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domenica 31 ottobre 2010

NO AD HALLOWEEN!!!




Coloro che praticavano questa festa agli inizi, erano adoratori, sacerdoti di “Samain” che è il dio della morte. Questi erano maestri dell’esoterismo e praticavano la magia degli alberi, una sorta di rito per predire il futuro e aiutare gli uomini. Si crede che Stonehege (nel Regno Unito) fosse un tempio sdruida dove si celebrava il capodanno celtico e si adorava il loro dio: Samain.
Halloween inizia 6 settimane prima del 31 ottobre, con digiuni e piccoli sacrifici. Col passare dei giorni i sacrifici aumentano fino ad arrivare al 31 ottobre dove vengono a contatto con gli spiriti dell’aldilà. Nel 884 d.C papa Gregorio IV istituisce la festa di tutti i santi cercando di togliere la festa di halloween a causa delle sue origini pagane.

Sbarcata per prima degli Stati Uniti con l’immigrazione degli irlandesi, il 60% dei costumi per halloween viene venduta agli adulti, tanti ignari del fatto che stanno partecipando ad una festa satanica.
Nella sera di halloween, mentre si va in giro per il classico di dolcetto scherzetto, in altre parti nello stesso momento si compiono riti satanici con sacrifici di bambini. Quelli che li sacrificano gli aprono il petto, gli prendono il cuore e se lo mangiano crudo, abbiamo anche pochi casi dove sacrificano gli animali sempre con lo stesso rito.
In questi ultimi tempi vediamo che tanti omicidi partono da un contesto satanico. L’autore della bibbia di satana, Anton Lavey, dice che il 31 ottobre è il giorno più importante per i satanisti.
Doreen Irvine, ex strega convertitasi a DIO dice: se i padri sapessero il significato di halloween non nominerebbero questa parola davanti i loro figli.
Il popolo che adorava il dio Samain era solito andare di casa in casa a chiedere cibi per offrirli al loro dio, e a quelli che rifiutavano gli lanciavano una maledizione: la morte di un membro della famiglia entro un anno.
Ecco alcubi simboli che caratterizzano la festa:
• Zucca = demoni
• Stella a cinque punte con mezza luna = magia
• Pipistrello e gufo = comunione con i morti
• Fantasmi = messaggeri speciali per pagani
• Gatto nero = rincarnazione di morti malvagi
• Cerchio con all’interno stella a cinque punte = protezione
• Scopa = energia liberata
• Scheletro = ciò che abbondava la notte tra tenebre e halloween
• Maschere e costumi = in forme di animali che usavano i sacerdoti nei rituali per chiedere la forza di quei animali

Vogliamo sensibilizzare chiunque legga questo articolo, grande o piccolo, cristiano e non, ad allontanarsi e allontanare coloro che vi partecipano perché come abbiamo visto questa festa è puramente satanica, con una maschera di una festa infantile ma che non ha niente a che fare con i bambini.
Noi sappiamo che Dio ci comanda a non mischiarci con queste cose perché senza accorgercene possiamo fare pratiche o usare oggetti che apparentemente non hanno nulla di male ma dietro nascondono cose cattive e pesanti che possono far male.


VISIONATE QUESTO ILLUMINATE VIDEO SU HALLOWEEN:


LA CACCIATA DI LUCIFERO: dall'esperienza di un esorcista!

( ...in questa notte di Vigilia della Solennità di tutti i Santi, che per il mondo di trasforma nella tristissima e satanica festa di Halloween, volentieri proponiamo questa testimonianza che ci fa riflettere sull'assoluto strapotere di Dio Altissimo e dei Suoi Angeli nei confronti di Lucifero, colui che ancora si illude, con tormenti ed inganni, di poter dominare la Terra e conquistare il Regno di Dio....)



dal libro di Don Francesco Bamonte " Angeli ribelli " .

Un giorno un esorcista, dopo aver elevato intense preghiere di lode a Dio e aver invitato tutte le creature a lodare con lui il loro Signore, sentì il demonio dire: « Non pensavo, non pensavamo che ci mandasse qui sulla terra, pensavamo che ci mandasse in un'altra... parte del cielo, non umiliati in mezzo agli uomini. No, pensavamo che ci mandasse in un'altra parte del cielo infinito, dove potevamo anche noi governare come dèi dall'alto, e invece ci ha mandati quaggiù, ma quaggiù, non ti preoccupare, "ci siamo adattati", "ci siamo adattati bene"! »
In un altro esorcismo, mentre pregava san Michele, il sacerdote sentì Satana esprimersi con voce lamentevole: « Michele e gli altri con lui mi hanno scaraventato "giù". Erano tanti e avevano con loro il potere dell'Altissimo. Michele e tutti gli altri mi hanno detto: "Da questo momento non sei più niente". Allora ho combattuto, ma Michele mi ha mandato via. Con la sua spada mi ha fatto precipitare dicendomi: "Vattene via! Questo non è più il tuo posto. Vai negli abissi, vai nelle tenebre! ". E io sono dovuto andare via insieme con gli altri. Mentre precipitavamo, ho detto che li avrei combattuti togliendo le anime a Dio ». A questo punto, cambiando la voce e assumendo un tono di sfida, continuò dicendo: « E a Lui [si riferiva a Dio] gli ho detto: "Noi siamo grandi quanto Te, noi siamo potenti quanto Te, noi comanderemo nel regno nostro, noi regneremo sul mondo. Il potere del peccato sarà il nostro altare, su quello sacrificheremo le anime dei tuoi figli maledetti, su quell'altare faremo scorrere il sangue dei tuoi figli maledetti". Gli altri che mi seguirono dissero a Lui [cioè a Dio]: "C'è un dio per chi odia e questo dio è il mio dio". E Lui rispose [cioè ancora Dio]: "Verranno con te quelli che vogliono venire con te; e verranno da Me e da mio Figlio e dallo Spirito Santo, quelli che vogliono vivere nel mio Regno, dal quale Io ti ho cacciato, perché tu mi hai disubbidito." »
Un esorcista invocava san Michele, e Lucifero in quella occasione manifestò quale fosse stata la reazione dell'Arcangelo San Michele, di fronte alla sua rivolta contro l'amore di Dio: «Michele è quello che si è più indignato, si è indignato della mia opposizione a Dio e per la mia mancanza di rispetto del nostro Creatore, del nostro Dio. Ora il suo ruolo è quello di essersi messo completamente a disposizione di tutte le anime che io voglio prendermi, e specialmente delle anime che Quello [Gesù] ha più care a Lui, tiene più vicine a Lui. Lui cerca di proteggere tutti, ma ci sono alcune che non si lasciano proteggere, perché camminano su altre vie. »
La battaglia con San Michele, che ora continua sulla terra, Lucifero l'ha descritta così: « Sono l'angelo sterminatore: voglio sterminarvi tutti, voglio "ammazzarvi" tutti, ma viene sempre quello, mi viene sempre contro. Ce l'ha sempre con me. Viene con la sua spada e mi "squarta" e io non posso fare più quello che vorrei fare. Io voglio portare la guerra tra gli uomini e lui sta cercando di fare la pace, di impedire guerre tra di voi. Lui così mi combatte, cercando di distruggere tutto quello che io tento di fare. Io cerco di fare tutto quello che posso e lui viene e fa sempre il contrario di quello che io voglio fare. Quando voi pregate lui, mi dà fastidio, perché sventa i miei piani e li distrugge. Io cerco di fomentare guerre e azioni cattive di ogni genere. Tutto quello che c'è di male io posso farlo quando non c'è lui, ma quando c'è lui non posso, perché lui ha un potere al di sopra del mio. »
Come affermano spesso gli autori cristiani che abbiamo precedentemente presentato, il diavolo, cacciato via dal cielo, vuole vendicarsi in qualche modo contro Dio, sia portando nel mondo umano la stessa ribellione suscitata fra gli angeli, sia sottraendo a Dio il maggior numero possibile di uomini. Questo è il motivo per cui, durante gli esorcismi, tante volte i demoni stessi affermano, in maniera molto chiara, che la loro principale attività in mezzo agli uomini non è la possessione, ma la tentazione.
Una volta, durante un esorcismo, un demonio riassunse questa loro attività tentatrice fra gli uomini in una sintesi eccezionale e categorica, con queste parole: « Il nostro "dovere" è tentare, sempre, chiunque, dovunque e comunque. Qualcuno cade nella nostra rete, qualcuno ci cade per sempre! Lui [Dio] vuole anime libere e sante, io voglio anime schiave. A me interessa la volontà degli uomini. Voi potete ancora accostarvi a Lui e noi non vogliamo, non dovete. Voi dovete essere come noi, questa è la nostra vendetta su di Lui! ».

