mercoledì 1 gennaio 2014
LA BATTAGLIA PER LA FEDE CONTINUA...
La voce del Vicario di Cristo — con l'enciclica dell'8 settembre,
da molti mesi annunziata, temuta, aspettata — si è levata
infine energica e solenne a condanna di quei traviamenti che, sebbene
vecchi come l'errore, si usurpano il vanto di novità e vanno
sotto il nome generico di modernismo, come dire un neo-cristianesimo
opposto all'antico, e più conforme ai gusti dell'età
moderna.
La voce autorevole si è ripercossa già da un capo
all'altro del mondo cattolico; e già suona ornai in tutte le
lingue parlate dalla società cristiana, cioè dal mondo
civile.
E suona forte, severa. È voce di padre amareggiato da figli,
che ha lungamente atteso, che ha sofferto per anni, che ha richiamato
con voce paterna lungamente, invano: di un padre che vede anzi questi
figli medesimi divenire ogni dì più riottosi, esiziali,
per la dottrina e per gli esempi, ai minori fratelli. È voce di
capo della famiglia cristiana che della sua indulgenza ha sentito menar
vanto i colpevoli, come di conquista, e abusarne come di arma per
combattere più liberamente le antiche dottrine, per fare
propaganda più ardimentosa di novità, per scendere fino a
scalzare i fondamenti della società che egli regge, manomettere
e dissipare il tesoro di verità, il deposito sacro, che egli ha da Dio
affidato. È voce di pastore, il quale vede una parte del suo
gregge correre cecamente e trascinare altri, semplici ed incauti, ai
pascoli avvelenati da cui egli ha obbligo strettissimo di ritrarli, per
guidarli ai pascoli della salute. È voce di maestro e di giudice
della fede e della dottrina, il quale scorge con dolore immenso la
confusione delle idee disseminata largamente nelle file cattoliche da
pochi ambiziosi, con le nebulose teorie e le gonfie parole di una
scienza falsa, nemica della ragione non meno che della fede; quindi
traviate le giovani menti del clero e del laicato, gettate le anime in
braccio al dubbio, allo sgomento, e molte avviate al precipizio
dell'incredulità da chi dovrebbe salvarle: ed egli maestro, egli
giudice della fede, ha debito sacro di smascherare l'errore, di
mostrarne le arti, gli avvolgimenti, i sofismi, di rialzare i caduti,
di rattenere i vacillanti, di confermare i fratelli. È voce
infine di legislatore, che vuole leggi non solo promulgate, ma
osservate e con efficace sanzione confermate. È una voce
illuminatrice e operatrice insieme, che non solo svela nella sua
menzogna l'idra del modernismo, ma la colpisce a morte e l'atterra.
Tutto questo — e molto più — è la voce del
Papa, la voce del mite e soave Pio X. Se questa voce dunque vibra ora
in accenti insoliti e fortemente severi, no, non desta già nelle
anime cristiane «un doloroso stupore», molto meno sdegni
amari, voci irriverenti o scatti mal repressi di ribellione o di
scontento, ma rispettosa attenzione, profonda gratitudine, assoluta
figliale adesione.
Poichè è diritto, è dovere anzi, della Chiesa
difendere e salvare la verità, quella verità che il suo
divino Fondatore venne a portare sulla terra e a lei commise per
continuarne la trasmissione sulla terra. Ond'ella può dire, come
il suo Istitutore divino, che a questo fine è nata e per questo
vive perenne nel mondo tra il succedersi delle umane generazioni, per
rendere testimonianza alla verità [1].
Certo, la verità che la Chiesa ha missione di tutelare,
è direttamente la verità rivelata, la verità
soprannaturale, non quella naturale e scientifica. Ma troppe volte
avviene che questa ha stretta attinenza con quella — come
l'ordine di natura ha attinenza con quello di grazia, da cui è
perfezionato, non distrutto — onde pure consegue che gli errori
scientifici, segnatamente contro la filosofia naturale, minacciano
spesso qualche verità rivelata o anche i fondamenti stessi della
rivelazione e di tutto l'ordine soprannaturale. Allora è, non
meno dovere, che diritto della Chiesa intervenire col suo magistero,
non per soddisfare al prurito della curiosità umana, ma per
salvare il deposito della rivelazione divina, quale maestra delle
genti, «colonna e sostegno della verità».
E questo è il caso degli errori così detti
modernistici, i quali compendiano e ravvivano tante vecchie aberrazioni
filosofiche, critiche e storiche, anzi introducono un indirizzo
generale stortissimo negli studii scientifici d'ogni fatta, in quanto
specialmente concernono le questioni religiose. Perchè, come,
già altre volte abbiamo dovuto osservare, dal veleno di una
falsa filosofia è scoppiata tanta peste di errori contro la
fede. Quindi è che l'Enciclica condanna anzitutto il modernista
come filosofo, coi suoi principali sistemi, di agnosticismo,
d'immanentismo, di soggettivismo; onde poi conseguono gli altri suoi
traviamenti, cioè del credente, del teologo, del critico, dello
storico, dell'apologeta e anche del riformatore. Ma condannando questa
filosofia modernistica, la quale muove appunto dallo scetticismo
più aperto, la Chiesa tutela insieme i diritti della ragione;
salva la scienza, la «cultura», la verità naturale
insomma, pur mirando direttamente al
vero soprannaturale.
