SEQUÉNTIA
Víctmæ pascháli láudes: ímmolent Christiáni. Agnus redémit oves: Christus ínnocens Patri reconciliávit peccatóres. Mors et vita duéllo conflixére miràndo: dux vitæ mórtuus, regnat vívus. Dic nobis, María, quid vidísti in via? Sepúlcrum Christi vivéntis: et glóriam vidi resurgéntis. Angélicos testes, sudárium, et vestes. Surréxit Christus spes mea: præcédit vos in Galilæam. Scímus Christum surrexísse a mórtuis vere: tu nobis, victor Rex, miserére. Amen. Allelúia.
Alla Vittima pasquale, lodi offrano i Cristiani. L’Agnello ha redento le pécore: Cristo innocente, al Padre ha riconciliato i peccatori. La morte e la vita si scontrarono in mirabile duello: il Duce della vita, già morto, regna vivo. Dicci, o Maria, che vedesti per via? Vidi il sepolcro del Cristo vivente: e la gloria del Risorgente. I testimoni angélici, il sudario e i lini. È risorto il Cristo, mia speranza: vi precede in Galilea. Noi sappiamo che il Cristo è veramente risorto da morte: o Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi. Amen. Allelúia.
LUNEDI' DI PASQUA...
di
dom Prosper Guéranger
Il mistero della Pasqua è così vasto e profondo che non
saranno troppi i sette giorni di questa settimana per
meditarlo e approfondirlo. Nella giornata di ieri non
abbiamo fatto altro che contemplare il nostro Redentore
uscito dal sepolcro, manifestandosi per ben sei volte ai
suoi cari col suo potere e per sua bontà. Continueremo a
rendergli gli omaggi di adorazione, di riconoscenza e di
amore ai quali ha diritto per questo trionfo che è suo e
nostro nel medesimo tempo; ma dobbiamo anche penetrare
rispettosamente l'insieme meraviglioso della dottrina e dei
fatti di cui la Risurrezione del nostro divin Liberatore è
il centro, affinché la luce celeste ci illumini ancor meglio
e la nostra gioia cresca sempre di più.
Il mistero
dell'Agnello.
Prima di tutto, che cosa è, dunque, il mistero della Pasqua?
La Bibbia ci risponde che la Pasqua è l'immolazione
dell'Agnello. Per comprendere la Pasqua bisogna aver capito
il mistero dell'Agnello.
Fin dai primi secoli del cristianesimo nei mosaici e
nelle pitture murali delle Basiliche si rappresentava
l'Agnello come il simbolo che riuniva in sé l'idea del
sacrificio di Cristo e quella della sua vittoria. Nella sua
posa piena di dolcezza, l'Agnello esprimeva la dedizione che
lo ha condotto a dare il suo sangue per la salvezza
dell'umanità; ma veniva dipinto in piedi, in cima ad una
collinetta verdeggiante, mentre i quattro fiumi del
paradiso, al suo comando, scaturivano sotto i suoi piedi,
raffigurando i quattro Vangeli che hanno portato la dottrina
della sua gloria ai quattro punti cardinali del mondo. Più
tardi fu dipinto armato di una croce, dalla quale sventolava
una bandieruola trionfale: è la forma simbolica sotto cui lo
troviamo anche ai tempi nostri.
L'Agnello
nell'Antico Testamento.
Dopo il peccato, l'uomo non poteva più fare a meno
dell'Agnello; senza di esso si vedeva diseredato per sempre
dal cielo ed esposto eternamente al divino cruccio. Nei
primi giorni del mondo, il giusto Abele sollecitava la clemenza del Creatore
irritato, immolando sopra un altare, formato da una zolla
erbosa, il più bell'agnello del suo gregge, fino a che,
agnello egli stesso, cadde sotto i colpi del fratricida,
divenendo così il tipo vivente del nuovo agnello che, pure,
dai suoi fratelli fu messo a morte.
In seguito, Abramo, sulla montagna, consumò il sacrificio
iniziato dalla sua eroica obbedienza, immolando il montone
la cui testa era circondata di spine ed il cui sangue si
sparse sull'altare eretto per Isacco. Più tardi Dio parlò a
Mosè: gli rivelò la Pasqua e questa pasqua consisteva,
allora, nell'immolazione di un agnello e nel banchetto che
si teneva per mangiarne la carne. La Santa Chiesa, in questi
ultimi giorni, ci ha dato a leggere nel libro dell'Esodo il
comando del Signore su tale soggetto. L'Agnello pasquale
doveva essere senza macchia: si doveva spargere il suo
sangue, e nutrirsi della sua carne. Tale era la prima
Pasqua.