La festa di Cristo Re nella storia, nella liturgia, nella teologia Di Daniele Di Sorco




1. Uno spostamento apparentemente irrilevante.


Col motu proprio Summorum Pontificum il Papa Benedetto XVI ha definitivamente chiarito che il Messale romano tradizionale, detto di S. Pio V, non è mai stato abolito e che pertanto qualunque sacerdote può utilizzarlo nella sua integralità. La Pontificia Commissione Ecclesia Dei, in una risposta del 20 ottobre 2008, ha ribadito che “l'uso legittimo dei libri liturgici in vigore nel 1962 comprende il diritto di usare il calendario proprio dei medesimi libri liturgici”. Com'è noto, nel calendario universale del rito romano antico la festa di Cristo Re è assegnata all'ultima domenica di ottobre, mentre il Messale romano riformato, approvato da Paolo VI nel 1969, la colloca all'ultima domenica dell'anno liturgico.
Non mancano coloro che, in nome di una maggiore uniformità tra le “due forme dell'unico rito romano”, insistono per una revisione del calendario che garantisca per lo meno la coincidenza delle feste maggiori (revisione che de facto è stata già compiuta per il rito ambrosiano antico, non però de iure, visto che le norme del diritto richiedono per qualunque modifica liturgica, anche relativa a riti diversi dal romano, l'espressa approvazione della Santa Sede). I più, tuttavia, considerano questo spostamento della festa di Cristo Re come irrilevante: dopo tutto, la ricorrenza è rimasta, anche se leggermente modificata nel titolo (non più "Cristo Re" simpliciter, ma "Cristo Re dell'universo"), e il fatto che sia assegnata ad una data piuttosto che ad un'altra non ne altera la sostanza. Alcuni, sebbene legati al rito antico, giungono a preferire la scelta del nuovo calendario: la festa della regalità di Cristo, infatti, costituisce il perfetto coronamento dell'anno liturgico, mentre non si vede il motivo di collocarla in una posizione apparentemente priva di significato come la fine del mese di ottobre.
Di fronte a tanta variabilità di opinioni, cercheremo, in questo articolo, di ricostruire la genesi storica della festa di Cristo Re, di delinearne - per quanto ci è possibile, in qualità di non specialisti - la portata teologica, e infine di dimostrare perché, a nostro avviso, lo spostamento in questione è tutt'altro che irrilevante.


2. Istituzione della festa.

La festa di Cristo Re fu istituita da Pio XI l'11 dicembre 1925 mediante l'enciclica Quas primas. Si trattava di una festa del tutto nuova, priva - al contrario di altre feste, per esempio quella del Sacro Cuore - di precedenti nei calendari locali o religiosi. D'altronde, se nuova era la festa, non nuova era l'idea della regalità attribuita alla figura di Cristo, che non soltanto la Scrittura, i Padri e i teologi, ma anche l'arte sacra e il senso comune dei fedeli concordemente affermano. Perché il Papa abbia avvertito il bisogno di istituire una ricorrenza specifica dedicata a questo mistero, risulta chiaro dal testo della stessa enciclica: “Se comandiamo che Cristo Re venga venerato da tutti i cattolici del mondo, con ciò Noi provvederemo alle necessità dei tempi presenti, apportando un rimedio efficacissimo a quella peste che pervade l'umana società”.
Quale peste?
Quella - risponde il Papa nel paragrafo successivo - del laicismo: “La peste della età nostra è il così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi; e voi sapete, o Venerabili Fratelli, che tale empietà non maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava nelle viscere della società. Infatti si cominciò a negare l'impero di Cristo su tutte le genti; si negò alla Chiesa il diritto — che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo — di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità. E a poco a poco la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu lasciata quasi all'arbitrio dei principi e dei magistrati. Si andò più innanzi ancora: vi furono di quelli che pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell'irreligione e nel disprezzo di Dio stesso”.

Quindi, se il fine generico della festa - nelle intenzioni del Pontefice - era quello di divulgare nel popolo cristiano “la cognizione della regale dignità di nostro Signore” (regalità in senso lato), il fine specifico era quello di porre l'accento proprio su quella specificazione della regalità che il laicismo nega, vale a dire la regalità sociale. Che sia questo l'autentica ratio della festa, emerge non soltanto dal contenuto dell'enciclica, ma anche da una semplice constatazione di carattere liturgico: tutte le feste, infatti, celebrano - direttamente o indirettamente - la regalità, genericamente intesa, di nostro Signore; ma non esisteva, fino al 1925, alcuna ricorrenza espressamente dedicata al suo regno sulle società di questo mondo.
Tale conclusione è confermata dall'indole dei testi liturgici della festa, promulgati dalla S. Congregazione dei Riti il 12 dicembre dello stesso anno.

Nel Breviario, l'inno dei Vespri afferma:
Te nationum praesides
Honore tollant publico,
Colant magistri, iudices,
Leges et artes exprimant.
   Submissa regum fulgeant
   Tibi dicata insignia:
   Mitique sceptro patriam
   Domosque subde civium

(traduzione nostra: “Te i governanti delle nazioni esaltino con pubblici onori, Te onorino i maestri, i giudici, Te esprimano le leggi e le arti. Risplendano, a Te dedicate e sottomesse, le insegne dei re: sottometti al tuo mite scettro la patria e le dimore dei cittadini”).

Nell'inno del Mattutino si legge:
Cui iure sceptrum gentium
Pater supremum credidit
(“A Te [Redentore] il Padre ha consegnato, per diritto, lo scettro dei popoli”).
E ancora:
Iesu, tibi sit gloria, qui sceptra mundi temperas
(“A Te, o Gesù, sia gloria, che regoli gli scettri [= le autorità] del mondo”).

Stessi concetti ribaditi dall'inno delle Lodi:
O ter beata civitas
Cui rite Christus imperat,
Quae iussa pergit exsequi
Edicta mundo caelitus!
(“O tre volte beata la società, cui Cristo legittimamente comanda, che esegue gli ordini che il cielo ha impartito al mondo!”).

Così pure nell'orazione, dove Cristo viene definito “universorum Rege” (non Re di un generico e imprecisato universo, come afferma la nuova liturgia nelle traduzioni volgari, ma Re di tutti, ossia di tutti gli uomini), si dice che il Padre ha voluto in lui instaurare ogni cosa (ivi compreso l'ordinamento sociale), e si auspica che “cunctae familiae gentium” (diremmo, in linguaggio moderno, “ogni società umana”) si sottomettano al suo soavissimo impero.

Dei testi della Messa, ci limiteremo a ricordare le letture scritturistiche. Nell'epistola, S. Paolo insegna l'assoluta e completa dipendenza di ogni cosa, nessuna esclusa, da Cristo “in omnibus primatum tenens” (Col. 1, 18).
Dal Vangelo, poi, apprendiamo che il regno del Signore dev'essere inteso non solo in senso trascendente (regalità spirituale) ma anche immanente (regalità temporale o sociale). Quando infatti Pilato pone a Gesù la fondamentale domanda: “Ergo rex es tu?” si riferisce senza dubbio al concetto di regalità che egli, come romano e come pagano, possedeva, vale a dire al regno su questo mondo.


3. Regalità spirituale e regalità temporale.

Né deve trarre in inganno il fatto che Gesù risponda che il suo regno non è di questo mondo. Si noti, anzitutto, la scelta dei termini: il regno non è “di questo mondo”, ossia non è secondo le modalità dei regni terreni, come Gesù stesso precisa nello stesso passo: “Se il mio regno fosse di questo mondo, le mie guardie avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei: ma il mio regno non è di questo mondo”, e come la Chiesa ha sempre interpretato. Ma ciò non significa che non sia un regno su questo mondo. È ancora Gesù che, poco dopo, lo specifica: “Tu lo dici: io sono re. Io per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è per la verità, ascolta la mia voce” (Gv. 18, 33-37).
La differenza, quindi, sta nel modo, non nell'oggetto. Gesù dichiara di essere venuto nel mondo per regnare su di esso, non però al modo dei monarchi terreni, che regnano per autorità delegata, direttamente e valendosi (in modo legittimo) della forza, ma al modo del Monarca eterno ed universale, che regna per autorità propria, indirettamente e pacificamente (“Rex pacificus vocabitur”, come ricorda la prima antifona dei Vespri, tratta da Isaia).
“L'origine di questa regalità è celeste e spirituale, anche sei poteri regali sono esercitati nel mondo” (S. Garofalo, Commento al Vangelo di Giovanni, in La Sacra Bibbia tradotta dai testi originali e commentata, Torino, Marietti, 1960, vol. III, p. 273).