Ma un'apparente opposizione si muove da certe anime pietose, come
già contro l'Enciclica Quanta
cura di Pio IX e il suo Sillabo, così ora contro questa, Pascendi dominici gregis di Pio X, e contro il precedente Sillabo o decreto della Sacra Inquisizione.
— Se la Chiesa, dicono, ha dovere di salvare la verità, ha
pur debito di salvare le anime. Ora quante anime deboli troveranno
occasione di scandalo e d'inciampo in tante e tanto severe condanne! A
che tanto svolgere, determinare e proporre con formola esplicita e gli
errori da riprovare e le verità da ammettere, quando è da
temere che se ne turbino molte anime fluttuanti, le quali in un
generico atto di adesione a Dio hanno già quietato il loro
intelletto. Non è questo uno scavare e un aggrandire la fossa
della separazione? Così gridavasi — e lo notava
splendidamente un gran vescovo nel 1853, discutendo questa medesima
difficoltà [2] —
così gridavasi quasi da ogni parte al tempo dell'arianesimo e di
poi — come fino a' nostri tempi a proposito del Concilio
vaticano.
— Perchè una dichiarazione nuova e intempestiva
che prende sembianza di aggressione? — E gridavasi così da
amici, da difensori della buona causa. Ma non per questo i Pontefici e
i Padri si scostarono mai nè dai riguardi dovuti ai deboli,
nè dall'inflessibilità richiesta dalla verità
della fede: con indomabile tenacità mantennero la formola
propria della dottrina, e con tale autorità la difesero, con
tale scienza l'interpretarono che il dogma assalito ne rifulse di
più vivo splendore.
Troppo conoscevano essi da una parte il profitto che dal silenzio
trae l'errore, dalla indolenza dei buoni l'eresia; come dall'altra ben
sapevano il guadagno che dalla fiera oppugnazione e dalla risoluta
condanna dell'errore proviene alla verità in se stessa ed alla
Chiesa che la difende. — Magna
enim vis est veritatis quae... per ea ipsa quae ei adversantur elucet,
[«Perchè grande è la forza della verità... che risplende per mezzo degli stessi argomenti che le si oppongono» N.d.R.] vale qui la bella sentenza di S. Ilario, opportunamente citata da un
suo degno successore. Mentre la verità porta in sè
bastevoli note di credibilità, altre ne acquista, onde brilla
più vivida, di fronte agli ostacoli: e pure rimanendo per natura
sua immutabile, mostra ogni dì meglio la sua fermezza negli
assalti incessanti e nelle continuate ripulse. E similmente hoc Ecclesiae proprium est ut tunc vincat
cum laeditur, tunc intelligatur cum arguitur, tunc obtineat cum
deseritur. [«È
proprio della Chiesa vincere quando è ferita, perfezionare la
sua comprensione quando è contestata, custodire (la
verità) quando è abbandonata». N.d.R.] È questo il paradosso stupendo, che brilla in
tutta la storia di venti secoli della Chiesa e la dimostra divina.
Nè la Chiesa
lo ignora adesso, come non lo ignorava ai tempi del gran dottore delle
Gallie: — omnes quidem illa
secum atque intra se vellet manere, nec ex tranquillissimis sinibus
suis alios aut abiicere aut perdere, dum indigni fiunt tantae matris
habitaculo: sed discedentibus ex ea haereticis, vel abiectis, quantum
amittit occasionis largiendae ex se salutis, tantum adsequitur ad fidem
expendendae de se beatitudinis [3]. [«—
il
suo desiderio è che tutti dimorino con lei e presso di lei, e
non vuole rigettare alcuno dal suo tranquillissimo seno, nè
perdere alcuno, fino a che si renda indegno di rimanere nella casa
di una tale madre: quando tuttavia gli eretici si separano o sono
rigettati dal
suo seno, la Chiesa, in pari tempo che perde occasione di procurar loro quella salvezza che
proviene da lei,
acquista agli occhi di tutti gli altri una dimostrazione più
forte della sua verità, principio di ogni lume e di ogni
beatitudine. N.d.R.]
