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martedì 21 febbraio 2012

"La verità vi farà liberi": Diamo spazio ai fuori usciti dalla setta eretica Neocatecumenale

Diamo Spazio alle numerose testimonianze, PER FAR MEGLIO COMPRENDERE LA VITA INTERNA DEL MOVIMENTO E METTERE IN LUCE TUTTI GLI ASPETTI SETTARI DEL CN, di fuori usciti dalla setta eretica Neocatecumenale, naturalmente siamo disposti a pubblicare tutte quelle esperienze "nuove" che ci dovessero giungere. 


Il mondo è in mano al potere del demonio. Con Satana ci sono tanti suoi profeti. Tante persone che la Bibbia chiama falsi profeti. Falsi perché portano alla menzogna e non alla verità. Queste persone esistono fuori ma anche dentro la Chiesa. Si riconoscono subito: dicono di parlare nel nome della Chiesa e invece parlano nel nome del mondo. Chiedono alla Chiesa di vestire i panni del mondo e così facendo confondono i fedeli e portano la Chiesa in acque non sue. Sono le acque del maligno. Le acque che la Bibbia descrive in modo mirabile nel suo ultimo testo, l’Apocalisse. (Padre Amorth)

TESTIMONIANZA DI MARINA E CONCETTO, DUE EX 
CATECHISTI DELLA SETTA ERETICA NEOCATECUMENALI...
Coniugi ex-catechisti del Cammino

Mi chiamo Marina, sono austriaca ed oggi ho 61 anni. Dal 1972 sono sposata con Concetto. Abbiamo tre figli: Raffaella, Elisabetta ed Alfredo.

Ho conosciuto il "Movimento Neocatecumenale", noto come "Cammino Neocatecumenale", per la mia professione di fisioterapista. Fu infatti la madre d’una bambina affetta da handicap (che curavo) a farci conoscere questa realtà.

Subito accolsi l’invito a partecipare agli incontri, perché da tempo volevo avere un’esperienza religiosa che mi mettesse in comunione con altre persone.

Con mio marito entrai in Comunità nel 1984 iniziando così un’esperienza che avremmo concluso solo nel 1998. Ancor oggi, che pur denunciamo quel che segue, risentiamo delle idee che ci furono inculcate allora, specie di quella che "Il Cammino" è "La" strada da seguire per giungere alla Salvezza.
I discorsi martellanti che ci facevano, ci portavano a perdere la coscienza della nostra libertà e c’inducevano a sentirci legati indissolubilmente al "Cammino" convincendoci, nell’intimo, che avremmo rischiato la salvezza eterna, se ne fossimo usciti. Appena entrata mi sembrava di realizzare finalmente il mio desiderio. Ero felice, e nella Comunità mi sentivo "voluta bene". Da subito presi tutto con un certo entusiasmo. Le catechesi (anche se molto lunghe e martellanti), i fratelli, la Parola di Dio, la Mensa Eucaristica, le convivenze: tutto mi dava un’immensa gioia. Pensavo d’aver trovato finalmente la vera Chiesa. Con mio marito fui scelta come responsabile dopo il 1° passaggio. In seguito (sempre con mio marito), fui nominata Catechista. Concetto non era entusiasta come me. Io però lo incoraggiavo e lo trascinavo, perché prendevo alla lettera ogni cosa che mi dicevano. Pian piano anche lui crebbe nel fervore.

LA NOSTRA FAMIGLIA ED IL CAMMINO (di Marina)
In Comunità tutto andava per il meglio, ma a casa, si affacciavano le prime nuvole all’orizzonte. Su suggerimento dei Catechisti, volevamo che anche i nostri figli frequentassero il "Cammino". Divenni ossessiva con loro: non potevo disobbedire ai Catechisti! Questi, infatti, continuavano a sostenere che, se loro non venivano, era perché noi non li invogliavamo a sufficienza e non davamo loro i giusti segni. Era nostro dovere trasmettere loro, specie dopo le convivenze, quelle esperienze tanto toccanti.
La situazione in famiglia diventava sempre più insopportabile. Continue sofferenze, incomprensioni, diffidenze, accuse e minacce erano all’ordine del giorno. Dopo qualche tempo abbiamo convinto Elisabetta e Raffaella ad entrare in Comunità. Raffaella lasciò dopo il 2° Passaggio, mentre Elisabetta non ne volle più sentire dopo che agli ‘scrutini’ i catechisti la umiliarono assai. Dopo lo Shemà non tornò più. Da quel momento cominciai a vedere ogni suo insuccesso come conseguenza dell’abbandono della Comunità.
Altro motivo di sofferenza per noi, era sapere che il fidanzato di Raffaella non fosse un membro del "Cammino". I catechisti erano stati precisi in merito. Ci dicevano: "Il matrimonio tra due persone del ‘Cammino’ è molto importante, anzi, indispensabile per formare una buona famiglia cristiana". Se in fidanzato di Raffaella fosse entrato in Comunità, entrambi avrebbero dovuto iniziare il Cammino insieme. Infatti, quando una persona si fidanzava o si sposava, doveva ricominciare daccapo il Cammino, insieme al partner, indipendentemente dalla Tappa cui era giunta.
Per anni abbiamo portato questi pesi senza accorgerci che la nostra famiglia, invece di unirsi nell’amore in Cristo, si sbriciolava da tutte le parti.
Per 14 anni non abbiamo potuto vivere un sabato sera con i nostri figli, abbandonandoli a se stessi e privandoci della loro compagnia. Mai una passeggiata insieme! Mai una sera dai parenti o in pizzeria! Oggi sono adulti e non ci perdonano di averli abbandonati, quando dovevamo stare loro vicini più che in ogni altro periodo della loro vita. Ogni sabato sera andavamo alla Mensa Eucaristica e tornavamo tardi. Il giorno seguente, dopo averli invitati in modo opprimente a dire le Lodi, ci ritenevamo liberi da ogni impegno, mentre loro ci lasciavano soli per andare a Messa. Spesso, la domenica, andavamo in Convivenza, mentre loro facevano una scampagnata o andavano da amici o parenti perché si sentivano soli. Ho ricordo di poche domeniche passate serenamente insieme come dovrebbe succedere in ogni famiglia. Di questo i nostri figli ci hanno sempre accusato. Alle loro accuse noi rispondevamo che il "Cammino" era più importante di qualsiasi altro impegno, anche se familiare o religioso. Dovevamo, infatti, mettere gli impegni del "Cammino" prima d’ogni altra cosa: ricorrenze del compleanno dei figli, riunioni con parenti o, addirittura, feste patronali. Se qualcuna di queste ricorrenze si svolgeva in concomitanza con una riunione della Comunità, non c’era possibilità di scelta: bisognava non andarci! Ad incontri importanti come Convivenze Regionali, non dovevamo mancare nemmeno per motivi seri, come gravi problemi di lavoro, familiari o di salute. L’unico interesse che dovevamo avere, era di partecipare alla vita della Comunità.
Una volta, una sorella della nostra Comunità (S.G.) non poté partecipare ad una Convivenza della "Redditio" perché, qualche giorno prima, sua madre aveva avuto un ictus. Quando i catechisti la videro in un successivo incontro, l’accusarono d’essere attaccata al danaro, perché avrebbe dovuto far accudire la madre da un’infermiera, per poter così partecipare alla Convivenza. Lei scoppiò in lacrime, ma questo non servì a nulla: le fu imposto di andare con un’altra Comunità a fare quella Convivenza.
Un’altra sorella, giunta dopo decenni all’ultima tappa dell’"Elezione" o, come la chiamano, di "Gerusalemme", chiese ai catechisti di poter partire per la Terra Santa, il giorno seguente, per conto proprio, perché proprio nel giorno previsto per la partenza, sua figlia doveva sposarsi. I catechisti le risposero che questo non era possibile. Lei doveva scegliere: o andare al matrimonio di sua figlia o partire per la Terra Santa. L’episodio mi è stato raccontato dalla figlia di questa mia ‘sorella’. Questi episodi ci facevano capire come, facendo parte del Cammino dovevamo cambiare. Ci convincevamo così che "Nulla giova alla Salvezza come il Cammino".