Lo scopo della festa, vale a dire la celebrazione della regalità sociale di Cristo, ne illumina anche la collocazione nel calendario. Esistono diversi motivi per cui essa fu assegnata all'ultima domenica di ottobre.
Il primo e più importante è quello delineato dal Papa nell'enciclica: “Ci sembrò poi più d’ogni altra opportuna a questa celebrazione l’ultima domenica del mese di ottobre, nella quale si chiude quasi l’anno liturgico, così infatti avverrà che i misteri della vita di Gesù Cristo, commemorati nel corso dell’anno, terminino e quasi ricevano coronamento da questa solennità di Cristo Re, e prima che si celebri e si esalti la gloria di Colui che trionfa in tutti i Santi e in tutti gli eletti”. In altre parole, la festa di tutti i Santi, che regnano per partecipazione, viene fatta precedere dalla festa di Cristo, che regna per diritto proprio.
La ricorrenza della regalità di Cristo, inoltre, costituisce il coronamento di tutto l'anno liturgico, e pertanto viene posta verso la sua fine.
È lecito domandarsi: perché non proprio alla fine?
Probabilmente - è l'unica spiegazione veramente plausibile - per non confondere la regalità escatologica (di ordine spirituale), che la liturgia tradizionale ricorda nell'ultima domenica dell'anno liturgico mediante la pericope evangelica sulla fine del mondo, con la regalità sociale, che costituiva l'oggetto specifico della nuova festa.
Vi è poi un altra ragione, non esplicitata nell'enciclica, ma ragionevolmente presumibile. Il mese di ottobre era il mese dedicato alle missioni e nella sua penultima domenica si pregava specialmente per la propagazione della Fede tra i pagani. Quale modo migliore, per concluderlo, che ricordare il fine ultimo delle missioni, vale a dire il regno sociale di Cristo su tutti i popoli?
L'intenzione del Pontefice espressa nell'enciclica, l'indole dei testi liturgici, la collocazione originaria della festa: tutti questi elementi consentono di concludere in modo sicuro che la ricorrenza di Cristo Re fu istituita al preciso scopo di ricordare la regalità sociale di nostro Signore e di costituire così un efficace antidoto al laicismo dilagante.
Occorre, a questo punto, vedere che cosa si intenda per “regalita sociale di Cristo”. Cercheremo di farlo senza esorbitare dai limiti di una trattazione che non è e non intende essere specialistica.
Il fondamento dogmatico della regalità di Cristo genericamente intesa è l'unione ipostatica, “per mezzo della quale la natura assunta dagli uomini è unita alla seconda Persona della SS. Trinità: per tale ragione, dunque, Egli non solo è stato costituito Mediatore dal primo momento della sua Incarnazione, ma è anche divenuto, per questo ammirabile avvenimento, Re di tutta la creazione, in ragione della propria divinità” (P. Radó, Enchiridion liturgicum, Romae-Friburgi-Barcinone, 1961, vol. II, p. 1309).
Lo afferma chiaramente il Papa nella citata enciclica: “In questo medesimo anno, con la centenaria ricorrenza del Concilio Niceno, commemorammo la difesa e la definizione del dogma della consustanzialità del Verbo incarnato col Padre, sulla quale si fonda l'impero sovrano del medesimo Cristo su tutti i popoli”.
L'origine della regalità di Cristo in quanto uomo - prosegue Pio XI - è duplice: egli infatti è re non solo per diritto (nativo) di natura, poiché la sua umanità appartiene alla Persona del Verbo divino, ma anche per diritto (acquisito) di conquista, “in forza della Redenzione”, cioè per aver riscattato col suo Sangue il genere umano dal peccato. “Dal che segue che Cristo non solo deve essere adorato come Dio dagli Angeli e dagli uomini, ma anche che a Lui, come Uomo, debbono essi esser soggetti ed obbedire: cioè che per il solo fatto dell'unione ipostatica Cristo ebbe potestà su tutte le creature”.
L'estensione del Regno del Verbo incarnato è universale, come universali sono la creazione e la redenzione donde esso promana. Perciò si estende indiscriminatamente a tutte le cose.

Quanto alla sua natura, poiché il mondo consta di realtà trascendenti e di realtà immanenti, è invalso l'uso di distinguere tra regalità spirituale e regalità temporale. Delle due, è la prima ad avere la preminenza, poiché il temporale è per sua natura ordinato allo spirituale.
Si legge infatti nell'enciclica: “Che poi questo Regno sia principalmente spirituale e attinente alle cose spirituali, ce lo dimostrano i passi della sacra Bibbia sopra riferiti, e ce lo conferma Gesù Cristo stesso col suo modo di agire”. Tuttavia - prosegue il Sommo Pontefice - “sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo Uomo il potere su tutte le cose temporali, dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio”.
Ora, se la regalità temporale di Cristo, al pari di quella spirituale, si esercita su tutte le cose, essa riguarda non soltanto l'individuo (regalità individuale), ma anche l'insieme degli individui, vale a dire la società (regalità sociale). Ne consegue che le istituzioni sociali hanno nei confronti di Cristo gli stessi doveri dell'individuo singolarmente considerato: devono riconoscerlo, adorarlo e sottomettersi alla sua santa Legge. “Né v'è differenza fra gli individui e il consorzio domestico e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo siano gli uomini singoli”, precisa l'enciclica.
Sarebbe dunque in errore chi pensasse che l'obbligo morale di aderire alla divina Rivelazione riguardi soltanto il singolo, mentre la società, nelle sue istituzioni, potrebbe e dovrebbe limitarsi al solo diritto naturale (o addirittura ai soli cosiddetti "diritti umani"). Di qui l'esortazione, rivolta dal Papa ai capi delle nazioni, “di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all'impero di Cristo insieme coi loro popoli”.


4. La "nuova" festa di Cristo Re dell'universo.

Uno dei capisaldi del pensiero moderno è la riduzione della religione alla sola dimensione privata, senza alcuna influenza diretta sulla vita pubblica. Si tratta del "laicismo" (che oggi molti preferiscono chiamare "laicità") di cui parla l'enciclica, già individuato e condannato dai Pontefici precedenti. La festa di Cristo Re - nelle intenzioni di Pio XI - doveva fungere da rimedio a questa pericolosa tendenza e ricordare al popolo cristiano che la regalità di Cristo si estende anche alle realtà temporali. Ci domandiamo: tali concetti emergono con la stessa chiarezza anche nella versione attuale, riformata nel 1969, della festa?
Procederemo, anche in questo caso, con l'analisi dei testi liturgici e della collocazione del calendario.

Nella Liturgia delle Ore, l'inno dei Vespri è lo stesso (Te saeculorum Principem), ma da esso sono state soppresse proprio quelle strofe, citate sopra in questo articolo, che parlano esplicitamente della regalità sociale
(“Te nationum praesides...” e “Submissa regum fulgeant...”).
Nella seconda strofa, inoltre, il riferimento al laicismo
(“Scelesta turba clamitat: / Regnare Christum nolumus” = “La folla empia grida: Non vogliamo che Cristo regni”)
è stato rimpiazzato da una frase generica e indefinita
(“Quem prona adorant agmina / hymnisque laudant cælitum” = “Ti adorano prone le schiere celesti e ti lodano con inni”).

Completamente diverso l'inno dell'Ufficio delle Letture (il vecchio Mattutino), privo anch'esso di qualunque riferimento alla dimensione sociale e temporale del Regno di Cristo. Le letture tratte dall'enciclica Quas primas, che il Breviario antico assegnava al secondo Notturno, sono state rimpiazzate da un brano di Origene, di carattere marcatamente spirituale.

Così pure si cercherebbe invano un'allusione o un accenno alla necessità che Cristo regni sulla società civile nel nuovo inno delle Lodi mattutine.
La nuova orazione ricalca lo schema della vecchia, modificandone però completamente il senso. Non si domanda più che la società umana, disgregata dalla ferita del peccato, si sottometta al soavissimo impero di Cristo, ma che ogni creatura, libera dalla schiavitù del peccato, serva e lodi Dio senza fine. La regalità sociale e temporale dell'antica formula, resa necessaria dalla disgregazione del peccato, lascia il posto alla regalità individuale e spirituale della nuova, nella quale peraltro non vi è alcun accenno esplicito all'impero di Cristo.
Inoltre, sebbene l'originale latino parli ancora di Cristo “universorum Rex”, le versioni moderne hanno tradotto questa espressione con “Re dell'Universo” (cfr. inglese "King of the Universe", francese "Roi de l'Universe", spagnolo "Rey del Universo"), indebolendone ulteriormente la dimensione immanente, concreta, storica del suo Regno.

Le stesse considerazioni valgono a proposito del nuovo titolo della festa (“Cristo Re dell'Universo”) nei libri liturgici in lingua moderna.