Tale è anche l'insegnamento a lei dato dal suo divino
Fondatore; tale è dunque giustamente, in ogni tempo, la condotta
della Chiesa. Essa là dirige le difese, ove scorge indirizzati
gli assalti. Questo è l'ordine di Provvidenza che tutti i Padri
e Dottori più illustri hanno riconosciuto in ogni tempo e
lumeggiato vivamente; nè altro è alfine che un applicare
all'ordine intellettuale quel principio universalissimo in tutta
l'economia della salute, essere necessario che «dove abbonda il
fallo, sovrabbondi la grazia». Così la verità, in
alcune anime attenuata, deformata, oscurata o spenta, deve farsi
più vivace, più splendida, più operosa in altre,
avvivate dal soffio dello Spirito di verità che inabita nella
Chiesa: il deposito sacro allo splendore di nuova luce deve illuminarsi
e aprire i suoi tesori, e arricchire di nuove e più distinte
cognizioni i fedeli. Benefizio grande che solo per l'intervento del
magistero autentico dell'autorità dottrinale può essere
pienamente assicurato. Chi nega ciò o ne dubita, e pretende che
la Chiesa si chiuda nel silenzio o parli come una scuola filosofica
qualsiasi, disconosce il fine, a che da Dio è ordinata appunto
la costituzione divina e il sacro ministero della Chiesa: «a
ciò che non siamo più fanciulli vacillanti e portati qua
e là da ogni vento di dottrina per raggiri degli uomini, per le
astuzie onde seduce l'errore, ma seguendo la verità nella
carità, andiamo crescendo per ogni parte in lui che è il
capo, cioè Cristo» [4].
Ma strano a dirsi, benchè non forse fenomeno inaspettato,
quando
si conoscono gli uomini e le cose! La voce del Papa a chi aveva
più ragione di attenderla qual essa è, e non aveva
ragione di sperarla diversa, parve folgore improvvisa, scoppiata tra le
file cattoliche a gettarvi lo sgomento; e perfino, secondo il grido
doloroso di un povero giovine, raccolto dal Giornale d'Italia,
«l'atrofizzamento momentaneo dell'influenza del cattolicismo
nella
società».
Non ci voltiamo al frastuono di voci oscene che rumoreggia tra le
file
massoniche, socialistiche, bloccarde,
e che nei loro organi di
corruzione, come il Messaggero,
la Vita, l'Avanti, si sono sfogate
nella bestemmia plateale, nella goffa insinuazione, nell'insulto:
— «il Vaticano non è istituzione che possa
rinnovarsi: con le scomuniche contro il modernismo esso mira contro
tutto il mondo moderno... come S. Tommaso nelle scuole, così
vorrebbe rimettere sul trono Carlo V o meglio ancora Carlo Magno:
questo è l'inesorabile punto della sua azione: riconquistare
l'imperio, non nelle anime, ma sui corpi: si riattacca ai dogmi non per
trovarvi dei canoni ma dei cannoni!» — Queste, e peggiori
altre sparate, non si confutano: si disprezzano.
Ad un'altra guerra più subdola e più fine noi
alludiamo,
a quella iniziata e promossa da giornali moderati, da periodici
modernisti e fautori di modernisti. Fra essi ebbe certo il primato
— e non solo di tempo — il Giornale d'Italia, ricordato
sopra, e divenuto omai il ricettacolo di tutti gli sfoghi, gli
spropositi, le insipienze dei chierici malcontenti e spostati, o
comechessia infedeli ai loro sacri doveri; i quali chierici sono per
lui tutti «prelati», tutti «dotti», tutti
«colti», «autorevoli», «sereni».
Esso non poteva dunque mancare di dire tosto la sua, a proposito
della
lettera enciclica dell'8 settembre, e di dirla tanto più
arditamente insieme e ipocritamente, quanto meno esso s'intende di
questioni religiose. È una sorte di bizantinismo
teologico, anche questo, molto tardivo per verità, ma egualmente
e vanamente pretenzioso, nel suo morboso dilettantismo.
Con tal fine ipocrisia, il foglio sonniniano fino dalla prima sera
rimpiangeva che «mentre la marea dell'anticlericalismo sale
minacciosamente e imporrebbe di riflettere e provvedere a una difesa
che non fosse la resistenza negativa all'insulto della piazza,
bensì uno sforzo illuminato di rialzare il prestigio del
cattolicismo di fronte a tutta la civiltà contemporanea;
l'autorità ecclesiastica chinata sospettosamente sul clero e il
laicato a sè sottoposti, ardisce compiere un tentativo di
isolamento e di repulsione...» — Oh lo zelo commovente di
un giornale che nell'ultima immonda campagna, di odio e di fango,
contro il clero ha fatto così bella prova di moralità e
di serietà imparziale! Con questa medesima serietà ora
continua a dar lezione al Papa, e avvisa la Chiesa che l'ora grave
sembrerebbe obbligarla a raccogliere tutte le sue varie energie, a
riconquistare quell'alta funzione di moderatrice degli spiriti che i
suoi errori le hanno fatto smarrire, a tener conto di quei suoi
elementi giovani che portano nell'esperienza del cattolicismo le
concezioni più vitali della religiosità. «Invece
— deplora esso amaramente — noi assistiamo allo spettacolo
strano di un'istituzione che, mentre il nemico giunge rumorosamente
alle porte, dichiara guerra ai suoi famigliari e caccia dal suo grembo
le migliori reclute.»
È difficile essere o più ingenuo o più maligno.
No, la Chiesa non dichiara guerra se non alle colpe ed agli errori; non
caccia dal suo grembo se non gli erranti ostinati e i traditori,
appunto quando il nemico rumoreggia alle porte, quando sono più
pericolosi gli insidiatori interni.