LA VITA NELLA COMUNITA' (di Marina)
Come membri del ‘Cammino’, dovevamo attender continuamente la venuta del Cristo: ogni istante poteva essere quello buono. Dovevamo pertanto essere sempre presenti alle catechesi e a tutte le celebrazioni: in queste occasioni, infatti, il Signore ci parlava! Ogni parola, ogni segno potevano essere per ognuno di noi, quello che ci avrebbe fatto convertire. Per sottolineare l’esigenza di conversione, ci martellavano incessantemente sul fatto d’essere peccatori. Tutti eravamo dei servi inutili. Solo la grazia ci avrebbe salvato. Per mezzo della nostra sola volontà non saremmo mai arrivati a nulla.
Nelle nostre menti si faceva strada l’idea di non potere nulla senza l’aiuto del ‘Cammino’ e dei Catechisti. Ogni volta che dovevamo fare una scelta di vita chiedevamo aiuto ai Catechisti. Tutta la nostra vita passava per le loro mani, dalle cose più banali alle cose più serie. I Catechisti avevano l’obbligo di non essere nostri amici (questo lo dicevano chiaramente). Si univano a noi solo per la catechesi e per dirigerci spiritualmente. In tutte le altre cose, erano completamente distaccati. Ad esempio, nelle cene sedevano nel loro tavolo isolandosi. A causa del distacco dei Catechisti e con i membri della Comunità più vanti nel Cammino, pensando a quanta strada avessero già fatto, vedevamo questi fratelli, come esempi da seguire e speravamo di poter fare anche noi, un giorno, quello che facevano loro. I membri delle Comunità più vecchie dovevano essere d’esempio. Anche loro si comportavano in modo distaccato e si distinguevano come nell’Agape della Domenica di Pasqua. Alle 5.30 di tutti i giorni di Quaresima (eccetto sabato e domenica) si riunivano nella parrocchia alla quale apparteneva la loro Comunità, per pregare insieme le Lodi. Noi li guardavamo con ammirazione e speravamo che un giorno saremmo riusciti anche noi ad arrivare a tanto.
A chi entrava nel Cammino veniva caldamente sconsigliato di far parte di altre associazioni o gruppi religiosi. Un giorno mio marito disse ai Catechisti che aveva deciso di diventar Ministro straordinario dell’Eucarestia. Questi tentennarono ma, non potendo impedirglielo, gli dissero: "…però procedi con moderazione".
Dentro la Comunità non si parlava mai di quello che accadeva nella Chiesa. Era tutto un mondo a parte. Avevamo i nostri riti, le nostre immagini, i nostri canti, i nostri seminari, i nostri preti, il nostro modo di pregare. Quando partecipavamo ad incontri non organizzati da noi (come la venuta del Papa a Catania) dovevamo distinguerci dagli altri portando le nostre immagini e cantando i nostri canti. Tutto quello che ci distingueva era opera di Kiko Argüello: la Madonna dipinta da lui, il Cristo dipinto da lui, i canti composti da lui… Tutto era grazie a lui!
Nelle adunanze di carattere nazionale o regionale, Kiko aveva la capacità di chiamare sul palco tutti coloro che volessero diventare missionari, sacerdoti o suore di clausura. Dentro il Cammino, ogni suo scritto, ogni sua opera era legge e nessuno mai era sfiorato dall’idea di poter confutare i suoi pensieri (che sono comunque di laico, pur impegnato). Durante i 14 anni passati nel Cammino mi è capitato più volte di lamentarmi di alcune prese di posizione o di certe idee espresse da sacerdoti o addirittura da Vescovi della Chiesa cattolica. Mai questo mi è capitato nei confronti di Kiko o di Carmen.
Ogni volta che nel Cammino si svolge un evento si deve cantare. Questi canti si riconoscono subito appena si sentono. Il ritmo monotono viene intercalato dai "crescendo" del coro. Le chitarre, i tamburi, e ogni altro strumento ripetono le note con un ritmo martellante e tutti accompagnano cantando e battendo le mani. Chi cantava era invitato a farlo con tutto se stesso. In pochi minuti si perdeva la coscienza e si pensava solo che si stava dando lode al Signore. Era una specie di droga. Il tempo passava senza che ce ne rendessimo conto. L’incoscienza che mi assaliva cantando e ballando era la stessa che molti ragazzi d’oggi, vivono in discoteca. Per noi, come per loro, il tempo passava senza che ce n’accorgessimo. Qualche volta nel ballo che si faceva alla fine della Messa, io ero un po’ stordita dall’alcool del vino bevuto nella celebrazione. Allora mi lasciavo andare un po’ troppo, insieme agli altri fratelli che come me non reggevano molto l’alcol. Sovente nella Comunità ho palpato l’atmosfera dell’incoscienza. Infatti, tutti gli incontri avvenivano tardi e molti, pur essendo fisicamente presenti, non capivano nulla. Spesso, le cose che ci erano dette erano prese da noi per buone senza che ce ne rendessimo conto. Di conseguenza (anche quando ci assaliva il dubbio) eravamo convinti che probabilmente avevano ragione i Catechisti. Questo modo di vivere in Comunità ci spingeva ad accettare qualunque cosa ci venisse "suggerita". Nelle Catechesi e nelle Risonanze c’era un’"ispirazione divina". Qualche giorno fa, ho incontrato un amico Catechista del Cammino che mi spiegava come nelle catechesi doveva attenersi fedelmente alle tracce che gli erano consegnate. Anch’io, che sono stata catechista , ho ricevuto una di queste tracce. Trattava di come porre la catechesi ai nuovi arrivati.
Quando venivano affidati documenti del genere ai Catechisti e alle persone di responsabilità o nelle riunioni si parlava del "metodo" da seguire, si raccomandava il massimo segreto. A questo segreto eravamo vincolati come ai "segreti familiari"! Nelle catechesi tutto era ben organizzato. L’"Ispirazione divina" era finalizzata a stordire le menti che, visti gli orari e i ritmi martellanti e ripetitivi, non ti permettevano altro che dare per scontato tutto quello che si diceva, tanto più che, ogniqualvolta qualcuno chiedeva un chiarimento, gli veniva risposto sempre di sedersi e di ascoltare.
Tutto quanto si ascoltava nelle catechesi era giusto. Del resto, lo si diceva sotto "ispirazione divina". I Catechisti sostenevano d’essere "angeli mandati dalla Chiesa", e noi li guardavamo con ammirazione.
Nelle Convivenze Regionali le catechesi incominciavano a tarda ora. In quelle occasioni ci si sarebbe potuti organizzare meglio, in modo che gli orari aiutassero ad apprendere il messaggio che volevano trasmetterci. Invece, no. Si facevano grandi cene e dopo… tutti alle catechesi. Qualcuno non riusciva a stare sveglio. Appena i Catechisti se ne accorgevano, lo riprendevano dicendogli di stare attento, perché poteva capitare che proprio quella sera Dio passasse per lui. Durante gli anni trascorsi come "neocatecumeni" eravamo inibiti anche in comportamenti che, per chi compie un cammino di fede, dovrebbero sembrare ovvii:
Non potevamo inginocchiarci. Nemmeno davanti a Gesù sacramentato;
Non potevamo menzionare passi della Bibbia, perché questo era consentito solo ai catechisti;
Non potevamo fare domande, perché le risposte sarebbero venute durante il Cammino che avevamo intrapreso (che nel migliore dei casi, dura 25 anni!).
Il fatto di non poter fare domande, perché prima o poi avremmo ricevuto una risposta in qualche catechesi, ci convinceva nell’intimo che il Cammino era la risposta a tutto: per questo vedevamo i Catechisti e coloro che erano ormai vicini alla tappa di "Gerusalemme", con estrema ammirazione e venerazione.
Non potevamo correggere i fratelli, neppure quando ci accorgevamo di gravi mancanze. Dovevamo convincerci che se un fratello sbagliava e si comportava da peccatore, noi dovevamo sempre pensare d’essere più peccatori di lui. Non dovevamo comportarci da farisei "cercando la pagliuzza nell’occhio del fratello, non vedendo la trave nel nostro occhio". Se poi, l’errore del fratello avveniva involontariamente (magari perché era nuovo del Cammino), egualmente non dovevamo correggerlo, perché dovevamo mettere in pratica la virtù della pazienza.
La vita nella Comunità era serena solo per i primi mesi. Passati questi, iniziavano i primi asti: ci si accusava e spesso si litigava. C’era un momento particolare destinato ai "chiarimenti": subito dopo il pranzo in ogni Convivenza della Comunità. In quell’occasione incominciavamo a chiedere ai fratelli il perché e il per come… e si finiva sempre per litigare aspramente. Finito l’incontro ci abbracciavamo e ci baciavamo nel nome del Signore, ma tornavamo a casa, nervosissimi ed esausti. A detta dei catechisti, era quasi auspicabile litigare. Ci dicevano, infatti, che in questo modo ci saremmo messi di fronte alla nostra piccolezza, e questo ci sarebbe servito per crescere spiritualmente. Addirittura, come esempio ci portavano le "famose litigate" di Kiko e di Carmen. Nessuno poteva correggere i Catechisti o esprimere pareri sui metodi usati: nemmeno i Presbiteri. Un giorno, un Sacerdote che presiedeva ad una Convivenza Regionale alla ‘Perla Jonica’, si ribellò alle parole dei Catechisti. Questi lo portarono via quasi con la forza. Poi ci hanno detto che non era successo niente e subito chiamarono urgentemente Padre P.P. che in quel momento era assente. Chi ci sedeva accanto disse che quello "era pazzo". Non ho potuto capire, però, a che cosa si ribellasse quel prete, perché non ebbe il tempo di parlare.
Gli ultimi mesi della mia esperienza nel Cammino, esternai i miei dubbi ad amico non neocatecumeno, ma semplicemente cattolico praticante. Questi mi disse che aveva letto delle testimonianze simili alle mie, in un libro. Allora gli chiesi di farmi sapere il titolo, ma lui non si limitò a questo, ma me ne regalò una copia. Leggendo quel libro mi accorsi di non essere sola. Capii che i miei dubbi erano gli stessi, identici, di quelli di molte altre persone. Capii che non ero fuori della Chiesa, se avessi dubitato del Cammino e questo mi diede la forza di riflettere seriamente sulla possibilità di uscirne. Da quei giorni in poi la mia anima si sarebbe sempre più lacerata: capivo che in 14 anni avevo fatto gravi errori e questo mi faceva molto male. Nell’ultima Convivenza (alla quale presi parte), durante la Penitenziale, decisi di confessare questi miei gravi dubbi. Raccontai al Sacerdote questo mio strazio e gli dissi come le mie gravi perplessità erano le stesse di decine di altre persone. Raccontai anche che le loro testimonianze erano raccolte in un libro che mi era stato regalato. Lui mi rispose che dovevo rimanere nel Cammino e, con tono risoluto, mi ordinò di bruciare quel libro. In quel momento ebbi la conferma che sbagliavo a continuare a far parte dei neocatecumeni. L’atteggiamento di quel Sacerdote m’ha fatto comprendere definitivamente, senza più dubbi od esitazioni, che la verità non stava solo nel Cammino e che potevo abbandonarlo senza scrupoli.
I Catechisti sostenevano che chi fosse uscito dal Cammino si sarebbe perso: avrebbe divorziato o, comunque, si sarebbe allontanato da Dio. Per avvallare questa tesi ci facevano molti esempi di gente che, uscita dal Cammino, aveva divorziato, si era ‘persa’ o si era ammalata (come se si trattasse di un castigo divino). Dal Cammino non si doveva e non si poteva uscire! Chi usciva veniva visto dai fratelli come un poveraccio (sul quale il male aveva avuto il sopravvento) o come un indemoniato. Non parlo solo di chi abbandonava completamente la Chiesa, ma anche di chi rimaneva dentro. Anzi, proprio questi erano visti con maggior sospetto, forse per timore che potessero rivelare le "intimità" della Comunità o i "Segreti del Cammino", specie per chi come me era stato neocatecumeno per molti anni. Nel periodo in cui lasciai la Comunità, salutai Padre P.P. Mi aspettavo un caldo abbraccio, come si fa con gli amici di vecchia data, ma lui con fare minaccioso mi disse solamente: "Non far la stolta!".