La Messa si articola, come di consueto nel nuovo rito, in tre cicli scritturistici.
Il primo (anno A) ha carattere eminentemente escatologico, è incentrata cioè sulla pienezza del regno spirituale di Cristo alla fine dei tempi e non contiene alcun cenno alla regalità sociale.
Il secondo (anno B) prevede il vangelo del formulario tradizionale, ma nella seconda lettura l'epistola di S. Paolo è stata sostituita da un brano dell'Apocalisse che ribadisce la natura spirituale del Regno di Cristo.
Il terzo (anno C) denota una situazione simile ma inversa: l'epistola è quella del formulario antico, mentre il vangelo parla del regno ultraterreno e spirituale che Gesù assicura al buon ladrone. Nel secondo e terzo ciclo scritturistico, quindi, la regalità sociale è presente, ma in misura meno esplicita, e diremmo quasi irriconoscibile, che nel formulario tradizionale.
Del tutto scomparso il testo dell'antico graduale, tratto dal salmo 71, che, alludendo al Messia, affermava:  “Dominabitur a mari usque ad mare, et a flumine usque ad terminos orbis terrarum” (espressioni ebraiche che denotano l'interezza del mondo immanente).
E ancora: “Et adorabunt eum omnes reges terrae, omnes gentes servient ei” (altro chiaro riferimento all'ossequio dei governanti e della società).

Lo spostamento della festa di Cristo Re verso una dimensione essenzialmente spirituale e trascendente è confermato dalla sua nuova posizione nel calendario. Essa non è più posta in riferimento ai Santi che regnano con Cristo e alle missioni che diffondono il suo regno temporale, ma si trova alla fine dell'anno liturgico, nella posizione che la liturgia romana assegna tradizionalmente al ricordo della fine del mondo e del giudizio universale. Il che, se da un lato spiega l'indole del ciclo scritturistico A, dall'altro rafforza l'idea che nella nuova liturgia il Regno di Cristo a cui si allude con la corrispondente festa non è primariamente, come intendeva Pio XI, quello sociale, storico, temporale, che del resto avrà fine con la sua venuta escatologica, ma piuttosto quello trascendente, spirituale, eterno, che troverà il suo perfetto compimento nella Parusia.


5. Conclusione.

Sulla base di tutti questi elementi, è possibile affermare che, nel nuovo rito, la festa di Cristo Re ha subito un sorprendente allontanamento dal significato voluto al momento della sua istituzione. E non ci sembra azzardato ravvisare, in questo, un certo influsso del pensiero moderno, penetrato negli ultimi decenni anche in ambiente ecclesiastico, che se da un lato accetta - come espressione del pluralismo - la regalità di Cristo sui singoli, dall'altro la rifiuta sulle istituzioni sociali.
C'è da auspicare, pertanto, che almeno nel rito antico alla festa di Cristo Re siano mantenuti, non soltanto il suo formulario, ma anche la sua collocazione originaria. Spostarla al termine dell'anno liturgico, infatti, ne accentuerebbe la dimensione escatologica a discapito di quella sociale, e finirebbe in qualche modo per alimentare la credenza, oggi assai diffusa anche nel mondo cattolico, secondo cui la società civile - intesa nel suo complesso e nelle sue istituzioni - avrebbe il diritto e persino il dovere di prescindere dal soavissimo giogo del Regno di Cristo. “Se invece gli uomini privatamente e in pubblico avranno riconosciuto la sovrana potestà di Cristo, necessariamente segnalati benefici di giusta libertà, di tranquilla disciplina e di pacifica concordia pervaderanno l'intero consorzio umano. La regale dignità di nostro Signore come rende in qualche modo sacra l'autorità umana dei principi e dei capi di Stato, così nobilita i doveri dei cittadini e la loro obbedienza” (Pio XI, enciclica Quas primas).

Un Vescovo modernista favorevole alle unioni civili...

 


lettera aperta a Mons. Simone Giusti, Vescovo di Livorno

Eccellenza,

leggo con sconcerto l’articolo comparso sul Tirreno di pochi giorni, a firma di Luciano De Majo, nel quale si rende noto che "il registro delle unioni civili non dispiace affatto a monsignor Paolo Razzauti, vicario della diocesi per la città e parroco della Cattedrale" e che, anzi, questi "lo apprezza come segno di rispetto per ogni persona". Come tutti sappiamo, Eccellenza, si definiscono unioni civili tutte quelle forme di convivenza fra due persone, legate da vincoli affettivi ed economici, che non accedono volontariamente all'istituto giuridico del matrimonio. L’istituto delle unioni civili pare dunque ingiustificato sotto molteplici profili. Sotto un primo profilo, logico-giuridico, le unioni civili appaiono ingiustificate perché si vuole da un lato evitare il matrimonio quale fonte di regolamentazione giuridica e dall’altro si chiede comunque una regolamentazione giuridica dell’unione civile. Si chiede all’ordinamento, in altre parole, di provvedere ad una regolamentazione giuridica (com’è nel matrimonio), ma con uno strumento diverso dal matrimonio. Inoltre, sempre in un’ottica laica, la Costituzione non riconosce forse "i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio" (art. 29 cost)?! Sicuri allora che queste unioni civili siano conformi al dettato costituzionale?! In ogni caso, è bene ripeterlo, chiedere all’ordinamento di provvedere ad una regolamentazione giuridica (com’è nel matrimonio), ma con uno strumento diverso dal matrimonio, pare francamente un capriccio. A meno che… E qui vengo al dunque. E a ciò che ci interessa maggiormente perché chiama in causa la dottrina cattolica. Pare un capriccio perché è come se io chiedessi allo Stato di riconoscere una situazione giuridica analoga alla proprietà, di riconoscermi, in altre parole, le stesse facoltà derivanti dal diritto di proprietà, ma attraverso un altro diritto che non sia più la "proprietà", bensì, ad esempio, il "diritto di cosa mia". E’ evidentemente un capriccio, come dicevo, a meno che non si voglia giungere oltre. E questo è il punto. Non si vuol forse, in questo modo, legittimare le unioni omosessuali, aggirando l’art. 29 della Costituzione che fa riferimento alla famiglia eterosessuale con il termine "naturale"?! Se, come pare ovvio, quel "società naturale" è un riferimento giusnaturalistico alla famiglia eterosessuale, il matrimonio in Italia, proprio per dettato costituzionale, non può che essere fra uomo e donna. Di qui la necessità di pro vvedere ad un altro istituto giuridico (quello delle unioni civili) per legittimare e dare regolamentazione giuridica a forme di convivenza omosessuale che non potrebbero, per quanto fin ora detto, trovare formalizzazione giudica nel matrimonio. Ecco allora che, forse, non è un capriccio, ma una strategia ben precisa di qualcuno a cui mons. Razzauti ha dato credito e sostegno, infangando l’intera Chiesa diocesana livornese e il Vescovo stesso, di cui è vicario diocesano. Forse, dal momento che mons. Razzauti dice che "il matrimonio è un atto fra un uomo e una donna", egli stesso non ha capito a quale drammatico gioco si è prestato con questa sua dichiarazione, visto che, come detto, lo sbocco naturale delle unioni civili è nelle unioni omosessuali. O forse lo ha capito perché dicendo che "il matrimonio è un atto fra un uomo e una donna" non dice che di egual natura debba essere anche l’unione civile, cui si è dichiarato favorevole. Insomma, Eccellenza, un bel pasticcio. Anzi: un vero e proprio dramma dato che, come ha detto anche un parroco, "queste dichiarazioni gravissime ed erronee creano grande confusione nel popolo cristiano". Questo è il dramma, Eccellenza, Lei lo sa benissimo. In conclusione, Eccellenza reverendissima, due cose. La prima: chiarisca al suo vicario (che non ha fatto altro che ripetere in continuazione che "prima di tutto viene il rispetto, ogni persona va rispettata: è la base della nostra convivenza") che, per la dottrina cattolica, c’è sempre rispetto per la persona, ma mai il rispetto per l’errore (che pure lui tenta di legittimare). In secondo luogo, Eccellenza, per il bene della nostra fede, la prego di fare chiarezza e di smentire pubblicamente le affermazioni erronee del suo vicario diocesano. Diversamente, i fedeli si troveranno nella più totale confusione e saranno portati a credere che questa Dioc esi non è più in comunione con la Santa Sede.

Certo che, da successore degli Apostoli quale Sua Eccellenza è, Ella vorrà rendere questo servizio alla verità, per il bene e la salvezza delle anime di tanti fedeli così tanto confusi.

Cordiali saluti.

