Fonte: Radio Spada...
Tra Pietro e Caifa: considerazioni di attualità ecclesiale
Nota
introduttiva: con questo breve saggio dedicato ad una serie dibattuta
con passione nel mondo cattolico "tradizionalista", continua la sua
collaborazione a Radio Spada, Antonio Polazzo. Data la delicatezza e
l'attualità del tema, non escludiamo in futuro ulteriori approfondimenti
di altri redattori di RS sul medesimo argomento.
Nel breve scritto apparso sul suo blog il 24 dicembre 2013 ed intitolato L’augurio per il 2014[1],
ancora una volta don Curzio Nitoglia tenta di scalfire – senza
riuscirvi – la tesi elaborata da padre Guérard Des Lauriers o.p. (detta
di Cassiciacum) sulla vacanza della Sede Apostolica, in atto almeno
dalla promulgazione della Dichiarazione Dignitatis humanae personae del “concilio” Vaticano II.
Questa
tesi è l’unica spiegazione dell’attuale crisi della Chiesa incentrata
sul problema dell’Autorità pontificia ed è stata adottata per più di
vent’anni da don Nitoglia, ossia dal 1985, quando lo stesso reverendo,
assieme ai confratelli dell’Istituto Mater Boni Consilii, con
pubblica ammenda, si dichiarò non più in comunione con Giovanni Paolo
II, sino al 2007, anno in cui don Nitoglia abbandonò l’Istituto MBC e la tesi di Cassiciacum come valida spiegazione della crisi della Chiesa.
Pur
non facendo espressa menzione di detta tesi e di padre Guérard Des
Lauriers, è chiaramente alla tesi del grande teologo francese che nel
citato scritto don Nitoglia fa implicito riferimento. L’autore
dell’“ipotesi di Velletri” esordisce asserendo che “È un fatto, e
“contro il fatto non vale l’argomentazione”, che oggi gli uomini i quali
hanno l’autorità (temporale e spirituale) sono manchevoli nel suo
esercizio” e che, tuttavia, rimane valido il principio per cui “l’autorità non può non sussistere anche se male esercitata”.
Don
Nitoglia parla in astratto, riferendosi genericamente all’autorità
temporale e spirituale e confondendo grossolanamente il piano
dell’autorità nella società civile ed il piano dell’autorità in quella
società eminentemente sovrannaturale che è la Chiesa cattolica, ma la
sua spada di latta punta dritta sulla questione dell’Autorità del Romano
Pontefice. L’argomentazione mira a questo: dimostrare che è falso
affermare che Bergoglio non è vero Papa perché non munito dell’Autorità
propria dei successori di Pietro (come fanno i suoi ex confratelli
seguendo la tesi di Cassiciacum) e che, al contrario, egli è vero
Vicario di Cristo e titolare dell’Autorità dei successori di Pietro[2].
A supporto del fatto che Bergoglio, ed i Vescovi residenziali[3]
a lui uniti, posseggono oggi l’Autorità apostolica pur esercitandola
male, don Nitoglia cita due episodi tratti dal Nuovo Testamento: quello
di Paolo che ad Antiochia resistette in faccia a Pietro (Gal. 2, 11) e
quello in cui Gesù viene ingiustamente giudicato da Caifa, Sommo
Sacerdote nell’Antica Alleanza.
Quanto
al primo episodio, frequentemente utilizzato dai protestanti contro
l’Autorità dei Romani Pontefici, occorre ricordare che in quella
circostanza Pietro non fu rimproverato da Paolo per aver promulgato
insegnamenti erronei o leggi nocive per la Chiesa universale, bensì per
aver tenuto un mero comportamento che rischiava di creare delle
incomprensioni tra i cristiani dell’epoca. Niente di paragonabile,
quindi, a quello che accade oggi, atteso che, per lo stesso don Nitoglia
“le membra della Chiesa nella quasi totalità vengono invase dall’errore”,
e che, sempre per don Nitoglia – se non sbaglio –, tale errore viene
somministrato ai fedeli di tutta la Chiesa dagli stessi “papi
conciliari” e dalla stessa “gerarchia conciliare”[4]
(è a questo che si riferisce don Nitoglia dicendo che oggi gli uomini i
quali hanno l’autorità spirituale sono manchevoli nel suo esercizio ed è
per la sua giusta opposizione agli errori magisteriali del “concilio”
Vaticano II che egli si trova a svolgere il suo ministero sacerdotale
senza essere incardinato in una parrocchia).