Chi non intende questo, chi lo trova «strano spettacolo»
non intende nulla della storia della Chiesa. «No: non è
strano; è luminoso», così nobilmente rispondeva
all'ignobile insulto il Corriere
d'Italia. «Di fronte
all'integrità della fede, poco importa l'odio degli avversarii,
poco l'urto dei nemici, poco l'abbandono di qualche figlio, poco una
sosta nel moto costante di assimilazione della vera scienza e della
sana cultura. La Chiesa non teme di nulla, teme soltanto di abbandonare
nella torbida onda dei secoli qualche particella del deposito di
verità che le è stato affidato».
Quando poi il critico ricorda qui «a caso», per
autodifesa modernistica, l'atteggiamento fiero di un S. Colombano di
fronte a Bonifacio IV, le miti ma lievemente sarcastiche (?) rampogne
di un S. Francesco alla corte d'Innocenzo III, le forti imposizioni di
S. Caterina da Siena alla volontà tentennante di Urbano V, non
sa proprio che si dica e sforza altri a ricordargli l'antico adagio:
Sutor ne ultra crepidam. Chi
non ride, udendo, il caso dei nostri
santi, eroi di fede e di obbedienza, raffrontato con quello dei
modernisti, nel quale entrano in quistione i fondamenti stessi del
cristianesimo che essi mirano a scalzare? L'ingenuità ha un
limite!
Siano pur dunque «anime forti» quelle dei modernisti,
abbiano della vita «il profondo senso drammatico» —
come quelli che darebbero «venti
sillogismi, per una lagrima» — minaccino pure con parola
velata, ciò che sappiamo prepararsi da tempo, risposte agli atti
dell'autorità e scandali; — no, non faranno mai paura
alla Chiesa; non inganneranno più se non chi vuole essere tratto
in inganno: i veri cattolici, pur gemendo sui traviamenti dei loro
fratelli, ripeteranno la parola divina: — Necesse est ut veniant
scandala [5]: [«Imperocchè necessaria cosa è, che sianvi degli scandali», N.d.R.] Oportet et haereses esse [6]; [«Imperocchè fa di mestieri che sianvi anche delle eresìe», N.d.R.] e ciò perchè si
palesino quei che tra noi sono di buona lega, come è necessario
ad avvenire che nel fuoco si affini l'oro e la paglia si consumi: et qui probati sunt manifesti fiant in
vobis. [«affinchè
si palesino que', che tra voi sono di buona lega». Identico
è il commento di Mons. Antonio Martini: «Vers. 19. Imperocchè fa di mestieri, che sianvi anche dell'eresie, ec.
Non ho difficoltà a prestar fede a chi di tal cosa mi ha
avvertito, perchè io ben so, che non solamente scissure e
dissensioni debbono esservi tra' fedeli, ma anche aperte eresìe,
dalle quali sa Dio trar questo bene, che serviranno a dimostrare, chi
sian tra voi quelli, la fede e pietà de' quali è degna
dell'approvazione di Dio. In simili tentazioni l'oro cioè i
perfetti si affinano, ed è bruciata la paglia, cioè gli
imperfetti, i quali si dividono dalla Chiesa. Con queste parole
l'Apostolo e consola i buoni, e rianima i deboli: mostrando loro il
Consiglio di Dio nel permettere un male sì grande, quale
è l'eresia.» N.d.R.]
Lo scandalo qui fu subito iniziato e sguinzagliati, come segugi, i
reporters alla caccia d'interviste, fu facile trovare
«nel campo ecclesiastico» e «nel campo laico»
chi amò sbizzarrirsi nella critica di ciò che non
intende, accecato dalla segreta, e forse inconsapevole, smania della
popolarità.
Di che, dopo il Giornale d'Italia
dette prova anche la Tribuna
nell'articolo del Chiappelli, noto razionalista, il quale scrisse
contro la nuova enciclica di Pio X con arte bensì e con mostre
di fredda imparzialità, ma senza avervi nulla capito, nè
dello spirito nè della sostanza, e perciò in modo, per
usare una frase di lui, «più degno di essere condonato
che confutato».
E il simile dovremmo dire di parecchi, se non aperti razionalisti,
certo loro encomiatori e manifesti fautori di modernismo, i quali
giudicarono dell'atto pontificio coi più strani criterii: ma non
vogliamo dilungarci in rispondere a chi di cattolico non ha più
forse nè lo spirito nè il nome.
