prenotava un ristorante. In quest’Agape (che
si svolgeva verso le 9) si consumavano i classici segni della Pasqua
ebraica: le erbe amare, l’agnello (al forno, con le patate) le uova sode
e, in conclusione, un dolce fatto a forma di mattone per ricordare la
schiavitù in Egitto. Non mancavano altre pietanze, quali i tortellini in
brodo, insalate e altro. L’importante era che si trattasse di carne e di
verdura.
L’agape
delle Comunità più anziane era a base di latte, miele e dolciumi per
rifarsi alle "delizie della Terra Promessa".
Dopo
la giornata di digiuno, dopo una notte in bianco e un pranzo luculliano,
si tornava a casa quasi incoscienti, ma orgogliosi di avercela fatta!
Mentre gli altri si svegliavano lodando il Risorto e vivendo tutti insieme
la gioia della Pasqua, noi staccavamo il telefono per non essere
disturbati nel sonno. Attaccata alle mie abitudini, io speravo di riuscire
a svegliarmi per poter seguire alla Televisione la benedizione "Urbis
et orbis". Nelle Comunità questo appuntamento non aveva alcuna
importanza.
GLI
ASPETTI ECONOMICI (di Concetto)
Nelle
catechesi il denaro era presentato come un idolo. Bisognava trattarlo come
spazzatura. Per questo motivo, ogniqualvolta si dovevano raccogliere
soldi, si passava per i posti con i sacchi neri, usati per la raccolta dei
rifiuti.
Alla
prima convivenza di una nuova Comunità, quelle già esistenti si
tassavano per comprare i dolci e lo spumante per festeggiare coi nuovi
fratelli il loro ingresso nel Cammino. Alla fine della festa, quando era
il momento di raccogliere il denaro per pagare le spese, se non si
raccoglieva la somma necessaria, dopo i primi giri, anche i presenti delle
Comunità più vecchie erano invitati a partecipare alla raccolta. In
questo modo i nuovi arrivati rimanevano colpiti profondamente per questa
fratellanza e si sentivano come in famiglia.
Durante
le Convivenze Regionali o nei Riti di Passaggio, si raccoglievano i soldi
per pagare gli alberghi o per lasciare le offerte alle case religiose che
ci ospitavano. Si passava col "sacco" mentre venivano intonati i
canti del Cammino ed il Catechista invogliava a disprezzare il denaro.
Diceva: "Separatevi dai vostri beni e riceverete il centuplo". A
volte arrivava ad invogliare a firmare anche degli assegni, specie per chi
non aveva liquidi. Qualche volta suggeriva addirittura di lasciarli in
bianco. Nessuno era obbligato a mettere soldi, ma l’invito a farlo era
pressante e tutti mettevano qualche cosa, chi più e chi meno. Ognuno
gettava a pugno chiuso, una somma di denaro od oggetti valore.
Inizialmente,
quando ci fu spiegato come sarebbero avvenute le raccolte, ci dicevano che
i fratelli più bisognosi avrebbero potuto non "gettare" nel
sacco, ma "prendere". Quando poi assistetti per la prima volta
ad una raccolta di soldi, mi accorsi che prendere dal sacco era pressoché
impossibile. Questo infatti, era molto profondo e prendere soldi da lì
sarebbe divenuta un’azione evidente a tutti.
Spesso
non si raggiungeva la cifra che si era spesa, e allora si procedeva ad un
secondo o ad un terzo giro del "sacco". Quando si raggiungeva la
somma necessaria, ci dicevano che era stato per merito di un fratello che
si era convertito, versando la notevole somma mancante. In questo modo
rimanevamo colpiti e invogliati a "convertirci" anche noi. Dopo
ogni giro, in una stanza attigua a quella ove eravamo riuniti, i
"Responsabili svuotavano i sacchi. Essendo stato anch’io un
"Responsabile", io li ho svuotati più volte e ricordo che era
sempre una sorpresa. Da dentro il "sacco" pioveva di tutto:
denaro, assegni, (alcuni anche in bianco), oggetti d’oro (anelli,
collane, spille, anche con pietre preziose) e, a volte delle schedine del
totocalcio (nel Cammino, infatti si insisteva molto sul fatto che chi
giocava la schedina non aveva fiducia in Dio e per questo il giocarla era
ritento peccato).