Per
maggior chiarezza, tuttavia, è opportuno citare quanto dice l’abate
Ricciotti in ordine al passo della Lettera ai Galati in esame: “L'errore
contestato da Paolo a Pietro fu un errore di condotta pratica non di
dottrina, come vide già Tertulliano sentenziando col suo stile
tacitiano: Conversationis fuit vitium, non praedicationis (De
praescr., 23). Pietro non aveva rinnegato nessuno dei principii
dottrinali stabiliti nel concilio di Gerusalemme; tuttavia in pratica
non si comportava conforme ad essi, credendo in buona fede di evitare
con quel suo contegno urti e contrasti. Gli antichi protestanti che
adducevano l'episodio di Antiochia come prova della fallibilità
dottrinale del papa di Roma cadevano in un palese errore storico; per di
più confondevano l'infallibilità del maestro che insegna con
l'impeccabilità del cristiano che opera, ignorando forse anche che il
papa di Roma si confessa dei suoi peccati ed errori come qualunque altro
cristiano cattolico”[5].
Quanto,
invece, all’ingiusto giudizio di Caifa, don Nitoglia dimentica il
pensiero di San Girolamo relativo a tale giudizio, riportato da San
Tommaso nella Catena Aurea (il commento dell’Angelico ai quattro
Vangeli): “Girolamo. Con questa lacerazione delle proprie vesti, [Caifa]
mostrò che i Giudei avevano perso la gloria sacerdotale, e che il trono
del pontefice era rimasto vuoto”[6].
Aggiunge don Nitoglia nel suo scritto che “L’autorità
spirituale e temporale viene dall’alto, anche se attualmente è male
esercitata dagli uomini che l’hanno ricevuta, non possiamo arrogarcela
noi dal basso”. Ora, è davvero strano che proprio chi – come don Nitoglia – giudica l’operato del Papa
(vero Papa è, per lui, Jorge Bergoglio) nell’esercizio del suo ufficio
(dicendo, appunto, che attualmente egli esercita male la sua autorità
spirituale), neghi al tempo stesso la possibilità di ciascuno di
arrogarsi l’autorità spirituale dal basso. Chi ha conferito, infatti –
vien da chiedersi –, a don Nitoglia l’autorità di giudicare il Papa
nell’esercizio del suo ufficio? È evidente che questa “autorità” non
viene dall’alto, ma dal basso, essendosela attribuita don Nitoglia da sé
medesimo.
Brevemente sembra poi utile evidenziare che l’ex membro dell’Istituto MBC prosegue precisando che, nell’attuale situazione ecclesiale, “Bisogna
evitare 1°) l’errore per difetto: il servilismo, che obbedisce ad
ordini contrari al diritto naturale e 2°) l’errore per eccesso:
l’anarchismo, che nega ogni potere a chi male esercita l’autorità che ha
ricevuto dall’alto, arrogandosela dal basso (democratismo)”. Così
facendo egli applica abusivamente le categorie socio-politiche alla
realtà sovrannaturale della Chiesa tornando a mescolare impropriamente
questioni naturali e civili con questioni sovrannaturali e religiose. Ma
val la pena porre attenzione anche a ciò che don Nitoglia suggerisce di
fare in ““quest’ora del potere delle tenebre (Lc., XXII, 53)””: “…dobbiamo
cercare di restare uniti, anche se non giuridicamente, almeno
moralmente tra cattolici antimodernisti e uomini anti-mondialisti
“liberi della vera libertà dei figli di Dio” (San Paolo, Rom., VIII, 21)”.