Solo a quei cuori teneri, che tuttavia esaltano per il migliore dei
rimedii il continuare nella tolleranza, nelle sole vie della dolcezza,
dopo tante prove fallite, vorremmo rispondere con le forti parole del
già citato vescovo di Poitiers, il cardinale Pie [7], nella sua
terza istruzione sugli errori dei tempi presenti: «Dare amnistia
al male e agli artefici del male, egli dice, sotto pretesto che il
braccio onnipotente di Dio saprà rivolgere il male in bene,
sarebbe un rovesciare tutto l'ordine morale. Interdire all'uomo di fede
l'indegnazione dello zelo e il gemito dell'amore in mezzo all'innondare
dell'iniquità; accogliere anzi con impeti di gioia a
mala pena compressi, e salutare quasi pegni felici e pronostici
favorevoli gli atti più contrarii alla giustizia e più
funesti alla società umana, è un grado e un genere di
virtù filosofica, che la sana teologia non approva, e nè
meno l'approva la sana ragione. L'anima dei santi non ha conosciuto
punto cotesta serenità stoica..... Nostro dovere è di
subire il male non di accettarlo, di
combatterlo non di assolverlo, di vituperarlo non di acclamarlo. E
appunto perciò che sarà così perseguitato,
così smascherato, esso verrà in qualche modo a ricadere e
a disciplinarsi, suo malgrado, sotto la forte mano di Dio, e
servirà in fine al trionfo della verità».
Quando il Maestro divino ebbe svelato alle turbe attonite le
profondità arcane dei suoi misteri, gli animi orgogliosi ne
presero sdegno, i timidi sgomento. Durus
est hic sermo, [Joann. VI, 61: «Questo è un duro sermone, e chi può reggere ad ascoltarlo?» N.d.R.]
esclamavano, e più non ardivano mostrarsi nel suo seguito. Il
simile si avvera lungo i secoli, ogni volta che la voce autorevole
della Chiesa o del suo Capo infallibile ripercuote attraverso le
generazioni umane la divina parola di Cristo e più recisamente,
di fronte all'errore, ne svolge, ne spiega, ne riafferma la
verità. Allora le si sollevano contro i clamori dei tristi, dei
farisei, degli ipocriti; i rimpianti degli spiriti deboli e infermi
nella fede: ne possono seguire anche scandali e defezioni. Ma che
perciò? La Chiesa, come madre, piangerà la rovina delle
anime che si perdono. Ma non mai tradirà il suo sacro mandato:
non perciò si avvilirà a tradire la verità, ad
attenuarla, occultarla, quasi vergognosa di sè, a mendicarle gli
onori di un compromesso con l'errore, ad assoggettarla infine a tutte
le mutevoli vicende dell'opinione corrente.
No, mai: la Chiesa, come il suo Maestro divino, non ha bisogno degli
uomini; non teme che si faccia intorno a lei il deserto; ella è
sicura della parola divina, e questa deve custodire intatta, a
qualsiasi costo, perchè in questo sta la vita di lei, sta la
salute del mondo. Che se ella dicesse a noi, come disse Cristo con
maestà divina ai pochi fedeli rimastigli: Numquid et vos vultis abire?
[«Volete forse andarvene anche voi? N.d.R.] — noi dovremmo risponderle, non meno
prontamente che Pietro al Redentore: Ad
quem ibimus? Verba
vitae aeternae habes. [«Signore, a chi andremo noi? Tu hai parole di vita eterna» N.d.R.]
Queste parole di vita eterna, che erano nella bocca di Cristo, Verbo
di
Dio, furono trasmesse alla società di Cristo e vivono perenni
sulle labbra del suo Vicario in terra, di Pietro e del
successore di Pietro. Ubi Petrus,
ibi Ecclesia.
Di tale perenne efficacia è un pegno consolante la figliale
adesione, la voce di riconoscenza unanime, che si leva da ogni parte
del mondo cattolico.
Ai cattolici la parola del Papa apparve quasi raggio
consolatore, fra le tenebre di tante discussioni; risonò come
voce ammonitrice, che scampa gli uni, preserva gli altri, reca pace a
tutti: a tutti, diciamo, gli uomini di buona volontà. Se alcuni
hanno errato in buona fede, sentono nella parola del Vicario di Cristo
il monito salutare che vuole salvarli, non avvilirli. Se altri hanno
combattuto l'errore, ascoltano l'approvazione che vuole nella lotta
rinfrancarli, a sola gloria di Dio e per la carità dei
fratelli. Se molti poi vivevano illusi, nè credevano
all'esistenza del pericolo, o concorrevano anzi a fomentarlo, apriranno
infine gli occhi e veglieranno meglio su la propria e l'altrui fede.
In questi momenti dunque, trepidi e decisivi per tante anime
angosciate
dal dubbio e traviate dall'errore — ogni figlio della Chiesa deve
raccogliersi ad ascoltare la voce commossa e solennemente ammonitrice
del padre, deve raccogliersi ad esaminare la propria coscienza e
pregare. Il Papa ha parlato, e ha parlato forte, ha parlato chiaro.
Può bastare a tutti: ai più timidi nella lotta, non meno
che ai più animosi; ai vacillanti, non meno che ai caduti. Ha
parlato il Papa con pienezza di dottrina e opportunità tale che
l'enciclica di Pio X dell'8 settembre 1907 farà nella storia
della Chiesa degno riscontro con quella di Pio IX dell'8
dicembre 1864, con la quale ha tanti punti di somiglianza;
indirizzata l'una e l'altra contro gli errori enormi di un naturalismo
contrario alla fede ed alla ragione, alla religione ed alla scienza,
alla Chiesa ed alla società.
