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domenica 31 agosto 2014

MONSIGNOR DANIEL L. DOLAN: L’APOSTASIA DI GIOVANNI PAOLO II…

FONTE: CRISI NELLA CHIESA…

 http://www.ultramontes.pl/bp_dolan.jpg

di Mons. Daniel L. Dolan 1

giovanni paolo II parla all'onu

«Oggi, 450 anni dopo la morte di Martin Lutero, il tempo che è passato permette di comprendere meglio la persona e l'opera del riformatore tedesco e di essere più equi con lui [...]. La richiesta di riforma della Chiesa fatta da Lutero, nel suo intento originario, era un appello alla penitenza e al rinnovamento. Molti sono i motivi per i quali da quell'inizio si è poi arrivati a questa scissione. Tra questi vi sono la non corrispondenza della Chiesa cattolica» (22 giugno 1996). «Bisogna riconoscere che anch'essa (Santa Caterina da Siena) era figlia del suo tempo allorchè, nel pur giusto zelo per la difesa dei luoghi santi, faceva sua la mentalità allora dominante, secondo cui tale compito poteva esigere persino il ricorso alle armi» (12 dicembre 1995). Questi e tanti altri pronunciamenti di Giovanni Paolo II (1920-2005) denotano un cambiamento di mentalità e di rotta nel governo della Chiesa che pone seri dubbi circa la sua legittimità. Giovanni Paolo II è realmente il Pontefice, il dolce Cristo in Terra?

l La crisi nella Chiesa 2

abbé philippe guépinÈ per me un'immensa gioia essere qui in Francia su invito di don Philippe Guépin (vedi foto a lato), per la festa dell'Assunzione della Madonna. L'Assunzione è la maggiore delle feste della Beata Vergine Maria, ed è in Francia che questo splendido trionfo della Madonna viene celebrato con grande solennità. Come sapete, il vostro re, Luigi XIII (1601-1643), fece di questo giorno una festa nazionale, e comandò di procedere ad una consacrazione annuale della Francia alla Madonna. La pietà e la devozione dei francesi per la Beata Vergine Maria sono assai conosciute nel mondo intero. Ma la nostra gioia è diminuita dalla tristezza che proviamo ogni giorno a causa della crisi che attanaglia la Chiesa cattolica. Portiamo nel nostro cuore questa tristezza da trentacinque anni, e spesso ci chiediamo: «Domino usquequo»? Signore, fino a quando? La nostra tristezza è ancora più profonda a causa dell'incapacità dei fedeli cattolici di formare un fronte unito e consistente contro il nemico. Quando osserviamo il campo della resistenza cattolica, siamo addolorati a causa della sua mancanza di unità e - fatto ancora più inquietante - constatiamo che la maggior parte di coloro che resistono non riconoscono il nemico come tale, ma piuttosto come se fosse dotato dell'autorità stessa di Cristo. Così, considerando i modernisti come la vera autorità di Cristo e della Sua Chiesa, essi si sono posti sotto l'obbedienza dei modernisti, come nel caso della Fraternità San Pietro, o desiderano di essere in comunione con i modernisti, di essere assoggettati e operare con loro, come nel caso della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Come Vescovo, sono convinto che la mia missione consista nel fare conoscere ai fedeli la vera risposta cattolica alla crisi attuale della Chiesa. Inoltre, spero di poter ordinare al sacerdozio dei giovani che siano stati formati solidamente nei principî cattolici, e che non rispondano all'apostasia di Giovanni Paolo II con uno spirito scismatico. Oggi, affronterò con voi due argomenti: primariamente l'apostasia di Giovanni Paolo II e le sue conseguenze teologiche; secondariamente, la vera risposta cattolica che bisogna dare a tale apostasia.

