lunedì 9 dicembre 2013
IN PRIVATO SI STIGMARIZZA L'ACCORDISTA FELLAY IN PUBBLICO LO SI APPOGGIA. TUTTO QUESTO E' AVERE UN COMPORTAMENTO CON UNA DOPPIA FACCIA CHE NON HA NIENTE A CHE VEDERE CON UNA RETTA FEDE CATTOLICA...
Ringraziamo della traduzione un nostro carissimo amico...
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Lettera aperta al Distretto di Francia
di Don Olivier Rioult
Cari confratelli,
Poiché il Bollettino della Fraternità San Pio X (n° 251), del luglio 2013, mi ha esplicitamente nominato, vi chiedo pochi minuti di attenzione per ascoltare il mio “diritto di replica”.
Innanzi tutto, vi chiedo di non dare alcun credito all’affermazione di Don Thouvenot che pretende che noi avremmo cercato di “far esplodere la Fraternità”.
Io devo tutto alla Fraternità e vi sono anche legato per testamento. Il nostro scopo era l’oggetto stesso dell’azione di grazia di Mons. Fellay, a Kansas City, dell’ottobre 2013: essere «preservati da ogni sorta di accordo”, poiché questo sarebbe stato una grande «disgrazia».
I desiderii…
Don de Cacqueray afferma che «sarebbe veramente paradossale e opera diabolica voler lasciare la Fraternità nel momento in cui viene presentata una tale Dichiarazione [27 giugno 2013]. È sotto la guida del nostro Superiore generale e non dei franchi tiratori, che dobbiamo continuare a condurre la battaglia per la Fede».
Ma Don de Cacqueray ha dovuto scrivervi tre pagine per rassicurarvi su questa Dichiarazione, quando invece non fu necessario alcun commento su quella del 21 novembre 1974.
«Continuare a condurre la battaglia per la Fede sotto la guida del nostro Superiore generale». E sia! Ma a partire dal 2002, dove sono i comunicati della Casa Generalizia che condannano ufficialmente Roma? Peggio, ci sono stati dei comunicati che hanno perfino favorito le menzogne romane. Mons. Tissier, nell’editoriale de Le Sel de la Terre (n° 85, estate 2013), parla di «menzogne ed equivoci» a proposito del motu proprio di Benedetto XVI sulla Messa e della remissione delle scomuniche. E così che ne parla Mons. Fellay? Perché Don Nély, in privato, sconsiglia ai confratelli la lettura di questo articolo di Mons. Tissier, descrivendolo come cattivo o senza interesse?
Don de Cacqueray ci dice di combattere «con intelligenza e prudenza, con spirito soprannaturale e nell’ubbidienza ai nostri Superiori». E sia! Ma perché ritornando da Menzingen con il Cor Unum n° 104, ha affermato che «un accordo era ineluttabile» e che egli non era «più in grado di esigere l’obbedienza dei suoi subalterni nei confronti di Mons. Fellay»?
Don de Cacqueray, in privato, ha fortemente criticato le deviazioni della Casa Generalizia. Lo ha fatto a giusto titolo, con coraggio ed intelligenza, ma che ne è di questo pubblicamente?
Due affermazioni che deformano la realtà
a) L. A. B. [Lettres aux amis et bienfaiteurs] n° 80: Don de Cacqueray esprime a Mons. Fellay la sua «riconoscenza per il rifiuto coraggioso che ha rivolto al Papa».
b) Bollettino n° 251: Don de Cacqueray scrive: «il nostro Superiore generale ci comunica adesso quest’altra Dichiarazione. Lo ringraziamo vivamente.» Ma in privato, Don de Cacqueray ha detto ad un confratello, l’11 giugno 2013, che la dichiarazione del 15 aprile 2012, sebbene ritirata, era stata ampliata con la pubblicazione di Cor Unum 104 e con la lettera a Benedetto XVI del 17 giugno… Ma fino a luglio 2012, Don de Cacqueray aveva giustamente posto il vero problema: «Dal momento che non si è stati capaci di rispettare le decisioni del Capitolo del 2006, perché si dovrebbe essere in grado di rispettare domani gli impegni assunti oggi?».