CATECHISTI – SCRUTINI – TESTIMONIANZE (di Marina e Concetto)
I catechisti ci dicevano sempre d’avere il "carisma di essere i nostri angeli, mandati dalla Chiesa" e noi credevamo ciecamente a questo: erano loro le nostre guide e noi li guardavamo con venerazione. Ad ogni loro richiesta, noi dovevamo obbedire perché erano mandati dalla Chiesa.
Ad ogni passaggio c’erano gli "Scrutini". In quell’occasione, i Catechisti che seguivano la Comunità ponevano delle domande riguardanti la vita personale. Queste domande erano fatte ad ogni membro della Comunità, e davanti a tutti gli altri (35-40 persone). Indipendentemente dai fatti accaduti, chiedevano ad esempio: "Sei in pace con la Comunità? Con la famiglia? Sei attaccato al denaro? Quali sono i tuoi idoli? Hai chiesto perdono a Tizio o a Caio?". Non era importante l’episodio in se, ma che si abbandonasse il nostro perbenismo fino a renderci conto d’essere solo dei miseri peccatori. Chiedevano ancora: "Sei aperto alla vita?". (S’intromettevano, dunque, nell’intimità di ognuno!). "Perché hai solo un figlio? Perché non ti sei sposato?". E aggiungevano: "O ti sposi, o fai la vita religiosa!". Per loro, infatti, non esisteva alcuna via di mezzo. Al dire dei Catechisti, queste domande dovevano essere fondamentali alla nostra crescita, perché ci facevano toccare il fondo e lo sporco della nostra anima. Mai, però ci sono state fatte domande di carattere trascendente; mai ci chiesero del nostro rapporto diretto col Cristo.
Gli Scrutini si svolgevano in saloni parrocchiali o d’albergo. La persona scrutata doveva sedere avanti al Crocifisso e di fronte all’èquipe di Catechisti. Tutto accadeva dopo le 21 (per arrivare, a volte, fino all’1.30). Nel frattempo i nostri figli trascorrevano la serata da soli. Noi, nemmeno pensavamo al giorno dopo, quando saremmo dovuti andare a lavorare.
Ogni équipe era composta da soli laici, ad eccezione d’un membro che doveva essere il Presbitero (per la nostra Comunità si trattava di Padre P.P.). Questi, però, non era obbligato ad essere presente, tanto che gli Scrutini erano guidati sempre da laici. Se c’era il Sacerdote, interveniva solo per giustificare le scelte fatte dai Catechisti laici. Al termine degli Scrutini, i Catechisti si riunivano ed esaminavano gli appunti da loro presi durante l’"interrogatorio" fatto ad ogni membro. Alla fine prendevano la decisione di ammettere, o non ammettere, ognuno di noi alla tappa successiva.
Un Sacerdote del Cammino, non facente parte dell’èquipe di Catechisti, seguiva, a volte, gli Scrutini, ma in modo del tutto passivo. Sedeva con i membri della Comunità, alle spalle di chi era esaminato e, a testa bassa, pregava col suo breviario. Qualche volta, a richiesta dei Catechisti, rispondeva a domande, solitamente di questo genere: "Enrico (al Sacerdote davano sempre del ‘tu’ senza mai chiamarlo ‘Don’ o ‘Padre’), hai qualcosa da dire su questo fratello? E’ assiduo nella presenza in Comunità?". In genere, la sua risposta era di poche parole. Spesso l’"interrogatorio" sfociava in pianto o in penosi silenzi. Noi, che stavamo dietro, ci guardavamo curiosi di conoscere le risposte alle domande che venivano poste. Il Sacerdote che a volte era presente, seguiva in modo passivo e mai interveniva per mitigare i toni che spesso erano drammatici. Alcuni dichiaravano di aver fatto uso di droghe; altri, alla presenza di tutta la loro Comunità, scoprivano dalla bocca della moglie d’essere stati traditi per anni. Ricordo come una coppia, davanti a tutti, apprese direttamente dalla figlia che aveva rapporti prematrimoniali col fidanzato. Altre storie, che farebbero sudare anche i confessori più attempati, riecheggiavano nei saloni in cui ci riunivamo, lasciandoci (solo inizialmente) attoniti. E’ impossibile descrivere le facce dei mariti traditi o dei genitori che ascoltavano certe esperienze dei figli: erano imbarazzati, sconvolti, sconfitti. Si guardavano tra loro e, rossi in volto, sudavano. Quando accadevano questi episodi, tutti rimanevano nel mutismo più assoluto. Ci guardavamo in faccia e comunicavamo con le espressioni del volto. Se poi le vittime erano persone che ritenevamo si comportassero da "santarelli", ci mostravamo compiaciuti e alla fine concordavamo che finalmente si erano scoperti. I pettegolezzi, sotto voce, non mancavano mai! Ricordo come i Catechisti entravano nella vita d’ognuno di noi, fino alle intimità più recondite, "consigliandoci" i comportamenti da seguire. Se dopo un po’ di tempo non avevamo ancora seguito quei "consigli", non potevamo fare il passaggio e quindi dovevamo rimanere fermi a quella tappa, mentre i nostri fratelli passavano avanti nel Cammino. Era, insomma, un fallimento! Chi era interrogato, necessariamente doveva aprirsi del tutto. Chi non aveva molto da dire era sempre accusato d’essere un sepolcro imbiancato o uno che resisteva alla conversione. E allora, giù con i peccati d’ogni sorta, compresi quelli di cui non eravamo sicuri.
Anche le ‘Testimonianze’, ci facevano perdere la dignità. Ricordo che in una Assemblea Regionale, un fratello di un’altra Comunità dichiarò candidamente, davanti a 300 persone (nella stragrande maggioranza gente a lui sconosciuta), di essersi unito a sua moglie durante la giornata trascorsa in albergo. In uno Scrutinio una sorella raccontò le "voglie coniugali" del marito, quasi per difendersi dalle accuse dei catechisti che ritenevano la coppia "chiusa alla vita". Oggi mi chiedo dove fosse finita la dignità della famiglia. Mai nessuno ci parlava del concetto di "procreazione responsabile". Ci dicevano: "La Chiesa non ammette anticoncezionali, nemmeno quelli naturali, perché un figlio è sempre mandato per volontà di Dio". Noi dovevamo solo pensare ad aprirci alla vita, per il resto dovevamo solo aver fede nel Padre. Alla luce di ciò, erano "vincenti" quelle coppie che riuscivano a mettere al mondo molti figli.
Ricordo che, facendo le nostre Testimonianze e "confessandoci" durante gli Scrutini, incominciammo ad avere un certo sentimento di protagonismo, in negativo. Far vedere a tutti d’essere peccatori era quasi un motivo d’orgoglio, perché chi non aveva nulla da raccontare era visto da noi come un fariseo.

I SACERDOTI SCRUTINATI COME GLI ALTRI (di Concetto)
Ad ogni Scrutinio e ad ogni Testimonianza ci aspettavamo di arricchire la nostra conoscenza dei peccati possibili. Ricordo la testimonianza di un Sacerdote maltese: verteva tutta sulla sua passione per le donne. La cosa che più mi colpì non è stata la pubblica confessione d’un Presbitero (a questo mi ero già abituato), ma il commento del mio vicino, quando lo vide salire sul palco: "Questo l’ho già sentito. Lo so quello che ha fatto". Lo diceva con una certa sufficienza, quasi fosse annoiato di risentire la stessa storia. Fui spinto a commentare con tragica ironia: "Ascoltalo! Magari c’è qualcosa di nuovo!".
Tutti i Sacerdoti che nel tempo ci hanno seguito, facevano parte anche loro del Cammino e quindi percorrevano, passo, passo, la stessa nostra strada. Anche loro venivano "scrutati" davanti alla loro èquipe alla presenza dei membri della loro Comunità. Diveniva normale anche per loro parlare delle cose intime. Ricordo che un Sacerdote G.S., ha dato testimonianza d’essere peccatore anche lui, elencando i suoi difetti e i suoi peccati (anche le mancanze più intime). E’ importante sapere che alla ‘Redditio’ può prendere parte chiunque lo desideri, indipendentemente dal suo appartenere o meno al Cammino. Per il Padre A.S. era normale far sapere a chi ascoltava le testimonianze di certe sue personali debolezze. Come tutti noi, anche i Sacerdoti che facevano parte della Comunità, avevano un certo timore dei Catechisti. Questi avevano il potere di decidere su tutti: se erano ‘buoni’ o ‘cattivi’ e se permettere o meno il passaggio alle fasi successive. I Catechisti dovevano essere tenuti informati d’ogni cosa. Quando parlavano loro, nemmeno il Sacerdote poteva contraddirli. Anche lui, come gli altri, doveva imparare ad obbedire ai suoi Catechisti. Anche Padre P.P., iniziatore del Movimento in Sicilia, informava i suoi Catechisti a Roma della sua vita e della vita del Cammino Regionale.