Essa è piena di figure, ma vuota di realtà. Nondimeno
durante quindici secoli, il popolo di Dio dovette
accontentarsene; ma l'ebreo che viveva più spiritualmente
sapeva ben riconoscere l'impronta misteriosa di un altro
Agnello.
Il vero
Agnello.
Giunta la pienezza dei tempi, Dio inviò il suo Figliuolo
sulla terra. Il Verbo incarnato, che non si era ancora
manifestato agli uomini, un giorno camminava sulle rive del
Giordano: Giovanni Battista lo indicò ai discepoli dicendo:
"Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il peccato dal mondo".
Il santo Precursore in quel momento annunziava la Pasqua,
poiché avvertiva gli uomini che, finalmente, la terra
possedeva il vero Agnello, l'Agnello di Dio, atteso da tanto
tempo. Ecco, era venuto, questo Agnello, più puro di quello
di Abele, più misterioso di quello di Abramo, più esente da
ogni macchia di quello che gli Israeliti offrivano in
Egitto. È veramente l'Agnello implorato, con tanta
insistenza da Isaia; un Agnello mandato dallo stesso Dio;
in una parola l'Agnello di Dio. Ancora qualche
tempo e verrà immolato. Tre giorni fa abbiamo assistito al
suo sacrificio; abbiamo visto la sua pazienza, la sua
dolcezza sotto il coltello che lo uccideva e noi siamo stati
bagnati dal suo sangue che ha lavato tutti i nostri peccati.
Virtù del
sangue dell'Agnello.
L'effusione di questo sangue rigeneratore era necessaria
alla nostra Pasqua; bisognava che noi ne fossimo segnati,
per sfuggire alla spada dell'Agnello; nello stesso tempo,
questo sangue ci comunicava la purezza di colui che ce la
elargiva con tanta liberalità. I nostri neofiti uscivano dal
fonte, nel quale egli immette la sua virtù, più bianchi
della neve ; ed anche i peccatori, che avevano avuto la
sciagura di perdere la grazia, un tempo in esso acquistata,
avevano ritrovato, per mezzo dell'inesauribile forza del
sangue divino, la loro integrità primitiva. Tutta la
comunità dei fedeli si rivestiva dell'abito nuziale; e
questa veste era di uno splendore abbagliante poiché è "nel
sangue stesso dell'Agnello che fu lavata" (Apoc. 7, 14).
Il banchetto
pasquale.
Ora questa veste è stata preparata per presenziare ad un
banchetto, nel quale ritroveremo ancora quell'Agnello. È lui
stesso che si da ai fortunati convitati quale nutrimento; e
il banchetto è la Pasqua. Gli Atti dell'Apostolo
sant'Andrea così ne parlano: "La carne dell'Agnello senza
macchia serve di nutrimento, il suo sangue serve di bevanda
al popolo che crede in Cristo; ed anche immolato, questo
Agnello è sempre intero e vivente".
Ieri questo convito ha avuto luogo su tutta la terra; ma in
questi giorni continua ancora e vi realizziamo una stretta
unione con l'Agnello che s'incorpora a noi per mezzo di quel
cibo divino.
La regalità
dell'Agnello.
Ma c'è dell'altro: esso non viene solamente per essere
immolato, per nutrirci della sua carne divina; viene forse
per comandare, per essere Re? Sì, così è, ed una volta
ancora, per questo, è la nostra Pasqua. La Pasqua è la
proclamazione del regno dell'Agnello: è il grido degli
eletti nel cielo: "Ha vinto il leone della tribù di Giuda la
radice di Davide!" (Apoc. 5, 5).
Ma se è il Leone, come può essere l'Agnello? Cerchiamo di
comprenderne il mistero. Nel suo amore per l'uomo che aveva
bisogno di essere riscattato, di essere fortificato con un
nutrimento ce-
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leste, si è degnato di mostrarsi quale Agnello; ma doveva
anche trionfare dei suoi nemici e dei nostri; era necessario
che egli regnasse, poiché "a lui fu dato ogni potere in
cielo e sulla terra" (Mt. 28, 18). Nel suo trionfo, nella
sua forza invincibile, è quale leone, a cui nulla resiste,
ed i cui ruggiti di vittoria scuotono oggi l'universo.