Le
cifre che si raccoglievano erano notevoli. Nelle Convivenze Regionali di
tre giorni, in albergo, eravamo di solito circa 450 persone. La somma da
destinare all’albergatore si aggirava (nel 1997) sugli 80 milioni di
lire. Si consideri però che queste 450 persone erano solo un terzo del
numero complessivo dei partecipanti alla Convivenza Regionale: infatti,
gli aventi diritto (catechisti e responsabili di tutta la Sicilia) erano
più o meno 1.400. Si raccoglievano anche i soldi destinati ai baby-sitter
che, durante le convivenze, accudivano i bambini dei partecipanti.
In
queste occasioni si raccoglievano pure i soldi da destinare al
sostentamento dei Seminari necatecumenali "Redemptoris Mater"
sparsi per il mondo e anche per la costruzione del grande Centro di
Accoglienza per le Comunità del Cammino che, giunte alla tappa
"Gerusalemme", fanno il consueto pellegrinaggio in Terra Santa.
La somma di denaro raccolta per i Seminari e per il Centro in Galilea
superava, spesso, quella destinata all’albergatore. Per questi ultimi
due scopi si raccoglieva soldi anche nelle Comunità, durante le
Convivenze di Riporto. Essendo io Responsabile della mia Comunità, avevo
il compito di raccogliere questo denaro e di spedirlo ai responsabili di
Roma. Di volta in volta mi era segnalato un nominativo e un conto corrente
bancario diverso. Il motivo per cui mi venissero segnalati sempre
nominativi e conti bancari diversi, non mi è mai stato chiaro, anche
perché, spinto dallo zelo di sostenere il Cammino, pensavo che fosse più
opportuno far riferimento sempre ad uno stesso conto. In questa maniera si
sarebbe potuto "versare" anche privatamente, nei momenti in cui
non erano previste Convivenze e anche persone non appartenenti al Cammino
avrebbero potuto fare dei versamenti. Si poteva fare, in pratica, come le
grandi associazioni di volontariato o come gli Enti di carità.
Nel
rito dell’Iniziazione alla preghiera si faceva l’esorcismo
del denaro".
Posto
davanti ad una Croce, ogni iniziato gettava in una cesta una busta
contenente una notevole somma di denaro. Mentre si compiva questo
gesto si doveva pronunciare una frase di rinuncia a satana.
La
mia Comunità era tra le più povere, ma so che in altre Comunità molti
hanno rinunciato a terreni, ad appartamenti, ad automobili, ecc. Le somme
raccolte erano sempre molto grosse. Ci dicevano che questi beni sarebbero
andati alla parrocchia ospitante e al Vescovo locale, come offerta per la
carità. Chiaramente oltre a questo denaro dovevamo aggiungere quello per
le spese vive: albergo, baby-sitter, ecc. Anche in questa occasione,
terminato il rito si festeggiava in lussuosi ristoranti (Villa delle Rose
ad Aci Trezza, Poggio Ducale, vicino alla parrocchia Madonna di Lourdes e
altri del genere). Le spese sostenute per questi banchetti di lusso erano
a completo carico della Comunità ma non dei Catechisti. Questi, infatti,
svolgevano un servizio e non partecipavano mai alle spese. Non
partecipavano nemmeno quando venivano a visitare la Comunità e si univano
all’agape che organizzavamo. In quelle occasioni approfittavano per
portare anche i propri figli.
Ricordo
che alla fine di ogni Convivenza Regionale o di Riporto tornavamo a casa
spogliati di ogni bene materiale. Non avevamo una lira in tasca. Spesso
siamo tornati da Cefalù o da Bagheria con la sola benzina nel serbatoio.
Con dolore penso ai momenti in cui cercavamo di risparmiare in tutto per
essere in grado di destinare soldi al Cammino, il più possibile. Speso
dicevamo di "no" alle richieste pur legittime dei nostri figli
che erano obbligati ad accontentarsi dello stretto necessario. Le scarpe e
i vestiti erano usati fino al limite; i divertimenti e le piccole mance
che si danno ai ragazzi non facevano parte della politica familiare:
quelli erano soldi destinati alla Comunità.