ORGANIZZAZIONE DEL CAMMINO (di Concetto)
A settembre si svolgevano le convivenze d’Inizio Corso. In questa occasione i "Capi Catechisti" d’ogni Diocesi, incontravano Kiko a Porto San Giorgio (nelle Marche) e, a volte, altrove. Lì si decidevano e poi si diramavano i programmi. In particolare s’indicavano gli argomenti di catechesi da trattare durante l’anno. I catechisti che partecipavano a questa convivenza con Kiko, (per la Sicilia e la Calabria era S.M.) facevano a loro volta la Convivenza di Riporto ai Catechisti Regionali. Questi, in seguito, ne facevano una coi Catechisti Provinciali e delle singole Comunità.
La Gerarchia interna del Cammino dovrebbe essere questa:
Kiko, Carmen e Padre Mario, allo stesso livello, anche se il leader è Kiko;
Catechisti Nazionali - Catechisti Regionali - Catechisti Provinciali;
Equipe di catechisti per ogni Comunità (almeno 6 persone: 2 responsabili, che sono anche catechisti, 2 cantori, 2 catechisti. E’ preferibile che ogni coppia sia formata da coniugi).
Si poteva diventare Catechisti anche dopo un anno di vita nel Cammino. Da quel momento, chi riceveva l’incarico, aveva l’illuminazione divina e il potere di evangelizzare nella propria parrocchia.
I Responsabili, i Corresponsabili e i Catechisti di ogni singola Comunità della Diocesi e Provincia, facevano parte del "Centro Lavoro Provinciale", che per Catania aveva sede nella Parrocchia di San Leone.
I membri di tale Centro si riuniscono nella chiesa (proprio nel luogo di culto e non nei locali adiacenti), per parlare della vita delle singole Comunità. Prima dell’Avvento e della Quaresima, in questo Centro si conferivano i "mandati" per evangelizzare nuove o vecchie parrocchie.

http://win.sangiuseppeoperaio.it/Immagini/catecumeni_xcorso.jpg

LE TAPPE DEL CAMMINO (di Concetto)
PRECATECUMENATO
1ª Catechesi dell’Annuncio (3 mesi, in parrocchia);
1ª Convivenza (3 giorni in albergo o in una casa religiosa);
Formazione delle Comunità;
Elezione dei Responsabili e dei Corresponsabili;
1° Scrutinio – Rito dell’esorcismo -
Firma nella Bibbia (Iscrizione nel Libro della vita)
1° Passaggio (dopo 2 anni dall’entrata in Comunità);
Shemà (dopo 1 o 2 anni dal 1° Passaggio). E’ una particolare catechesi per scrutare il proprio attaccamento agli idoli, in preparazione al 2° Passaggio. In questa occasione (in segno di distacco) si doveva rinunciare agli idoli (oggetti di valore e soldi)! Questi venivano inviati ai catechisti di Roma.
CATECUMENATO
2° Scrutinio (con invito a una consistente rinuncia ai beni materiali).
2° Passaggio.
Iniziazione alla Preghiera – Consegna del Breviario – Rito del sale. (Da allora eravamo il sale del mondo. Perciò chi giunge a questa tappa deve ingerire simbolicamente una piccola quantità di sale).
La Traditio (portare direttamente nelle case l’"Annuncio" e le proprie esperienze, come esempio (così come fanno i Testimoni di Geova). Ci raccomandavano che, portando il Vangelo nelle case, dovevamo esaltare i risultati raggiunti frequentando il Cammino per invogliare le persone a frequentare le Comunità e a convertirsi.
La Redditio – Testimonianza e proclamazione del Credo.
(Si doveva portare la testimonianza dei propri cambiamenti, dal momento in cui si era iniziato il Cammino. Dopo si proclamava il Credo. A queste testimonianze potevano assistere non solo le persone delle altre Comunità, ma soprattutto, persone che non facevano parte del Cammino perché fossero invogliate a prendervi parte). Questa tappa non l’ho vissuta in prima persona, ma ho assistito a quelle fatte dai fratelli.
(Le altre tappe non le ho vissute in prima persona).


LA LITURGIA (di Marina)
La penitenziale - Nelle penitenziali i catechisti ci dicevano che dovevamo SOLO accusare i nostri peccati, e per giunta velocemente. Per motivi di tempo, il sacerdote non doveva dare consigli spirituali. Questi consigli avremmo potuto chiederli in altro momento, fuori della confessione. Anche se si lasciava intendere che avremmo potuto chiedere consiglio, in effetti, eravamo abituati ad aprirci solo ai Catechisti, e raramente ai Sacerdoti.
Durante la Penitenziale, tutti i fratelli che non stavano confessandosi dovevano cantare a voce molto alta, per coprire la voce di chi si stava confessando. Avevamo forti momenti d’imbarazzo quando finiva un canto e ne iniziava un altro. La Confessione doveva svolgersi in fretta perché eravamo in molti. Avevamo il timore di dire una parola in più oltre l’accusa dei nostri peccati… Troppa gente aspettava! All’Assoluzione, dovevamo compiere il gesto di inginocchiarci, per poi essere sollevati dal Sacerdote.
La Santa Messa - Celebravamo la Santa Messa sempre a porte chiuse. Si faceva eccezione per i coniugi e per i genitori dei NC. La celebrazione si svolgeva sempre in un salone, eccetto la notte di Pasqua. In quell’occasione si amministravano i battesimi. Allora venivano ammessi anche i parenti stretti dei catecumeni che celebravano il battesimo.
Nella parrocchia che ci ospitava (Crocifisso dei Miracoli), nei primi anni della nostra esperienza, convivevano tre Comunità che celebravano la Messa di sabato, contemporaneamente e separatamente, mai in chiesa ma nei saloni messi a disposizione dal parroco. Non ci "mischiavamo" mai agli altri fedeli. Non pensavamo mai di fare la Messa in chiesa, luogo certamente più adatto d’un salone parrocchiale o d’una sala d’albergo. Quello che maggiormente mi colpiva era che mai si cercasse di fare le funzioni davanti al tabernacolo.
Cantavamo il "Gloria" solo nella notte di Pasqua, a Pentecoste e in occasioni straordinarie, come nelle Convivenze Regionali.
Dopo la proclamazione del Vangelo venivano fatte le "Risonanze" nelle quali ognuno poteva esprimere quello che l’aveva colpito. Alla fine il Sacerdote faceva la sua omelia prendendo spunto, spesso, da quanto aveva ascoltato. Durante le "Risonanze", non solo non era ammessa alcuna persona estranea alla Comunità, ma anche i bambini venivano portati fuori dalla sala.
Mai si professava il "Credo", eccetto che al momento della "Redditio", o da coloro che erano ormai prossimi all’ultima tappa, l’"Elezione", e, comunque, sempre fuori della Messa. Non si faceva mai l’Offertorio. Al suo posto si scambiava il ‘segno della pace’, come nel Rito Ambrosiano. Questo segno doveva essere scambiato da tutti e con tutti, cosicché veniva a crearsi una grande confusione.
Durante la Messa non si raccoglieva denaro, anche se alla fine si faceva la "Colletta" per pagare le baby-sitter che, in un salone adiacente, avevano accudito ai bambini.
Prima della Preghiera Eucaristica il Sacerdote non si purificava le mani.
Mai abbiamo risposto: "Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio…".
Al momento della Consacrazione era PROIBITO mettersi in ginocchio. Molti fratelli sono stati rimproverati per averlo fatto, tra questi, mio marito, un diacono mio conoscente, ed altri miei amici che erano in servizio accanto al Presbitero presso l’altare, durante la Messa.
Il fatto che non dovevamo inginocchiarci, e la stretta relazione di quest’atto con l’adorazione eucaristica, mi hanno fatto riflettere! Ricordo che in 14 anni, non abbiamo fatto mai una sola adorazione eucaristica.
Riferendoci alla Consacrazione eucaristica, ricordo che ci veniva spiegato che si trattava della "Esaltazione della Risurrezione del Signore". Tant’è che alla fine della celebrazione si ballava attorno alla "Mensa" per festeggiare la vittoria della vita sulla morte.
I neocatecumeni parlano sempre della Messa come di "Banchetto nuziale" e, quindi, riferendosi all’altare lo chiamano sempre e solo "Mensa". Per questo, come gli invitati ad un banchetto, ci sedevamo attorno alla "Mensa" e, per terra, si mettevano sempre i tappeti.
Mai si diceva l’"Agnello di Dio".
Si contavano i partecipanti. Si spezzava il pane consacrato, che era azzimo, nella forma e nella dimensione d’una focaccia. Il pane era spezzato dal Presbitero che chiamava i Ministri Straordinari per essere da loro aiutato. Se questi mancavano, autorizzava alcuni laici a spezzare il pane con lui.
Mai si diceva: "O Signore, non sono degno". Infatti, il sacerdote, dopo aver pronunciato le parole: "Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo", aggiungeva di seguito: "Il corpo di Cristo ci custodisca per la vita eterna". Questo, però, non lo diceva in piedi davanti all’altare, ma seduto al suo posto!
La Comunione si faceva in modo del tutto originale. Tutti rimanevamo seduti ed aspettavamo che il Presbitero e coloro che lo assistevano, passassero per i posti posando un pezzo di Pane consacrato sulle mani dei partecipanti. Finita questa distribuzione, il Sacerdote si sedeva al suo posto e mangiava il Pane contemporaneamente a tutti gli altri. Poi il Sacerdote prendeva il calice (più grosso di quelli usati per la "Messa comune" e passava per i posti dove i partecipanti, seduti, bevevano un sorso (abbondante) di Vino consacrato.
Dopo la Comunione, i responsabili davano avvisi d’ogni genere e si concludeva con la benedizione.
Alla fine di tutto si danzava attorno alla Mensa. Questa danza era parte della celebrazione: tutti dovevano parteciparvi, anche solo battendo le mani.