I ringraziamenti sono dunque improprii fintanto che le ingiustizie non siano state riparate e gli errori chiaramente rigettati.
Forse che vi scandalizzerete di queste richieste? Eppure esse sono un classico nella storia ecclesiastica. Negli Atti di Cartagine, il diacono Paolino, a proposito di un chierico fautore di errori, dichiara: «Delle due, l’una: o neghi di aver insegnato questo o lo condanni!”
E allora la realtà, sfortunatamente, non è quella descritta ufficialmente da Don de Cacqueray.
La realtà che è Mons. Fellay è stato PARZIALE, trascurando il bilancio di Mons. Lefebvre (1988-1991), DISOBBEDIENTE al Capitolo del 2006, IMPRUDENTE disprezzando gli avvertimenti dei vescovi e INFEDELE approntando una dichiarazione empia (15 aprile 2012).
Di più, il Superiore generale ha tenuto un comportamento disonesto, praticando la menzogna, la manipolazione dei testi… Senza dimenticare i peccati d’omissione e le contraddizioni evidenti nascoste sotto il falso pretesto di «saper leggere fra le righe»…
Nell’aprile 2012, Don de Cacqueray affermava che la dichiarazione di Mons. Fellay era «scandalosa, che minava l’onore della Fraternità e che egli si sarebbe adoperato per ottenerne il rigetto solenne in occasione del Capitolo». Il 15 giugno 2012, Mons. de Galarreta confidava ad un confratello: «Mons. Fellay capirà che non può continuare, poiché ha deluso coloro che si aspettavano un accordo, e gli altri gli diranno: tutto questo, per questo!». Dopo il Capitolo, Don de Cacqueray constatava che: «la condizione del 2006 è stata completamente abbandonata.» E nel maggio 2013, Mons. Tissier de Mallerais dichiarava che il contenuto di Cor Unum n° 104 era «troppo deplorevole per poter essere commentato, troppo chiaramente insoddisfacente per essere approvato, troppo scioccante per non arrecare vergogna a chi di dovere.»
In conclusione, non c’è stata alcuna «ritrattazione solenne», ma un abbandono delle nostre posizioni, con un Superiore che «ha continuato a mantenere» un comportamento ufficiale “deplorevole”, “insoddisfacente”, “scioccante” e “vergognoso”!
Il nostro bene comune
Cosa aspettano questi confratelli per trarre le conseguenze di questi fatti? Hanno saputo scrivere i numeri, ma non osano fare l’addizione.
Bisogna attendere che Mons. Fellay concelebri la Messa di Paolo VI con una chitarra, perché decidano di agire pubblicamente?
Invece di tenere una posizione efficace, essi hanno pensato che ciò che sarebbe salutare è impossibile, dimenticando che i limiti del possibile si amplierebbero se solo avessero l’ardire di esprimere ad alta voce ciò che pensano. Il demonio parla loro di unione per bloccarli ed essi dimenticano allora che non c’è unione feconda se non quella che si fonda su dei principii certi, e che diversamente il termine “unione” serve solo a coprire un malinteso col quale i più onesti vengono ingannati dai più furbi.
La Casa Generalizia ha detto e commesso delle enormità che hanno ferito gravemente la nostra Fraternità La messa in guardia di Mons. Lefebvre vale anche per noi: «Non sono gli inferiori che cambiano i superiori, ma i superiori che cambiano gli inferiori.» (Fideliter n° 70, luglio-agosto 1989).
Che cosa ci possiamo aspettare da Mons. Fellay, che ha detto: «La nuova Messa svuota il sacrificio della Croce» (giugno 2013); e la nuova Messa è stata «legittimamente promulgata» (aprile 2012); o il Vaticano II «ha inaugurato un nuovo tipo di magistero imbevuto di principii modernisti» (giugno 2013); e «il concilio Vaticano II chiarisce ed esplicita certi aspetti della vita e della dottrina della Chiesa» (aprile 2012)?
Una tale contraddizione dottrinale in quest’uomo (il Superiore generale), nelle circostanze attuali (i 50 anni del Vaticano II), avrebbe dovuto essere sufficiente per provocare in noi una salutare indignazione.