Francesco Bernardini

GNOSI, MODERNITÀ E MODERNISMO...





d. CURZIO NITOGLIA
30 ottobre 2010
http://www.doncurzionitoglia.com/gnosi_modernita_modernismo.htm
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La modernità
La modernità filosofica inizia con Cartesio (+ 1650) e giunge sino all’idealismo classico tedesco (Hegel, + 1831). Essa è caratterizzata dal soggettivismo teoretico o primato del soggetto pensante sulla realtà oggettiva extra-mentale (Cogito cartesiano, Io assoluto hegeliano). In religione la modernità è iniziata, circa un secolo prima, con Lutero (+1546) e la sua essenza è il soggettivismo religioso (sola Scriptura e Libero esame), che dà il primato al singolo individuo nei rapporti con Dio, senza la mediazione della Chiesa gerarchica fondata da Cristo, ossia su Pietro e i suoi successori: i Papi.
Padre Giandomenico Mucci scrive: «La modernità è, concettualmente e storicamente, deliberata e programmata costruzione a far emergere l’uomo come unico protagonista della storia»[1]. È questo quel puro antropocentrismo, che è stato uno dei punti nodali della teologia del Concilio Vaticano II (cfr. Gaudium et spes, 12, 22, 24) e del post-Concilio (Paolo VI e Giovanni Paolo II). Romano Amerio ha scritto: «la Modernità sostituisce al Dio personale e trascendente che regola il mondo, il concetto di uomo auto-regolatore. Ossia l’uomo come fine del mondo»[2].

Gnosticismo e Gnosi
Lo Gnosticismo è un insieme risalente al II secolo d. C. di dottrine e sètte religiose anticristiane, di origine giudaico-cabalistica, che si avvalgono di termini greci e simboli egiziani-persiani, Esso tentò di ellenizzare il Cristianesimo rendendolo, dall’interno, una mera filosofia naturale gnostica, ma i Padri ecclesiastici insorsero e lo debellarono. La Gnosi è la conoscenza divinizzante (gnosi) delle eresie anticristiane del II sec. d. C. (gnosticismo), secondo cui l’uomo è un’emanazione di Dio e deve tornare a Lui appunto tramite la gnosi o conoscenza iniziatica ed esoterica, liberandosi dalla materia.

Modernità, gnosi e Vaticano II


Il Concilio Vaticano II, soprattutto nella Costituzione sui rapporti della Chiesa col mondo moderno (Gaudium et spes) e i commenti su di essa fatti da Paolo VI e Giovanni Paolo II, trasuda di filosofia moderna non solo quanto al modo di esprimersi, ma anche quanto alla sostanza. Non è solo l’interpretazione datane da alcuni teologi ultra-progressisti ad essere antropocentrica (lo “spirito del Concilio”), ma è il testo o la “lettera” stessa del Vaticano II che è antropolatrica e panteistica. Vediamo alcuni passaggi più significativi:
Gaudium et spes n° 12: «tutte le cose che esistono su questa terra sono ordinate e finalizzate all’uomo come al loro centro e fine», si potrebbe intendere questa pericope in maniera ortodossa, qualora tutte le cose inanimate, vegetali ed animali fossero ordinate all’uomo e questi a Dio, ma Gaudium et spes n° 24 specifica che «L’uomo su questa terra è la sola creatura che Dio ha voluto per se stessa (propter seipsam)». Questo errore va letto alla luce del pancristismo teilhardiano di Gaudium et spes n° 22: «per il fatto stesso che il Verbo si è incarnato ha unito a Sé ogni uomo».
●Durante “l’omelia nella 9a Sessione del Concilio Vaticano II”, il 7 dicembre del 1965, Papa Montini giunse a proclamare: «la religione del Dio che si è fatto uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Tale poteva essere; ma non è avvenuto. […]. Una simpatia immensa verso ogni uomo ha pervaso tutto il Concilio. Dategli merito almeno in questo, voi umanisti moderni, che rifiutate le verità, le quali trascendono la natura delle cose terrestri, e riconoscete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, più di tutti, abbiamo il culto dell’uomo»[3]. Attenzione! “Tutto il Concilio”, dice Paolo VI, non il solo ‘spirito del Concilio’, non la sola ermeneutica radicale della rottura con la Tradizione cattolica. Ora l’interpretazione ‘autentica’ del Concilio Vaticano II la dà papa Paolo VI e non Tizio, Caio o Sempronio. Inoltre Paolo VI chiama a “dar merito” a “tutto il Concilio” di questa “religione dell’uomo che si fa Dio” con le sole sue forze e senza il dono gratuito della grazia santificante gli “umanisti moderni”, cioè gli atei i quali “rifiutano le verità” di Fede soprannaturale, che trascendono l’umana ragione. Ma se “tutto il Concilio”, e non la sua interpretazione azzardata o il suo ‘spirito’, può e deve piacere agli atei o panteisti, non può piacere ai cristiani, che credono alle verità soprannaturali rivelate da Dio e distinguono la creatura dal Creatore. Come si evince da ciò che ha detto Paolo VI, è il testo stesso del Concilio che è in rottura con la Fede cattolica e come tale non può essere accettato. Il cuore del “problema dell’ora presente” è propriamente la velleità di conciliare l’inconciliabile: teocentrismo e antropocentrismo, Messa romana e ‘Novus Ordo Missae’, Tradizione divino-apostolica e Vaticano II. 

Karol Wojtyla nel 1976 da cardinale, predicando un ritiro spirituale a Paolo VI e ai suoi collaboratori, pubblicato in italiano sotto il titolo Segno di contraddizione. Meditazioni, (Milano, Vita e Pensiero, 1977), inizia la meditazione “Cristo svela pienamente l’uomo all’uomo” (cap. XII, pp. 114-122) con Gaudium et spes n.° 22 e asserisce: «il testo conciliare, applicando a sua volta la categoria del mistero all’uomo, spiega il carattere antropologico o perfino antropocentrico della Rivelazione offerta agli uomini in Cristo. Questa Rivelazione è concentrata sull’uomo […]. Il Figlio di Dio, attraverso la sua Incarnazione, si è unito ad ogni uomo, è diventato - come Uomo - uno di noi. […]. Ecco i punti centrali ai quali si potrebbe ridurre l’insegnamento conciliare sull’uomo e sul suo mistero» (pp. 115-116). In breve questo è il succo concentrato dei testi del Vaticano II: culto dell’uomo, panteismo e antropocentrismo idolatrico. Non lo dico io, ma Karol Wojtyla, alla luce di Paolo VI e del Concilio pastorale da lui ultimato, ossia gli interpreti ‘autentici’ del Vaticano II.
●Papa Giovanni Paolo II afferma nella sua seconda enciclica (del 1980) “Dives in misericordia” n.° 1: «Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e persino a contrapporre il teocentrismo con l’antropocentrismo, la Chiesa [conciliare, ndr] […] cerca di congiungerli […] in maniera organica e profonda. E questo è uno dei punti fondamentali, e forse il più importante, del magistero dell’ultimo Concilio». Ancora una volta non è l’interpretazione radicale del Concilio, ma è l’insegnamento stesso conciliare ad essere gravemente erroneo.

L’essenza del Vaticano II è il panteismo gnostico e modernista
Non deve perciò destare stupore se si afferma che l’essenza del Concilio Vaticano II è gnostica, antropocentrica e panteistica. Non sono io ad asserirlo, sono i testi di Gaudium et spes e l’interpretazione datane da Paolo VI e Giovanni Paolo II. Una delle caratteristiche della gnosi è, come ricorda padre Mucci, «la conoscenza [gnosis] immanentisticamente “salvifica” dell’uomo per opera dell’uomo»[4]. Ma, mentre la gnosi antica era esoterica, elitaria, per pochi eletti ed iniziati, quella moderna è diventata un fenomeno di massa. Mentre la gnosi antica era tendenzialmente manichea e voleva liberare l’uomo dalla materia, dal corpo e dal carcere di questa vita e di questo mondo, la nuova vuole portare il paradiso in terra ed assicurare la somma felicità in questo mondo materiale. Il teocentrismo, la trascendenza e la partecipazione dell’ente creato a quello Increato e Creatore è negata o al massimo annacquata in uno spurio connubio di teo e antropo centrismo, di trascendenza e immanenza, le quali sfociano nel panteismo che è la coincidentia oppositorum. Più che di ‘eclissi del sacro’ nel mondo attuale, di deve parlare, perciò, di eclissi del cattolicesimo, poiché molte sono le forme del “sacro” le quali fanno proprie le istanze antropocentriche e immanentistiche del panteismo. Solo il cattolicesimo salva, tramite l’analogia e la partecipazione, la presenza di Dio nel mondo insieme con la Sua trascendenza, distingue il teocentrismo dall’antropocentrismo e fa dell’uomo il re delle creature, ma finalizzato e ordinato a Dio come ogni creatura fosse anche angelica, confuta ogni forma di panteismo (acosmista o pancosmista) poiché contraddittorio e ripugnante anche alla sola ragione umana. “L’epoca della secolarizzazione”, di cui parlava Augusto Del Noce, riguarda solo il cattolicesimo. Tutte le “spiritualità” più stravaganti avanzano e addirittura il “culto della shoah” è obbligatorio sotto pena di “scomunica” e di emarginazione dalla società civile, se non di carcere, mentre il cattolicesimo soffre una grave crisi interna, dottrinale, morale, disciplinare e liturgica. In realtà ciò che oggi viene presentato come cattolicesimo è l’apparenza del cattolicesimo tradizionale, il quale è stato eroso dall’interno dalla quella forma di gnosi che si chiama specificatamente modernismo e che l’ha ridotto ad una semplice filosofia o opinione soggettiva così che ognuno può farsene l’idea che vuole e praticarlo a proprio piacimento, in maniera antropolatrica o auto-redentiva. A differenza delle antiche eresie, che combattevano ed impugnavano alcuni dogmi o verità morali della Chiesa e uscivano da Essa, il modernismo non muove guerra alle verità di Fede ma dall’interno della Chiesa, come il vecchio Gnosticismo del II secolo, «tende a permearle di sé, svuotandole dei loro contenuti propri»[5] per formare una religione naturalistica, universalistica, mondialistica e trasversale a tutte le religioni positive, come fa la massoneria. Augusto Del Noce scriveva: «al fondo del nuovo gnosticismo c’è la negazione del peccato originale [la cui conclusione logica è il culto dell’uomo, quale nuova “Immacolata Concezione”]; posta tale negazione, tutto l’edificio del cristianesimo è destinato a crollare. […]. Tale sistema non può concludere che col divinizzare l’uomo stesso. Si ha così la completa inversione della concezione religiosa del peccato [e della Redenzione]: la creazione dell’idea dell’esistenza di Dio è il peccato da cui l’uomo deve liberarsi»[6].