Quando penso alla possibilità che qualche piccolo frammento Eucaristico possa essere finito per terra e che noi vi abbiamo ballato sopra, provo un terribile sgomento per la noncuranza dimostrata. Voglia il Signore avere misericordia di me e di coloro che ancor oggi continuano a compierlo.
Aggiungo che durante la celebrazione (che non durava meno di due ore e mezza), si creavano dei momenti di distrazione (alcuni addirittura lasciavano la sala per andare a fumare o a chiacchierare). I Presbiteri erano contrari a ciò, ma nemmeno loro potevano correggere i fratelli che sbagliavano.
Quando qualcuno, impossibilitato a partecipare alla celebrazione del sabato sera, partecipava alla "Messa comune" della domenica mattina, incontrando i fratelli della Comunità, raccontava l’esperienza fatta e, sovente, commentava le notevoli differenze fra le due celebrazioni, sostenendo che la domenica "non aveva provato niente". Mai dimenticherò che una sorella "Ostiaria" ha rimproverato mia figlia perché una domenica era andata a Messa in parrocchia. Secondo lei, quella Messa non era valida! Con ciò non voglio accusare quella povera sorella per ciò che diceva, ma semplicemente dare testimonianza del clima in cui vivono i partecipanti al Cammino. A tutti è inculcata l’idea che la vera Chiesa, è nel Cammino e che "chi si limita alle solite pratiche comuni" possiede solo "una fede naturale immatura". Questa idea era sempre supportata da esempi fatti dai Catechisti, banali ma incisivi, e che facevano notare a tutta la Comunità come nel Cammino c’era sempre grande partecipazione, mentre le chiese rimanevano sempre più vuote. La Chiesa comune era vista come "statica".
Verso la fine della mia esperienza nel Cammino, ogni volta che mi fermavo a riflettere sul Mistero Eucaristico, rimanevo molto turbata. Il fatto che non dovevamo inginocchiarci davanti al Tabernacolo è stato un forte stimolo alla riflessione. Non capivo perché non avrei dovuto compiere questo gesto di adorazione! Nel Cammino, nessuno s’inginocchiava. Nemmeno i Sacerdoti lo facevano, ad eccezione di Padre Enrico, Gesuita, di don A.C. e di don G.S.! Nella parrocchia di San Leone (cuore del "Cammino" a Catania) sono stati tolti gli inginocchiatoi!
In merito all’Eucarestia, le sofferenze più grosse le ho avute durante la Messa. La preparazione alla Mensa mi affascinava molto. Tutto era da sogno: fiori, tappeti, canti; la compagnia dei fratelli, l’attesa del Signore… Ma negli ultimi tempi, gli insegnamenti religiosi ricevuti da bambina mi facevano prender coscienza della gravissima situazione che stavo vivendo. Come tutti coloro che hanno ricevuto un insegnamento cattolico, conosco l’importanza del Sacramento Eucaristico. L’Ostia ed il Vino consacrati sono il Corpo e il Sangue di Cristo. Sono tutto il Cristo! Per questo, ogni volta che in qualsiasi modo si viene a contatto con queste sacre specie, bisogna porre sempre la massima attenzione. Nonostante ogni cura, nonostante che le ostie siano preparate in modo che non si frammentino, il Sacerdote sa che alla fine d’ogni celebrazione rimangono sempre dei piccoli pezzi di Eucaristia. Per questo durante la Santa Messa purifica il calice e la patena con scrupolo, alla ricerca dei più piccoli frammenti residui di Eucaristia, conscio che questi sono tutto Cristo. I Sacerdoti, i Diaconi e tutti coloro che sono autorizzati ad accedere al Tabernacolo sono adeguatamente preparati perché mai si possa sottovalutare il significato del Pane e del Vino consacrati. Queste nozioni, fondamentali per ogni cattolico, mi hanno spinto ad avere seri dubbi sulla bontà delle azioni con le quali i neocatecumeni trattano le specie Eucaristiche. Riporto a tal proposito mie personali esperienze, perché possano servire a chi ha competenza.
Il pane - Nelle celebrazioni del Cammino si consacra esclusivamente pane azzimo, preparato dai membri della Comunità. Coloro che hanno quest’incarico sono chiamati "Ostiari". Il pane ha la forma e la grandezza d’una focaccia. Su di esso, devono essere incise una grande Croce (quella di Cristo) attorniata da piccole Croci, rappresentanti le nostre Croci. Oggi capisco come il pane (a differenza delle ostie) si decomponesse molto più lentamente e quindi, dopo la Comunione, rimanesse dentro di noi per molto tempo ancora. Pensando a questo non avremmo dovuto fumare, mangiare… ma tutto ciò non avveniva. Al momento dello spezzare il Pane, si staccavano sempre dei Frammenti che rimanevano sul Corporale (sempre che questo fosse stato posto sulla Mensa). Capitava spesso che qualche Frammento cadesse sulla Mensa o per terra (sui tappeti). Chi riceveva il Pane poneva le mani a forma di croce, con la sinistra sopra la destra, a formare un trono per Cristo Eucaristia. Le porzioni di Pane che erano distribuite avevano dimensioni variabili, a seconda del numero di partecipanti. Poteva capitare di ricevere un pezzo di Pane molto piccolo oppure grande quanto un palmo di mano. I pezzi che rimanevano sulla patena venivano distribuiti ancora fino a che non ne avanzassero. Spesso, al momento di "magiare" il Pane, viste le dimensioni, eravamo costretti a morderlo. Era naturale che così si creassero frammenti, che noi cercavamo di non disperdere.
Mio marito che è Ministro straordinario dell’Eucarestia, aiutava nella distribuzione. Più volte fu costretto a richiamare chi riceveva Gesù, seduto in atteggiamento non consono o, peggio, chi riceveva il Corpo di Cristo masticando una gomma. Questi episodi fanno capire quanta poca coscienza noi avessimo di quello che facevamo. Quando qualcuno cercava di correggere un fratello che riceveva il Pane consacrato con poco rispetto, era ripreso perché dovevamo avere pazienza, specialmente con chi era nel Cammino da poco tempo.
Mentre si aspettava di mangiare il Pane, molti (specie tra i giovani) commentavano o (addirittura) scherzavano con l’Eucarestia sulla mano. Io non potevo fare altro che chiedere silenzio. A volte, mentre col Pane in mano attendevamo di comunicarci, ci si soffermava ad osservarLo, e non erano infrequenti i commenti ironici sull’eccessiva cottura, sulla durezza o sul fatto che fosse ancora crudo.
Come già accennato, mangiavamo il Pane, tutti nello stesso momento. Qualcuno, avendo ricevuto due o addirittura tre pezzi di Pane, si trovava in difficoltà a consumarlo in tempo utile, perché subito dopo passava il Ministro con il Calice. Ricordo come l’Eucarestia veniva mangiata né più né meno come a tavola si mangia un tozzo di pane. Ciò mi faceva terribilmente male! Una volta consumato il sacro Pane, molti, restando seduti spolveravano i pantaloni o le gonne… Con immenso dolore oggi penso alla possibilità che qualche frammento di Eucaristia potesse essere caduto per terra. I tappeti erano puliti di tanto in tanto. Venivano sbattuti o aspirati da qualche fratello disponibile ma, vista l’elevata probabilità che su di essi si trovassero ancora dei frammenti di Pane, che fine avranno fatto? Ripensando al ballo finale attorno alla Mensa, mi chiedo: "Se per terra ci fossero stati dei frammenti Eucaristici, quale significato poteva avere quella danza? Per che cos’era tutta quella gioia? Forse perché si stava calpestando il Cristo?".
Una mia cara sorella (A.Mn.), Ministro Straordinario, dopo una Celebrazione eucaristica, sconcertata, venne a raccontarmi un episodio accadutole qualche momento prima. Un uomo, marito d’una nostra sorella, ma non appartenente al Cammino, aveva messo nella tasca della giacca il Pane eucaristico. Lei vide questo gesto e, appena terminata la funzione, ne parlò al Sacerdote celebrante. Questi le rispose: "Interessati tu…". Lei si avvicinò a quell’uomo e poi disse: "Fratello, dammi il Pane che hai in tasca. Quello è Gesù. Lo mangio io". Lui glieLo diede e lei lo "consumò".
Un’altra sorella (A.Mg.) mi raccontò come poco prima che io uscissi dal Cammino, durante una Celebrazione Eucaristica alla quale partecipavamo insieme, mentre attendevamo di consumare il Pane che era sulle nostre mani, si udì all’esterno della sala un rumore come di incidente automobilistico. Alcuni fratelli, temendo che la loro macchina fosse rimasta coinvolta, si precipitarono fuori a controllare. Uno, nella foga di uscire, mise il Pane consacrato in tasca. Quanta poca rispetto dell’Eucaristia, in qualcuno del Cammino!
Il vino - Dopo il Corpo di Cristo, era il momento del Sangue. Il sacerdote passava per i posti con il calice del Vino consacrato. All’inizio della mia esperienza nel Cammino i Catechisti ci suggerirono che durante la celebrazione, quando era il momento di bere dal calice, bisognava prendere un "bel sorso". Solo oggi riesco a capire quale grosso errore fosse quello! Ripenso a cosa si riduceva il bere la Sacra Specie: quasi all’assunzione di una comune bevanda. Questo mio pensiero è supportato dall’esperienza avuta nella mia Comunità. Pareva che alcuni fratelli e sorelle amanti del vino, ne bevessero diversi sorsi e, a volte, cercassero di mettersi ai primi posti, sperando che il Vino non si esaurisse al primo giro, così da poterne avere ancora. Spesso provavo grossa sofferenza al vedere un povero fratello che, innamorato del vino (inteso come bevanda normale), cercava in modo evidente di averne ancora. Confesso che a volte anch’io speravo che il Sacerdote, o chi per lui, ripassasse col Vino: questo, infatti, era liquoroso e gradevole da bere. Alcuni fratelli, seguendo il consiglio dei Catechisti e dei Sacerdoti del Cammino, bevevano il Sacro Vino a gran sorsate e a volte capitava che ne versassero sul vestito. In un’occasione vidi un fratello che, inavvertitamente, preso il calice, versò un po’ del Sacro Vino per terra. Non ricordo se questo cadde sul tappeto o sul nudo pavimento. Ricordo solo che gli Ostiari andarono ad assorbire il Vino con i purificatoi.
Dopo aver fatto la Comunione, non si faceva la purificazione del Calice e della Patena. Questi erano posati in un angolo della sala e, alla fine della celebrazione, se ne occupavano il Sacerdote, i Ministri straordinari (in quel periodo c’era anche mio marito) o semplicemente un Responsabile incaricato.
Nel Cammino, i segni sono fondamentali. Per questo fare la Comunione doveva essere un’azione fisicamente rilevante. Si doveva sentire il Pane in bocca. Si doveva gustare il Vino. Per questo motivo le "Messe comuni" ci sembravano scialbe: non provavamo niente! Rispetto al nostro Pane azzimo, le Ostie erano inconsistenti. La concretezza fisica d’ogni cosa, ci portava a vedere il Cammino come la vera, unica Chiesa, perché solo lì "provavamo delle emozioni".