Di questi errori tratteremo più diffusamente nei futuri
quaderni. Intanto esortiamo i lettori a rileggere, anzi meditare, l'augusta parola del Sommo
Pontefice che in veste italiana pubblichiamo
in altra parte di questo quaderno.
[CONTINUA]
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Commenti sul post (Atom)
Siete proprio un'armata brancaleone! Ahhhhhh. Vi aspetta un altro anno di depressione Ahhhhhhh
RispondiEliminaChi ti ha preceduto con quel nome ha saputo far grandi cose con l'aiuto di Dio e grazie al suo amore per Lui. Nessuno ti chiederà di ripeterle, ma almeno vedi di non finire proprio all'opposto:
RispondiEliminaQuando il Signore consegnò gli Amorrei in mano agli Israeliti, Giosuè parlò al Signore e disse alla presenza d'Israele:
«Férmati, sole, su Gàbaon,
luna, sulla valle di Àialon».
Si fermò il sole
e la luna rimase immobile
finché il popolo non si vendicò dei nemici.
Non è forse scritto nel libro del Giusto? Stette fermo il sole nel mezzo del cielo, non corse al tramonto un giorno intero. Né prima né poi vi fu giorno come quello, in cui il Signore ascoltò la voce d'un uomo, perché il Signore combatteva per Israele. Giosuè e tutto Israele ritornarono verso l'accampamento di Gàlgala.
(Giosuè 10, 12-15)
Chi lo ha preceduto con quel nome ha commesso un vero e proprio genocidio (presa di Gerico): fece uccidere tutti gli abitanti ad eccezione della famiglia della puttana che li aveva traditi!
EliminaDire poi che Giosuè abbia fatto questo con l'aiuto di Dio è una vera e propria bestemmia!
Inoltre queste secondo voi sarebbero letture ispirate???
Voi, al pari di Giosuè, usate il nome di Dio per giustificare le vostre azioni.
Dal CONCILIO DI TRENTO
EliminaSESSIONE IV (8 aprile 1546)
Primo decreto: Si ricevono i libri sacri e le tradizioni apostoliche.
[…]
[Il sinodo] con uguale pietà e pari riverenza accoglie e venera tutti i libri, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, - Dio, infatti, è autore dell’uno e dell’altro ed anche le tradizioni stesse, che riguardano la fede e i costumi, poiché le ritiene dettate dallo stesso Cristo oralmente o dallo Spirito santo, e conservate con successione continua nella chiesa cattolica.
SE QUALCUNO POI NON ACCETTERA' COME SACRI E CANONICI QUESTI LIBRI [AT e NT], interi con tutte le loro parti, come si è soliti leggerli nella chiesa cattolica e come si trovano nell’edizione antica della volgata latina e disprezzerà consapevolmente le predette tradizioni, SIA ANATEMA.
S.S. SAN PIO X
EliminaDa “LAMENTABILI SANE EXITU”
“SUL PERICOLO COSTITUITO DA CERTI ESEGETI CHE, CON L’APPARENZA DI INTELLIGENZA E COL NOME DI CONSIDERAZIONE STORICA, CORROMPONO LA DOTTRINA”
SUPREMA SACRA INQUISIZIONE ROMANA ED UNIVERSALE
[…] Affinché dunque simili errori, che ogni giorno si spargono tra i fedeli, non mettano radici nelle loro anime e corrompano la sincerità della Fede, piacque al Santissimo Signore Nostro Pio per divina Provvidenza Papa X, che per questo officio della Sacra Romana ed Universale Inquisizione si notassero e si riprovassero quelli fra di essi che sono i precipui.
Perciò, dopo istituito diligentissimo esame e avuto il voto dei Reverendi Signori Consultori, gli Eminentissimi e Reverendissimi Signori Cardinali Inquisitori generali nelle cose di fede e di costumi, giudicarono che le SEGUENTI PROPOSIZIONI SONO DA RIPROVARSI E DA CONDANNARSI, come si riprovano e si condannano con questo generale Decreto:
[…]
9. Coloro che credono che Dio è l'Autore della Sacra Scrittura sono influenzati da eccessiva ingenuità o da ignoranza.
10. L'ispirazione dei Libri dell'Antico Testamento consiste nel fatto che gli Scrittori israeliti tramandarono le dottrine religiose sotto un certo aspetto particolare in parte conosciuto e in parte sconosciuto ai gentili.
11. L'ispirazione divina non si estende a tutta la Sacra Scrittura al punto che tutte e singole le sue parti siano immuni da ogni errore.
12. L'esegeta, qualora voglia affrontare con utilità gli studi biblici, deve, anzitutto, lasciar cadere quel certo qual preconcetto inerente l'origine sovrannaturale della Sacra Scrittura.
[…]
19. Gli esegeti eterodossi espresso più fedelmente il vero senso della Scrittura di quanto non abbiano fatto gli esegeti cattolici.