Ascoltate sant'Efrem: "All'ora duodecima lo staccarono dalla
croce come un leone addormentato"
[1]. Dormiva, il
nostro leone; "Il riposo effettivamente è stato così breve -
dice san Leone - che si sarebbe detto piuttosto un sonno che
una morte"
[2].
Che cos'era allora se non la realizzazione dell'oracolo di
Giacobbe sul suo letto di morte, quando, annunciando duemila
anni prima, la dignità del suo nobile rampollo, esclamava
con santo entusiasmo: "Giovane leone è Giuda... Si piega, si
sdraia come un leone e come una leonessa: chi lo farà
alzare?" (Gen. 49, 9).
Oggi egli si è risvegliato da se stesso: si è alzato in
piedi, quale agnello, per noi, leone per i suoi nemici,
unendo, d'ora in avanti, la forza e la dolcezza. È il
mistero completo della Pasqua: un Agnello trionfatore,
ubbidito, adorato. Rendiamogli l'omaggio dovutogli e,
aspettando di unire in cielo le nostre voci a quelle di
milioni di angeli e dei ventiquattro vegliardi, ripetiamo
fin da oggi sulla terra: "È degno l'Agnello che è stato
immolato di ricevere la virtù e la divinità, e la sapienza e
la fortezza e l'onore e la gloria e la benedizione" (Apoc.
5, 12).
La
grandiosità di questa settimana.
La Chiesa di altri tempi dedicava tutti i giorni di questa
settimana all'astensione del lavoro come se si fosse
trattato di un'unica festa; ed i lavori manuali ne restavano
interrotti durante il corso. L'editto di Teodosio, nel 389,
che sospendeva l'azione dei tribunali durante questo
periodo, veniva ad aiutare tale prescrizione liturgica che
noi troviamo menzionata nelle prediche di sant'Agostino e
nelle omelie di san Giovanni Crisostomo. Quest'ultimo,
parlando ai neofiti, così si esprimeva: "Durante questi
sette giorni voi godete dell'insegnamento della dottrina
divina; l'assemblea dei cristiani si riunisce per voi, noi
vi ammettiamo alla sacra mensa; in questo modo vi armiamo e
vi esercitiamo alle lotte contro il demonio. Poiché adesso,
che si prepara ad attaccarvi con maggior furore, più è gran-
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de la vostra dignità e più vivo sarà il suo attacco. Mettete
dunque a profitto i nostri insegnamenti durante questo
intervallo e sappiate imparare a lottare valorosamente.
Riconoscete pure in questi sette giorni il cerimoniale delle
nozze spirituali che avete avuto l'onore di contrarre. La
solennità delle nozze dura sette giorni; noi abbiamo voluto,
durante questo stesso periodo, trattenervi nella stanza
nuziale"
[3].
Tale era allora lo zelo dei fedeli, la loro attrazione per
le solennità della Liturgia, l'interesse che portavano per
le nuove reclute della Chiesa, che essi aderivano con
premura ed erano assidui a tutto ciò che da loro si esigeva
durante questa settimana.
La gioia della Risurrezione riempiva tutti i cuori e
occupava ogni momento. I Concili emanarono dei Canoni che
erigevano in legge questa consuetudine. Quello di Macon, nel
585, così formulava il suo decreto: "Noi dobbiamo tutti
celebrare e festeggiare con zelo la Pasqua, nella quale il
Sommo Sacerdote e Pontefice è stato immolato per i nostri
peccati, e dobbiamo onorarlo mediante l'esattezza
nell'osservare le prescrizioni che essa impone. Nessuno,
dunque, si permetterà alcuna opera servile durante questi
sei giorni (che seguono la domenica); ma tutti si riuniranno
per cantare gl'inni della Pasqua, assistendo assiduamente al
Santo Sacrificio quotidiano e radunandosi per lodare il
nostro Creatore e Rigeneratore, la sera, il mattino e a
mezzogiorno"
[4].
I
Concili di Magonza (813) e di Meaux (845) danno le medesime
prescrizioni. Noi le ritroviamo in Spagna nel VII secolo,
negli editti dei Re Recesvinthe e Wamba. La Chiesa Greca li
rinnovò nel suo concilio in Trullo; Carlo Magno,
Luigi il Pio, Carlo il Calvo lo sanzionarono nelle loro
costituzioni; i canonisti dei secoli XI e XII, Burkard,
sant'Ivo di Chartres e Graziano ce li dimostrano in uso ai
loro tempi; finalmente Gregorio IX provò ancora a dar loro
forza di legge in una delle sue Decretali del XIII secolo.