TEMPI DELL’ANNO LITURGICO (di Marina)
Mai abbiamo commemorato un Santo o una Santa. Queste Feste e quelle Patronali erano viste come chiaro esempio di "fede naturale e devozionismo".
Mai abbiamo fatto adorazione Eucaristica e ancor meno le "Quarant’ore".
Le processioni non facevano parte della cultura neocatecumenale. Chi cercasse un neocatecumeno a qualche processione Eucaristica, come quella del Corpus Domini, rimarrebbe deluso perché ne troverebbe pochi, e solo quelli che non possono fare a meno di certe abitudini.
Mai ci è stato fatto l’invito a partecipare ad un incontro o manifestazione di carattere diocesano. Soltanto Padre Enrico c’invitava a partecipare alla processione del Corpus Domini ma, in verità (visti gli impegni che avevamo in Comunità) le sue parole rimanevano quasi sempre inascoltate. L’unico momento da vivere intensamente con il Cammino era la settimana santa. Nelle altre occasioni eravamo liberi di partecipare dove credevamo.
Settimana Santa - Il Natale, la Domenica delle Palme… erano momenti da vivere nelle proprie parrocchie. Ma il neocatecumeno vive tutta la propria vita religiosa nella sua Comunità! Naturalmente in quelle domeniche non si andava a Messa, perché la sera prima si era partecipato alla Celebrazione in Comunità.
La processione che precede la Messa della Domenica delle Palme, nelle parrocchie che ospitavano le Comunità neocatecumenali, veniva organizzata in modo che, chi aveva superato la ‘Redditio’, portasse una grossa palma. Questa poi sarebbe stata sistemata sul balcone della propria casa, perché chi la vedeva capisse che in quella casa viveva un cristiano. Chi portava queste palme aveva il privilegio di salire all’altare. Gli altri che portavano ramoscelli d’ulivo non paragonabile a quelle palme rigogliose, seguivano dietro.
Il Giovedì Santo era dedicato esclusivamente alla Lavanda dei piedi. Questa era ben preparata. Si pensava alle Letture e ad ogni particolare. In quell’occasione, il Responsabile (eventualmente preceduto dal Sacerdote) lavava i piedi a tutti i componenti la Comunità, facendo comprendere così d’essere il servo di tutti. Quando questi finiva, tutti eravamo invitati a ripetere lo stesso gesto, lavando i piedi ai fratelli con i quali ci si doveva riconciliare.
Non si celebrava la "Messa in Cena Domini" ma eravamo liberi di partecipare alla Messa nelle parrocchie, ma bisognava farlo prima della Lavanda dei piedi che, vista l’ora in cui si svolgeva, terminava sempre verso le 23.30. Niente e nessuno c’invitava mai a partecipare alla "Celebrazione in Cena Domini", importante evento per tutta la Chiesa.
Padre D.C. mi raccontò come quando era parroco a Massa Annunziato, dovette imporre alle Comunità del Cammino di partecipare alla Messa "in Cena Domini", prima di fare la Lavanda dei piedi. La discussione fu accesa, ma questi non si poterono opporre.
Durante la mia appartenenza al Cammino non ho mai vissuto il Giovedì Santo come gli altri fedeli. Prima della Lavanda dei piedi cercavo disperatamente, per conto mio, una chiesa vicina alla mia Comunità, per far conciliare l’orario di lavoro, quello della Messa e quello della Lavanda dei piedi. Per molti anni non sono riuscita a partecipare alla Messa "in Cena Domini".
Il Venerdì Santo non facevamo il digiuno come gli altri fedeli cristiani.
Infatti si digiunava solo dalla tarda serata, e precisamente dal momento dell’Adorazione della Croce in poi. Ci veniva spiegato che nel Vangelo è scritto che "quando lo Sposo sarà tolto, allora digiuneranno!". In pratica il digiuno veniva spostato al Sabato Santo. La sera del Venerdì si proclamava il Vangelo della Passione e dopo si compiva l’Adorazione della Croce.
Mai si parlava della "Via Crucis" e mai l’abbiamo fatta. Ci venne spiegato che il significato dell’Adorazione della Croce (baciare il Crocifisso), era quello di baciare la nostra Croce, cioè tutto quello che ci faceva male (in particolare le persone che ci avevano fatto soffrire).
Dopo l’adorazione si tornava a casa in silenzio. Questa mesta atmosfera ci dava il senso del lutto e ci faceva pensare che nella Chiesa comune tutto ciò non veniva adeguatamente vissuto.
Il Sabato Santo era il giorno del digiuno e del silenzio. L’astinenza da cibo era molto rigida. Si poteva bere solo qualche succo di frutta o the. Per questo a volte i più deboli si sentivano male e non di rado svenivano. La mattina si preparava il salone per la Veglia. Tutto si addobbava di fiori. Si approntava anche il "Pozzo di Giacobbe". L’Acqua di questo "pozzo" usata per i battesimi e per gli altri riti della Veglia, alla fine era gettata per strada o, peggio, nello scarico delle acque del cortile interno. Era tanta!
Accanto alle sede di chi doveva presiedere, si preparava una sedia che doveva rimanere vuota. Su di essa si posava una rosa. Quella sedia era per l’ "Ospite". Quella notte, infatti, era il "Passaggio dalla morte alla vita" e poteva avvenire il "Ritorno Glorioso di Cristo Risorto".
La notte di Pasqua, in cattedrale, coloro che erano giunti all’ultima tappa detta "Gerusalemme", indicati come "coloro che sono passati per la grande tribolazione", si presentavano davanti al Vescovo in bianche vesti.
Dalla mezza notte iniziava la Veglia che si concludeva alle 7 o alle 7.30 del mattino, ma se vi erano dei Battesimi poteva concludersi anche alle 8.30.
Dopo la Veglia ogni Comunità si riuniva in un’Agape fraterna, organizzata in precedenza. Si andava a casa di un fratello, nei salone della parrocchia o, più frequentemente, si prenotava un ristorante. In quest’Agape (che si svolgeva verso le 9) si consumavano i classici segni della Pasqua ebraica: le erbe amare, l’agnello (al forno, con le patate) le uova sode e, in conclusione, un dolce fatto a forma di mattone per ricordare la schiavitù in Egitto. Non mancavano altre pietanze, quali i tortellini in brodo, insalate e altro. L’importante era che si trattasse di carne e di verdura.
L’agape delle Comunità più anziane era a base di latte, miele e dolciumi per rifarsi alle "delizie della Terra Promessa".
Dopo la giornata di digiuno, dopo una notte in bianco e un pranzo luculliano, si tornava a casa quasi incoscienti, ma orgogliosi di avercela fatta! Mentre gli altri si svegliavano lodando il Risorto e vivendo tutti insieme la gioia della Pasqua, noi staccavamo il telefono per non essere disturbati nel sonno. Attaccata alle mie abitudini, io speravo di riuscire a svegliarmi per poter seguire alla Televisione la benedizione "Urbis et orbis". Nelle Comunità questo appuntamento non aveva alcuna importanza.