Pur specificando, poco oltre, che questa unione morale corrisponde, per
lo più, ad un sostegno morale reciproco tra antimodernisti, don
Nitoglia sembra auto-collocarsi all’interno di una parte di cattolici divisa
dalla “gerarchia ecclesiastica” e dal suo “capo visibile” almeno sotto
un aspetto ritenuto giustamente essenziale per la vita cristiana:
l’antimodernismo. Non è questa un’altra stranezza? Affermarsi in
comunione con il Papa[7], ed essere separato da lui relativamente ad una questione essenziale per la vita cristiana? Mi par proprio di sì.
Dispiace
molto vedere un così buon sacerdote gettare discredito sulla più
corretta spiegazione della crisi della Chiesa con argomenti così
inconsistenti. Per questo, nell’augurargli di cuore un anno di cristiana
letizia e santità, prego la Madonna affinché gli ottenga da Gesù la
grazia di comprendere che un Vicario di Cristo, nell’esercizio del suo
Ministero di supremo Pastore e legislatore di tutti i cristiani, non può
essere fonte di veleno ed ottenga, altresì, a tutti la grazia di avere
presto un vero Papa.
Antonio Polazzo
[2]
La posizione teologica di don Nitoglia dinnanzi alla presente crisi
ecclesiastica è simile, se non identica, a quella lefebvrista, di
disobbedienza, cioè, alla persona che egli reputa essere il Vicario di
Cristo allorquando le dottrine da questi insegnate in materia di fede e
di morale contraddicano il Magistero pre-conciliare e, in generale, la dottrina cattolica.
[3] “Vescovi residenziali” per don Nitoglia, ovviamente, non per il sottoscritto.
[4]
Ossia, nel gergo tradizionalista, i “Papi” e la “gerarchia
ecclesiastica” del “concilio” (Vaticano II) e del post-“concilio”, sino
ad oggi.
[5] Giuseppe Ricciotti, San Paolo Apostolo, 1946, § 368.
[6] San Tommaso D’Aquino, Catena Aurea in quatuor Evangelia,
Expositio in Matthaeum, Caput 26, Lectio 16, Textum Taurini 1953:
“Hieronymus. Per hoc autem quod scidit vestimenta sua, ostendit Iudaeos
sacerdotalem gloriam perdidisse, et vacuam sedem habere pontificis”.
[7]
Come detto, don Nitoglia tiene Bergoglio per vero Papa, riconoscendogli
l’Autorità di Romano Pontefice propria di ogni Vicario di Cristo.
Mi sembra che don Nitoglia, di cui ho apprezzato le analisi sulla giudaizzazione della Chiesa, voglia proseguire a dare motivo (invalido, ma tenacemente ribadito) del suo distacco dall'Istituto Mater Boni Consilii.
RispondiEliminaSe rivedesse le sue posizioni del "capo sì ma non gli obbedisco" dovrebbe umilmente chiedere scusa del suo ergersi a lefebvriano e fedele traduttore, sui generis, del nuovo corso della fraternità.
Le sue frasi "tertium non datur" eccetera, che ho riletto varie volte, servono agli sprovveduti per cadere nelle tesi sue.
Mi ricorda quando, nel Manzoni, i poveri parlavano con timore e fastidio del "latinorum" dei preti ,intendendo quel saper mescolare italiano e latino tanto per darla ad intendere a chi non conosceva la lingua antica, tacitando il sano buon senso contadino.
Quindi mi complimento con l'analisi di Antonio Polazzo, che condivido in toto !
Vorrei qui ribadire ancora una volta che esprimere concetti e fatti validissimi a riprova che un capo è capo se sa comandare ed ha l'autorità di comandare, e poi dire che bisogna disubbidirgli è un non-senso.
Ed è non-senso specialmente per quanto riguarda la religione e la Chiesa cattolica ,che è retta su precise disposizioni e su dogmi che non possono diventare opinioni per il sacerdote di turno che si atteggia a teologo.
Guerard des Lauriers fu teologo e professore all'Università Lateranense.
Credo che quantomeno il rispetto a lui e la critica su sè stessi siano le prime strade da percorrere.