La
decima - Tutti coloro che giungevano all’"Iniziazione
della Preghiera" (momento in cui il Vescovo ci consegnò i breviari)
avevamo il dovere di pagare la "decima". Questa
consisteva nel cedere alla propria Comunità almeno la decima parte della
paga mensile. I soldi che erano raccolti dovevano servire per aiutare i
fratelli meno abbienti. A decidere chi poteva usufruire degli aiuti
economici e in quale misura, era il Responsabile della Comunità, secondo
la somma raccolta e le richieste. Ricordo come molti fratelli
approfittassero volentieri di questi aiuti. Spesso sapevano o capivano che
qualcuno chiedeva l’"aiuto" senza averne realmente bisogno e
per questo molti non davano volentieri la decima e a volte nascevano forti
contrasti. Ricordo che dopo circa un anno dall’Iniziazione alla
Preghiera, vennero a visitarci i catechisti per informarsi in merito al
nostro Cammino. Il Responsabile fece sapere loro che in occasione delle
decime, si raccoglievano pochi soldi. Allora i catechisti ci
rimproverarono d’essere ancora troppo attaccati al denaro e ci dissero
che per questo la Comunità non riusciva a crescere. Chiesero al
Responsabile, il dottor P.Pg., se avesse dato l’esempio, cioè, se
almeno lui avesse versato una somma adeguata. Questi rispose che, pur
avendo più volte invitato i fratelli a corrispondere e versare la decima,
non veniva ascoltato e per questo decise, insieme alla moglie, di
destinare la propria decima alle suore di Madre Teresa di Calcutta. A
questo punto i Catechisti (e in special modo don P.P.) montarono su tutte
le furie. Rimproverarono aspramente la coppia davanti alla Comunità,
accusandoli di non amarla e di aver disobbedito ai Catechisti e al
Cammino. Il Responsabile non ebbe modo di replicare per l’eccessiva foga
dei suoi interlocutori. Questi si accanirono soprattutto con la moglie che
tentava di minimizzare e di difendere il marito. Confesso che, guardando
il presbitero, mi pareva di vedere il pastore trasformarsi in lupo, tanta
era la rabbia che esprimeva, senza preoccuparsi dell’effetto che avrebbe
avuto sui presenti. Le urla si sentivano sino alla strada e noi eravamo
sconvolti e atterriti. Da quel momento P. Pg. non partecipò più alla
vita del Cammino. La moglie partecipò a qualche altro incontro e poi non
venne più neanche lei. Oggi, con la serenità di chi è uscito senza
alcuna pressione esterna, mi chiedo: "All’inizio di questa
esperienza, chi ci aveva avvertito che avremmo dovuto sacrificarci, anche
economicamente, senza avere più nemmeno la libertà di scegliere a chi
indirizzare la nostra carità?". Mi chiedo, inoltre, se esistano
nella Chiesa delle Associazioni o dei Gruppi che usano far pagare ai loro
membri una decima?
Lungi
da noi l’idea di giudicare o accusare. Il nostro solo desiderio è stato
quello testimoniare per far meglio capire quello che gli aderenti al
Cammino neocatecumenale vivono e soffrono dentro le Comunità, e perché
chi ha autorità possa dare una risposta a tanti dubbi.
Concetto Bonaccorso & Hermine (Marina)
Niess
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
A proposito, oggi ho potuto constatare con molta tristezza che purtoppo, qui a Roma e non solo, è sparita la pia pratica delle Sante Quarant'ore di Carnevale, celebrate un tempo in quasi tutte le chiese, a partire dalla domenica antecedente il mercoledì delle ceneri fino al martedì sera. Pratica devozionale introdotta per la prima volta a Macerata dai gesuiti verso la metà del '500, per distogliere la popolazione da una rappresentazione carnevalesca considerata scabrosa. La solenne adorazione ebbe successo e così da lì tale pratica si diffuse in tutta Italia e non solo, come riparazione per gi straveri del carnevale. Una sorta di carnevale sacro. Molti sono inoltre i disegni per le cosiddette macchine delle Quarant'ore, firmati anche da artisti come Gianlorenzo Bernini e Pietro da Cortona. Ma a quanto pare secondo lo spirito del concilio Gesù non ha più bisogno di essere adorato nel SS. Sacramento. La chiesa sta proprio toccando il fondo. Andrea
RispondiEliminaLa testimonianza mi ha colpito per una frase iniziale "da tempo volevo un'esperienza religiosa che mi mettesse in comunione con le altre persone".