La teologia del Vaticano II rappresenta l’inversione della vera Religione
Completa inversione della concezione religiosa”: sembra un’affermazione ardita e sproporzionata. Ma, quando si mette l’uomo al posto di Dio e si vuol cancellare il vero Dio personale e trascendente, si è realizzato il “Non serviam” di Lucifero, che per questo da Angelo divenne diavolo, avendo voluto usurpare il trono di Dio (inversione completa ed irreparabile), e che non cessa di tentare l’uomo a fare come lui: “Eritis sicut Dii”. Da Adamo ed Eva sino ad oggi, facendo perdere il ‘Paradiso terrestre’ ai nostri progenitori e gettandoli con i loro discendenti in questa “valle di lacrime” (completa inversione, riparabile solo grazie alla Redenzione divina). Il grave è che gli uomini di Chiesa sino ai suoi vertici hanno fatta propria - durante il Concilio Vaticano II - l’inversione di Lucifero ed hanno messo l’uomo al posto di Dio, portando il disordine dogmatico, morale, disciplinare e liturgico nel seno della Chiesa (sulla quale, però, “le porte dell’inferno non prevarranno”, anche se talora sembrano scuotere la “Barca di Pietro”). Ora dov’è “completa inversione”, non può sussistere “continuità”, ma solo rottura radicale per il principio di identità e non-contraddizione. Infatti, se metto l’uomo al posto di Dio, sfiguro completamente la vera Religione e la teologia naturale, tranne che non si voglia “conciliar l’inconciliabile”. San Paolo, però, ci avverte: “non illudetevi, non ci si prende gioco di Dio”; ci si può prendere gioco degli uomini, ma mai di Dio. Non si può cercare di risolvere l’opposizione irreconciliabile tra la “religione di Dio che s’è fatto uomo” e quella “dell’uomo che si fa Dio” raccontando delle storielle su ciò che il Papa ‘tradizionale in privato’, ma ‘progressista in pubblico’, poiché prigioniero della mafia dei cardinali cattivi, avrebbe raccontato a Tizio, Caio o Sempronio. La triste realtà è l’essenza antropocentrica e panteistica dei testi conciliari, come hanno spiegato Paolo VI e Giovanni Paolo II. Ora tale problema lo si affronta seriamente, come ha fatto mons. Brunero Gherardini nei suoi due ultimi libri (“Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare”; e “Tradidi quod et accepi. La Tradizione vita e giovinezza della Chiesa”, Frigento, 2009; 2010) e non raccontando storielle. Una tragedia così immane non la si affronta con le “barzellette”. “Il medico pietoso fa la piaga cancrenosa”.
Nel 1940 Pio XII rispondendo a Dino Alfieri, ambasciatore d’Italia presso la S. Sede, stigmatizzava «il pensiero che umanizza il divino e divinizza l’umano» e ne prevedeva la ineluttabile fine: «ognuno di questi errori ha il suo tempo: il suo tempo di accrescimento e il suo tempo di decadenza. Il tempo di crescita, quando il veleno inebriante travolge e infatua gli uomini, e il tempo di crisi, quando gli amari frutti maturano e gli occhi delle persone più assennate li guardano atterrite». Col senno di poi (2010) gli anni Sessanta hanno rappresentato il tempo dell’ottimismo esagerato, gli anni Settanta e Ottanta hanno offerto lo spettacolo dei “frutti del Concilio”; speriamo che ben presto gli uomini, e soprattutto i vescovi, aprano gli occhi e ammettano quali amarissimi frutti abbia portato la svolta antropocentrica della teologia conciliare: l’inversione della religione, senza cercare inutilmente di “conciliar l’inconciliabile” o di raccontar storielle, ma agendo seriamente per rimettere in ordine ciò che è stato invertito.

d. CURZIO NITOGLIA

30 ottobre 2010

A quando il processo di beatificazione del Venerabile Papa Pio XII, l'ultimo Pontefice legato alla Tradizione bimillenaria della Chiesa?...




Da quando Benedetto XVI ha pubblicamente riconosciuto le virtù eroiche di Papa Pio XII, il "Papa della guerra e della pace", si sono sollevate molte polemiche negli ambienti sionisti e massonico - ebraici. Il popolo Cattolico è in fermento, in quanto il suddetto Pontefice ha, di fatto, retto la chiesa in un periodo difficilissimo e lo fece con grande autorevolezza e con la dovuta scaltrezza che deve contraddistinguere i Pontefici che non scendono a compromesso col mondo. Eletto dopo la morte di Papa Pio XI, in un Conclave retto dallo stesso Eugenio Maria Giuseppe Giovanni Pacelli, durato solo 1 giorno e con 2 fumate nere ed una bianca, Pacelli divenne Pio XII e, in piena successione Apostolica, seppe ricoprire con grande ardore e devozione il ruolo di Vicario di Cristo in Terra. Vedere il passaggio di Pio XII, seduto sulla sedia gestatoria, attualmente abolita dallo sfrenato modernismo, in una Piazza San Pietro gremita all'inverosimile, nonostante il pericolo guerra, crea sempre una certa ... 
... emozione nel cuore di tutti i veri Cattolici, amanti della figura del Santo Padre e credenti fermamente nel ruolo che Questi ricopre in terra.
Detto anche il "Pastore Angelico", Pio XII fu il 260° Papa della Santa Romana Chiesa Cattolica ed Apostolica e, in pieno spirito cristiano, seppe reggere il soglio pontificio per quasi venti anni. Un pontificato lungo il Suo, in un periodo storico che fu contraddistinto in primo luogo dalla guerra e, in seguito, dalla pace e dalla ricostruzione.
Il Pacelli, durante il suo pontificato, seppe reagire con virtù eroiche ad ogni situazione gli fu sottoposta e, come seppe tacere al momento opportuno ed operare solo con i fatti, fu anche in grado di smorzare gli entusiasmi tipici del dopoguerra e, non di rado, bacchettare la figura di De Gasperi che, in certe occasioni, cercò di manipolare il popolo Cattolico, purtroppo non mantenendo la retta osservanza della Dottrina che, invece, avrebbe dovuto osservare.