[…]
Nella seguente Feria V, il giorno 4 dello stesso mese ed anno, fatta di tutte queste cose accurata relazione al Santissimo Signor Nostro PIO PAPA X, SUA SANTITA’ APPROVO’ E CONFERMO’ il Decreto degli Eminentissimi Padri e diede ordine che TUTTE E SINGOLE le sopra enumerate PROPOSIZIONI SIANO CONSIDERATE DA TUTTI COME RIPROVATE E CONDANNATE.
Dato a Roma, presso il Palazzo del Sant'Uffizio,
il giorno 3 del mese di Luglio dell'Anno 1907
Pietro Palombelli
Notaro della Sacra Inquisizione Romana ed Universale
Un refuso: "Pascendi apostolici gregis" è piuttosto "Pascendi dominici gregis"...
RispondiEliminaGrazie per la segnalazione. Provvedo alla correzione.
EliminaEgr. Baronio, ci manca la sua analisi acuta nel suo blog!! dov'era finito?
RispondiEliminaSaluti e buon anno
Dominici ?
RispondiEliminaNon è "Domini gregis " ? "del pascere le greggi del Signore " ?
Non sono un esperto di encicliche, ma di latino so abbastanza. Forse mi sbaglio ?
caro mardunolbo, il titolo originale dell'enciclica è proprio quello ribadito da Baronio, lo rilegga sul sito vatican.va
EliminaPASCENDI DOMINICI GREGIS
DEL SOMMO PONTEFICE
PIO X
sugli errori del modernismo
.....
Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 8 Settembre 1907, nell'anno V del Nostro Pontificato.
PIO PP. X
http://www.vatican.va/holy_father/pius_x/encyclicals/documents/hf_p-x_enc_19070908_pascendi-dominici-gregis_it.html
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"gregge" nel caso nominativo:
grex dominicus = gregge "del Signore, appartenente al Signore",
"dominicus, -i" = agg. derivato da "Dominus"
Il titolo è dato solitamente dalla parte iniziale dell'enciclica, in latino, che qui è appunto quella frase iniziante con gerundivo "PASCENDI", * concordante con il "gregis", caso GENITIVO di grex ( -is)
"PASCENDI DOMINICI GREGIS...",
laddove il gerundivo del verbo pascere si traduce: "il gregge DA PASCERSI", poichè indica NECESSITA', obbligo DI PASCERE IL GREGGE, (riferito quindi ad un soggetto al nominativo) e si può leggere nel testo originale latino, se uno ha piacere di farlo, ad es. su vatican.va:
Pascendi dominici gregis mandatum Nobis divinitus officium id munus in primis a Christo assignatum habet, ut traditae sanctis fidei depositum vigilantissime custodiat, repudiatis profanis vocum novitatibus atque oppositionibus falsi nominis scientiae. (etc.)
.....
trad.:
"L'officio divinamente commessoCi di pascere il gregge del Signore ha, fra i primi doveri imposti da Cristo, ...."
(sogg. della proposizione: "MANDATUM.. ..pascendi " ecc.(= genitivo oggettivo)
...Datum Romae, apud Sanctum Petrum, die VIII. Septembris MCMVII., Pontificatus Nostri Anno quinto.
PIVS PP. X.
http://www.vatican.va/holy_father/pius_x/encyclicals/documents/hf_p-x_enc_19070908_pascendi-dominici-gregis_lt.html
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*circa la funzione del GERUNDIVO, vada a leggere una breve spiegazione su
http://it.wikipedia.org/wiki/Gerundivo
In grammatica latina, il gerundivo è un aggettivo verbale, che esprime un dovere o una necessità di qualcosa. Ha valore passivo ed è tipico dei verbi transitivi, sia attivi sia deponenti ed è soprannominato "participio di necessità", perché denota un'azione che deve essere fatta.
Si declina come un aggettivo della prima classe e si forma aggiungendo al tema del presente del verbo le terminazioni -andus, -a, um per la prima coniugazione, -endus, -a, -um per la seconda e la terza e -iendus, -a, -um per la quarta.
aggettivo, quindi:
GREGGE DEL SIGNORE DA PASCERSI, cioè che DEVE ESSERE FATTO PASCOLARE, (significato di obbligo e necessità di quel "pascere" in forma passiva).
(.... vede Mardunolbo: passati tanti anni dai banchi del liceo, i ricordi di grammatica e sintassi latina si arrugginiscono alquanto....ed occorre un ripassino, lo dico anche per me...;)...)
Mardunolbo, ma perchè ti spacci per esperto di latino? Sei un ignorante globale, accetta la tua condizione, eviterai figuracce come questa.
Elimina"Che bisogno c’era di dire una parola penosa al prossimo?
EliminaMa perché ti dico queste cose? Anch’io sono così. La mia stoltezza non mi lascia sopportare una parola finché non l’ho gettata fuori e non ho turbato l’anima del fratello. Il diavolo semina in noi cattivi pensieri e non lascia che ci ricordiamo della nostra morte".
(Da una lettera del Grande Anziano Barsanufio di Gaza ad Andrea, prima metà del VI secolo)
Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca.
Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi
(Ef 4,29.32)
Caro/a Niobe, ti ringrazio moltissimo della spiegazione !!! Ogni spiegazione dotta che illumina l'ignoranza, mi è graditissima. Grazie anche dell'aver proseguito ricordando il valore del gerundio (o gerundivo ? altra parola che non usavo).
EliminaUn caro saluto.
Grazie anche a Iota Unum che ha mostrato a tutti noi parole che devono ricordare la modestia e l'umiltà.
EliminaCommenti come questi che danno lezioni di cultura e di evangelicità, mi rasserenano lo spirito e mi danno profonda gioia.
Le parole offrono la traccia su cui muoversi, ma poi il movimento vero e proprio molto più spesso lo imprime l'esempio: in questo caso caro fratello Mardunolbo, con la tua risposta e il tuo atteggiamento hai dato tu, a me in primis, una lezione di umiltà..E' così che progrediamo, aiutandoci in questo modo l'un l'altro.
Elimina.
...vista poi, Mardunolbo, l'espressione con cui hai concluso il tuo commento, mi permetto infine di riportare queste righe tratte sempre dall'Epistolario di Barsanufio e Giovanni di Gaza (che consiglio di nuovo caldamente a tutti di leggere, ne vale veramente la pena, essendo anche un condensato di richiami e citazioni dalla Sacra Scrittura di primissimo livello):
Elimina“PER CHI E’ IN GRADO DI UDIRLE E DI CUSTODIRLE, QUESTE COSE SONO GIOIA E UTILITA’.
Il pianto lava dai propri peccati, ma giunge con molta fatica, molta applicazione e perseveranza, e col pensiero del terribile giudizio e della vergogna eterna, e col rinnegamento di se stessi, secondo la parola del Signore: “Chi vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Ora, rinnegare se stesso e prendere la propria croce è tagliare in tutto la propria volontà e non avere nessuna stima di sé.
[…] Esércitati nel diffidare di te stesso e sarai salvo.”
Chiedo scusa a Mardu per non essere stata tempestiva nel cancellare il velenoso commento, offensivo nei suoi confronti....
EliminaRingrazio anch'io Niobe per la chiarificazione, e soprattutto il caro Iota unum, che sa sempre trasformare le situazioni incresciose in occasioni per far brillare la Sapienza di Dio e la Carità fra fratelli. Leggere questo scambio è stato edificante.
Carissima Anna Rita, ti ringrazio molto, ma, nel citare la Parola di Dio o le parole dei padri (specie quando sono totalmente impregnate della Scrittura) dovrei sempre ben tenere in mente e nel cuore a mia volta le parole sottostanti (cosa che ahimé non faccio né come dovrei, né come vorrei, e perciò anche per questo chiedo preghiere):
Elimina“IL SERVO CHE, CONOSCENDO LA VOLONTA’ DEL PADRONE, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più”.
(Lc 12, 47-48)
[Se tu] ti glori di Dio, DEL QUALE CONOSCI LA VOLONTA' e, istruito come sei dalla legge, sai discernere ciò che è meglio, […] ebbene, come mai tu, che insegni agli altri, non insegni a te stesso?
(Rm 2, 17-18.21)
Gloria olivae e Petrus romanus ritratti nella foto iniziale sono gli attuali Papa emerito e Vescovo di Roma. Chi dei due deve dunque pascere il popolo del Signore?
RispondiEliminaNessuno dei due.
EliminaMa di vescovo vestito di bianco che cade a terra con la veste macchiata di sangue sotto i colpi di fucile dei nemici parla la parte svelata del terzo segreto di Fatima. Ci hanno raccontato che si trattava di Giovanni Paolo II, ma se l'unico Papa che si è definito vescovo è stato Francesco cosa si potrebbe pensare adesso?
EliminaSi è autodefinito così per coprire le incongruenze del precedente riferimento a cui finora si
attribuiva il presagio oppure essendo stato eletto per rinuncia del suo predecessore vorrebbe, così dicendo, proteggere se stesso con un alone di vittimismo dai nemici della Chiesa?
Salute a tutti.
RispondiEliminaNon posso più seguirvi tanto spesso, ma quando riesco un salto qui lo faccio sempre.
Grazie anche a Iota Unum per i suoi commenti, anche se per chi entra qui dentro con la durezza di cuore dei propri pregiudizi, temo non servano a nulla. Ma la Testimonianza va comunque resa a prescindere. Grazie ancora, dunque.
Albino
Grazie a te fratello, che tra l'altro hai un nome a me carissimo in quanto appartenente ad un mio padre spirituale.
EliminaL'errato "Pascendi apostolici gregis" è un refuso dell'originale quaderno della Civiltà Cattolica. che abbiamo corretto segnalandolo in nota: grazie per la collaborazione.
RispondiEliminaRicordo tuttavia che è possibile comunicare errori di qualunque genere all'indirizzo: http://progettobarruel.altervista.org/gbcf-v3/contatti.php
Cordialmente
Progetto Barruel