l L'apostasia di Giovanni Paolo II

Bisogna innanzi tutto notare che non ho scelto la parola «eresia», ma bensì la parola «apostasia». Gli errori di Giovanni Paolo II costituiscono veramente un'apostasia e non semplicemente un'eresia. Quest'ultima consiste nel dubitare o negare una o più verità di fede, come ad esempio la divinità di Gesù Cristo, la Presenza Reale di Cristo nel Santissimo Sacramento, l'Immacolata Concezione, ecc... Sicuramente conoscete gli eretici più famosi della Storia: Ario (280-336), Martin Lutero (1483-1546), Giovanni Calvino (1509-1564), ecc... L'apostasia è il rifiuto completo della fede cristiana. Ad esempio, nel IV secolo, l'imperatore romano Giuliano (331-363) abiurò completamente la fede, divenne un apostata e ristabilì il culto degli dèi pagani. Egli è infatti più conosciuto con il nome di Giuliano l'Apostata.

martin lutero giovanni calvino giuliano l'apostata
Martin Lutero Giovanni Calvino Giuliano l'Apostata

Perché utilizzare una parola così forte per Giovanni Paolo II, che asserisce di essere cattolico, e che, di tanto in tanto, dice parole edificanti e devote? Perché, in realtà, egli non aderisce a nessuno dei dogmi ai quali pretende di credere. Non aderisce ai dogmi perché per lui queste sacre verità non escludono ciò che gli è contrario. Per Giovanni Paolo II, ciò che contraddice queste verità non è falso. Perché non pensa che ciò che contraddice la verità sia falso? Innanzi tutto, e soprattutto, perché Giovanni Paolo II è un ecumenista, e non un cattolico. L'ecumenista è una persona convinta che tutte le religioni contengano una giovanni paolo II vestito da capo-tribùparte di verità - talune di più, altre di meno - e che, di conseguenza, tutte possiedano un certo valore. Per l'ecumenista, tutte le religioni sono delle vere religioni, alcune delle quali sono migliori di altre. Il pizzico in più che egli concede alla Chiesa cattolica è che essa possiede la pienezza della verità, mentre le altre possiedono solamente una verità parziale. Ma quando parla della Chiesa cattolica, parla della Chiesa cattolica che io e voi conosciamo? No, egli si riferisce a questo cattolicesimo riformato, a questa nuova religione scaturita dal Concilio Vaticano II (1962-1965), a questa copia infame della vera fede. Inoltre, egli pensa che ci sia una differenza tra la Chiesa e la Chiesa cattolica. Per lui, la Chiesa è tutta l'umanità, come dice il Vaticano II nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes, poiché Cristo è in un certo modo unito ad ogni uomo a causa dell'Incarnazione: «Poiché in lui (in Cristo) la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata ad una dignità sublime. Con l'incarnazione, il Figlio di Dio si è unito in certo modo con ogni uomo» 3. Giovanni Paolo II lo ha ripetuto anche nella sua prima Enciclica 4, e ne ha fatto il tema centrale della sua dottrina. Ascoltiamo altri testi di Giovanni Paolo II. Parlando a proposito della giornata ecumenica pancristiana di Assisi, tenutasi il 27 ottobre 1986, egli ha dichiarato: «Un giorno come questo sembra esprimere, in modo visibile, l'unità nascosta ma radicale stabilita dal Verbo tra gli uomini e le donne di questo mondo [...]. Il fatto di essere venuti insieme qui ad Assisi è come un segno dell'unità profonda tra coloro chegiovanni paolo II col dalai lama cercano dei valori spirituali nella religione. Il Concilio ha creato un legame tra l'identità e l'unità del genere umano» 5. Perciò, ogni uomo, essendo unito a Cristo per la sola virtù della Sua Incarnazione, è un membro della Chiesa di Cristo. Quest'ultima non è nient'altro che tutto il genere umano, senza eccezione. Nello stesso discorso, egli continua su questo tema spiegando che l'ordine divino delle cose è costituito dall'unità di tutti gli uomini che cercano i valori religiosi. Le diversità di fede e di morale che esistono tra le varie religioni sono frutto degli uomini che hanno corrotto l'ordine divino. Così, secondo Giovanni Paolo II, occorre far sparire le differenze tra le religioni e di far prevalere l'ordine divino, ovvero l'ordine panteistico. Citiamo un altro brano del suo discorso: «Le differenze religiose dipendono da un altro ordine. Se l'ordine dell'unità è divino, le diversità religiose sono un fatto umano e devono essere cancellate dalla realizzazione del grandioso disegno di unità che presiede alla creazione. È possibile che gli uomini non siano coscienti della loro unità d'origine e della loro partecipazione allo stesso piano divino. Ma a dispetto di tali divisioni, essi sono partecipi del grande ed unico disegno di Dio in Gesù Cristo, il quale si è unito in un certo modo ad ogni uomo, anche se non ne è cosciente». Da queste parole, percepiamo l'apostasia di Giovanni Paolo II: tutti gli uomini appartengono ad un Cristo panteistico che è unito ad ogni uomo - coscientemente o meno - in virtù dell'Incarnazione. Ascoltiamo ancora Giovanni Paolo II: «Tutti gli uomini sono chiamati a questa unità cattolica del popolo di Dio; a questa verità, e in forme diverse, appartengono i fedeli cattolici, le persone che guardano con fede verso Cristo, e finalmente tutti gli uomini senza eccezione».