Ma già in molti luoghi questa osservanza si era indebolita.
Il concilio tenuto a Costanza nel 1094 riduceva la solennità
della Pasqua al lunedì e martedì. I liturgisti Giovanni
Beleth, nel XII secolo, e Durando nel XIII, attestano che,
ai tempi loro, questa riduzione era già in uso presso i
Francesi. Essa non tardò ad estendersi in tutto l'Occidente
e costituì il diritto comune per la celebrazione della
Pasqua, fino a che, essendosi sempre accresciuto il
rilassamento, si ottenne successivamente dalla sede
Apostolica la dispen-
55
sa dall'obbligo festivo del martedì e, in Francia, anche del
lunedì, dopo il Concordato del 1801.
Per arrivare alla comprensione della Liturgia fino alla
Domenica in Albis, è dunque necessario ricordarsi
costantemente dei neofiti, sempre presenti con le loro vesti
bianche alle Messe ed agli Offici divini. Le allusioni alla
loro recente rigenerazione son continue e tornano senza
tregua nei canti e nelle letture durante tutto il corso di
questa Ottava solenne.
La Stazione.
A
Roma la Stazione di oggi è alla Basilica di S. Pietro.
Iniziati ai divini misteri sabato scorso nella Basilica del
Salvatore, al Laterano, i neofiti ieri celebrarono la
Risurrezione del Figlio nello splendido santuario della
Madre; è giusto che in questo terzo giorno essi vengano a
rendere omaggio a Pietro, sul quale poggia tutto l'edificio
della Santa Chiesa. Gesù, Salvatore; Maria, Madre di Dio e
degli uomini; Pietro, capo visibile del corpo mistico del
Cristo: queste sono le tre manifestazioni per mezzo delle
quali noi siamo entrati e restiamo nella Chiesa Cristiana.
MESSA
EPISTOLA
(Atti 10, 37-43). - In quei giorni Pietro, stando
in mezzo al popolo, disse: "Fratelli miei: Voi sapete
quel che è avvenuto per tutta la Giudea, cominciando
dalla Galilea, dopo il Battesimo predicato da Giovanni;
come Dio unse di Spirito Santo e di potenza Gesù di
Nazaret, il quale andò attorno facendo del bene e
sanando tutti gli oppressi dal diavolo, perché Dio era
con lui; e noi siamo testimoni di quanto egli fece nel
paese dei Giudei e in Gerusalemme; ma l'uccisero
appendendolo alla croce. Dio però lo risuscitò il terzo
giorno e fece che si rendesse visibile, non a tutto il
popolo, ma ai testimoni preordinati da Dio: a noi che
abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua
risurrezione dai morti. E ci ha comandato di predicare
al popolo e di attestare come egli da Dio è stato
costituito giudice dei vivi e dei morti. A lui rendon
testimonianza tutti i profeti, asserendo che chi crede
in lui ottiene, per il nome suo, la remissione dei
peccati".
Missione di
Cristo e degli Apostoli.
San Pietro rivolse questo discorso al centurione Cornelio ed
ai parenti ed amici di detto pagano; egli li aveva riuniti
attorno a sé per ricevere l'Apostolo che Dio gli mandava. Si
trattava di preparare tutto questo uditorio a ricevere il Battesimo ed a formare
le primizie del Gentilismo, poiché fino allora il Vangelo
non era stato annunziato che agli Ebrei. Rimarchiamo che è
San Pietro, e non un altro Apostolo, ad aprire oggi a noi
Gentili le porte di quella Chiesa che il Figlio di Dio ha
fondato su di lui, come su di una roccia incrollabile. Ecco
perché questo brano del libro degli Atti degli Apostoli si
legge proprio oggi nella Basilica di S. Pietro, presso il
luogo della sua crocifissione, e in presenza dei neofiti che
sono altrettante conquiste della fede sugli ultimi seguaci
dell'idolatria pagana.
Osserviamo poi il metodo usato dall'Apostolo per inculcare
la verità del cristianesimo a Cornelio ed a quelli della sua
casa.