RispondiEliminaScusate ma l'esperienza religiosa ha per fine mettere in COMUNIONE CON DIO. Tutto il resto è a seguire e non è neppure importantissimo, se si considera l'esperienza eremitica.
Questo punto di partenza puramente antropocentrico è stato il primo gradino dell'errore che ha inevitabilmente portato a quella peste di errori che è il NC.
Paradosi
E' vero l'ho notata anch'io, c'è di più, anche negli altri movimenti ad esempio il rns (che ho frequentato) si parla sempre di eseperienza religiosa con una concezione sempre antropocentrica e soggettiva mai conoscitive ed oggettiva.
EliminaTorniamo a bomba c'è una esperienza religiosa "ortodossa" che riguarda la mistica o "terza via dei perfetti e quella eterodossa modernista protestantica di cui invece stiamo parlando.
CVCRCI
PS: la prima parte sulla conoscibilità io l'avrei scritta.(chiaramente breve)
Quante anime ingannate...il nemico di Dio non lotta contro la Verità con menzogna aperta, ma con ciò che è verosimile.
RispondiEliminaPatrizia
Stefano ti do pienamente ragione.
RispondiEliminaHo un conoscente che ha frequentato tutti i gruppi cristiani possibili per "sentire" dove si trovava meglio, per fare, sue parole "esperienza religiosa"...
Ma la religione di Cristo non è un esperienza, non è un qualcosa che dobbiamo provare, "testare" a pelle per poi dare il nostro giudizio personale...non ne siamo nella posizione!
La religione cattolica è un obbligo, un dovere, Dio ha parlato, ha rivelato, la Sua Parola è infallibile. Lo si segue per Autorità...
La Verità è Verità...non ne devo fare esperienza, la devo accettare prontamente senza se ne ma...
Io le esperienze religiose le lascio ai mediugoriani che vanno per "sentire, provare, giudicare" e agli altri modernisti in generale arrovellati dietro al loro inconscio malsano e traballante...
Vero e ti diro di più un giorno i genitori di un mio amico che frequentavano il gruppo carismatico "amici di Gesù" il cui profeta è un certo Marco Cicoletti a Narni (Tr)una volta vennero nel nostro gruppo in "prova" del rns, però mi dissero che non sarebbero più venuti perchè non sentivano, parole loro, o' pizzichetto, in effetti nel nostro gruppo non si facevano cose eclatanti, cioè non susicitava in loro emozioni.
EliminaCVCRCI
In una parola sola questo è...modernismo. Ci hanno trasformati in eretici inconsapevoli...
EliminaGhergon qui avrei qualcosa da dire perché sei troppo impreciso. E' molto importante e quindi spero lo potrai leggere.
EliminaESPERIENZA CRISTIANA è una parolona grossa che può voler dire molte cose, è come una scatola dentro la quale uno ci può mettere di tutto. Di suo una scatola non è una cosa negativa, è una cosa neutra, direi.
ESPERIENZA CRISTIANA TRADIZIONALE è quel genere di vita che santi, mistici, monaci, umili cristiani fanno della Grazia di Dio. Esperienza e Grazia sono due cose che si richiamano: la seconda genera nel suo impatto la prima. Per questo il salmista dice: Redde mihi laetitiam salutaris tuis, rendimi la gioia di essere salvato. Sì perché la Grazia di Dio è gioia nel Signore, per quanto non sempre Dio lo manifesti così.
Ma il centro di tutto, lo dicono mistici santi provati, non è chiedere di "sentire" o "vedere" cose particolari, per quanto Dio le possa dispensare nella sua misericordia. Il centro di tutto è vivere umili nascosti in Dio il quale poi fa grazia ai piccoli e li conforta con la sua presenza. Questa è l'esperienza cristiana intesa in senso tradizionale.
ESPERIENZA "CRISTIANA" MODERNISTA.