GLI ASPETTI ECONOMICI (di Concetto)
Nelle catechesi il denaro era presentato come un idolo. Bisognava trattarlo come spazzatura. Per questo motivo, ogniqualvolta si dovevano raccogliere soldi, si passava per i posti con i sacchi neri, usati per la raccolta dei rifiuti.
Alla prima convivenza di una nuova Comunità, quelle già esistenti si tassavano per comprare i dolci e lo spumante per festeggiare coi nuovi fratelli il loro ingresso nel Cammino. Alla fine della festa, quando era il momento di raccogliere il denaro per pagare le spese, se non si raccoglieva la somma necessaria, dopo i primi giri, anche i presenti delle Comunità più vecchie erano invitati a partecipare alla raccolta. In questo modo i nuovi arrivati rimanevano colpiti profondamente per questa fratellanza e si sentivano come in famiglia.
Durante le Convivenze Regionali o nei Riti di Passaggio, si raccoglievano i soldi per pagare gli alberghi o per lasciare le offerte alle case religiose che ci ospitavano. Si passava col "sacco" mentre venivano intonati i canti del Cammino ed il Catechista invogliava a disprezzare il denaro. Diceva: "Separatevi dai vostri beni e riceverete il centuplo". A volte arrivava ad invogliare a firmare anche degli assegni, specie per chi non aveva liquidi. Qualche volta suggeriva addirittura di lasciarli in bianco. Nessuno era obbligato a mettere soldi, ma l’invito a farlo era pressante e tutti mettevano qualche cosa, chi più e chi meno. Ognuno gettava a pugno chiuso, una somma di denaro od oggetti valore.
Inizialmente, quando ci fu spiegato come sarebbero avvenute le raccolte, ci dicevano che i fratelli più bisognosi avrebbero potuto non "gettare" nel sacco, ma "prendere". Quando poi assistetti per la prima volta ad una raccolta di soldi, mi accorsi che prendere dal sacco era pressoché impossibile. Questo infatti, era molto profondo e prendere soldi da lì sarebbe divenuta un’azione evidente a tutti.
Spesso non si raggiungeva la cifra che si era spesa, e allora si procedeva ad un secondo o ad un terzo giro del "sacco". Quando si raggiungeva la somma necessaria, ci dicevano che era stato per merito di un fratello che si era convertito, versando la notevole somma mancante. In questo modo rimanevamo colpiti e invogliati a "convertirci" anche noi. Dopo ogni giro, in una stanza attigua a quella ove eravamo riuniti, i "Responsabili svuotavano i sacchi. Essendo stato anch’io un "Responsabile", io li ho svuotati più volte e ricordo che era sempre una sorpresa. Da dentro il "sacco" pioveva di tutto: denaro, assegni, (alcuni anche in bianco), oggetti d’oro (anelli, collane, spille, anche con pietre preziose) e, a volte delle schedine del totocalcio (nel Cammino, infatti si insisteva molto sul fatto che chi giocava la schedina non aveva fiducia in Dio e per questo il giocarla era ritento peccato).
Le cifre che si raccoglievano erano notevoli. Nelle Convivenze Regionali di tre giorni, in albergo, eravamo di solito circa 450 persone. La somma da destinare all’albergatore si aggirava (nel 1997) sugli 80 milioni di lire. Si consideri però che queste 450 persone erano solo un terzo del numero complessivo dei partecipanti alla Convivenza Regionale: infatti, gli aventi diritto (catechisti e responsabili di tutta la Sicilia) erano più o meno 1.400. Si raccoglievano anche i soldi destinati ai baby-sitter che, durante le convivenze, accudivano i bambini dei partecipanti.
In queste occasioni si raccoglievano pure i soldi da destinare al sostentamento dei Seminari necatecumenali "Redemptoris Mater" sparsi per il mondo e anche per la costruzione del grande Centro di Accoglienza per le Comunità del Cammino che, giunte alla tappa "Gerusalemme", fanno il consueto pellegrinaggio in Terra Santa. La somma di denaro raccolta per i Seminari e per il Centro in Galilea superava, spesso, quella destinata all’albergatore. Per questi ultimi due scopi si raccoglieva soldi anche nelle Comunità, durante le Convivenze di Riporto. Essendo io Responsabile della mia Comunità, avevo il compito di raccogliere questo denaro e di spedirlo ai responsabili di Roma. Di volta in volta mi era segnalato un nominativo e un conto corrente bancario diverso. Il motivo per cui mi venissero segnalati sempre nominativi e conti bancari diversi, non mi è mai stato chiaro, anche perché, spinto dallo zelo di sostenere il Cammino, pensavo che fosse più opportuno far riferimento sempre ad uno stesso conto. In questa maniera si sarebbe potuto "versare" anche privatamente, nei momenti in cui non erano previste Convivenze e anche persone non appartenenti al Cammino avrebbero potuto fare dei versamenti. Si poteva fare, in pratica, come le grandi associazioni di volontariato o come gli Enti di carità.
Nel rito dell’Iniziazione alla preghiera si faceva l’esorcismo del denaro".
Posto davanti ad una Croce, ogni iniziato gettava in una cesta una busta contenente una notevole somma di denaro. Mentre si compiva questo gesto si doveva pronunciare una frase di rinuncia a satana.
La mia Comunità era tra le più povere, ma so che in altre Comunità molti hanno rinunciato a terreni, ad appartamenti, ad automobili, ecc. Le somme raccolte erano sempre molto grosse. Ci dicevano che questi beni sarebbero andati alla parrocchia ospitante e al Vescovo locale, come offerta per la carità. Chiaramente oltre a questo denaro dovevamo aggiungere quello per le spese vive: albergo, baby-sitter, ecc. Anche in questa occasione, terminato il rito si festeggiava in lussuosi ristoranti (Villa delle Rose ad Aci Trezza, Poggio Ducale, vicino alla parrocchia Madonna di Lourdes e altri del genere). Le spese sostenute per questi banchetti di lusso erano a completo carico della Comunità ma non dei Catechisti. Questi, infatti, svolgevano un servizio e non partecipavano mai alle spese. Non partecipavano nemmeno quando venivano a visitare la Comunità e si univano all’agape che organizzavamo. In quelle occasioni approfittavano per portare anche i propri figli.
Ricordo che alla fine di ogni Convivenza Regionale o di Riporto tornavamo a casa spogliati di ogni bene materiale. Non avevamo una lira in tasca. Spesso siamo tornati da Cefalù o da Bagheria con la sola benzina nel serbatoio. Con dolore penso ai momenti in cui cercavamo di risparmiare in tutto per essere in grado di destinare soldi al Cammino, il più possibile. Speso dicevamo di "no" alle richieste pur legittime dei nostri figli che erano obbligati ad accontentarsi dello stretto necessario. Le scarpe e i vestiti erano usati fino al limite; i divertimenti e le piccole mance che si danno ai ragazzi non facevano parte della politica familiare: quelli erano soldi destinati alla Comunità.
La decima - Tutti coloro che giungevano all’"Iniziazione della Preghiera" (momento in cui il Vescovo ci consegnò i breviari) avevamo il dovere di pagare la "decima". Questa consisteva nel cedere alla propria Comunità almeno la decima parte della paga mensile. I soldi che erano raccolti dovevano servire per aiutare i fratelli meno abbienti. A decidere chi poteva usufruire degli aiuti economici e in quale misura, era il Responsabile della Comunità, secondo la somma raccolta e le richieste. Ricordo come molti fratelli approfittassero volentieri di questi aiuti. Spesso sapevano o capivano che qualcuno chiedeva l’"aiuto" senza averne realmente bisogno e per questo molti non davano volentieri la decima e a volte nascevano forti contrasti. Ricordo che dopo circa un anno dall’Iniziazione alla Preghiera, vennero a visitarci i catechisti per informarsi in merito al nostro Cammino. Il Responsabile fece sapere loro che in occasione delle decime, si raccoglievano pochi soldi. Allora i catechisti ci rimproverarono d’essere ancora troppo attaccati al denaro e ci dissero che per questo la Comunità non riusciva a crescere. Chiesero al Responsabile, il dottor P.Pg., se avesse dato l’esempio, cioè, se almeno lui avesse versato una somma adeguata. Questi rispose che, pur avendo più volte invitato i fratelli a corrispondere e versare la decima, non veniva ascoltato e per questo decise, insieme alla moglie, di destinare la propria decima alle suore di Madre Teresa di Calcutta. A questo punto i Catechisti (e in special modo don P.P.) montarono su tutte le furie. Rimproverarono aspramente la coppia davanti alla Comunità, accusandoli di non amarla e di aver disobbedito ai Catechisti e al Cammino. Il Responsabile non ebbe modo di replicare per l’eccessiva foga dei suoi interlocutori. Questi si accanirono soprattutto con la moglie che tentava di minimizzare e di difendere il marito. Confesso che, guardando il presbitero, mi pareva di vedere il pastore trasformarsi in lupo, tanta era la rabbia che esprimeva, senza preoccuparsi dell’effetto che avrebbe avuto sui presenti. Le urla si sentivano sino alla strada e noi eravamo sconvolti e atterriti. Da quel momento P. Pg. non partecipò più alla vita del Cammino. La moglie partecipò a qualche altro incontro e poi non venne più neanche lei. Oggi, con la serenità di chi è uscito senza alcuna pressione esterna, mi chiedo: "All’inizio di questa esperienza, chi ci aveva avvertito che avremmo dovuto sacrificarci, anche economicamente, senza avere più nemmeno la libertà di scegliere a chi indirizzare la nostra carità?". Mi chiedo, inoltre, se esistano nella Chiesa delle Associazioni o dei Gruppi che usano far pagare ai loro membri una decima?
Lungi da noi l’idea di giudicare o accusare. Il nostro solo desiderio è stato quello testimoniare per far meglio capire quello che gli aderenti al Cammino neocatecumenale vivono e soffrono dentro le Comunità, e perché chi ha autorità possa dare una risposta a tanti dubbi.
Concetto Bonaccorso & Hermine (Marina) Niess

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  1. A proposito, oggi ho potuto constatare con molta tristezza che purtoppo, qui a Roma e non solo, è sparita la pia pratica delle Sante Quarant'ore di Carnevale, celebrate un tempo in quasi tutte le chiese, a partire dalla domenica antecedente il mercoledì delle ceneri fino al martedì sera. Pratica devozionale introdotta per la prima volta a Macerata dai gesuiti verso la metà del '500, per distogliere la popolazione da una rappresentazione carnevalesca considerata scabrosa. La solenne adorazione ebbe successo e così da lì tale pratica si diffuse in tutta Italia e non solo, come riparazione per gi straveri del carnevale. Una sorta di carnevale sacro. Molti sono inoltre i disegni per le cosiddette macchine delle Quarant'ore, firmati anche da artisti come Gianlorenzo Bernini e Pietro da Cortona. Ma a quanto pare secondo lo spirito del concilio Gesù non ha più bisogno di essere adorato nel SS. Sacramento. La chiesa sta proprio toccando il fondo. Andrea

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  2. La testimonianza mi ha colpito per una frase iniziale "da tempo volevo un'esperienza religiosa che mi mettesse in comunione con le altre persone".