Comincia a parlar di Gesù Cristo; ricorda i prodigi che
hanno accompagnato la sua missione; poi, avendo raccontato
la sua morte ignominiosa sulla croce, espone il fatto della
Risurrezione dell'Uomo-Dio, come la più grande garanzia
della verità della sua divina natura. Viene in seguito la
missione degli Apostoli che deve essere accettata, allo
stesso modo della loro testimonianza così solenne e così
disinteressata, visto che essa non ha procurato loro che
delle persecuzioni.
Colui dunque che confessa il Figlio di Dio incarnato, che è
passato in questo mondo, facendo il bene, operando ogni
sorta di prodigi, morendo sulla croce, risuscitando dalla
tomba, e affidando agli uomini che ha scelto la missione di
continuare sulla terra quel ministero che egli ha
cominciato; colui che confessa tutta questa dottrina è
pronto a ricevere, nel Battesimo, la remissione dei
suoi peccati.
Tale fu la sorte fortunata di Cornelio e dei suoi
compagni; tale è stata quella dei nostri neofiti.
VANGELO (Lc. 25, 13-35). - In quel
tempo due dei discepoli di Gesù se ne andavano quello
stesso giorno ad un villaggio detto Emmaus, distante da
Gerusalemme sessanta stadi. E ragionavano insieme di
quanto era accaduto. E avvenne che mentre ragionavano e
discutevano tra loro, Gesù stesso, avvicinatosi, si mise
a far viaggio con essi. Ma i loro occhi non potevano
conoscerlo. Ed egli chiese loro: "Che discorsi son
questi che voi fate per la strada e perché siete così
tristi?" Ed uno di loro, chiamato Cleofa, rispose: "Tu
solo sei così forestiero a Gerusalemme da non sapere
quanto in questi giorni vi è accaduto?" Ed egli a loro:
"Quali cose?" E gli risposero: "Il fatto di Gesù
Nazareno, che fu profeta potente in opere ed in parole
dinanzi a Dio e a tutto il popolo; e come i sommi
sacerdoti ed i nostri capi l'han fatto condannare a
morte e crocifiggere. Or noi speravamo che fosse per
redimere Israele; invece, oltre a tutto questo, oggi è
il terzo giorno da che tali cose sono avvenute. Ma certe
donne di tra noi ci hanno meravigliati, perché, essendo
andate la mattina presto al sepolcro e non avendo
trovato il corpo di lui, son venute a dirci di aver avuto
anche una visione di Angeli che lo dicono vivo. Ed
alcuni dei nostri sono andati al sepolcro ove han
riscontrato quanto avevan detto le donne, ma lui non
l'han trovato". Allora Gesù disse loro: "O stolti e
tardi di cuore a credere a tutte queste cose predette
dai profeti ! Non doveva forse il Cristo patire tali
cose e così entrare nella sua gloria?" E, cominciando da
Mosè e da tutti i profeti, spiegava loro in tutte le
Scritture ciò che a lui si riferiva. E come furon vicini
al villaggio ove andavano, egli fece vista di andar più
oltre. Ma essi lo costrinsero a restare dicendo: "Rimani
con noi, che si fa sera ed il giorno è già declinato".
Ed entrò con essi. Ed avvenne che messosi con loro a
tavola, prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo
porse ad essi. Allora si aprirono i loro occhi e lo
riconobbero: ma egli sparì dai loro sguardi. E quelli
dissero tra loro: "Non ci ardeva forse il cuore nel
petto, mentre egli per la strada ci parlava e ci
interpretava le Scritture?". Ed alzatisi in
quell'istante, tornarono a Gerusalemme, e trovarono
radunati gli undici e gli altri che erano con loro, i
quali dicevano: "Il Signore è veramente risorto ed è
apparso a Simone". Ed essi pure narrarono quanto era
loro accaduto e come l'avevano riconosciuto alla
frazione del pane.
Il
significato della prova.