E perdendo la sua credibilità, Mons. Fellay l’ha fatta perdere a tutta la Fraternità e a ciascuno dei suoi sacerdoti. Come ha detto bene Don Chazal: la Fraternità ha perduto la sua verginità dottrinale. Mons. Fellay ha ferito la coesione della Fraternità, compromettendo il suo bene comune. Egli ha incrinato le robuste convinzioni dottrinali richieste dalla nostra lotta estenuante.
E nel corso del Capitolo, i Superiori maggiori della Fraternità hanno preferito l’unità alla verità, la reputazione di un uomo all’amore per la verità. Si è trattato di un veleno mortale! Un falso principio, che sembra implicitamente accettato da tutti, regge da oggi la nostra Fraternità: “L’autorità è intoccabile e/o il Superiore è infallibile”. Dire che un superiore è indegno e dovrebbe dare le dimissioni sarebbe una blasfemia o un peccato contro lo Spirito Santo!
Tutto questo è ridicolo, ma è questo lo spirito che regna tra di noi.
Se non sopraggiunge alcuna reazione, questo principio ci ucciderà a più o meno breve scadenza.
«La più grande disgrazia per un secolo, è l’abbandono o l’ammorbidimento della verità. Ci si può risollevare da tutto, ma non ci si risolleva mai dal sacrificio dei principii… Così che il più grande servizio che un uomo possa rendere ai suoi simili nelle epoche di fallimento e di oscuramento, è affermare la verità senza timore, anche se non verrà ascoltato.» (Mons. Freppel, Panegirico di Sant’Ilario, 19 gennaio 1873).
Una nuova linea…
Mentre Mons. Lefebvre afferma che in caso di accordo, «non basta dire: non è cambiato alcunché nella pratica…» (Ecône, 8 ottobre 1988), Mons. Fellay pretende al contrario: «quale che sia l’accordo; nessun compromesso! Noi restiamo come siamo» (The Angelus).
E questa utopia suicida è stata riaffermata nella Dichiarazione per il XXV anniversario delle consacrazioni, con la pretesa di seguire «il principio che Mons. Lefebvre ha sempre osservato»: “…sia che [Roma] riconosca … il diritto ed il dovere di opporci pubblicamente agli errori e a coloro che li promuovono, chiunque essi siano…».
E indicare queste contraddizioni, significa spaccare il capello in quattro? E se uno le note, bisogna tacere?
Com’è possibile che tanti confratelli non abbiano visto ciò che un laico aveva previsto e scritto nel 2009 a Don de Cacqueray. Questo fedele si preoccupava per «l’euforia isterica» di Mons. Fellay, che denotava «una grande ignoranza dell’ermeneutica della continuità»; ed era anche scioccato per la sua «menzogna spudorata» che «dava ad intendere» ai fedeli che «sarebbero stati esauditi dalla Santissima Vergine Maria». E poi concludeva: «I colloqui falliranno sicuramente. Per me, caro Reverendo, è una certezza. La tattica imprudente della Fraternità, i suoi preamboli disastrosi, non potevano condurre che a questo vicolo cieco, dal quale non vedo come essa potrà uscirne, se non con un grosso danno. Dio ne chiederà conto ai nostri vescovi, poiché il loro scopo è predicare la verità, non dialogare con degli anticristi.»
Quando si chiede a Mons. Fellay: «Quali segni si devono attendere che ci dimostrino che si è compiuto il ritorno alla Tradizione?» (Intervista a The Angelus, 20 aprile 2013), la risposta è: «È difficile dire come questo comincerà. Col Papa Benedetto XVI abbiamo avuto all’inizio il grande segno della liturgia…»
Alla stessa domanda, Mons. Lefebvre rispondeva così: «quando mi si chiede quando ci sarà un accordo con Roma, la mia risposta è semplice: quando Roma intronizzerà di nuovo Nostro Signore Gesù Cristo. Il giorno in cui essi riconosceranno di nuovo Nostro Signore come Re dei popoli e delle nazioni, non è con noi che si saranno ricongiunti, ma con la Chiesa cattolica nella quale continuiamo a rimanere.» (Flavigny, dicembre 1988).
Dopo di ciò, si può pretendere che la Fraternità non abbia cambiato linea? Nel 1988 era ammesso da tutti che «dopo il Vaticano II si era chiaramente manifestata una Roma neo-modernista…» e che «la cattedra di Pietro e i posti di responsabilità a Roma» erano «occupati da degli anticristi». 25 anni dopo si è passati dall’esplicito all’ambiguo.
Dove sono gli atti di guerra contro questa Roma modernista?
Accontentarsi della dichiarazione del giugno 2013 (migliore di quella dell’aprile 2012), significa accontentarsi di un abbassamento di febbre, senza voler estirpare il principio mortale che continua a rimanere nel corpo. A quando la ricaduta del malato?”
E un nuovo spirito
Si può avere fiducia in coloro che hanno voluto un accordo con il montagnardo Benedetto XVI, che era solo la Rivoluzione frenata, col pretesto che si rifiuta quest’accordo con il giacobino Francesco che è la Rivoluzione adempiuta? No! Giacobina o montagnarda che sia, non ci si accorda mai con la Rivoluzione. Questo avrebbe dovuto essere evidente ad ogni “contro-rivoluzionario”!
«Noi abbiamo scelto di essere contro-rivoluzionarii con il Syllabus contro gli errori moderni… Più si analizzano i documenti del Vaticano II e l’interpretazione che ne dà l’autorità… più ci si accorge di una perversione degli spiriti… Noi non abbiamo niente a che fare con questa gente, poiché non abbiamo niente in comune con loro… a forza di dire che sono per i diritti dell’uomo, per la libertà religiosa, la democrazia e l’uguaglianza degli uomini, costoro avranno un posto nel governo mondiale, ma sarà un posto di servitori… o siamo con la Chiesa cattolica o siamo contro di essa, noi non siamo di questa Chiesa conciliare che ha sempre più di meno della Chiesa cattolica, praticamente più niente.» (Conferenza di Mons. Lefebvre a conclusione del ritiro sacerdotale a Ecône, settembre 1990 – Fideliter n° 87, maggio giugno 1992, p. 8).
Certi membri della Fraternità, per ingenuità, hanno creduto che un accordo con la Chiesa conciliare sarebbe una vittoria della Tradizione. Essi assomigliano a delle pecore che credono di poter occupare il mattatoio… Ma se tanti confratelli si sono lasciati sedurre, non è perché si sia fatto tanto per tentarli, ma piuttosto perché essi morivano dalla voglia di cedere alla tentazione. I moderni si adattano molto presto ai principii della Rivoluzione non appena vi sia una parvenza di ordine. Essi dimenticano presto, troppo presto, il pericolo del disordine stabilito e della sovversione istallata nei principii.
«Mons. Fellay - mi si dirà - ha detto che non voleva più un accordo». E sia! Per adesso.
Ma in ogni caso, il problema non è più questo. L’accordo è una conseguenza del problema, non la sua causa! Il problema è un capo liberale che ha fallito nell’accordo, che vive nella contraddizione dei principii, che ha una spiritualità soprannaturalista, una nozione settaria e/o tirannica dell’autorità e una predicazione ammorbidita e calcolata di Cristo Re, che sta attenta a non dispiacere a certi nemici di Cristo Re…
Certe riflessioni di Abel Bonnard, ne I Moderati, che ancora dopo un secolo non hanno perduto la loro attualità, meritano di essere conosciute meglio. Esse riguardano la psicologia dei liberali. Eccone alcune da leggere come le riflessioni di Aristotele citate da San Tommaso.
«I moderati sono dei liberali che non hanno più fede in loro stessi»; «Sono dei moderati, non per dei principii loro proprii, ma perché fanno un passo in meno nella stessa direzione dei loro avversarii, essendo timidi nelle stesse irragionevolezze»; «Il loro ruolo nella storia è immenso. Sono gli introduttori delle catastrofi: annunciando il progresso, hanno aperto la porta al disastro. I liberali sono i personaggi più vanitosi della storia. Essi vogliono che la politica sia un dibattito, non una battaglia» (1); «In politica, il primo realismo è conoscere i demoni che sono nascosti nelle parole»; «Agli spiriti poveri la passione per il vero sembra sempre un partito preso, mentre al contrario è troppo facile passare per imparziali rimanendo superficiali e per obiettivi rispettando allo stesso modo tutti gli idoli».
Le esigenze della verità
«Ma, - mi si dirà – questo dà il diritto di disobbedire?»
Ma allora, che cos’è questo chiedere a Roma «il diritto ed il dovere di opporci pubblicamente agli errori e a coloro che li promuovono, chiunque essi siano»? La Fraternità, come potrebbe esigere per sé, in maniera decente, un diritto che essa stessa non rispetta?
«Una volta constato – scrive il Padre Montrouzier, della Compagnia di Gesù – l’errore dev’essere perseguito presso tutti i suoi partigiani, quale che sia il loro rango, la loro posizione e perfino l’eminenza del sapere e dei servizi resi… La carità non è la mollezza: ogni pericolo di seduzione dev’essere segnalato, perfino a rischio di compromettere dei personaggi fino ad allora considerati come del tutto irreprensibili.»
E poi, come sottolinea Abel Bonnard: «Il termine ‘servire’ ha un bel significato, ma è vicinissimo al termine ‘servile’». «Nostro Signore stesso fu accusato di essere sedizioso e perturbatore dell’ordine, per aver reso testimonianza alla verità.» «L’ordine da osservare nella carità richiede innanzi tutto di amare la verità. Ma molti sono per la verità a condizione che non abbiano a soffrire per essa.» «In verità, un uomo d’onore, quali che siano i doveri che riconosce per sé verso la sua società, ne conserva sempre verso se stesso. Egli non può accettare degli obblighi per i quali la sua anima si appiattisca, e per quanto così sembri che si preoccupi per se stesso, egli al contrario compie un dovere primordiale nei confronti della società di cui fa parte.» (Abel Bonnard).
Credete che il fatto di gridare allo scandalo di fronte ai fatti che abbiamo vissuto e che sono il frutto della politica sediziosa della Casa Generalizia, giustifichi delle esclusioni dalla Fraternità?
Potete accettare che vi si menta?
Che si manipolino ufficialmente i testi?
Che si distruggano, contro lo stesso diritto della nostra Fraternità, le decisioni fondamentali del Capitolo del 2006?
E, questione annessa, potete accettare che un Superiore di Distretto usurpi la vostra identità e ne faccia un uso fraudolento?
Don de Cacqueray ci dice: «Quali che siano le difficoltà di questi due ultimi anni, in questo testo constatiamo che le posizioni della Fraternità sono chiaramente espresse… dal momento che lo stendardo della Fede è fieramente spiegato contro le eresie, che si sappia passare su tutto ciò che resta di accessorio e accidentale… Se noi crediamo di essere stati talvolta vittime di ingiustizie o di incomprensioni, o se lo siamo stati veramente, chiediamo la grazia di saperne gioire e offriamole in sacrificio per questa grande battaglia per la Fede.»
Ecco un modo, non solo un po’ sbrigativo, ma anche falso di considerare il problema.
«Questi falsi spirituali, che hanno tradito gli obblighi della vita attiva, e particolarmente gli obblighi dell’onore e della giustizia, hanno ucciso nei loro cuori la possibilità della vera contemplazione; essi si sono immersi in una preghiera di menzogna […] la carità per il prossimo non può trascurare il senso dell’onore. Così, non difendere gli inferiori di cui si è incaricati, abbandonarli, lasciarsi calunniare, schiacciare, esiliare, mentre si è il loro capo legittimo, mollarli, e mollarli con delle parole pie («mio caro amico, questo andrà a profitto della vostra crescita spirituale»), in una parola, comportarsi come un vigliacco, significa evidentemente mancare all’onore e alla giustizia, ma al tempo stesso significa mancare gravemente alla carità. Il capo che ha l’abitudine di agire così, forse evita a se stesso difficoltà e guai, ma commette iniquità. Dopo di che, mi potrete dire che è un uomo di preghiera, e io vi rispondo che è soprattutto un pio ipocrita. Egli misconosce uno dei primi obblighi della vita attiva, che è quello di amare molto per praticare la giustizia, anche a proprie spese. Diversamente, come potrebbe essere autentica la contemplazione nella sua anima?» (Padre Calmel, Itinéraires, n° 76, La contemplazione dei santi).