Fu un Papa coraggioso Pio XII, difatti, tra le sue grandi opere si ricorda la scomunica ipso facto a tutti gli aderenti al partito comunista che, all'epoca, era costola spietata dello Stalinismo più becero e violento.
Il Santo Padre, difatti, riconosciuti i circa 30 milioni di morti deceduti sotto il regime bolscevico, seppe reagire con fermezza e buttare discredito ufficiale su un partito che, sia moralmente che economicamente, si rifaceva alla violenza di Stalin ed avrebbe voluto applicarla anche in Italia, azzittendo i dissidenti.
Cosa contestano gli ebrei a Pio XII?
Il fatto che Egli, durante la guerra, preferì adottare una politica di Stato Vaticano meno scenografica e plateale e più dedita alla salvezza delle persone.
E' noto, difatti, che in uno dei suoi discorsi radiofonici, fu lo stesso Pacelli ad ordinare a tutti i conventi ed a tutte le strutture religiose di Roma e dintorni, di aprire le porte ad ebrei  e dissidenti, i quali ebbero a vivere presso le suddette per quasi un anno.
Il risultato fu semplicissimo ed eroico: furono salvati circa 4.500 ebrei e più di 5.000 partigiani, persone che, diversamente, sarebbero state deportate in campi di concentramento.
Ci si domanda, in molti, il perché del silenzio di Pio XII dinanzi all'olocausto.
Le risposte di tutti gli storici sono unanime e giungono a gran voce:
- punto primo, all'epoca non si aveva consapevolezza di cosa fosse la shoa, concetto che nasce di fatto alla fine degli anni sessanta
- punto secondo, Il Papa fu molto intelligente. Accadde, difatti, che i Vescovi Olandesi si ribellarono pubblicamente al regime nazista e, come ritorsione, Hitler fece deportare e condannare a morte 40.000 uomini. Pio XII, preso coscienza della situazione, nelle sue memorie, raccontò esplicitamente che preferì tacere.
Le sue considerazioni furono ovvie ed intelligenti e disse: " se per dei Vescovi che hanno parlato sono morti 40.000 uomini, per la parola del Papa quante centinaia di migliaia di anime dovranno perdere la vita?".
In piena aderenza al Magistero, quindi, Pio XII preferì operare dietro le quinte e, seppur tacendo, preferì salvare di fatto le persone e, tantissime, sono le testimonianze a riprova della sua strategia e generosità. Egli fu il Papa della carità cristiana e, seppur operando in un periodo difficilissimo, dal 39 al 44, non ebbe paura di dare ospitalità e salvezza a più di 10.000 persone.
A questo punto, la massoneria ebraica che, di fatto, è contro la Chiesa di Cristo, non ha piacere che Pio XII sia beatificato, in quanto lo ritiene colpevole del silenzio. Ma di quale silenzio? Vadano a chiederlo ai 4.500 ebrei che lo stesso Papa salvò e, molti dei quali, ancora oggi ne sono grati.
Il museo dell'Olocausto di Gerusalemme, ospita dal 2005 una fotografia di Pio XII, la cui didascalia in calce ne definisce «ambiguo» il comportamento di fronte allo sterminio degli ebrei. Ma quale ambiguità? Dove la vedono questa confusione?


Pio XII fu un eroe, di cui la Chiesa Cattolica può essere orgogliosa e fu uno dei più grandi Papi moderni che la chiesa ricorda.

Noi Cattolici chiediamo a gran voce la beatificazione di questo sant'uomo e chiediamo al Santo Padre Benedetto XVI di operare in pieno spirito di Successione Apostolica, non tenendo in considerazione queste dichiarazioni mendaci e denigratorie di una piccola fazione del popolo ebraico, quella massonica, che non rappresenta assolutamente lo Stato di Israele.
Cosa dovremmo dire noi, dato che gli ebrei furono di fatto i deicidi? Una considerazione sorge spontanea: se non fai quello che dicono gli ebrei, ti trovi nei guai ... Pio XII beato subito.!
Carlo Di Pietro

XXXI DOMENICA DEL T.O. Anno C - DÓMINI NOSTRI IESU CHRISTI REGIS - 31 ottobre 2010


Consacrazione del genere umano al Sacratissimo Cuore di Gesù da recitarsi ogni anno all’ultima domenica di ottobre
O Gesù dolcissimo, o Redentore del genere umano, riguardate a noi umilmente prostrati innanzi al vostro altare.
Noi siamo vostri, e vostri vogliamo essere; e per vivere a voi più strettamente congiunti, ecco che ognuno di noi, oggi spontaneamente si consacra al vostro sacratissimo Cuore.
Molti, purtroppo, non vi conobbero mai; molti, disprezzando i vostri comandamenti, vi ripudiarono. O benignissimo Gesù, abbi misericordia e degli uni e degli altri e tutti quanti attira al vostro Sacratissimo Cuore.
O Signore, siate il Re non solo dei fedeli che non si allontanarono mai da voi, ma anche dì quei figli prodighi che vi abbandonarono; fate che questi, quanto prima, ritornino alla casa paterna, per non morire di miseria e di fame.
Siate il Re di coloro che vivono nell'inganno e dell'errore, o per discordia da voi separati; richiamateli al porto della verità, all'unità della fede, affinché in breve si faccia un solo ovile sotto un solo pastore.
Siate il re finalmente di tutti quelli che sono avvolti nelle superstizioni dell’Idolatria e dell’Islamismo; e non ricusate di trarli tutti al lume e al regno vostro.
Riguardate finalmente con occhio di misericordia i figli di quel popolo che un giorno fu il prediletto; scenda anche sopra di loro, lavacro di redenzione di vita, il sangue già sopra essi invocato,
Largite, o Signore, incolumità e libertà sicura al la vostra Chiesa, largite a tutti i popoli la tranquillità dell'ordine. Fate che da un capo all'altro della terra risuoni quest'unica voce:
Sia lode a quel Cuore divino, da cui venne la nostra salute; a lui si canti gloria e onore nei secoli dei secoli. Amen

 
Nel 18 luglio 1959 Giovanni XXIII fece omettere le seguenti parti:
Siate il re finalmente di tutti quelli che sono avvolti nelle superstizioni dell’Idolatria e dell’Islamismo; e non ricusate di trarli tutti al lume e al regno vostro. Riguardate finalmente con occhio di misericordia i figli di quel popolo che un giorno fu il prediletto; scenda anche sopra di loro, lavacro di redenzione di vita, il sangue già sopra essi invocato.
 
Quindi, coloro che utilizzano il Messale di Giovanni XXIII, dovrebbero recitare la preghiera con le omissioni in chiave ecumenica. Del resto solamente accettando e utilizzando il Messale del 1962 si può sperare di essere ammessi nel mare magnum modernistico.
 
Inoltre, per chi usa saltuariamente il Messale di Giovanni XXIII e abitualmente il libro liturgico di Paolo VI, si troverà nell’assurda situazione di celebrare due volte la festa di Cristo Re: oggi con la liturgia romana, alla fine di novembre con quella riformata.
 
MISSALE ROMANUM
Domenica, 31 Ottobre 2010


VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca Lc 19, 1-10
In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».




EVANGÉLIUM
Sequéntia S. Evangélii secundum Ioánnem, 18, 33-37
In illo témpore: Dixit Pilátus ad Iesum: Tu es Rex Iudæórum? Respóndit Iesus: A temetípso hoc dicis, an álii dixérunt tibi de me? Respóndit Pilátus: Numquid ego Iudǽus sum? Gens tua, et pontífices tradidérunt te mihi: quid fecísti? Respóndit Iesus: Regnum meum non est de hoc mundo. Si ex hoc mundo esset regnum meum, minístri mei útique decertárent ut non tráderer Iudǽis: nunc áutem regnum meum non est hinc. Dixit ítaque ei Pilátus: Ergo Rex es tu? Respóndit Iesus: Tu dicis, quia Rex sum ego. Ego in hoc natus sum, et ad hoc veni in mundum, ut testimónium perhíbeam veritáti: omnis qui est ex veritáte, áudit vocem meam.

In quel tempo, Pilato rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: "Tu sei il re dei Giudei?". Gesù rispose: "Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto?". Pilato rispose: "Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?". Rispose Gesù: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù". Allora Pilato gli disse: "Dunque tu sei re?". Rispose Gesù: "Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce".

Cristo Re dell'universo

El Papa Pio XIQuesta festa fu introdotta da papa Pio XI, con l’enciclica “Quas primas” dell’11 dicembre 1925, a coronamento del Giubileo che si celebrava in quell’anno.
È poco noto e, forse, un po’ dimenticato. Non appena elevato al soglio pontificio, nel 1922, Pio XI condannò in primo luogo esplicitamente il liberalismo “cattolico” nella sua enciclica “Ubi arcano Dei”. Egli comprese, però, che una disapprovazione in un’enciclica non sarebbe valsa a molto, visto che il popolo cristiano non leggeva i messaggi papali. Quel saggio pontefice pensò allora che il miglior modo di istruirlo fosse quello di utilizzare la liturgia. Di qui l’origine della “Quas primas”, nella quale egli dimostrava che la regalità di Cristo implicava (ed implica) necessariamente il dovere per i cattolici di fare quanto in loro potere per tendere verso l’ideale dello Stato cattolico: “Accelerare e affrettare questo ritorno [alla regalità sociale di Cristo] coll’azione e coll’opera loro, sarebbe dovere dei cattolici”. Dichiarava, quindi, di istituire la festa di Cristo Re, spiegando la sua intenzione di opporre così “un rimedio efficacissimo a quella peste, che pervade l'umana società. La peste della età nostra è il così detto laicismo, coi suoi errori e i suoi empi incentivi”.
Tale festività coincide con l’ultima domenica dell’anno liturgico, con ciò indicandosi che Cristo Redentore è Signore della storia e del tempo, a cui tutti gli uomini e le altre creature sono soggetti. Egli è l’Alfa e l’Omega, come canta l’Apocalisse (Ap 21, 6). Gesù stesso, dinanzi a Pilato, ha affermato categoricamente la sua regalità. Alla domanda di Pilato: “Allora tu sei re?”, il Divino Redentore rispose: “Tu lo dici, io sono re” (Gv 18, 37).
Pio XI insegnava che Cristo è veramente Re. Egli solo, infatti, Dio e uomo – scriveva il successore