sabato 30 agosto 2014

LA LOTTA PERPETUA DEL VICARIO DI GESÙ CRISTO (III)…

Fonte: Progetto Barruel…

Monsignor Enrico Eduardo Manning

Protonotario apostolico e Proposto del Capitolo metropolitano di Westminster
Da: Il dominio temporale del Vicario di Gesù Cristo, Roma 1862 (coi tipi della S. Congreg. de Propaganda Fide) pag. 142-161.

LA LOTTA PERPETUA DEL VICARIO DI GESÙ CRISTO (III)

Discorso III

«Et nunc quid detineat scitis, ut reveletur in suo tempore. Nam mysterium iam operatur iniquitatis: tantum ut qui tenet nunc, teneat, donec de medio fiat» (II. Thess. II. 6. 7.)  [«E ora voi sapete, che sia quello, che lo rattiene, affinchè sia manifestato a suo tempo. Imperocchè egli già lavora il mistero d'iniquità: solamente che chi ora lo rattiene, lo rattenga, fino che sia levato di mezzo.» N.d.R.]

Prima che io mi faccia a trattare del nostro terzo subbietto permettemi che vi richiami alla mente i due punti che spero di avere bastantemente addimostrati nei precedenti discorsi. Il primo punto si è ravvisarsi di già avverata e manifestata la profetizzata ribellione o secessione nella spirituale separazione dalla Chiesa e nell'opposizione alla sua divina autorità, alla sua divina voce, separazione ed opposizione di cui tracciammo le orme sin dal giorno, in cui l'Apostolo disse «già si lavora il mistero dell'iniquità,» [II Thess. II, 7. N.d.R.] in cui S. Giovanni dichiarò gli Anticristi essersi già sparsi pel mondo. L'altro punto sì è l'uomo del peccato, il figliuolo della perdizione, l'iniquo dover essere una persona e probabilmente di razza giudaica: dover egli essere l'usurpatore della dignità del vero Messia e però un Anticristo nel senso che vorrà al vero Messia sè medesimo sostituire, dover egli operare falsi miracoli e pretendere un culto divino.

Il terzo punto del quale io debbo ora parlare è intorno l'impedimento che ritarda la sua manifestazione. L'Apostolo dice: «Il mistero dell'iniquità già si lavora; solamente che colui che ora il rattiene [= trattiene, N.d.R.] (cioè colui che si frappone alla manifestazione dell'uomo del peccato) il rattenga sino (a quel tempo in cui) sarà egli tolto di mezzo.» Ciò vuol dire, che come questo mistero d'iniquità continuamente lavorasi, così pure la sua piena manifestazione viene continuamente impedita da un ostacolo, da un argine che starà sempre sino a che non sia rimosso, e che vi è un tempo stabilito nel quale dovrà questo esser tolto di mezzo. S. