domenica 23 novembre 2014
“I vescovi consacrati in questo nuovo rito non possiedono il potere sacramentale dei veri vescovi, ed essi non possono consacrare validamente altri vescovi, né ordinare veri preti”.
Nel precedente articolo:
si era ribadito chiaramente che le nuove Ordinazioni Episcopali Conciliari sono invalide inquanto gli assassini della fede hanno cambiato la “forma” e la “materia” dell’ordinazione. Ora per continuare ad informare i fedeli Cattolici Tradizionali e fedeli non cattolici facenti parte della falsa Chiesa Conciliare proponiamo uno studio dettagliato del Reverendo don Cekada che contribuisce a chiarire ancor di più il gravissimo problema delle nuove ordinazioni episcopali. Ringraziamo per la Traduzione il nostro carissimo fratello nella fede cattolica Viero Romano…
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Ti saluto Gianluca, ecco il lavoro di don Cekada tradotto: il tema è straordinariamente importante poiché l'invalidità delle ordinazioni episcopali moderniste mostra con chiarezza quattro punti (secondo il mio modestissimo giudizio):
A) l'estrema (diabolica) radicalità e profondità dell'attacco eretico modernista/massonico che mirando, evidentemente, a snaturare la S. Chiesa, manipola, per così dire, il suo meccanismo genetico riproduttivo, cioè il santo rito di ordinazione per il conferimento dell'Episcopato: affinché non siano " prodotti " successori degli Apostoli ma "capi" mondani, sotto la diretta influenza del mondo e del suo principe.
B) La chiesa massonico/ ecumenista non è la Chiesa Cattolica; non solo dal punto di vista della S.Fede avendo essa abbracciato manifestatamente l'eresia, ma anche dal punto di vista giuridico, non essendovi più rispetto ad essa nessuna successione apostolica valida ( la "pipeline" è interrotta dal 1968). Questo sconvolgente fatto storico, a cui certamente il Signore non è estraneo, contribuisce ad individuare, anche con il dato giuridico, la VERA CHIESA CATTOLICA che è tutte quelle comunità e persone che possono godere , per grazia di Dio, della vera Fede Cattolica, di vero Sacerdozio cattolico e di veri Sacramenti. Cosicché questa Realtà distrugge qualsiasi (Ipo)Tesi filosofica(sofista) lasciando in piedi solo la vera dottrina cattolica, costituita dal Magistero Universale Ordinario e Straordinario Infallibile della S. Chiesa e la conseguente sana teologia.
C) Indietro non si torna, andiamo verso il Signore ! , non è questa una crisi come altre del passato, in cui a un certo punto finisce la crisi e si torna come prima: il malvagio progredirà di male in peggio (quanto è peggiorata la realtà dal momento in cui don Cekada ha scritto questo elaborato ?): accecato andrà incontro all'ultimo giudizio. I laici che hanno usurpato, con un sacrilegio, una dignità istituita da Cristo per il suo gregge, sono già condannati al fuoco. Data la situazione i credenti, il Piccolo Gregge (la Santa Chiesa) dovrebbero fuggire da costoro e unirsi con i propri vescovi e preti per salvare quante più anime sia possibile, svolgendo il compito che Cristo ci ha affidato.
D) La Grande Apostasia (di cui la distruzione modernista dei Santi Ordini è il segreto sigillo) è un grande inequivoco segno dell'Apocalisse incombente di Nostro Signore Gesù: colui che tratteneva è stato tolto: l'uomo d'iniquità può manifestarsi.
Spero, caro Gianluca, che farai buon uso di questo testo prezioso e ancora, malgrado siano già passati anni, poco conosciuto. Padre Cekada, nel frattempo, ha scritto un altro testo per rispondere a ulteriori obiezioni. Spero di tradurre quanto prima anche quello e di inviartelo. Come vedi don Cekada sotto la firma finale ha ricordato Mgr. Lefebvre. Questo nel 2006. Ma anche oggi troppi cattolici, mi sembra, si riferiscono a Mgr. Lefebvre in modo troppo acritico. Per quel che ne so è pur vero che il Mgr. ha espresso diversi punti di vista molto contradditori sulla realtà dell'eresia modernista: dai più falsi ai più veri: purtroppo sono rimasti tutti insieme, i falsi e i veri, nella sua eredità spirituale. La risultante è forse zero ? La Verità è assoluta chiarezza e credo, Gianluca, che è di questo che hanno bisogno, oggi, i cattolici di tutto il mondo. Verità prima di tutto. Cioè chiarezza. In Cristo.
Per la Santa Chiesa Cattolica con Cristo e mediante la intercessione e protezione di Maria SS !
Viero
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" Assolutamente non valido e interamente inutile"
il rito della consacrazione episcopale del 1968
-Rev.Anthony Cekada
Negli anni 1960 dei cattolici turbati dai cambiamenti liturgici che seguirono Vaticano II avevano già cominciato ad agitarsi per sapere se i sacramenti conferiti nei riti riformati erano veramente validi.
Negli Stati Uniti, l'anno 1967 costituì a questo riguardo un momento forte, allorquando Patrick Henry Omlor pubblicò la prima edizione del suo studio," messa in dubbio della validità delle messe dette secondo il canone in lingua inglese", opera che, anche prima della promulgazione del Novus Ordo del 1969, aveva galvanizzato la resistenza cattolica, allora ancora minuscola.
Quando i " riformatori" modernisti rimaneggiarono gli altri Riti sacramentali - la Confermazione, la Penitenza e l'Estrema Unzione - i tradizionalisti misero ugualmente in questione la validità di questi sacramenti, facendo appello ai preti che dicevano la Messa tradizionale e che praticavano i Riti tradizionali dei Sacramenti.
Non ci fu che il Sacramento dei Santi Ordini rispetto al quale i tradizionalisti non sembrarono inquietarsi troppo. Certo, non c'erano affatto vocazioni. Ma per quanto poco numerosi fossero i laici che avevano assistito a una Ordinazione, e meno numerosi ancora quelli che sapevano ciò che assicura la validità di una ordinazione, il fatto di sapere come, o se effettivamente, i cambiamenti liturgici avessero compromesso la validità dei Santi Ordini, era un soggetto rimasto fuori dall'esame. Fu per caso (nel 1975-1976) nel corso del mio primo anno passato nel seminario della fraternità San Pio X a Econe in Svizzera, che io mi imbattei in questo problema.
Andai a domandare a Mgr. Lefebvre se degli amici conservatori del seminario dove io mi trovavo prima, avrebbero potuto collaborare con la fraternità una volta ordinati preti. Egli mi rispose che, sì, per principio, ma che essi avrebbero dovuto dapprima essere riordinati sotto condizione, poiché Paolo VI aveva cambiato il rito del sacramento dei Santi Ordini.
Monsignor Lefebvre spiegava che la nuova forma (la forma essenziale) del rito dell'ordinazione sacerdotale era dubbiosa a causa di una sola parola che era stata soppressa. E monsignore continuava: per ciò che riguardava la nuova forma della consacrazione episcopale, essa era completamente differente e dunque invalida.
Malgrado la gravità del problema, solo un piccolo numero di autori tradizionalisti analizzarono i riti di ordinazione post conciliari (1), anche se le messe San Pio V sotto indulto cominciavano a moltiplicarsi. E per di più queste messe erano celebrate da preti ordinati da vescovi consacrati con il nuovo rito, facenti parte di gruppi quali la Fraternità di S. Pietro. In effetti se i vescovi che avevano ordinato questi preti, erano stati invalidamente consacrati, i sacramenti amministrati da questi preti sarebbero stati a loro volta invalidi.
Dopo l'elezione di Benedetto XVI nel 2005 però, il problema si riaffacciò. Joseph cardinal Ratzinger, nominato arcivescovo e cardinale da Paolo VI, era stato in effetti consacrato con il nuovo rito il 25 maggio 1977. Egli era almeno, a parte la controversia sedevacantista, un vero vescovo?
Nel corso dell'estate 2005 un editore tradizionalista francese, le edizioni Saint Remi, pubblicò il primo volume di Rore Sanctifica (2) un libro-dossier completo di documentazione e commentari, sul rito della consacrazione episcopale promulgato da Paolo VI. Lo studio che presenta fianco a fianco nella sua pagina di copertina, le foto di Ratzinger e di Mgr. B. Fellay, superiore generale della FSSPX, concludeva per l'invalidità del nuovo rito.
1) il solo studio largamente diffuso nel mondo anglofono che io conosca, è quello di R. Coomaraswamy "il rito posta conciliari dei santi ordini", in Studies in Comparative Religion, 16.2-2. 2) Rore Sanctifica : "invalidità del rito di consacrazione episcopale Pontificalis Romani", ( Edition Saint-Rémy, 2 agosto 2005).www.rore-sanctifica.org
Questo libro attirò naturalmente l'attenzione dei superiori della FSSPX in Europa, impegnati allora in incontri con Benedetto XVI al fine di ottenere uno statuto speciale per la fraternità nella chiesa del Vaticano II. Come avrebbero potuto i superiori della FSSPX ricongiungere i tradizionalisti a un papa che avrebbe potuto essere neppure vescovo?
I domenicani d’Avrillé, Francia, un ordine religioso tradizionalista, nella sfera d'influenza della FSSPX, assunsero immediatamente il compito di tentare di produrre prove che dimostrassero in maniera convincente la validità del nuovo rito. Detto fatto! F. Pierre –Marie OP, pubblicò nel novembre 2005 un lungo articolo in favore di questa validità nel " Sel de la terre"(3), la rivista trimestrale di questi domenicani.
Thilo Stopka, vecchio seminarista della FSSPX in Europa, contestò le conclusioni del fr. Pierre- Marie e pubblicò a sua volta su Internet una gran parte di una ricerca approfondita per confutarli.
Nel frattempo The Angelus, pubblicazione ufficiale della FSSPX negli Stati Uniti, tradusse subito l'articolo di fr. Pierre-Marie in inglese, e lo pubblicò su due numeri successivi (dicembre 2005, gennaio 2006) sotto il titolo: "i motivi per cui il nuovo rito della consacrazione episcopale è valido ".
Io trovo ironico e particolarmente triste che un tale articolo sia potuto comparire su The Angelus. Nell'agosto 1977 avevo in effetti reso visita a un tradizionalista autentico nel Michigan del Nord, di nome Bill Hanna. Egli mi fece parte di una frase spesso pronunciata dal padre Carl
2) Sel de la Terre, n°54 (autunno 2005), 72-129. Che Pulvermacher, un cappuccino che collaborava con la FSSPX e che più tardi sarebbe stato il redattore capo di The Angelus: "una volta che non ci saranno più preti validamente ordinati, essi daranno il permesso di celebrare la messa latina".
Padre Carl, a quanto sembra, fu quasi profeta.
Nell'articolo pubblicato in The Angelus fr. Pierre-Marie avanzava l'argomento secondo il quale il rito della consacrazione episcopale di Paolo VI sarebbe stato valido poiché si serviva di preghiere di consacrazione episcopale che erano virtualmente le stesse di quelle che erano (a) state in uso nei riti orientali della chiesa cattolica, o (b) che sarebbero state in uso nella Chiesa antica.
Occorre notare che Paolo VI aveva avanzato le due stesse pretese allorquando aveva promulgato il nuovo rito della consacrazione episcopale nel 1968; ora, queste due pretese sono false; è dimostrabile.
È tremendo constatare che i superiori della FSSPX abbiano riciclato queste falsità al fine di vendere la validità di questo stesso rito ai laici tradizionalisti che non possono immaginare questo problema.
Al fine di stabilire questa argomentazione il p. Pierre -Marie presenta diverse tabelle che confrontano differenti testi latini. Le discuteremo in appendice.
La maggior parte dei lettori, come per il resto di questo articolo, ne saranno probabilmente assolutamente sconcertati. In effetti, benché il p. Pierre-Marie abbia annunciato la sua intenzione" di procedere secondo il metodo scolastico al fine di trattare il soggetto in maniera tanto rigorosa che possibile", mai giunge a centrarsi chiaramente sulle due questioni principali:
(1) quali sono i principi che la teologia cattolica applica al fine di determinare se una forma sacramentale è valida o invalida?
(2) come questi principi possono essere applicati al nuovo rito di consacrazione episcopale?
Noi risponderemo in questo scritto a queste due questioni, e noi tireremo le conclusioni appropriate. La nostra discussione potrà essere talvolta un poco tecnica - è per questo motivo che ne ho fornito un riassunto (parte 11ª) al quale il lettore potrà rapportarsi se vi sarà troppa perplessità riguardo a copti, maroniti, " tradizione di Ippolito" o al misterioso" spirito che fa i capi".
1) principi da applicare
in primo luogo, per i lettori laici, noi ricorderemo qualche principio applicato al fine di determinare se una forma sacramentale è valida.
Tali concetti non sono complicati.
(A) che cos'è la forma sacramentale?
Tutti noi abbiamo appreso al catechismo la definizione di sacramento:" un segno sensibile, istituito dal Cristo al fine di dare una grazia".
Il "segno sensibile" per definizione rinvia a ciò che noi vediamo e sentiamo durante la somministrazione del sacramento - il prete versa l'acqua sulla testa del neonato e pronuncia la formula" io ti battezzo etc…".
La teologia cattolica insegna che in ciascun sacramento questo segno sensibile comporta due elementi uniti simultaneamente l'uno all'altro:
La materia: una cosa o un'azione che i nostri sensi possono percepire (versare l'acqua, il pane il vino,etc),
la forma: le parole che sono recitate nel medesimo tempo e che producono allora l'effetto sacramentale (io ti battezzo… Questo è il mio corpo…etc)
ogni rito sacramentale, qual che sia il numero delle altre preghiere cerimonie che la chiesa ha prescritte a suo proposito, contiene almeno una frase che, le definizioni sia dei teologi sia del magistero della Chiesa, hanno definito come sua " forma sacramentale essenziale".
(B) omissione della forma
ogni cattolico sa a memoria e parola per parola almeno una forma sacramentale essenziale: "io ti battezzo, nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo".
Se nel corso di un battesimo, il prete dice tutte le altre preghiere e compie tutte le altre cerimonie, ma omette questa sola forma essenziale al momento in cui versa l'acqua, il sacramento è invalido (egli non "funziona"), la Grazia promessa da Cristo non è conferita e il bambino non è battezzato.
Tutto questo dovrebbe essere evidente.
(C) cambiamenti nella forma
si pone un'altra questione: cosa accade se le parole della forma sacramentale sono cambiate? In che cosa la validità ne è inficiata?
La risposta dipende dal sapere se ne è risultato un cambiamento di significato. I teologi distinguono due tipi di cambiamento.
(a) cambiamento sostanziale. (Il significato è cambiato= invalido)
è ciò che succede quando il significato della forma stessa è corrotto… Così che le parole prendano un significato differente dall'intenzione della Chiesa" (4) . Ciò si può esprimere anche così: quando la forma" è cambiata in maniera tale che il significato non esprime più completamente né convenientemente l'intenzione prevista o voluta dal Cristo" (5).
Un cambiamento sostanziale in una forma sacramentale ha luogo quando le parole sono aggiunte, omesse, alterate, trasposte o scambiate, oppure quando esse sono interrotte in maniera tale che la forma non conservi più lo stesso senso (6)
flash eccone due esempi:
Alterazione di parole: un prete modernista dice: io ti battezzo nel nome della Madre e del Figlio…". Egli ha introdotto una nuova parola che cambia il significato di uno degli elementi essenziali della forma-Padre. Questo battesimo è invalido (7).
Omissione di parole: un giovane prete nel suo nervosismo, non avendo memorizzato la forma, dice: "io battezzo nel nome del Padre, e del Figlio... “ Omettendo la parola "Ti”. O ancora, egli dice il pronome “ti”, ma egli omette il verbo " battezzo". Siccome la forma sacramentale deve esprimere con certezza chi è l'oggetto della recezione del sacramento quanto l'azione sacramentale stessa, l'omissione de" ti" o del "battezzo" cambia il significato rende la forma invalida (8)
4) H. Merkelbach, Summa Theologiae Moralis, ottava edizione, ( Montreal Desclée, 1949) 3:20. Quando ipse sensus forma currumpitur…habeat sensum diversum a sensu intentoab Ecclesia. 5) M.Coronata , De Sacramentis (Torino,Marietti 1953) 1:13. Modificatur ita ut sensus a Christo intentus seu volitus non amplius per ipsam complete et congruenter exprimatur. 6) F. Cappello, De Sacramentis, (Roma, Marietti 1251) 1:15. 7) F. Cappello, De Sacramentis, (Roma, Marietti, 1951) 1:15. Forma irrita est si nova vox ex corruptione in sustantialibus inducantur. 8) F. Cappello, De Sacramentis, (Roma, Marietti, 1951) 1:15. Detractione forma irritatur , si tollantur verba exprimantia actionem sacramentalem aut subjectum.
(b) Cambiamento accidentale. (Il significato è lo stesso= la forma è ancora valida).
È un cambiamento che non altera il significato sostanziale.
Per esempio: in luogo di dire" io ti battezzo…". Il prete dice," io ti purifico nel nome del padre,...". Siccome egli ha semplicemente sostituito un sinonimo esatto a una delle parole della forma (" battezzare" è una parola greca che significa" purificare"), il suo significato resta lo stesso. Allora il cambiamento non è che accidentale. Il battesimo è dunque valido(9).
Questa distinzione tra cambiamento sostanziale accidentale fornirà il concetto cruciale per l'esame della validità della forma della consacrazione episcopale del 1968. Se la nuova forma costituisce un cambiamento sostanziale del significato, essa è invalida.
(D) uso della forma di un rito orientale
Le forme in uso nei riti orientali della chiesa cattolica per la somministrazione di sacramenti talvolta differiscono considerevolmente nella loro espressione da quelle da quelle che sono in uso nel rito latino. Ma i significati sostanziali restano sempre identici.
9) E. Regatillo, Ius Sacramentarium, (Santander,Sal Terrae, 1949), 8. Transmutatione, adibiti verbis synonimissi sint omnino synonima et usu communi recepta, forma valet.
Per esempio: per il battesimo, il rito ucraino si serve della forma seguente:" il servitore di Dio n. è battezzato nel nome del padre del figlio e dello spirito Santo. Così sia"(10).
Questa formulazione preserva tutti concetti che, secondo i teologi, devono trovarsi nella forma valida del battesimo: il ministro (almeno implicitamente), l'azione di battezzare, il nuovo membro, l'unità dell'essenza divina, e la trinità delle persone sotto il loro nome distinto(11).
Nel caso sottomesso al Papa da un gruppo orientale scismatico, la Chiesa ha esaminato inoltre le preghiere le cerimonie dei loro riti sacramentale per assicurarsi che fossero libere da errori dottrinali e che possedessero veramente tutti gli elementi necessari per assicurare la somministrazione di veri sacramenti.
Cosicché, nel caso in cui un vescovo o un prete amministrasse non sacramento servendosi di una forma sacramentale identica a una forma sacramentale che si trovi in un rituale di rito orientale dovutamente approvato, si avrebbe la certezza della validità del sacramento. Questo principio figurerà anche nella nostra discussione, dato che il fr. Pierre-Marie fonda l'essenziale della sua argomentazione in favore della validità del nuovo rito su degli elementi che sono supposti comuni sia alla consacrazione episcopale del rito degli orientale sia alla nuova forma di Paolo VI.
Questa la medesima pretesa avanzata dal reverendo Franz Schmidberger
10) citato da Cappello: 1:777.
11) vedere Merkelbach, 3:127.
- che determinò Mgr. Lefebvre ad abbandonare la sua posizione iniziale secondo cui affermava che il nuovo rito della consacrazione episcopale era invalido (12).
(E) condizioni richieste per una Forma dei Santi Ordini
quali sono gli elementi specifici sui quali noi porteremo la nostra attenzione ciò che concerne il nuovo rito della consacrazione episcopale? Cosa devono esprimere le parole della forma per conferire i santi ordini?
Nella sua costituzione apostolica" Sacramentum Ordinis" Pio XII ne ha enunciato il principio generale dichiarando che, per i Santi Ordini, queste parole debbono" significare in maniera univoca i loro effetti sacramentali-cioè il Potere dell'ordine e la Grazia dello Spirito Santo" (13).
Notiamo i due elementi che le parole di questa forma devono esprimere in modo univoco (cioè in maniera non ambigua): l'ordine specifico che è conferito (il diaconato, il sacerdozio o l'episcopato), e la Grazia dello Spirito Santo.
Allora dobbiamo di conseguenza assicurarci che questa nuova forma sia effettivamente" univoca" nell'esprimere questi due effetti.
12) Mgr. Il vescovo Donald Sanborn riporta ciò che segue: conversando all'inizio dell'anno 1983 con l'arcivescovo Marcel Lefebvre e il rev. fr. Schmidberger riguardo ai negoziati che avevano luogo allora fra la Fraternità e il Vaticano, Mgr. Sanborn domandava come la fraternità avrebbe potuto accettare qualsiasi soluzione, visto che l'arcivescovo che aveva detto molte volte che considerava invalido il nuovo rito di consacrazione episcopale. L'arcivescovo replicò: "apparentemente, sarebbe valido", poi fece un gesto invitando il rev. Schmidberger a esprimersi, il quale disse allora "è un rito orientale".
13) costituzione apostolica Sacramentum Ordinis (30 novembre 1947), DZ 2301. 4. Quibus univoce significantur effectus sacramentales –scilicet potestas Ordinis et gratia Spiritus Sancti.
(F) in particolare la consacrazione episcopale
in questo stesso documento, dopo aver enunciato un principio generale, Pio XII dichiara allora che le parole seguenti, che si trovano nel prefazio consacratorio del rito della consacrazione episcopale, costituiscono “la forma sacramentale essenziale” per conferire l'episcopato:" Completate nel vostro prete la pienezza del Vostro ministero, e, ornato dal rivestimento di ogni gloria, santificatelo con la rugiada dell'unzione celeste"(14).
Questa forma significa in modo univoco i due effetti del sacramento:
(a)" la pienezza del Vostro ministero"," il rivestimento di ogni gloria" = il Potere dell'Ordine dell'episcopato.
(b)" la rugiada dell'unzione celeste"= la grazia dello Spirito Santo
La questione è di sapere se la nuova forma fa lo stesso.
2) origine del nuovo rito
nel 1964 Paolo VI affidò l'attuazione dei cambiamenti liturgici prescritti dal Vaticano II ha un nuovo organo del Vaticano conosciuto sotto il nome di "Consilium". Questa organizzazione era composta da diverse centinaia di chierici, ripartiti secondo i loro campi di competenza in 39 "gruppi di studio". Il segretario del Consilium , suo vero capo, era il reverendo Annibale Bugnini, un liturgista modernista reputato essere fra massone, che aveva redatto la "costituzione sulla santa liturgia" al concilio.
14) Costituzione Apostolica, Sacramentum Ordinis, (30 novembre 1947), DZ 2301. 5. Comple in sacerdote tuo ministerii tui summam, et ornamentis totius glorificationis instructum coelestis ungenti rore santifica.
Il gruppo di studio n° 20 aveva per compito di "riformare" i riti dei Santi Ordini. Era suo capo il monaco benedettino Dom Bernard Botte (1893-1980), uno specialista di lingue liturgiche orientali e anche lui liturgista modernista.
La sua produzione accademica più conosciuta era la pubblicazione di una nuova edizione scientifica della "la tradizione apostolica di sant’ Ippolito", una compilazione di antichi testi liturgici cristiani e (15). Uno di questi testi diventerà la "preghiera eucaristica II" della nuova messa,-tuttavia amputata delle referenze del testo originale al diavolo, all'inferno, alla salvezza soltanto per coloro che aderiscono alla vera Fede, e al prete che offre il sacrificio.
Dom Botte rugose che un altro testo di questa medesima compilazione fosse introdotto nel rito della consacrazione episcopale al fine di rimpiazzare il tradizionale Prefazio consacratorio. Egli pretendeva che l'antico Prefazio soffrisse di una "contenuto dottrinalmente povero", che esso fosse "quasi esclusivamente centrato sul ruolo liturgico del vescovo", che costituisse una "formula ibrida, male equilibrata" (16). Occorreva dunque qualcosa che esprimesse meglio la teologia del Vaticano II.
Dom Botte affermava che la preghiera di Ippolito per la consacrazione episcopale era sopravvissuta in delle versioni "più sviluppate" nei riti orientali dei siriani e dei copti. La sua utilizzazione nel rito romano, aggiungeva "avrebbe dunque affermato un'unità di concezioni tra l'oriente e l'Occidente sull'episcopato"-c'è da dire che gli scismatici orientali, che utilizzavano anch'essi questi riti, se ne rallegra. "Quello era un argomento ecumenico. Fu decisivo" (17).
15)La tradizione apostolica di sant'Ippolito, tentativo di ricostituzione, seconda edizione ( Munster: Aschendorff 1963). 16) B.Botte, L’ ordinazione del vescovo , Maison-Dieu 97 (1969), 119-20.
Così il testo di Botte, quasi copiato parola per parola dalla sua opera del 1963, divenne il nuovo prefazio della consacrazione episcopale, quando Paolo VI lo promulgò nel 1968 (18).
3) La forma di Paolo VI
Paolo VI ha designato il passaggio seguente del prefazio come la nuova forma della consacrazione di un vescovo:
"e ora infondi su quello che tu hai scelto questa forza che viene da te, lo Spirito che fa i capi, che tu hai dato al tuo Figlio beneamato, Gesù Cristo, che lui stesso ha dato ai suoi santi Apostoli, che stabilirono la Chiesa in ciascun luogo come tuo santuario, alla gloria incessante e alla lode del tuo Nome" (19).
La controversia sulla questione della validità del nuovo rito della consacrazione episcopale verte su questo passaggio.
A prima vista sembra che si sia fatta menzione veramente dello Spirito Santo. Tuttavia,, non risulta che il potere dell'ordine sacro conferito sia specificato - cioè, la pienezza del sacerdozio che costituisce l'episcopato - la qual cosa è invece chiaramente espressa nella forma tradizionale.
17) B. Botte, From Silence to participation: an insider’s View of Liturgical Renewal (Washington: Pastoral 1988), 135. 18) costituzione apostolica Pontificalis Romani (18 giugno 1968), ASS 30 (1968), 369-73. 19) trascrizione dell’ICEL. Et nunc effunde super hunc electum eam virtutem, quae a te est , Spiritum principalem quem dedisti dilecto filio Tuo Jesu Christo, quem ipse donavit sanctis Apostolis, qui constituerunt Ecclesiam per singula loca, ut sanctuarium tuum, in gloriam et laudem indeficientem nominis tui.
A partire da ciò, la nuova forma è idonea a conferire l'episcopato ?
Al fine di rispondere a questa domanda applicheremo i principi esposti nella prima parte. Noi procederemo dagli argomenti più forti ai più deboli in favore della validità
4) una forma di rito orientale ?
Domanda: la nuova forma è stata utilizzata in un rito orientale come forma sacramentale per conferire l'episcopato ?
Se questo fosse il caso sarebbe la prova più forte in appoggio alla validità del nuovo rito. Si potrebbe dimostrare che essa ben realizzerebbe i criteri che Pio XII enunciò per la forma dei Santi Ordini, poiché questi criteri si sarebbero ritrovati tra le espressioni che sono "accettate e utilizzate dalla Chiesa in questo senso" (20).
20) costituzione apostolica, Sacramentum Ordinis, 30 novembre 1947,DZ 2301. 4. quaequae ab Ecclesia qua talia accipiuntur et usurpantur.
Nella sua Costituzione Apostolica promulgate il nuovo rito, Paolo VI disse che il nuovo Prefazio della consacrazione episcopale era stato preso dalla "tradizione apostolica di Ippolito" (documento che sarà esaminato nella 5° parte), che continua a essere ancora utilizzato "in grande parte" per le consacrazioni episcopali dai due riti orientali cattolici, in particolare presso i Copti e i Siriani occidentali.
E di fatto, è su questa base che il fr. Pierre-Marie ha fondato il suo argomento: "l'utilizzazione della forma che è utilizzata nei due riti orientali certamente validi assicura la sua validità" (21).
Ma questa affermazione fattuale è realmente vera ? La forma di Paolo VI è veramente utilizzata dai due riti orientali ?
Tutto ciò che dobbiamo fare è dunque, (a) verificare a partire dai testi di teologia quali sono le preghiere consacrato delle rito orientale che sono considerate essere delle forme sacramentali, (b) esaminare accuratamente questi testi e (c) compararli con la forma di Paolo VI.
Immediatamente saltano agli occhi due punti che rovinano l'argomento del rito orientale:
(a) la forma sacramentale che Paolo VI ha prescritto per il conferimento dell'episcopato comporta una sola frase. Le forme del rito orientale al contrario consistono in tutta una preghiera, anzi di una serie di preghiere che si estendono su una lunghezza di diverse centinaia di parole. Così, ciò constatato, la forma di Paolo VI - lunga in latino 42 parole solamente -non può essere qualificata come una forma "in uso nei due riti orientali certamente validi".
21) Fr. Pierre-Marie o.p., Perché il nuovo rito di consacrazione episcopale è valido, The Angelus, dicembre2005, gennaio 2006.
(b) allo stesso modo non si può pretendere che i prefazio intero di Paolo VI sulla consacrazione episcopale (lungo 212 parole in latino) sarebbe in qualche modo una forma "in uso nei due riti orientali certamente validi".. Sicuramente, il prefazio contiene di certo qualche frase che figura nelle forme del rito orientale -ma ci sono delle omissioni significative delle differenze. Esso non è identico ad alcuna di quelle forme.
Così sotto questi due aspetti, constatiamo che la nuova forma non può figurare tra le parole "accettate utilizzate dalla Chiesa" come forma sacramentale per i Santi Ordini.
Ed ecco qualche dettaglio:
A. Forma di di rito Copto ?
Questo gruppo uniate trae la sua origine dagli eretici monofisiti (= il Cristo non possiede che una sola natura), che caddero nello scisma sotto la guida del patriarca di Alessandria e in Egitto, dopo il concilio di Calcedonia (451); i monofisiti hanno conosciuto in seguito una decadenza che durata molto tempo". (Cf. appendice).
Verso il 19º secolo, un buon numero di copti avevano rinunciato i loro errori e si sottomisero al Papa affinché la Santa sede li costituisse secondo il loro rito uniate proprio. Nel 1898 il loro sinodo decretò che, per i tre ordini principali nel rito copto, "la forma è quella stessa preghiera che il vescovo conservatore recita mentre impone le mani sull'ordinando" (22). Il teologo del 19º secolo specializzato in dogmatica, di nome Heinrich Denzinger, ben conosciuto per il suo Enchiridion Symbolorum, una collezione di testi dogmatici, ha pubblicato anche una collezione di testi liturgici dei riti orientali, il Ritus Orientalium.
Nella sua lunga introduzione a questa opera Denzinger specifica inoltre che la forma sacramentale della consacrazione episcopale nel rito copto "è la preghiera: " Qui es Dominator , Deus Omnipotens…”, Che nel rituale è chiamata la preghiera
dell’[ imposizione delle mani] (23).
22) Citato da Cappello 4:732. In collazione trium ordinum majorum…forma est ipsa oratio quam ordinans recitat, dum manus ordinando imponit.
Notiamo ciò che segue:
(1)questa preghiera è un prefazio che comporta circa 340 parole nella versione latina (24). La forma di Paolo VI ne comporta 42. Queste due forme di conseguenza non possono essere eguagliate.
(2)Questa lunga forma del rito copto menziona tre poteri sacramentali specifici considerati come propri all'ordine del solo vescovo: "al fine di stabilire un clero secondo il Suo comandamento per il sacerdozio,… Di [stabilire ]nuove case di preghiera, e infine di consacrare gli altari" (25).
Mentre il prefazio di Paolo VI precisando la nuova forma, contiene numerose frasi che si trovano nella forma copta (ivi compreso "lo spirito dell'autorità o che fa i capi", tratteremo più avanti), queste frasi sono omesse.
Questa omissione e tanto più significativa, in quanto la controversia sulla validità della forma di Paolo VI ruota intorno alla questione di sapere se essa esprime adeguatamente il potere dell'ordine che è conferito-cioè l'episcopato.
B. Forma di rito maronita ?
Nel quinto secolo che Siria passarono all'eresia monofisita, e (come i copti) caddero nello scisma dopo il concilio di Calcedonia. Essi sono conosciuti anche sotto il nome di Giacobiti, secondo Giacobbe Baradai, che era stato consacrato vescovo clandestinamente nel sesto secolo, e aveva organizzato il loro movimento.
Altri siriani occidentali che si opponevano ai monofisiti, furono chiamati Maroniti (secondo il monastero di S. Maro, al loro centro). La maggior parte dei maroniti si stabilirono alla fine in Libano essi fecero conoscere per la loro profonda devozione verso la Santa Sede.
23) H.Denzinger, Ritus Orientalium, Coptorum,Syrorum et Armenorum (Wurzburg : Stahel 1863), qui sotto RO , 1:140. Apud Coptias est oratio illa Quis es Dominator, Deus Omnipotens, quae in ipso rituale eorum dicitur oratio « cheirotonias ». 24) RO 2:23-24. Essa è divisa in due sezioni . Secondo la rubrica posta in nota, il vescovo conservatore continua a mantenere la sua mano imposta durante la parte che segue l'interazione dell'arcidiacono. 25) traduzione nel O.H.E. KHS- Burmester , i riti di ordinazione della Chiesa copta, ( Il Cairo, 1985), 110-1 RO due-24 traduci in latino la frase "al fine di stabilire un clero secondo il Suo comandamento riguardo al sacerdozio…" Così " costituendi cleros secundum mantatum eius ad sanctuarium" aggiungendo a piè di pagina "in ordine sacerdotali".
I maroniti adottarono qualche elemento esterno del rito romano (vesti liturgiche, stile dell'altare eccetera…), Ma essi continuarono d'altra parte a praticare il rito di Antiochia una delle sedi patriarcali antiche.
Secondo Denzinger, la forma dell'episcopato nel rito maronita consiste nelle preghiere: " Deus qui universam Ecclesiam tuam per istos pontifices in manus impositione esornas, … Deus deorum et Dominus dominantium” (26).
Il paragone con la forma di Paolo VI rivela ciò che segue:
1) la forma maronita è un Prefazio lungo almeno 370 parole, intervallate dall'imposizione delle mani del vescovo sulla testa del candidato. Essa supplica che il candidato riceva "l'ordine sublime dell'episcopato", seguita da preghiere imploranti Dio per due volte di "perfezionare" la sua grazia e il ministero sacerdotale (27).
Questa forma non ha niente in comune con la forma di Paolo VI.
2) su una pagina seguente del rito maronita della consacrazione episcopale si trova una preghiera che ha qualche frase in comune con la forma di Paolo VI (per esempio "lo spirito che fa i capi") e con il suo Prefazio ("il potere di sciogliere"), soltanto, anche se essa si situa nel corso della cerimonia, non è la forma sacramentale maronita (28).
3) la preghiera maronita che rassomiglia di più alla forma di Paolo VI e al suo Prefazio della consacrazione episcopale è quella che si trova nel rito della consacrazione di un patriarca maronita (29). Di fatto, il fr. Pierre- Marie ne riproduce una buona parte del testo in appoggio ai suoi argomenti in favore della validità del nuovo rito.
26)RO uno-141. Apud Syros, Maronitas et Jacobitas, forma episcopatus ex Assemano est in illis duabus orationibus vel in eorum altera Deus , qui in universam Ecclesiam tuam per istos pontefices in manus impositione exornas, …Deus deorum et Dominus dominantium , quae aapud utrosque sequuntur, postquam episcopus manum impositam tenens dixerit : Etiam ( sic) Domine Deus etc… Il testo che Denzinger per la preghiera in RO « -195. Comincia in realtà per” Eia “ in luogo di “Etiam”. I maroniti fanno uso delle due preghiere. 27) RO 2: 195. " recipiat sublimem episcopo rum ordinem “. RO 196-7. “ perfice nobiscum gratiam tuam tuumque donum” “ perfice…sacerdotale ministerium”. 28) RO 2:198.” Spiritum …SAnctum illum principalem “. “ espella omnia legamina”. 29) credo che se una RO 2: 220.
Tuttavia, questa preghiera non è una forma sacramentale per il conferimento dell'episcopato.
Essa non è semplicemente che una preghiera di intronizzazione, poiché il patriarca maronita è già vescovo quand'egli è designato per questa funzione.
C. Forma di rito siriano ?
Dal 17º al 19º secolo, molti vescovi siriani giacobiti, compreso anche un patriarca di Antiochia, abiurarono i loro errori e fecero atto di sottomissione alla Santa Sede. Nel 19º secolo il Papa installò un patriarcato cattolico di Antiochia di rito siriano la cui sede fu stabilita Beirut in Libano. (Nel 20º secolo molti cattolici di rito siriano vivevano in Iraq).
I siriani come i maroniti, osservano il rito d'Antiochia, ma ci sono delle differenze.
La forma di consacrazione episcopale nel rito siriano, secondo Denzinger, consiste, sia nelle preghiere in uso presso i maroniti, sia in un'altra preghiera: " Deus , qui omnia per potentiam tuam…” (30), detta dopo che il patriarca abbia imposto la sua mano destra sulla testa dell'ordinando.
Anche qui noi stabiliamo il paragone con la forma di Paolo VI:
1) la forma siriana è lunga circa 230 parole (31), allorché la forma di Paolo VI ne comporta 42. Di nuovo, le due forme non sono simili.
2) con ancora più dettagli che nel rito copto, la forma siriana enumera i poteri sacramentali specifici considerati come proprie all'ordine episcopale: che egli "ordini i preti, i diaconi, che consacri gli altari delle chiese, che benedica le casse, che susciti vocazioni per l'opera ecclesiastica" (32).
E ancora una volta, anche se la forma di Paolo VI e il Prefazio contengono qualche frase che si trova nella forma siriana (per esempio "lo spirito che fa i capi", "pasci"[il mio gregge] "sciogli colui che ha legato"), le espressioni precedenti sono assenti.
30) R O 1: 141. “ In ordine autem nostro ex codice Florentino desumpto, non occorri nisi haec una Deus , qui omnia per potentiam tuam” 31) RO 2: 97 32) RO 2:97 “ eo fine ut…sacerdotes constituat , diaconos ungat : consecret altaria et ecclesias ; domibus benedicat ; vocationes ad opus ( ecclesiasticum) faciat”.
3) nel rito siriano, così come nel rito maronita, la preghiera che si avvicina di più alla forma di Paolo VI e al suo Prefazio è quella che è utilizzata al momento della "consacrazione" di un patriarca (33).
Tuttavia, una volta di più, questa non è assolutamente una preghiera sacramentale per la consacrazione di un vescovo, ciò che è evidente tenuto presente ciò che segue:
a) il libro liturgico siriano prescrive il medesimo ordine d'azione di preghiere sia per la consacrazione di un vescovo che per la consacrazione di un patriarca, eccetto un solo cambiamento nel testo.
Nel caso della consacrazione di un patriarca, il vescovo conservatore omette la preghiera determinata come forma della consacrazione episcopale (la preghiera Deus qui omnia per potentiam tuam…), E le sostituisce "la preghiera di Clemente" (34), il testo che rassomiglia al prefazio di Paolo VI.
b) in siriaco esistono due termini che sono impiegati per distinguere il rito sacramentale della consacrazione episcopale dal rito non- sacramentale della consacrazione di un patriarca.
Il primo rito è chiamato "imposizione delle mani", mentre il secondo è chiamato secondo un termine che significa "conferire un incarico a qualcuno o investirlo di un Incarico (35)".
33) per la preghiera di intronizzazione del patriarca, vedere B. De Smet, la consacrazione dei vescovi nella Chiesa siriana: testo, non l'oriente siriano, 8 (1963), 202- 4. 34) De Smet 166-7. "Con lo stesso rito della chirotonia, cioè, le stesse preghiere lo stesso ufficio con cui il patriarca stesso consacra i metropoliti e i vescovi, con questi stessi riti anch’essi li consacreranno… Ci sono nella consacrazione del patriarca tre elementi che le sono propri, cioè 2° ) l'invocazione del Santo spirito di cui è scritto di Clemente, e che noi daremo più avanti essa è pronunciata unicamente sull'patriarca dai pontefici che lo stabiliscono" (una mia osservazione: il primo il terzo elemento concernono l'erezione e il modo di conferire il pastorale). La forma della consacrazione episcopale e la preghiera di intronizzazione figura l'una dopo l'altra alle pagine 202-204 dove è facile comparare le loro differenze di contenuto.
Un liturgista siriano spiega: nel primo caso (la consacrazione episcopale), l'ordinando riceve un carisma che differisce da quello che egli possiede già… Nel secondo, il patriarca non riceve un carisma che differisce da quello ricevuto al momento in cui egli è stato consacrato vescovo (36).
D. Non è una forma orientale.
Noi abbiamo incominciato questa parte ponendo la domanda: la nuova forma era utilizzata nel rito orientale cattolico per il conferimento dell'episcopato ?
La risposta è negativa poiché:
1) La forma di Paolo VI non è identica alle forme sacramentali del rito orientale.
2) in particolare, le lunghe forme del rito orientale menzionano sia la natura del sacerdozio, sia i poteri sacramentali specifici che appartengono al solo vescovo (potere di ordinare i preti, eccetera). La forma di Paolo VI non ne fa menzione.
3) nei riti maronita e siriano la preghiera che rassomiglia di più al Prefazio della relazione di Paolo non è la forma sacramentale per il conferimento dell'episcopato, ma una preghiera non-sacramentale per l'istallazione di un patriarca che è ordinariamente già vescovo momento in cui è designato.
Non si può dunque sostenere che la forma di Paolo VI sia valida in quanto utilizzata come forma sacramentale "nei due riti certamente validi nei riti orientali".
La forma di Paolo VI non appartiene alle espressioni "accettate utilizzate dalla Chiesa in questo senso", e non esiste alcuna garanzia di validità su questa base.
35) G.Khouris- Sarkis, la consacrazione dei vescovi nella Chiesa siriana introduzione, l'oriente siriano 8 (1963), 140-1, 156-7 "ma il pontificale … Fa una distinzione tra la consacrazione conferita ai vescovi e quella che è conferita al patriarca… Ed è per questo che il pontificale chiama questa consacrazione, imposizione delle mani ai vescovi. Il termine utilizzato nel titolo della cerimonia per il patriarca è l’azione di conferire un incarico a qualcuno, o di investirlo d’esso “. 36) G. Khouris-Sarkis, 140- 1 "nella prima, l'eletto riceve una serie differente da quello che possedeva già… Nel secondo, il patriarca non riceve un carisma differente da quello che ha ricevuto nel momento in cui è stato creato vescovo”.
V. Un'altra forma approvata ?
Domanda: la nuova forma sarebbe stato utilizzata in qualche altro rito del passato come forma sacramentale per il conferimento dell'episcopato, che avrebbe almeno goduto di un'approvazione tacita da parte della Chiesa ?
Tale prova, anche se non costituirebbe una prova così forte della validità come quella di un rito orientale cattolico, apporterebbe almeno qualche peso alla tesi della validità della nuova forma.
Noi menzionavamo prima che il prefazio della consacrazione episcopale di Paolo VI era stato improntato quasi parola per parola a una preghiera antica per la consacrazione di un vescovo che era apparsa nell'edizione del 1963 della tradizione apostolica di Sant'Ippolito di Dom Botte. Questo prefazio presenta anche dei paralleli con altri testi antichi, quali le costituzioni apostoliche e il testamento di nostro Signore.
Il fr.Pierre- Marie ha anche invocato questi testi come prova della validità del nuovo rito.
Quale grado di certezza possiamo avere per affermare che 1) questi testi stessi sono stati forme sacramentali utilizzate realmente per il conferimento dell'episcopato ? E, 2) che essi avevano ricevuto, in quanto tali, almeno l'approvazione tacita della Chiesa - in un modo tale che almeno in un senso largo, essi siano stati "accettati utilizzati dalla Chiesa in questo senso" ?
Disgraziatamente, se per "certezza" noi intendiamo quella che richiesta dalla teologia morale cattolica per amministrar ricevere validamente un sacramento, la nostra risposta dovrà essere: no, assolutamente no. Poiché, noi discendemmo subito nel mondo ingannatore dei dibattiti sapienti portati sugli autori, l'origine, la datazione, la ricostituzione e la decifrazione di testi vecchi di 1700 anni.
A. Tradizione apostolica di Ippolito ?
Ed ecco qualche problema preliminare che noi scopriamo.
1) identità dell'autore ? Il gesuita Jean Michel Hanssens, esperto di liturgie orientali, consacra circa 100 pagine per tentare di identificare Ippolito: sarebbe egli il medesimo Ippolito che fu implicato nel calcolo della data di Pasqua ? Sarebbe quello che è stato rappresentato in una statua ? Oppure quello che passa per essere nativo di Roma ? O quello d'Egitto ? Sarebbe stato il consigliere del Papa ? O un antipapa ? O il prete Ippolito ? O anche il vescovo ? O forse il martire ? O uno dei santi con questo nome nel martirologio (37) ?
Nel migliore dei casi noi potremmo solo lasciare questo campo a delle sapienti congetture.
2) origine ? Di dove proviene La tradizione apostolica ? R secondo certi, da Alessandria d'Egitto secondo altri. Ancora delle supposizioni.
3) periodo storico ? A che periodo storico risale essa ? "Generalmente" essa data da circa il 215 AD, ma "la parte che si riferisce al sacramento dell'ordine può essere stata ritoccata nel quarto secolo al fine di allinearla sulla dottrina nella pratica in vigore in quel momento" (38).
Notate bene: dice "ritoccata". Ci occorrono per prima cosa ancora delle sapienti supposizioni per sapere quali parti di questo documento sono state ritoccate.
4) autorità del manoscritto ? Quale grado di fiducia possiamo accordare agli originali ? Ebbene ! Noi non li abbiamo affatto.
"L'originale greco di questo documento non è sopravvissuto, se non sotto forma di un piccolo numero di frammenti isolati. Si deve ricostituirlo a partire da una traduzione latina estesa s'che a partire da versioni copte, arabe e etiopi tardive s', così come a partire dall'uso che ne fecero più tardi i compilatori ecclesiastici, ciò che aumenta la difficoltà di determinare con esattezza ciò che l'autore ha scritto" (39).
Da qui il sottotitolo nell'edizione del 1963 di Dom Botte: Un tentativo di ricostituzione (40). Almeno una mezza dozzina di altri studiosi ( Connolly, Dix, Easton,
37) La Liturgie d’Hippolyte-ses documents, son titulaire, ses origines, et son caractère( Rome Institut Central, 1959), 249-340. 38) P Bradshaw, ordinazioni, riti delle antiche chiese dell'est e dell'ovest (new York: Pueblo 1990), 3. 39)P Bradshaw, 3-4.. 40) la tradizione apostolica di Sant'Ippolito-tentativo di ricostituzione.
Elfers, Lorentz, Hanssens) hanno intrapreso simili tentativi.
Una ricostituzione, secondo Dom Botte stesso, può "soltanto riportarci ad un archetipo, ma non all'originale" (41).
Così non abbiamo che congetture ma che non ci riporteranno all'originale.
5) una pratica liturgica ? Questo testo riflette esattamente una pratica reale?
"Non è facile distinguere ciò che separa la pratica reale dall'ideale" (42) diceva Dom Botte nel 1963. Le preghiere contenute nella Tradizione apostolica state offerte come dei "modelli e delle formule stabilite" (43).
Per finire, diceva Don porte nella La tradizione apostolica di Ippolito, "la sua origine, sia essa romana o (egiziana), non è realmente importante. Anche se fosse un documento romano, esso non dovrebbe essere considerato come la liturgia romana del terzo secolo, epoca in cui la liturgia lasciava una larga parte all'improvvisazione del celebrante" (44).
Così dunque numerosi volumi di opere sapienti forniscono un modello per una preghiera di consacrazione di un vescovo che, in ogni modo, non era necessariamente seguita parola per parola. Tutto ciò non è fatto per ispirarci fiducia.
B. Costituzioni apostoliche ?
Ecco sicuramente un titolo impressionante. E tuttavia, si tratta di una "revisione composita" di tre ordini ecclesiastici antichi.
Sembra che le costituzioni avrebbero la loro origine in Siria, "si pensa generalmente che questa sarebbe l'opera di un ariano (eretico), che avrebbe una certa misura composto una idealizzazione caratterizzata piuttosto che una riproduzione sempre fedele della pratica liturgica che gli era familiare" (45).
Un testo composito, frutto dell'immaginazione di un eretico ?
41) La tradizione apostolica di santi Ippolito. Tentativo di ricostituzione, XXXIII-IV; 42) La tradizione apostolica di Sant'Ippolito. Tentativo di ricostituzione XIV; 43) La tradizione apostolica di Sant'Ippolito; tentativo di ricostituzione, XVI; 44) Louvain, appunti di conferenza luglio 1961, il rituale di ordinazione nella tradizione apostolica di Ippolito, bollettino del comitato 36 (1962), 5. 45) Bradshaw.
C. Testamento di Nostro Signore ?
Ecco un titolo che è perfino ancora più impressionante ! Purtroppo, esso data "probabilmente" del quinto secolo e "sembra" che sia stato composto in Siria.
Inoltre, "benché originalmente scritto in greco, esso non sussiste in versione siriaca, araba e il figlio come per le costituzioni apostoliche, si può ancora una volta dubitare che esso rappresenti veramente una pratica storica reale" (46).
Si tratterebbe di una pratica storica incerta ?
D. Nessuna prova di un uso approvato.
La domanda che apriva questa parte era: la nuova forma è stata forse utilizzata in qualche altro rito del passato come forma sacramentale per il conferimento dell'episcopato, che avrebbe goduto almeno di un'approvazione tacita da parte della Chiesa ?
La nostra risposta è questa: noi non ne abbiamo assolutamente alcuna idea, poiché:
- non abbiamo nessun testo originale autentico.
- Abbiamo dei testi "ricostituiti" basati sul niente più che l'autorità di teorie erudite per determinarne le versioni corrette.
- Non sappiamo se questi testi erano effettivamente utilizzati per consacrare dei vescovi.
- Non abbiamo alcun documento che attesti l'approvazione della Chiesa.
Dunque non si potrebbe sulla base di queste teorie sostenere che la forma di Paolo VI sia valida. Nessuno di questi testi è stato "accettate utilizzato dalla Chiesa in questo senso", in modo che non esiste assolutamente nessuna garanzia di validità su questa base.
46) Bradshaw, 4-5.
VI. Potere dell'Episcopato?
Domanda: la nuova forma sacramentale significa in modo univoco gli effetti sacramentali - il potere dell'ordine (l’ Episcopato) e la grazia dello Spirito Santo ?
Questi sono i criteri che Pio XII ha enunciato per la forma sacramentale. Ecco di nuovo la nuova forma di Paolo VI alla quale si tratterà di applicare questi criteri:
"e ora, infondo su colui che tu hai scelto questa forza che viene da te, lo Spirito che fa i capi che tu hai dato al tuo beneamato Figlio, Gesù Cristo, che egli stesso ha dato ai santi Apostoli che stabilirono la Chiesa in ciascun luogo come tuo santuario, alla gloria incessante e alla lode del tuo Nome" (47).
La forma sembra significare la grazia dello Spirito Santo.
Ma "lo Spirito che fa i capi" ? È un fatto che i vescovi Luterani, Metodisti e Mormoni sono anche loro dei capi. Un tale termine può significare in modo univoco il potere dell'Ordine conferito - la pienezza del sacerdozio ?
L'espressione lo spirito che fa i capi- in latino Spiritus principalis - si situa al centro della discussione concernente la validità del nuovo rito, poiché se essa non significa la pienezza del sacerdozio che costituisce l'Episcopato, il sacramento è invalido.
A. Primi dubbi sulla validità.
Il lettore occasionale sarà evidentemente tentato di lasciar cadere tutto questo come una specie di sogno tradizionalista febbricitante e folle. Ma ecco quarant'anni fa, prima che il mito fosse promulgato, un membro del gruppo di studio che creò il nuovo rito di consacrazione episcopale, aveva giustamente sollevato questa questione.
In un resoconto del 14 ottobre 1966, il vescovo Juan Hervas y Benet (1905-1982), ordinario del luogo a Ciudad (Spagna) e promotore dell’Opus Dei, scrisse ciò che segue ai suoi colleghi, membri del gruppo di studio:
47) trascrizione dell’ICEL: Et nunc effunde super hunc Electum eam virtutem,quae a te est,Spiritum principalemquem dedisti dilecto Filio tuo Jesu Christo, quem ipse donavit sanctis Apostolis, qui constituerunt Ecclesiam per singula loca, ut sanctuarium tuum, in gloriam et laudem indeficientem nominis tui.
"Sarebbe necessario stabilire in modo innegabile che la nuova forma significhi meglio e più perfettamente l'azione sacramentale i suoi effetti. Ciò vuol dire, che occorrerebbe stabilire in termini certi che essa non contiene ambiguità e non omette niente delle funzioni principali che sono proprie all'ordine episcopale… Ho un forte dubbio concernente le parole "Spiritus principalis"; forse queste parole significano adeguatamente il sacramento ?" (48).
Non vi è traccia che abbia ricevuto una risposta.
Ma consideriamo ciò che la domanda del vescovo rappresentava per chiunque all'epoca avesse ricevuto una seria formazione teologica: l'inserzione di questa espressione nella forma non va a esporre il sacramento al rischio dell'invalidità ?
Dopo che Paolo VI ebbe promulgato nel giugno del 1968 il nuovo rito per i Santi Ordini, occorreva ancora tradurlo nelle molte lingue moderne. L'espressione "Spiritus principalis" sollevò immediatamente dei problemi. La prima versione inglese ufficiale per esse l'espressione con Spirito eccellente, la versione francese la rese con lo Spirito che fa i capi oppure le guide, e la versione tedesca con lo Spirito di una guida.
Queste espressioni suscitarono probabilmente a certi vescovi più conservatori dell'epoca un timore per la successione apostolica, poiché Roma pubblicò subito due dichiarazioni sulle traduzioni delle forme sacramentale nello spazio di tre mesi (ottobre 1973-gennaio 1974)[49].
La seconda dichiarazione, prodotta dalla Congregazione per la dottrina della fede, fu
48) German Liturgical Institute( Treves), Fond Kleinheyer, B 117; citato dal Fr. Pierre-Marie op, perché il nuovo rito della consacrazione episcopale è valido, cf nota 21. 49) SC del culto divino, lettera circolare Dum Toto Terrarum, 25 ottobre 1973, AAS 66 (1974) 98-9; SC della dottrina della fede, dichiarazione Instauratio Liturgica, 25 gennaio 1974, AAS 66 (1974), 661. Il secondo documento spiegava che quando la Santa sede approva una traduzione: "essa aggiunse che esprime correttamente il significato previsto dalla Chiesa", ma esso stipulava ugualmente che la traduzione "deve essere compresa in accordo con lo spirito della Chiesa per quanto espresso nel testo originale in latino". Questa dichiarazione è strana. Una traduzione, può veicolare il significato sostanziale del latino, oppure no. In quest'ultimo caso, il sacramento è invalido quali che siano le definizioni di chiunque-salvo per Humpty Dumpty in "Attraverso i miei occhiali": "quando utilizzo una parola… Essa significa unicamente ciò che ho scelto che significhi-né più né meno".
inoltre ristampata nelle Notitiae (bollettino ufficiale della congregazione del culto divino), completa di un commento piuttosto strano. L'autore, un domenicano, menzionava specialmente la Costituzione sacramentum ordinis di Pio XII del 1947, "la sostanza dei sacramenti", in cui ciascuna nuova forma sacramentale "doveva continuare a significare la grazia speciale data da questo sacramento" e la necessità di "preservare la validità del rito sacramentale" (50).
Fu una semplice coincidenza ? Nello stesso numero di Notitiae, circa una dozzina di pagine dopo, noi cadiamo sul breve articolo di Dom Bernard Botte OSB che spiega il significato di –sorpresa ! – Spiritus principalis.
Veramente questa espressione latina sollevava l'inquietudine di non poche persone.
C. Lo Spirito che fa i capi = l'Episcopato ?
La spiegazione dell'espressione Spiritus principalis fornita da Dom Botte era essenzialmente la seguente:
- l'espressione "aveva sollevato molte difficoltà" e portava a diverse traduzioni.
- La si incontra nel salmo 50,14, ma il suo significato in questi luoghi non è necessariamente legato a ciò che essa significava nella preghiera consacratoria per un cristiano del terzo secolo.
- "Spirito" designa lo Spirito Santo.
- Ma cosa significava la parola greca hegemonicos il suo equivalente latino principalis nel vocabolario cristiano del terzo secolo?
- Ciò significava ciò che segue: i tre ordini sacri ricevono ciascuno un dono dallo spirito Santo, ma non lo stesso. I diaconi ricevono "lo Spirito di zelo e di sollecitudine", e i preti "lo Spirito di consiglio".
- I vescovi ricevono "lo Spirito di autorità".
- Il vescovo è sia il capo che deve governare, sia il grande sacerdote del santuario. Egli governa la Chiesa. Così la parola hegemonicos/principalis è comprensibile.
- Spiritus principalis significa di conseguenza il "dono dello Spirito che conviene a un capo" (51).
50) B. Douroux, "commentarium",Notitiae 10 (1974), 394-95 "purché la nuova formula continui a significare la grazia speciale conferita dal sacramento". 51) B. Botte, " Spiritus principalis : formula dell'ordinazione episcopale", Notitiae 10 (1974), 410-1. "È il dono dello spirito che conviene a un capo".
Dopo la comparsa di questa messa a punto, diverse traduzioni vernacolari furono rimaneggiate, e la traduzione ufficiale inglese divenne Spirito di governo.
D. … Oppure lo spirito che fa i capi = chi lo sa ?
Quella precedente era una spiegazione che aveva l'apparenza di una grande erudizione. Disgraziatamente, era falsa - tipica dello sfrontato doppio linguaggio in cui eccellono i modernisti quando li si prende con le mani nel sacco.
Spiritus principalis può significare molte cose, ma mai il "potere dell'Ordine" proprio dell'Episcopato.
Ciò è quello che appare chiaramente dopo un breve sorvolo di ciò che "lo spirito che fa i capi" può significare, anche sotto la sua forma latina ( spiritus principalis) o la sua forma alternativa greca ( Hegemonicos).
(1) i dizionari. I dizionari latino e greco rendono l'aggettivo "principalis" rispettivamente come "esistente originariamente, fondamentale, primo… Prima l'importanza o stima, capo…, Conveniente a dei capi o a dei principi" (52), e "promosso dal capo, dirigente, governante" oppure "guida" (53).
Esiste un nome apparentato, hegemonia, che significa generalmente "autorità, comandamento", e in un senso secondario "regolamento, incarico di un superiore: incarico episcopale… Di un superiore del convento… Del luogo, del dominio della competenza del vescovo, diocesi" (54).
Ma anche in questo senso l'espressione non con nota il potere di Ordine ( potestas Ordinis), particolarmente proprio per il fatto che la definizione fa menzione di un superiore di monastero.
(2)il salmo 50. In latino ecclesiastico o in greco, la preghiera del re Davide nel salmo 50,14 è il primo testo che si cita abitualmente per principalis in cui questo termine è utilizzato con il termine spirito. L'espressione tradotta in inglese con spirito "perfetto" o "di perfezione", che i commentatori esplicitano come un "Spirito generoso o nobile" (55).
52) P.Glare, Oxford Latin Dictionnary( Oxford, Claredon, 1974). Lo stesso, A. Forcellini, Lexicon Totius latinitatis (Padua, 1940); A. Souter Glossary of Later Latin after 600 AD (Oxford, Claredon, 1949); C. Lewis& C. Short, A New Latin Dictionnary (new York; 1907). 53) G. Lampe, A Patristic Greek Lexicon (Oxford, Claredon 2000). F. Gincrich & F. Danker, A greek-English Lexicon of the New Testament and Other Early Christian Litterature (Chicago University Press, 1957). 54) Lampe, 599.
Nonostante l'affermazione di Dom Botte secondo cui non ci sarebbe alcun legame tra il significato dello Spirito di guida in questo salmo e quella che si suppone si avesse nel terzo secolo nella preghiera di consacrazione episcopale, un dizionario di patristica greca lega direttamente questi due passaggi di cita anche l'estratto greco di Ippolito (56).
(3) i padri della Chiesa. Essi interpretano spiritus principalis in diverse maniere, come rapportandosi al Padre (57), allo Spirito Santo (58), alla virtù della forza (59), a un potere possente che fortifica contro le tentazioni (60), etc.
(4) un trattato dogmatico. Mgr. Pohle dichiara nella sua opera sulla Santa Trinità che lo Spiritus principalis del salmo non significa lo Spirito Santo, ma niente più che "un effetto divino esterno", uno "spirito soprannaturale di rettitudine e di controllo di sé, cioè una buona disposizione (61)".
(5) un commentario del 1962 su Ippolito. L'antica preghiera di consacrazione episcopale, afferma Roger Beraudy, presente il vescovo successivamente sotto il doppio aspetto di campo e di gran sacerdote. Spiritus principalis (nel senso di Spirito che fa i capi) appare nella parte della preghiera che presenta il vescovo come "un capo della Chiesa" piuttosto che nella parte seguente che Beraudy identifica come presentante "il vescovo come un gran sacerdote" (62).
55)B. Orchard ed., A Catholic Commentary of the Holy Scripture (London: Nelson 1953). 457; 56) Lampe, 599 " Ps. 50:14; cf. Hipp. Trad.ap. 3.3". 57) Origen.,In Jer. Hom. 8, PG 13:336 ; 58) Origen. Comm. in Ep. ad Rom. 7, PG 14: 1103. " sed in his principatum et dominationem hunc Spiritum Sanctum, qui et principalis appellatur, tenere. Cyrille d’Alexandrie, Dubia de Trinitate 9, PG 77:1140.Basil the Great, Adv. Eunomion 5.3, PG 29:753. 59) Cyril of Alexandria Expl. In Psalmos 50:14, PG 69:1100-1. 60) Athanasius. Ep. Ad. Amunen Mon. , PG 26:1176. 61) J. Pohle, The Divine Trinity A Dogmatic Treatise, 2nda ed. (Saint Louis: Herder 1915), 97.
(6) delle cerimonie non-sacramentali. Il rito copto, a parte la sua preghiera sacramentale della consacrazione episcopale, utilizza ugualmente il termine lo Spirito che fa i capi in due cerimonie non-sacramentali.
a) nella chiesa copta, allo stesso modo che nella Chiesa cattolica, un padre abate non è vescovo, ma un semplice prete che è alla testa di un monastero. Quando un santone padre abate copto ( hegoumenos) è intronizzato, il vescovo impone le mani sulla testa del prete e pronuncia una preghiera affinché Dio gli accordi "uno Spirito di guida, di governo, di amabilità, di carità, di pazienza e di bontà" (63).
b) quando si tratta di promuovere un vescovo copto alla rango di arcivescovo (metropolita), la preghiera domanda di Dio di infondergli il suo Spirito che fa i capi (di governo), "La conoscenza che è la Vostra e che egli ha ricevuto nella Vostra Santa Chiesa"(64).
(7) un altro esperto. Nel 1969, prima di questa questione non diventasse materia di controversia, noi troviamo almeno un esperto che dichiarò che l'omissione dell'espressione lo Spirito che fra i capi non alterava necessariamente la validità del rito.
"Se accadesse che venissero omesse per inavvertenza le parole "spiritum principalem", io non penso che ciò cambierebbe nulla".
Chi era questo esperto ? Dom Bernard Botte (65).
62) R. Beraudy, "il sacramento dell'ordine secondo la tradizione apostolica di Ippolito" bollettino del comitato 36 (1962), 341,342. 63) eTr. Burmester, "riti di ordinazione… Copti" 97. " Hegemonikon pneuma". Allo stesso modo RO 2: 17, "spiritum hegemonicum". 64) Tr. Burmester, "riti di ordinazione… Copti" 118. " hegemonicum pneuma". Allo stesso modo RO 2: 34. " in spiritu tuo hegemonico". 65) B. Botte, l'ordinazione del vescovo, ( cf. nota 16), 123, "ma se si omettessero per inavvertenza le parole spiritum principalem, non penso che ciò cambierebbe ". Dom Botte, un modernista tipico, consacra due pagine di questo articolo per cancellare le abituali certezze che sono state introdotte per garantire la validità di una consacrazione episcopale a partire dai principi della teologia morale e dogmatica.
(8) chi lo sa ? Il nostro breve studio ha così rivelato una dozzina di significati possibili per Spiritus principalis:
- uno spirito esistente originariamente
- uno spirito di direzione/di guida
- uno spirito perfetto come per il re David
- uno spirito generoso o nobile
- Dio il Padre
- Dio lo Spirito Santo
- un effetto divino esteriore
- uno spirito soprannaturale di rettitudine /di padronanza di sé
- una buona disposizione
- per un padre abate copto: gentilezza, carità, pazienza e bontà
- per un arcivescovo copto: conoscenza delle cose divine, ricevuta dalla Chiesa
- una qualità di cui l'omissione in qualsiasi modo non toglierebbe nulla alla validità del sacramento.
Nessuna di queste espressioni significa specificatamente né l'episcopato in generale né la pienezza dei Santi Ordini che un vescovo possiede.
D. Significato univoco dell'Effetto?
Cominciamo ora ad applicare qualche altro dei criteri enunciati nella prima parte.
Nella sua Costituzione Apostolica Sacramentum Ordinis, Pio XII ha dichiarato che la forma per i Santi Ordini doveva significare "in modo univoco gli effetti sacramentali-cioè il potere dell'Ordine e la grazia dello Spirito Santo" (66).
66) Sacr. Ord. DZ. 2301.4 " quibus univoce significantur effectus sacramentales- scilicet potestas Ordinis et gratia Spiritus sancti".
La nuova forma è in difetto su questi due punti:
(1) non univoca. L'espressione Spiritus principalis, lo Spirito che fa i capi o lo Spirito di governo non è univoca - ciò vuol dire che questo non è un termine che significhi una sola cosa (67), come ha preteso Pio XII.
Al contrario, come abbiamo dimostrato sopra, quest'espressione è ambigua, - in modo che può significare numerose cose o persone differenti.
È vero che, tra i diversi significati, noi ne troviamo uno, che connota lo Spirito Santo, ma mai in un senso esclusivamente riservato ai vescovi. Gli abati copti, il re Davide, e i capi virtuosi, possono tutti ricevere questo Spiritus principalis, questo Spirito che fa i capi.
(2) non il potere di Ordine. Nella lista di tanti significati differenti noi tuttavia non possiamo trovare la menzione del potere di Ordine ( Potestas Ordinis) dell'episcopato. L'espressione Spiritus principalis, lo Spirito che fa i capi non connota affatto, nemmeno in modo equivoco ne in qualche altro senso, il Sacramento dei Santi Ordini.
Ancora meno connota ciò che, secondo i teologi che consigliarono Pio XII, la forma sacramentale deve esprimere per il conferimento dell'episcopato: cioè la "pienezza del sacerdozio del Cristo nella funzione episcopale e l'ordine" oppure la "pienezza della totalità del ministero sacerdotale" (68).
Uno degli elementi costitutivi di una forma atta a conferire l'ordine e di conseguenza assente.
Così noi abbiamo ottenuto la risposta alla domanda che avevamo posto all'inizio di questa parte:
La nuova forma sacramentale significa in modo univoco gli effetti sacramentali - il potere dell'Ordine (l'episcopato) e la grazia dello Spirito Santo ?
La risposta è no.
67) Forcellini, Lexicon 8:869. " proprie de eo qui unius est vocis…cui multivocus vel plurivocus opponitur…Univoca sunt quae sub eodem nomine et sub eadem substantia continentur ». 68) F. Hurth, " Commentarius ad Cons. Apostolicam Sacramentum Ordinis, » periodica 37 (1948), 31-2. "plenitudinem sacerdotii Christi in munere et ordini episcopali.”” summa seu totalitas” ministerii sacerdotalis”.
VII. Un cambiamento sostanziale ?
Domanda: si tratta di un cambiamento sostanziale nella forma sacramentale per il conferimento dell'Ordine dell'episcopato ?
Un cambiamento sostanziale, come abbiamo visto nella prima parte, al luogo in una forma sacramentale "quando il significato della forma stessa è alterato… E se le parole prendessero un significato differente da quello stabilito dall'intenzione della Chiesa" (69), e se essa non esprimesse più "completamente e convenientemente" il significato che Cristo ha determinato e ha voluto mettervi (70).
Ora, per quel che riguarda i Santi Ordini, Pio XII ha detto esattamente quali elementi deve esprimere una forma sacramentale - la grazia dello Spirito Santo e il potere dell'Ordine che sta per essere conferito.
L'espressione Spiritus principalis, lo spirito che fa i capi nella nuova forma della consacrazione episcopale di Paolo VI può ben esprimere il primo di questi elementi cioè lo Spirito Santo. Infatti, il pronome che comincia la subordinata che segue -"quello che ( quem) avete dato…" - Indica chiaramente che essa è supposta rapportarsi allo Spirito Santo.
Questa stessa espressione, spiritus principalis, lo spirito che fai capi, tuttavia non esprime e non può esprimere l'altro elemento che è richiesto - il potere dell'Ordine conferito. Questa nozione fatto talmente difetto nella nuova forma; questa non significa più ciò che dovrebbe produrre - cioè la pienezza del sacerdozio che costituisce l'Ordine episcopale.
Così dunque la nostra domanda era: si tratta di un cambiamento sostanziale nella forma sacramentale per il conferimento dell'Ordine dell'episcopato ?
La risposta è sì.
69)H. Merkelbach, 3:20. 70) Coronata,1:13.”non amplius per ipsam complete et congruenter exprimatur".
VIII. Un sacramento invalido.
Domanda: in quale misura questo cambiamento sostanziale di significato nella forma colpisce la validità del sacramento ?
Un cambiamento sostanziale nel significato della sua forma sacramentale, come abbiamo esposto nella prima parte, rende un sacramento invalido.
Ciò ci conduce inesorabilmente alla nostra conclusione:
di conseguenza, una consacrazione episcopale conferita nella forma promulgata da Paolo VI nel 1968 è invalida.
Passiamo a due obiezioni.
IX. Salvaguardata dal Contesto?
Obiezione: anche se la parte essenziale di questo sacramento fu insufficientemente determinata, essa sarebbe lo stesso adeguatamente specificata nella frase "accordagli… di mostrarti un grande sacerdozio senza biasimo" (71) che si incontra più avanti nel contesto.
È Fr. Pierre Marie che ha sollevato succintamente questa obiezione (72). Ma non si potrebbe invocare quest'argomento che nel caso in cui:
(1) la nuova forma sacramentale contenesse i due elementi richiesti da Pio XII (la grazia dello spirito Santo e il potere di Ordine), e
(2) la forma significasse uno di questi elementi in modo equivoco piuttosto che in modo univoco.
Sarebbe allora almeno possibile di arguire che la forma contenesse nei fatti l'elemento che Pio XII aveva richiesto, è che il contesto specificava adeguatamente.
Tuttavia:
71) De Ordinatione Episcopi, Presbyterorum et Diaconarum, ed. typ.alt.( Roma. polyglot 1990), 25.” Da …ut…summum sacerdotium tibi exhibeat sine reprehensione” . 72) Fr. Pierre-Marie o.p. Pourquoi le nouveau Rite de la consécration épiscopale est-il valide, janvier 2006.10.
A. Certezza… o Opinione ?
Poco importa la forza di convinzione di una tale argomentazione, essa non potrebbe apportare nessuna certezza morale per affermare che la nuova forma sacramentale sia valida; essa non potrebbe fornire che una opinione probabile sulla sua validità.
Poiché il contro argomento schiacciante sarà sempre che Pio XII ha preteso che la forma sia univoca, punto finale.
Non è permesso, nell'amministrazione e ricezione dei sacramenti di fare affidamento su una opinione semplicemente probabile concernente la validità del sacramento.
Farlo è commettere un peccato mortale contro la religione, contro la carità e (per il ministro del sacramento) contro la giustizia (73).
Inoltre, ciò sarebbe ancora più vero nel caso del conferimento dei Santi Ordini, in ragione del pregiudizio irreparabile - invalidità delle messe, delle assoluzioni e delle estreme unzioni, che risulterebbe dalla loro invalidità.
Non si dovrebbe di conseguenza né conferire né ricevere i Santi Ordini sulla base dell’opinione secondo cui il nuovo rito di consacrazione episcopale sarebbe valido, né assolutamente esercitare una funzione sacerdotale sulla base di una tale opinione.
B. Un Contro-Argomento
in ogni caso l'argomento del contesto funzione nei due sensi.
Altre ricostruzioni della preghiera consacratoria di un vescovo nella Tradizione apostolica di Ippolito comportano una supplica Dio affinché il vescovo riceva "il potere… Di conferire agli ordini secondo ciò che voi avete decretato" (74).
Il prefazio della consacrazione episcopale di Paolo VI, su questo punto, domanda in luogo di ciò, di ricevere il potere di "distribuire i doni (o gli incarichi) secondo il vostro comandamento" (75).
73) Cappello 1: 25-6. 74) Bradshaw, 107. 75) De Ordine Episc. 25 " ut distribuat munera secundum praeceptum tuum".
La traduzione inglese rende ciò con "assegnare dei ministeri come voi avete decretato".
Presso i mormoni in un vescovo, sprovvisto del proprio spirito di governo, può assegnare dei ministeri, e perfino San Nicola può distribuire dei doni.
L'idea di conferire i Santi Ordini- il potere distinto che caratterizza la pienezza del sacerdozio - è stato soppresso nel nuovo prefazio.
Questa omissione è stata deliberata. Ciò è evidente quando si giudica partire dalla forma della consacrazione episcopale di rito copto che Dom Botte aveva consultato al fine di ricostituire il rito di Ippolito.
Dopo la frase che precede, questa forma specifica inoltre che il vescovo ha per compito di apportare al clero "il sacerdozio… Di stabilire nuove case di preghiera, e di consacrare gli altari" (76).
L'eliminazione del potere di ordinare, nella forma anglicana della consacrazione episcopale, figurava tra i motivi che Leone XIII fece valere per dichiarare invalidi gli ordini anglicani "poiché, uno dei primi compiti del vescovo è quello di ordinare dei ministri della Santa Eucarestia e del Sacrificio" (77).
C. Non solamente equivoco ma scomparsa.
In ogni modo, non è comunque possibile produrre l'argomento del contesto in favore della validità, poiché la nuova forma non significa neppure in modo equivoco uno degli elementi di cui Pio XII aveva preteso l'espressione nella forma sacramentale - cioè il potere di Ordine che è conferito.
Questo elemento è mancante, e dunque non resta alcuna materia per determinarlo o specificarlo nel contesto. Chi vi provasse si dedicherebbe a uno sforzo vano.
Se io recitassi tutte le preghiere che se io facessi tutte le cerimonie prescritte per il battesimo dal Rituale Romano, ma omettessi - che Dio me ne guardi! - La parola "battezzo", quando verso l'acqua sulla testa del neonato, il sacramento sarebbe invalido.
76) Burmester, Ordination Rites, 111. 77) Apostolicae Curae, 13 Sept 1896,DZ 1965. "eoque id magis, quid in primis episcopatus muniis scilicet est, ministros ordinandi in sanctam Eucharestiam sacrificium".
Tutte le altre preghiere che circondano il rito - poco importa quante volte esse evochino il battesimo, la purificazione e la vita nella grazia - non possono rendere la forma valida. Un elemento essenziale manca alla forma, in modo tale che non resta nulla - nemmeno un termine equivoco - che possa essere specificato in qualche modo dal contesto.
Ed è davvero questo il caso. Il potere di Ordine è scomparso dalla forma, e il contesto non può riportarvelo.
Tutto ciò che resta, è lo Spiritus principalis ovvero lo, Spirito che fa i capi il quale può rinviare allo Spirito Santo, o a uno dei suoi effetti, o bene al Padre, o alla conoscenza, o anche alle virtù simili a quelle di un padre Abate copto.
X. Approvata dal Papa ?
Obiezione: anche se la forma sacramentale essenziale non significasse in modo univoco uno degli effetti sacramentali (il potere di Ordine dell'episcopato), l'approvazione data dal Papa Paolo VI garantirebbe malgrado tutto la validità della forma.
Ecco l'ultimo argomento in favore della validità e d'altra parte il più debole, non soltanto perché esso è basato sull'ipotesi che le dichiarazioni sovrane della Chiesa non avrebbero alcun bisogno di una giustificazione teologica coerente (78), ma anche perché esso attribuisce falsamente al Papa un potere che non possiede.
A. Il potere di cambiare ?
All'inizio di Sacramentum Ordinis Pio XII, riprendendo la dottrina del Concilio di Trento, afferma: "la Chiesa non ha il potere sulla sostanza dei sacramenti, cioèSu ciò che il Cristo stesso, Nostro Signore, ha stabilito come segno sacramentale da conservare a testimonianza delle fonti della divina Rivelazione" (79).
78) Niente potrebbe essere più lontano dalla verità. I teologi che hanno preparato la dichiarazione di Pio XII nel 1947 riguardo alla materia e alla forma per i Santi Ordini hanno lavorato sulla questione per 40 anni, e hanno usato grandi precauzioni per assicurarsi che un ragionamento teologico rigoroso e coerente con la Tradizione giustificasse ciascuna parola del progetto. Quando esso fu pubblicati il capo della commissione redasse un commentario di 50 pagine per stabilirne la dimostrazione. 79) DZ3201 "ecclesia nulla competat potestas in substantia Sacramentorum, id est in ea quae, testibus divinae revelationis fontibus, ipse Crhistus Dominus in signo sacramentali servanda statuit.
In ciò che concerne i Santi Ordini, "la Chiesa non possiede alcun potere sul significato della forma, poiché esso appartiene alla sostanza del sacramento istituito dal Cristo" (80).
Il Cristo stesso ha ordinato che per i Santi Ordini, la Chiesa si serva di segni e di parole "atte ad esprimere… Il potere di Ordine" (81).
Ora la nuova forma di consacrazione episcopale non esprime questo potere di Ordine, nemmeno in modo equivoco. Di conseguenza essa cambia la sostanza di un sacramento quale il Cristo l'ha istituita. Nessun Papa potrebbe mai avere il potere di rendere una tale forma valida.
B. Oppure un Cambiamento significa Assenza di Potere ?
Se la fede ci insegna che la Chiesa non ha il potere di cambiare la sostanza di un sacramento, e che noi siamo arrivati alla conclusione che Paolo VI ha cambiato di fatto la sostanza di un sacramento - rendendolo per ciò stesso invalido - noi non possiamo arrivare che a una sola conclusione: Paolo VI non era un vero Papa.
Il rito invalido della consacrazione episcopale che Paolo VI ha promulgato non è allora che una prova in più che conferma la defezione dalla fede e, conseguentemente, la perdita di autorità dei papi di Vaticano II.
Il fatto stesso che colui che occupa la Sede di Roma non sia un vero vescovo, dovrebbe inoltre fornire una prova supplementare che non è più un vero Papa.
80) Merkelbach3: 720. "Quantum ad sensum formae, quia pertinet ad substantia sacramenti a Crhisto Instituta, ecclesiae nulla competit potestas". 81)Merkelbach3: 18. "Determinavit… Quod ab Ecclesia adhibentur signa et verba idonea ad exsprimendum characterem et gratiam propriam Confirmationis, vel potestatem Ordinis".
XI. Riassunto.
Avendo trattato delle parti che precedono una gran massa di argomenti, offriremo ora, al lettore un po' saturo, un riassunto.
A. Principi generali.
(1) qualsiasi sacramento possiedo una forma (la sua forma essenziale) che produce l'effetto sacramentale.
Se viene introdotto un cambiamento sostanziale di significato nella forma sacramentale, sia per alterazione sia per omissione di parole essenziali, il sacramento è invalido (= non ha effetto, o non produce l’effetto sacramentale).
(2) le forme sacramentali che sono in uso approvate nei riti orientali della Chiesa cattolica sono talvolta differenti quanto ai loro termini dalle forme del rito latino. Malgrado ciò questi sacramenti sono gli stessi quanto alla loro sostanza, e dunque sono validi.
(3) Pio XII ha dichiarato che la forma dei Santi Ordini (cioè il diaconato, il sacerdozio e l'episcopato) deve in modo univoco (= senza ambiguità) significare i due effetti sacramentali del potere di Ordine e della grazia dello Spirito Santo.
(4) Pio XII ha designato come forma sacramentale per il conferimento dell'episcopato una frase, nel rito tradizionale della consacrazione del vescovo, che esprime in modo non equivoco il potere di Ordine che il vescovo riceve, e la grazia dello Spirito Santo.
B. Applicazione alla nuova forma.
(1) la nuova forma della consacrazione episcopale che Paolo VI ha promulgato, non mostra di specificare il potere di ordine che si suppone essa conferisca. Essa può conferire l'episcopato ? Per rispondere a questa domanda applichiamo i principi che abbiamo esposto precedentemente.
(2) la forma, abbastanza breve, della consacrazione episcopale di Paolo VI non è identica alle lunghe forme del rito orientale, e, contrariamente ad esse, essa non menziona affatto i poteri sacramentali che sono propri del solo vescovo (p. ex.
ordinare. Le preghiere territorialità a cui rassomiglia di più il prefazio, che inquadra la consacrazione di Paolo VI, sono delle preghiere non sacramentali per l'intronizzazione dei patriarchi Maroniti e Siriani che sono già vescovi quando sono designati per questo incarico.
Riassumendo, non si può avanzare l'argomento secondo cui la forma di Paolo VI sarebbe già stata "in un suo nei due riti orientali certamente validi", e che essa sarebbe valida per questa ragione.
(3) diversi testi antichi (di Ippolito, le Costituzioni Apostoliche, il Testamento di Nostro Signore) che condividono certi elementi comuni con il Prefazio di consacrazione di Paolo VI, sono stati "ricostruiti", sono di provenienza dubbiosa, e non possono passare per essere stati utilizzati realmente nella liturgia, eccetera… Non esiste alcuna prova che essi siano stati mai "accettati utilizzati in quanto tali dalla Chiesa". Essi non apportano dunque alcuna prova certa in appoggio alla validità della Forma di Paolo VI.
(4) il problema- chiave della nuova forma ruota intorno all'espressione lo Spirito che fa i capi (Spiritus principalis il latino). Prima e dopo la promulgazione nel 1968 del rito della consacrazione episcopale, il significato di questa espressione sollevava tra interrogativi sul fatto di sapere se il sacramento sarebbe stato da essa sufficientemente espresso nel suo significato.
(5) Dom Bernard Botte, il principale autore del nuovo rito, affermava verso e contro tutti che nel terzo secolo cristiano, lo Spirito che fa i capi connotava l'episcopato, poiché i vescovi possiedono "lo spirito di autorità" in quanto "capi della Chiesa". Spiritus principalis significa "il dono dello Spirito proprio a un capo".
(6) questa spiegazione è falsa e disonesta. Il riferimento ai dizionari, ha i commentari della Scrittura, ai Padri della Chiesa, a un trattato dogmatico, e a cerimonie non-sacramentali di investitura nel rito orientale rivela che, tra una dozzina di significati diversi e talvolta contraddittori, lo Spirito che fa i capi non significa specificatamente né l'episcopato in generale, nella pienezza dei Santi Ordini che il vescovo possiede.
(7) prima che la controversia su questo argomento fosse sollevata, anche Dom Botte stesso confessava di non vedere in cosa l'omissione dell'espressione lo Spirito che fa
I capi cambiasse la validità del rito di consacrazione.
(8) La nuova forma non riesce a soddisfare i due criteri pretesi tra Pio XII per la forma dei Santi Ordini.
(a) per il fatto che l'espressione lo Spirito che fra i capi sia suscettibile a significare numerose cose e persone differenti, essa non significa in modo univoco l'effetto sacramentale.
(b) questa forma non possiede i termini che, anche in modo equivoco, siano suscettibili a connotare il potere di Ordine che un vescovo possiede - cioè "la pienezza del sacerdozio di Cristo nell'ufficio e nell'Ordine episcopale", o bene "la pienezza o la totalità del ministero sacerdotale".
(9) per queste ragioni nuova forma costituisce un cambiamento sostanziale del significato della forma sacramentale per il conferimento dell'episcopato.
(10) come abbiamo già dimostrato, un cambiamento sostanziale nel significato di una forma sacramentale rende un sacramento invalido.
Quando ero seminarista nel Midwest, a fine anni 60 inizio anni 70, sentì diversi modernisti ripudiare la concezione tradizionale della successione apostolica "come una teologia pipeline", un mito non-scritturale e un " riflesso a posteriori della fede", ed essi deridevano il concetto delle forme sacramentali qualificandole come "parole magiche" e "linguaggio incomprensibile".
Nel corso di questo stesso periodo dopo Vaticano II, degli esperti in liturgia, modernisti, lavorarono instancabilmente ad architettare il nuovo rito della consacrazione episcopale.
Nel momento dell'oppresso conoscenza del numero dei loro scritti - riempiti di affermazioni fallaci sul "ritorno alle fonti", di un astuto doppio linguaggio, di disprezzo della teologia sacramentale scolastica, e del settore dell'arroganza che traspare da ciascuna delle loro pagine - io non ho personalmente alcuna difficoltà a credere che questi uomini abbiano avuto lo scopo di produrre un rito che avrebbe distrutto la successione apostolica quale è stata tradizionalmente intesa (82).
Come abbiamo visto essi sono fin troppo riusciti in ciò. Lo sradicamento della successione apostolica sacramentale, è stato il loro piccolo "scherzo" alla Chiesa.
Così i modernisti non hanno più materia per burlarsi della "pipeline". Essi l'hanno tagliata nel 1968.
I vescovi consacrati in questo nuovo rito non possiedono il potere sacramentale dei veri vescovi, ed essi non possono consacrare validamente altri vescovi, né ordinare veri preti.
I preti che hanno avuto la loro ordinazione da tali vescovi, non possono, a loro volta, né validamente consacrare l'Eucarestia nella messa, né rimettere i peccati, né amministrare l'estrema unzione dei morenti. Sarebbe questo un peccato contro le virtù della religione, della giustizia e della carità.
I preti che, in buona fede, ricevono degli ordini invalidi sono privi del carattere sacerdotale, e i laici che ricevono dalle loro mani i sacramenti invalidi sono privi delle grazie.
Sarebbe già sufficientemente grave se questo fenomeno della invalidità dei sacramenti si limitasse alle parrocchie al clero che hanno spostato pienamente le riforme di Vaticano II, ma questo male è avanzato in altrettanta misura negli ambienti in cui la messa latina tradizionale è celebrata.
82) Dom Botte sapeva, per esempio che la preghiera siriana occidentale per la consacrazione del patriarca era non-sacramentale - s'che il titolo significava "cerimonia d'investitura" piuttosto che consacrazione sacramentale, poiché "il patriarca non riceve un carisma differente da quello che ha già ricevuto nel momento in cui è divenuto vescovo"Kouris-Sarkis, 140-1, 156-7. Egli sapeva, poiché era un editore che contribuiva a l’Orient syrien, il periodico nel quale queste parole erano comparse. Egli sapeva anche, poiché gli aveva scritto lui stesso un articolo dove dimostrava che la vera forma sacramentale antica per il conferimento dell'episcopato nei riti siriani copti non era quella di Ippolito, ma la preghiera "la divina grazia…", Ancora utilizzata nel rito bizantino. "La grazia divina sotto la forma che noi troviamo nell'eucologo bizantino, nella forma sacramentale più antica nel patriarcato siriano". Botte, "la formula di ordinazione", l'Oriente siriano2 (1957), 295.
Dal 1984 sono sorte delle messe tradizionali sotto "indulto", autorizzate dalle diocesi, un po' dappertutto. Esse sono celebrate da preti ordinati da vescovi consacrati nel nuovo rito. Tutte queste messe sono invalide, allorché molti cattolici innocenti, non avendo di meglio, vi assistono, non adorando e non ricevendo che del pane.
Ancora più pericolosi sono i diversi istituti clericali religiosi che, al momento presente, celebrano la messa latina tradizionale, con la piena approvazione di conoscenza della gerarchia modernista - la Fraternità San Pietro, l'Istituto di Cristo Re, l'Amministrazione Apostolica del Santo Giovanni Maria Vianney, i Benedettini di Fontgombault, eccetera.
Anche se esse danno l'impressione di uno splendido mantenimento del Cattolicesimo integrale, queste istituzioni sono interamente compromesse. I loro membri sono tenuti ad aderire pienamente agli errori di Vaticano II e di cooperare con i vescovi diocesani e il loro clero modernista.
Dei giovani attirati dalle glorie del Cattolicesimo e dagli ideali del sacerdozio che entrano in questi seminari e monasteri per esservi un giorno ordinati preti secondo la cerimonia integralmente tradizionale di prima del Vaticano II.
Ma essi usciranno da questa cerimonia laici com'erano prima di parteciparvi, come erano quando entrarono nel seminario qualche anno avanti - poiché il vescovo che li avrà ordinati non avrà posseduto la pienezza del sacerdozio, ma solo il vuoto dello Spiritus principalis.
E, per ciò che concerne i superiori della FSSPX, il loro tentativo di acquistare, con la difesa del proprio episcopato contraffatto, una cappella laterale nella Chiesa ecumenica mondialista di Ratzinger, tradisce il clero, i fedeli e il fondatore della Fraternità. Poiché a dispetto delle dottrine incoerenti pericolose della fraternità riguardo al Papa e al magistero ordinario universale, si poteva almeno trovare qualche consolazione nella sua difesa della validità dei sacramenti.
83) Sermone, Lilla (Francia), il 29 agosto 1976. In M.Davies, apologia pro Marcel Lefebvre (Dickinson TX: Angelus press 1979)1: 262-3. "Il rito della nuova messa è un rito bastardo, i sacramenti sono dei sacramenti bastardi-noi non sappiamo più se sono dei sacramenti che danno la grazia o che non la danno… I preti che riescono dai seminari sono dei preti bastardi".
Se tuttavia la nuova linea espressa dall'articolo del fr. Pierre Marie prevarrà, questa validità sarà infine perduta. E se una "riconciliazione" dovrà farsi, non sarà più allora che una questione di tempo affinché il clero contraffatto faccia la sua apparizione un po' dappertutto nel seno dell'apostolato della FSSPX - per l'obbligo forse di un cardinale, o del "vescovo" stesso di Roma, nell'intenzione di fare un gesto di buona volontà ecumenica.
Chi, allora, nei ranghi della FSSPX avrà il coraggio di resistere ?
Chi, allora, come monsignor l'arcivescovo Marcel Lefebvre, tuonerà contro questi "riti bastardi", questi "preti bastardi", questi "sacramenti bastardi che non possono più assolutamente darci la grazia (83) ?
E il ricatto tradizionalista, tradito dai compromessi dei suoi figli li si domanderà una volta di più se i loro sacramenti non sono più che uno spettacolo vuoto -assolutamente invalido e interamente inutile.
25 marzo, 2006
Arciv. Lefebvre +
15° anniv.
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Parlate, parlate, tanto non vi segue NESSUNO!
RispondiEliminaMolto interessante a livello di conoscenza, ma si tratta di un paradosso che condanna la Chiesa Cattolica all'estinzione. Quando tornerebbe al Padre l'ultimo vescovo consacrato "validamente" la Successione Apostolica avrebbe fine, il modernismo e le eresie avrebbero trionfato e ciò è contro le parole del Signore stesso. Impossibile.
RispondiEliminaCaro anonimo, lasciali parlare, tanto sono 2 poverett.. Nessuno da più loro retta! sono convinto che le statistiche dei visitatori di questl blog sono bassissime...
Elimina“Jamais l’Église n’a été plus chrétienne que depuis Vatican II”. P, Y. Congar
RispondiEliminaCredo che la primissima cosa da fare per stabilire la validità della
RispondiEliminaconsacrazione dei sacerdoti e dei vescovi sia quella di appurare se per
la chiesa postconciliare le figure del prete e del vescovo siano
ancora le medesime della Chiesa ante concilio. Intendo le medesime in
toto, quindi anche nei fini e nei compiti per raggiungere quei fini.
Se per disgrazia fosse cambiata l'essenza di tali figure, allora credo
che l'invalidità delle consacrazioni sia palese. In caso contrario occorre
esaminare le formule consacratorie per scoprire se l'essenza di materia
e forma siano rimaste intonse. Ripeto, solo l'essenza, non gli accidenti,
che omessi, aggiunti o alterati possono rendere il rito illecito,
cattivo, irriverente, ecc., ma non invalido.
L'analisi di don Cekada è lunga, dettagliata e logica. Mi chiedo se qualcuno che qui starnazza abbia letto tutto....così, solo anche per curiosità !
RispondiEliminaDalle fregnacce di commenti, si deduce che fosse troppo lungo leggere, quindi sono commenti di aria fritta
Letterina di Natale a Papa Francesco :
RispondiEliminaCaro Bergolio, mi rivolgo a te con quella familiarità e confidenza che tu stesso ci inviti ad avere nei tuoi confronti; lo faccio per dedicarti una canzone a me molto cara, dal titolo “Pregherò, per te”, cantata dal bravo Adriano Celentano nei suoi anni giovanili (erano gli anni ’50), al suo esordio nel mondo della musica leggera. In particolare ti dedico le parole “pregheròòò, per te / che la fede non hai, / e se tuuu, lo vorrai / crederai, crederai”.
Non ti arrabbiare se prego così per te, ma è perché desidero che tu possa rafforzare, o recuperare, quella fede che finora hai dimostrato di non avere ben salda, e così tu possa dimostrare al mondo intero:
1) di credere che esiste un solo Salvatore, Gesù Cristo, un solo nome nel quale tutti (ma proprio tutti, sai?) possiamo essere salvati, e quel nome è GESU’;
2) di credere che esiste una sola Chiesa incaricata della salvezza eterna delle anime (e dei corpi) di tutti gli esseri umani che popolano e popoleranno questa terra, e che essa è la Chiesa Cattolica, fondata da NSGC sulla roccia di “Petrus” (non omologabile, quindi, alle altre confessioni cristiane né, tantomeno, alle religioni non cristiane);
3) di credere, infine, che bisogna obbedire al comando (ed eseguire l’incarico) lasciatoci dal Cristo al momento della sua Ascensione al Cielo (“andate e predicate il Vangelo a tutte le genti, fino ai confini della terra, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello spirito Santo”), dimostrando in tal modo che l’evangelizzazione, il proselitismo, la conversione di tutte le genti (quale che sia il loro attuale credo religioso) non è affatto una solenne sciocchezza, ma un dovere ineludibile di tutti i cristiani, e che il rifiuto di adempiere questo incarico, quello sì che è una solenne e pericolosa sciocchezza, per noi e per il prossimo.
Rafforzata così la tua fede, caro Padre Santo, potrai convincere tutti che l’unico motivo per cui la Chiesa può difendere il diritto alla sua esistenza in questo mondo incredulo è la salvezza eterna di tutti gli uomini (obiettivo per il cui raggiungimento il c.d. “proselitismo” è strumento indispensabile), mentre l’umanesimo sociale, l’aiuto ai diseredati, la “cura delle ferite” sono compiti che possono svolgere agevolmente anche le Onlus, le Ong, le associazioni filantropiche, di qualsiasi razza o religione.
Con i migliori auguri di Buone e Sante Festività Natalizie,
un fedele (ma ostinato e un po’ testardo), devoto cattolico
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaLa successione apostolica non è assolutamente interrotta perché sono valide tutte le consacrazioni dei vescovi sedevacantisti e sedeprivazionisti, quelle delle Fraternità san Pio X, e tutte quelle della Chiesa Ortodossa
RispondiElimina