"La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità".
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Ritrovato un fascicolo di Paolo Borsellino,
emergono nomi pesanti – Il fascicolo assegnato a Borsellino l’ 8 luglio
1992 (11 giorni prima di essere ucciso…) conferma le indagini del
Giudice sulla trattativa Stato-Mafia con nomi pesantissimi di capimafia,
politici e vertici dei servizi segreti. E Vi meravigliate che è stato ammazzato?
Ritrovato un fascicolo di Paolo Borsellino, emergono nomi pesanti
La ricostruzione dei giornalisti del Fatto Quotidiano, Giuseppe Lo
Bianco e Sandra Rizza, mette i brividi: Borsellino è stato ucciso perché
stava indagando, formalmente, sulla trattativa Stato-Mafia.
La conferma arriva dal ritrovamento di un fascicolo assegnato a
Borsellino in data 8 luglio 1992 (11 giorni prima di essere ucciso…) in
cui viene fuori l’ufficialità dell’indagine e i nomi delle persone
coinvolte.
Nomi pesanti. Nomi di capimafia. Nomi di politici. Nomi di esponenti dei servizi segreti.
In piena stagione stragista, a metà giugno del ‘92, un anonimo di otto
pagine scatenò fibrillazione e panico nei palazzi del potere
politico-giudiziario: sosteneva che l’ex ministro dc Calogero Mannino
aveva incontrato Totò Riina in una sacrestia di San Giuseppe Jato
(Palermo).
Una sorta di prologo della trattativa. Su quell’anonimo, si scopre oggi
dai documenti prodotti dal pm Nino Di Matteo nell’aula del processo
Mori, stava indagando formalmente Paolo Borsellino. Con un’indagine che
il generale del Ros Antonio Subranni chiese ufficialmente di archiviare
perché non meritava “l’attivazione della giustizia”. IL DOCUMENTO
dell’assegnazione del fascicolo a Borsellino e a Vittorio Aliquò, datato
8 luglio 1992, insieme alle altre note inviate tra luglio e ottobre di
quell’anno, non è stato acquisito al fascicolo processuale perché il
presidente del Tribunale Mario Fontana non vi ha riconosciuto una
“valenza decisiva” ai fini della sentenza sulla mancata cattura di
Provenzano nel ‘95, che sarà pronunciata mercoledì prossimo.
Ma le note sono state trasmesse alla Procura nissena impegnata nella
ricostruzione dello scenario che fa da sfondo al movente della strage di
via D’Amelio. In aula a Caltanissetta, infatti, nei giorni scorsi,
Carmelo Canale ha raccontato che il 25 giugno 1992, Borsellino,
“incuriosito dall’anonimo” volle incontrare il capitano del Ros Beppe De
Donno, in un colloquio riservato alla caserma Carini, proprio per
conoscere quel carabiniere che voci ricorrenti tra i suoi colleghi
indicavano come il “Corvo due”, ovvero l’autore della missiva di otto
pagine. Quale fu il reale contenuto di quell’incontro? Per il pm, gli
ufficiali del Ros, raccontando che con Borsellino quel giorno discussero
solo della pista mafia-appalti , hanno sempre mentito: una bugia per
negare l’esistenza della trattativa, come ha ribadito Di Matteo ieri in
aula, nell’ultima replica. Tre giorni dopo, il 28 giugno, a Liliana
Ferraro che gli parla dell’iniziativa avviata dal Ros con don Vito,
Borsellino fa capire di sapere già tutto e dice: “Ci penso io”. Il primo
luglio ‘92, a Palermo il procuratore Pietro Giammanco firma una delega
al dirigente dello Sco di Roma e al comandante del Ros dei Carabinieri
per l’individuazione dell’anonimo.
Il 2 luglio, Subranni gli risponde
con un biglietto informale: “Caro Piero, ho piacere di darti copia del
comunicato dell’Ansa sull’anonimo. La valutazione collima con quella
espressa da altri organi qualificati. Buon lavoro, affettuosi saluti”.
NEL LANCIO Ansa, le “soffiate” del Corvo sono definite dai vertici
investigativi “illazioni ed insinuazioni che possono solo favorire lo
sviluppo di stagioni velenose e disgreganti”. Come ha spiegato in aula
Di Matteo, “il comandante del Ros, il giorno stesso in cui avrebbe
dovuto cominciare ad indagare, dice al procuratore della Repubblica:
guardate che stanno infangando Mannino”. Perché Subranni tiene a far
sapere subito a Giammanco che l’indagine sul Corvo 2 va stoppata?
Venerdì 10 luglio ‘92 Borsellino è a Roma e incontra proprio Subranni,
che il giorno dopo lo accompagna in elicottero a Salerno. Borsellino (lo
riferisce il collega Diego Cavaliero) quel giorno ha l’aria “assente”.
Decisivo, per i pm, è proprio quell’incontro con Subranni, indicato come
l’interlocutore diretto di Mannino. È a Subranni che, dopo l’uccisione
di Salvo Lima, l’ex ministro Dc terrorizzato chiede aiuto per aprire un
“contatto” con i boss. È allo stesso Subranni che Borsellino chiede
conto e ragione di quella trattativa avviata con i capi mafiosi? No,
secondo Basilio Milio, il difensore di Mori, che ieri in aula ha
rilanciato: “Quell’incontro romano con Subranni è la prova che
Borsellino certamente non aveva alcun sospetto sul Ros”. Il 17 luglio,
però, Borsellino dice alla moglie Agnese che “Subranni è punciuto”.
Poche ore dopo, in via D’Amelio, viene messo a tacere per sempre.
Nell’autunno successivo, il 3 ottobre, il comandante del Ros torna a
scrivere all’aggiunto Aliquò, rimasto solo ad indagare sull’anonimo: “Mi
permetto di proporre – lo dico responsabilmente – che la signoria
vostra archivi immediatamente il tutto ai sensi della normativa
vigente”.
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