    Scusate ma l'esperienza religiosa ha per fine mettere in COMUNIONE CON DIO. Tutto il resto è a seguire e non è neppure importantissimo, se si considera l'esperienza eremitica.

    Questo punto di partenza puramente antropocentrico è stato il primo gradino dell'errore che ha inevitabilmente portato a quella peste di errori che è il NC.

    Paradosi

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    1. E' vero l'ho notata anch'io, c'è di più, anche negli altri movimenti ad esempio il rns (che ho frequentato) si parla sempre di eseperienza religiosa con una concezione sempre antropocentrica e soggettiva mai conoscitive ed oggettiva.
      Torniamo a bomba c'è una esperienza religiosa "ortodossa" che riguarda la mistica o "terza via dei perfetti e quella eterodossa modernista protestantica di cui invece stiamo parlando.
      CVCRCI

      PS: la prima parte sulla conoscibilità io l'avrei scritta.(chiaramente breve)

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  3. Quante anime ingannate...il nemico di Dio non lotta contro la Verità con menzogna aperta, ma con ciò che è verosimile.
    Patrizia

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  4. Stefano ti do pienamente ragione.
    Ho un conoscente che ha frequentato tutti i gruppi cristiani possibili per "sentire" dove si trovava meglio, per fare, sue parole "esperienza religiosa"...
    Ma la religione di Cristo non è un esperienza, non è un qualcosa che dobbiamo provare, "testare" a pelle per poi dare il nostro giudizio personale...non ne siamo nella posizione!
    La religione cattolica è un obbligo, un dovere, Dio ha parlato, ha rivelato, la Sua Parola è infallibile. Lo si segue per Autorità...
    La Verità è Verità...non ne devo fare esperienza, la devo accettare prontamente senza se ne ma...
    Io le esperienze religiose le lascio ai mediugoriani che vanno per "sentire, provare, giudicare" e agli altri modernisti in generale arrovellati dietro al loro inconscio malsano e traballante...

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    1. Vero e ti diro di più un giorno i genitori di un mio amico che frequentavano il gruppo carismatico "amici di Gesù" il cui profeta è un certo Marco Cicoletti a Narni (Tr)una volta vennero nel nostro gruppo in "prova" del rns, però mi dissero che non sarebbero più venuti perchè non sentivano, parole loro, o' pizzichetto, in effetti nel nostro gruppo non si facevano cose eclatanti, cioè non susicitava in loro emozioni.
      CVCRCI

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    2. In una parola sola questo è...modernismo. Ci hanno trasformati in eretici inconsapevoli...

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    3. Ghergon qui avrei qualcosa da dire perché sei troppo impreciso. E' molto importante e quindi spero lo potrai leggere.

      ESPERIENZA CRISTIANA è una parolona grossa che può voler dire molte cose, è come una scatola dentro la quale uno ci può mettere di tutto. Di suo una scatola non è una cosa negativa, è una cosa neutra, direi.

      ESPERIENZA CRISTIANA TRADIZIONALE è quel genere di vita che santi, mistici, monaci, umili cristiani fanno della Grazia di Dio. Esperienza e Grazia sono due cose che si richiamano: la seconda genera nel suo impatto la prima. Per questo il salmista dice: Redde mihi laetitiam salutaris tuis, rendimi la gioia di essere salvato. Sì perché la Grazia di Dio è gioia nel Signore, per quanto non sempre Dio lo manifesti così.

      Ma il centro di tutto, lo dicono mistici santi provati, non è chiedere di "sentire" o "vedere" cose particolari, per quanto Dio le possa dispensare nella sua misericordia. Il centro di tutto è vivere umili nascosti in Dio il quale poi fa grazia ai piccoli e li conforta con la sua presenza. Questa è l'esperienza cristiana intesa in senso tradizionale.

      ESPERIENZA "CRISTIANA" MODERNISTA.
      Qui, in realtà, si abusa del termine per sostituire la Grazia con le sensazioni puramente umane. Siamo sempre lì: il centro diviene l'uomo chiuso in se stesso, per di più! Per un modernista, l'esperienza cristiana è, allora, una sensazione emotiva, qualcosa di emozionale, un avvenimento eccezionale, ecc. Ecco perché il Cammino neocatecumenale fa molto leva sulle emozioni, si compone di fanatismi per eccitare i presenti. Ecco perché il movimento dei Focolarini è così pieno di "affetto" e di "bombardamenti di affetto". Ecco perché il movimento di CL ha questo senso intenso dell'appartenenza al gruppo!! Siamo sempre lì: si tratta di dare sensazioni puramente umane con l'etichetta di "esperienza cristiana". Ma queste sensazioni funzionano come una droga che lega il singolo ai suoi distributori.

      Stiamo dunque attenti a non confondere l'autentica esperienza cristiana - che è la vita in Cristo - con l'abbondante e orrendo minestrone di sensazionalismi della Chiesa "cattolica" modernista.

      Paradosi

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  5. Augusto Faustini
    LA TELA DEL RAGNO
    Plagio psicologico della Sètta Cattolica detta:
    "CAMMINO NEO CATECUMENALE"


    www.amiciziacristiana.it/lateladelragno.pdf

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  6. Ho letto solo un pezzo di questa testimonianza. Ma è stato sufficiente. Semplicemente agghiacciante...
    Albino

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  7. Un fuoriuscito autorevole.
    Daniel Lifschitz, ha fatto parte del movimento per molti anni, sino a diventare itinerante e a finire il cammino. Una volta uscito, Lifschitz ha scritto due libri (Dio sceglie l'immondizia. Storia di un ebreo cattolico e L'immondizia ama Dio. Storia di un cattolico ebreo) in cui critica pesantemente il Cammino I libri di Lifschitz sono diventati un vero caso nel Cammino, tanto da indurre Kiko Arguello a definire l'ex adepto Un demonio che distruggerà tutto mentre Carmen Hernandez ha esplicitamente vietato la lettura dei suoi libri:

    http://www.dlifschitz.com/libri.html

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  8. è particolare vedere come le cose possono essere viste in modo distorto .... un annuncio, un invito vengono visti come un ordine o come una costrizione ... temo che dipenda però dala persona non dal cammino di fede in se per se... esempio: se i catechisti ti dicono che sarebbe cosa buona far provare quest'esperienza anche ai tuoi figli e tu poi trasformi l'esortazione in ossessione il problema credo sia del genitore

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  9. ho avuto anch'io un esperienza del cammino neocatecumenale ma ero troppo "ribelle": facevo delle domande sulla religione essendo a digiuno sulll'argomento che a volte lasciavano i catechisti sgomenti e e altre varie situazioni che poi alla fine mi convinsero che i cosiddetti catechisti volevano entrare nella tua vita e nella tua mente a loro piacimento. bene quando dopo un ennessimo episodio (dovevo preparare la parola per la convivenza mensile essendo un membro del gruppo di preparazione) ho chiesto di poter spostare la data per motivi familiari gravi
    mi hanno risposto che non potevo assolutamente farlo mi sono rifiutata e da allora non sono piu' andata in comunita' be' da quel momento in poi tutti mi hanno tolto il saluto quando mi vedono per strada si girano dall'altra parte da premettere anche i miei vecchi amici che frequentavo prima che entrassimo insieme in comunita'. Alla faccia dell'amore fraterno cristinao
    p.s. una volta durante una convivenza uno dei fratelli mi chiese dopo aver fatto un certo discorso
    sul fatto che tutti i cristiani si chiamino fratelli: "ma anche quelli che non fanno parte della comunita'?????"

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  10. Ah quant'era bello il Cammino Neocatecumenale quando era frequentato solo da gente che veramente avevano "la Chiamata", adesso più mi guardo intorno e più vedo che vanno cercando di mettere dentro chiunque, l'hanno preso per un percorso formativo per i cristiani, quando il CN nasce esclusivamente come riscoperta della fede per i LONTANI, sapete chi sono i lontani? Chi non va in chiesa da una vita, a chi non frega niente e non sopporta i preti, chi si annoia a pregare, chi ha una fede fragile, per tutti voialtri benpensanti clericali c'è la strada della chiesa classica, percorrete quella e non state a rompere le scatole ai LONTANI, che hanno bisogno di esperienze diverse.
    In errore siete voi che entrate in un cammino che non è adatto per voi, che DIO non ha pensato per voi e poi vi trovate male e spalate merda sul cammino.

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