E «Lo stendardo della Fede» è veramente «fieramente spiegato contro le eresie» del mondo moderno, allorché Don Rostand si unisce alla preghiera ecumenica di Francesco in piazza San Pietro? E questo senza sanzioni da parte del Superiore generale? La lettera dei tre vescovi, aveva torto quando constatava: «Non si notano già in seno alla Fraternità dei sintomi di questo ammorbidimento nella confessione della Fede?».
Paternità o tirannia?
Don de Cacqueray spera «di tutto cuore che questa Dichiarazione dottrinale permetterà a coloro che non sono più con noi, vescovo, membri della Fraternità o comunità amiche, di tornare all’ovile. Noi citiamo in particolare Don Olivier Rioult. […] Invitiamo dunque ognuno a rimanere fermo nella Fede e a non pensare che esista quasi “uno stato di necessità nello stato di necessità” che permetterebbe di prendere chissà quale iniziativa.»
Che Dio ricompensi Don de Cacqueray per le sue intenzioni. Ma questo può farlo solo colui che ha distrutto l’unità della Fraternità: riparando e amnistiando.
Dove sono gli appelli del pastore che invita le sue pecore a “tornare all’ovile”? Pecore che non hanno fatto altro che lottare con tutte le loro forze contro l’errore accordista e per l’onore della Fraternità.
Don de Caqueray riconosce coraggiosamente, e questo non è piaciuto a Don Simoulin né alla Casa Generalizia, che per due anni nella Fraternità si è avuto “uno stato di necessità nello stato di necessità”. Questa frase manifesta la legittimità delle prese di posizione di Mons. Williamson e dei sacerdoti che hanno sacrificato la loro tranquillità per compiere il loro dovere contro i fautori degli errori, “quali che siano”.
“Tornare all’ovile”! Certo! Ma quale?
Un ovile in cui si reputa normale che a porte chiuse Mons. Fellay faccia “tacitamente” credere a “un passo falso”, per poi in seguito pretendere che la sua Dichiarazione fosse un “testo sufficientemente chiaro” e scrivere sul Bollettino Ufficiale di essere stato ingannato da Roma e non compreso da “eminenti confratelli che hanno visto un’ambiguità, e cioè un accordo”?
Un ovile in cui si accetta il rifiuto del Superiore generale di riconoscere intellettualmente la sua Dichiarazione dell’aprile 2012 per quella che era: l’ermeneutica della continuità?
Un ovile in cui si sopporta che il vertice della nostra Congregazione infici il principio di non-contraddizione e inganni i membri del Capitolo?
Che fanno i generali del nostro esercito?
Mons. Lefebvre si augurava un po’ più di energia: «Essi sono fermi. Non decidono di andarsene o di fondare un altro monastero o di chiedere a Dom Gérard di dare le dimissioni e di essere rimpiazzato… No, niente… Si obbedisce. […] è deplorevole vedere con quale facilità un monastero che è nella Tradizione passi sotto l’autorità conciliare e modernista. E tutti sono fermi.» (Ecône, 8 ottobre 1988).
Se i generali non fanno alcunché, che aspettiamo ad imitare quei Vandeani che sono andati a cercare i loro capi nei loro castelli e, per uno di essi, fin sotto il suo letto? Questi nobili Signori, una volta posti di fronte al loro dovere, sono diventati degli eroi e dei martiri. Essi avevano, è vero, il senso dell’autorità che non è più niente senza la verità: Se avanzo, seguitemi; se indietreggio, uccidetemi…
Mio Dio, dateci dei capi, dei santi capi, molti santi capi!
Dominus vobiscum.
Don Olivier Rioult
21 novembre 2013
Note
1 - «Noi viviamo in tempi eccezionali e, pensiamo, apocalittici» (Mons.Lefebvre, Ritiro a Ecône, settembre 1986).
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Altro triste figuro, ecco la gente che è marcita con la tradizione. La mancanza di commenti e risposte ad articoli come questi dimostra l'assenza di seguito tra i cattolici.
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