Pio XII, nell’enciclica “Ad caeli Reginam” dell’11 ottobre 1954 – “in senso pieno, proprio e assoluto, … è re”.
Il suo regno, spiegava ancora Pio XI, “principalmente spirituale e (che) attiene alle cose spirituali”, è contrapposto unicamente a quello di Satana e delle potenze delle tenebre. Il Regno di cui parla Gesù nel Vangelo non è, dunque, di questo mondo, cioè, non ha la sua provenienza nel mondo degli uomini, ma in Dio solo; Cristo ha in mente un regno imposto non con la forza delle armi (non a caso dice a Pilato che se il suo Regno fosse una realtà mondana la sua gente “avrebbe combattuto perché non fosse consegnato ai giudei”), ma tramite la forza della Verità e dell'Amore.
Gli uomini vi entrano, preparandosi con la penitenza, per la fede e per il battesimo, il quale produce un’autentica rigenerazione interiore. Ai suoi sudditi questo Re richiede, prosegue Pio XI, “non solo l’animo distaccato dalle ricchezze e dalle cose terrene, la mitezza dei costumi, la fame e sete di giustizia, ma anche che essi rinneghino se stessi e prendano la loro croce”.
Tale Regno, peraltro, già mistericamente presente, troverà pieno compimento alla fine dei tempi, alla seconda venuta di Cristo, quando, quale Sommo Giudice e Re, verrà a giudicare i vivi ed i morti, separando, come il pastore, “le pecore dai capri” (Mt 25, 31 ss.). Si tratta di una realtà rivelata da Dio e da sempre professata dalla Chiesa e, da ultimo, dal Concilio Vaticano II, il quale insegnava a tal riguardo che “qui sulla terra il Regno è già presente, in mistero; ma con la venuta del Signore, giungerà a perfezione” (costituzione “Gaudium et spes”).
Con la sua seconda venuta, Cristo ricapitolerà tutte le cose, facendo “cieli nuovi e terra nuova” (Ap 21, 1), tergendo e consolando ogni lacrima di dolore e bandendo per sempre il peccato, la morte ed ogni ingiustizia dalla faccia della terra. Sempre il Concilio scriveva che “in questo regno anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio” (costituzione dogmatica “Lumen Gentium”).
Per questo i cristiani di ogni tempo invocano, già con la preghiera del Padre nostro, la venuta del Suo Regno (“Venga il tuo Regno”) ed, in modo particolare durante l’Avvento, cantano nella liturgia “Maranà tha”, cioè “Vieni Signore”, per esprimere così l’attesa impaziente della parusia (cfr. 1 Cor 16, 22).
Aggiunge ancora Pio XI che nondimeno sbaglierebbe colui il quale negasse al Cristo-uomo il potere su tutte le cose temporali, “dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create”. Tuttavia – precisa – Cristo, quando era sulla terra, si astenne dall’esercitare completamente questo suo dominio, permettendo – come anche oggi – che “i possessori debitamente se ne servano”.
Questo potere abbraccia tutti gli uomini. Ciò lo aveva anche chiaramente espresso Leone XIII, nell’enciclica “Annum sacrum” del 25 maggio 1899, con cui preparava la consacrazione dell’umanità al Sacratissimo Cuore di Gesù nell’anno santo del 1900. Papa Pecci aveva scritto in effetti che “il dominio di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici, o a coloro che, rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di diritto, alla Chiesa, sebbene le errate opinioni li allontanino da essa o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi di fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo”.
L’uomo, misconoscendo la regalità di Cristo nella storia e rifiutando di sottomettersi a questo suo giogo che è “dolce” ed a questo carico “leggero”, non potrà trovare alcuna salvezza né troverà autentica pace, rimanendo vittima delle sue passioni, inimicizie ed inquietudini. È Cristo soltanto la “fonte della salute privata e pubblica”, diceva Pio XI. “Né in alcun altro vi salvezza, né sotto il cielo altro nome è stato dato agli uomini, mediante il quale dobbiamo essere salvati” (At 4, 12).
Lontano da Lui l’uomo ha dinanzi chimere e sistemi ideologici totalizzanti e fuorvianti; non cercando il suo Regno e la sua Giustizia, il genere umano ha di fronte a sé i vari “-ismi” della storia che, diabolicamente, in nome di un falso progresso sociale, economico e culturale, degradano ogni uomo, negandone la dignità.
Ed il XX secolo non ha mancato di fornirne dei tragici esempi con i vari regimi autoritari, comunisti e nazista (che la Chiesa ha condannato vigorosamente), riproponendo, per l’ennesima volta, il duro scontro tra Regno di Cristo e regno di Satana, che durerà sino alla fine dei tempi.
Basti qui far riferimento, a titolo esemplificativo, giusto al solo travagliato periodo del pontificato di papa Ratti per averne una pallida idea.
Con l’enciclica “Mit brennender Sorge”, del 14 marzo 1937 – tra i cui estensori vi era pure il cardinale segretario di Stato e futuro papa Pio XII, Eugenio Pacelli – il Pontefice romano disapprovava il provocante neopaganesimo imperante in Germania (il nazismo), il quale rinnegava la Sapienza Divina e la sua Provvidenza, che “con forza e dolcezza domina da un'estremità all’altra del mondo” (Sap. 8, 1), e tutto dirige a buon fine; deplorava anche certi banditori moderni che perseguono il falso mito della razza e del sangue; biasimava, infine, le liturgie del Terzo Reich tedesco, veri riti paganeggianti, qualificate come “false monete”.
In Messico, “totalmente infeudato dalla massoneria”, dove gli Stati Uniti avevano favorito – in nome dei loro interessi economici – la nascita di uno Stato dichiaratamente anticlericale ed anticristiano, furono promulgate pesanti leggi restrittive della libertà della Chiesa cattolica, stabilendo l’espulsione dei sacerdoti non sposati, la distruzione delle chiese e la soppressione persino della parola “adios”. Il fanatico anticlericale governatore dello Stato messicano di Tabasco, Tomás Garrido Canabal, autore di queste misure repressive, nella sua fattoria, “La Florida”, giunse a chiamare, in segno di dispregio, un toro “Dio”, ad un asino diede nome “Cristo”, una mucca “Vergine di Guadalupe”, un bue ed un maiale “Papa”. Suo figlio lo chiamò “Lenin” e sua figlia “Zoila Libertad”. Un nipote fu chiamato “Luzbel” [Lucifer], un altro figlio “Satan”.
Si costituì allora un esercito di popolo, i “cristeros”, i quali combattevano al grido di “Viva Cristo Re! Viva la Vergine di Guadalupe! Viva il Messico!”. Con le stesse parole sulle labbra versavano il loro sangue in quella terra anche numerose schiere di martiri, mentre i loro carnefici esclamavano, riempiendo ceste di vimini con le teste mozzate dei cattolici, “Viva Satana nostro padre”. Si trattò di un vero “olocausto” passato sotto silenzio ed ignorato. Alcuni dei valorosi martiri cristiani messicani, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, hanno raggiunto la gloria degli altari, come il gesuita Miguel Agustin Pro, fucilato senza processo. Le sue ultime parole furono giusto “Viva Cristo Re!”.
Questa grave situazione di persecuzione religiosa fu riprovata da Pio XI con le encicliche “Nos Es Muy Conocida” del 28 Marzo 1937 ed “Iniquis Afflictisque” del 18 novembre 1926.
Una netta opposizione fu, infine, manifestata nei confronti della Russia sovietica, contro il comunismo ateo, condannato dall'enciclica “Divini Redemptoris” del 19 marzo 1937, e nei riguardi della Spagna repubblicana, dichiaratamente antireligiosa.
Qui, il governo repubblicano socialista di Manuel Azaña Y Díaz proclamò che “da oggi la Spagna non è più cristiana”, mirando a “laicizzare” lo Stato. La nuova costituzione vanificava ogni potere della Chiesa, la religione cattolica era ridotta al rango d’associazione, senza sostegno finanziario da parte statale, senza scuole, esposta agli espropri; con il decreto 24 gennaio 1932 era dichiarata l’estinzione della compagnia di Gesù e se ne confiscavano i beni; era introdotto, nel 1932, il divorzio e il matrimonio civile ed abolito il reato di bestemmia; circa seimila religiosi furono massacrati. Pio XI reagì duramente con l’enciclica “Dilectissima Nobis” del 3 giugno 1933.
Questi esempi dimostrano lo scontro plurisecolare, sin dalla fondazione del Cristianesimo, tra il Regno di Cristo e quello di Satana, e come, anche in epoca contemporanea, la regalità di Cristo sia contestata, preferendo ad essa degli “idoli” politici, economici, sociali e pseudo-religiosi.