Qui, in realtà, si abusa del termine per sostituire la Grazia con le sensazioni puramente umane. Siamo sempre lì: il centro diviene l'uomo chiuso in se stesso, per di più! Per un modernista, l'esperienza cristiana è, allora, una sensazione emotiva, qualcosa di emozionale, un avvenimento eccezionale, ecc. Ecco perché il Cammino neocatecumenale fa molto leva sulle emozioni, si compone di fanatismi per eccitare i presenti. Ecco perché il movimento dei Focolarini è così pieno di "affetto" e di "bombardamenti di affetto". Ecco perché il movimento di CL ha questo senso intenso dell'appartenenza al gruppo!! Siamo sempre lì: si tratta di dare sensazioni puramente umane con l'etichetta di "esperienza cristiana". Ma queste sensazioni funzionano come una droga che lega il singolo ai suoi distributori.
Stiamo dunque attenti a non confondere l'autentica esperienza cristiana - che è la vita in Cristo - con l'abbondante e orrendo minestrone di sensazionalismi della Chiesa "cattolica" modernista.
Paradosi
Augusto Faustini
RispondiEliminaLA TELA DEL RAGNO
Plagio psicologico della Sètta Cattolica detta:
"CAMMINO NEO CATECUMENALE"
www.amiciziacristiana.it/lateladelragno.pdf
Ho letto solo un pezzo di questa testimonianza. Ma è stato sufficiente. Semplicemente agghiacciante...
RispondiEliminaAlbino
Un fuoriuscito autorevole.
RispondiEliminaDaniel Lifschitz, ha fatto parte del movimento per molti anni, sino a diventare itinerante e a finire il cammino. Una volta uscito, Lifschitz ha scritto due libri (Dio sceglie l'immondizia. Storia di un ebreo cattolico e L'immondizia ama Dio. Storia di un cattolico ebreo) in cui critica pesantemente il Cammino I libri di Lifschitz sono diventati un vero caso nel Cammino, tanto da indurre Kiko Arguello a definire l'ex adepto Un demonio che distruggerà tutto mentre Carmen Hernandez ha esplicitamente vietato la lettura dei suoi libri:
http://www.dlifschitz.com/libri.html
è particolare vedere come le cose possono essere viste in modo distorto .... un annuncio, un invito vengono visti come un ordine o come una costrizione ... temo che dipenda però dala persona non dal cammino di fede in se per se... esempio: se i catechisti ti dicono che sarebbe cosa buona far provare quest'esperienza anche ai tuoi figli e tu poi trasformi l'esortazione in ossessione il problema credo sia del genitore
RispondiEliminaho avuto anch'io un esperienza del cammino neocatecumenale ma ero troppo "ribelle": facevo delle domande sulla religione essendo a digiuno sulll'argomento che a volte lasciavano i catechisti sgomenti e e altre varie situazioni che poi alla fine mi convinsero che i cosiddetti catechisti volevano entrare nella tua vita e nella tua mente a loro piacimento. bene quando dopo un ennessimo episodio (dovevo preparare la parola per la convivenza mensile essendo un membro del gruppo di preparazione) ho chiesto di poter spostare la data per motivi familiari gravi
RispondiEliminami hanno risposto che non potevo assolutamente farlo mi sono rifiutata e da allora non sono piu' andata in comunita' be' da quel momento in poi tutti mi hanno tolto il saluto quando mi vedono per strada si girano dall'altra parte da premettere anche i miei vecchi amici che frequentavo prima che entrassimo insieme in comunita'. Alla faccia dell'amore fraterno cristinao
p.s. una volta durante una convivenza uno dei fratelli mi chiese dopo aver fatto un certo discorso
sul fatto che tutti i cristiani si chiamino fratelli: "ma anche quelli che non fanno parte della comunita'?????"
Ah quant'era bello il Cammino Neocatecumenale quando era frequentato solo da gente che veramente avevano "la Chiamata", adesso più mi guardo intorno e più vedo che vanno cercando di mettere dentro chiunque, l'hanno preso per un percorso formativo per i cristiani, quando il CN nasce esclusivamente come riscoperta della fede per i LONTANI, sapete chi sono i lontani? Chi non va in chiesa da una vita, a chi non frega niente e non sopporta i preti, chi si annoia a pregare, chi ha una fede fragile, per tutti voialtri benpensanti clericali c'è la strada della chiesa classica, percorrete quella e non state a rompere le scatole ai LONTANI, che hanno bisogno di esperienze diverse.
RispondiEliminaIn errore siete voi che entrate in un cammino che non è adatto per voi, che DIO non ha pensato per voi e poi vi trovate male e spalate merda sul cammino.