Contempliamo questi tre pellegrini, che conversano sulla
strada di Emmaus e seguiamoli col cuore e col pensiero. Due
di loro sono dei fragili uomini come noi, che tremano di
fronte alla tribolazione, che la croce ha sconvolto e fatto
perdere di animo, che hanno bisogno di gloria e di
prosperità per continuare a credere. "O stolti e tardi di
cuore - dice loro il terzo viandante. - ... Non doveva forse
il Cristo patire tali cose e così entrare nella sua
gloria?". Fino ad ora noi pure abbiamo troppo assomigliato a
quei due uomini, dimostrandoci così ancora più ebrei che
cristiani! Ed è per questo che l'amore delle cose terrene ci
ha reso insensibili ad essere attratti a quelle celesti,
esponendoci, per la stessa ragione, al peccato. Ma d'ora in
avanti, non possiamo più pensare in questo modo. Gli
splendori della Risurrezione del nostro Maestro ci mostrano
abbastanza chiaramente quale è lo scopo della sofferenza,
quando Dio ce la manda. Qualunque siano le nostre prove, non
arriviamo mai ad essere inchiodati ad un patibolo, né
crocifissi tra due scellerati. Il Figlio di Dio ha avuto
invece quella sorte; e osservate, oggi, se i supplizi del
venerdì hanno impedito lo slancio che doveva prendere la
domenica verso la sua immortale regalità. La sua gloria non
è tanto più splendente, quanto più profonda fu la sua
umiliazione? Non tremiamo, dunque, più tanto alla
prospettiva di un sacrificio; pensiamo alla felicità eterna
con la quale saremo ripagati. Gesù, che i due discepoli non
riconoscono, non ha dovuto che far loro udire la sua voce e
descri-
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vere i piani della sapienza e della bontà divina, e la luce
si è fatta nel loro spirito. Anzi, cosa dico? I loro cuori
si riscaldavano e bruciavano nel petto, sentendolo parlare
di quella croce che conduce alla gloria. E se allora non
l'avevano ancora riconosciuto, è che egli stesso chiudeva i
loro occhi affinché non lo ravvisassero. La stessa cosa
avverrà per noi, se lasceremo parlare Gesù, come fecero
loro. Noi comprenderemo allora che "non v'è discepolo da più
del Maestro" (Mt. 10, 24) e, vedendo lo splendore di cui
oggi egli si riveste, ci sentiremo trasportati a dire a
nostra volta: "Le sofferenze del tempo presente non possono
avere proporzione alcuna con la gloria che si dovrà
manifestare in noi" (Rom. 8,18).
Effetti
dell'Eucarestia.
In questi giorni in cui gli sforzi spirituali del cristiano
per la sua rigenerazione sono ricompensati con l'onore di
essere ammessi, portando la veste nuziale, alla mensa di
Cristo, non ometteremo di rimarcare che fu al momento della
frazione del pane che si aprirono gli occhi dei due
discepoli e che riconobbero il loro Maestro. Il nutrimento
celeste, la cui virtù procede unicamente dalle parole di
Cristo, porta la luce alle anime; e, allora, esse vedono ciò
che prima non scorgevano. Così avverrà per noi, per effetto
del sacramento della Pasqua; ma consideriamo ciò che, a
questo proposito, ci dice l'autore dell'Imitazione: "Questi
davvero conoscono il loro Signore nella frazione del pane,
poiché il loro cuore arde così forte dentro di loro, mentre
Gesù cammina con essi" (Lc. 4, 14).
Abbandoniamoci, dunque, al nostro Divin Risuscitato; d'ora
in avanti, anche più di prima, noi siamo suoi, non più
solamente in virtù della sua morte, ma a causa della sua
risurrezione, che è anche nostra. Diventiamo simili ai
discepoli di Emmaus, fedeli e giocondi, solleciti, secondo
il loro esempio, a dimostrare, mediante le nostre opere,
quel rinnovamento di vita che ci raccomanda l'Apostolo e che
conviene a coloro che Cristo ha amato fino a voler
risuscitare insieme con loro.
La Chiesa ha scelto questo tratto del Vangelo di preferenza
ad altri a causa della stazione che oggi si tiene nella
Basilica di S. Pietro. Infatti san Luca ci dice che i due
discepoli trovarono gli Apostoli già a conoscenza della
risurrezione del loro Maestro; poiché essi dicevano: "È
apparso a Simone". Abbiamo parlato ieri di questo privilegio
fatto al Principe degli Apostoli.
[1]
In Sanctam
Parasceven, et in crucem et latronem.
[2]
Prima predica sulla
Risurrezione.
[3]
Quinta Omelia sulla
Risurrezione.
[4]
Canone II, Labbe t. v.
da: P. GUÉRANGER, L'anno liturgico.
- II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. ROBERTI,
P. GRAZIANI e P. SUFFIA, Alba, Edizioni Paoline, 1959, pp. 50-58.
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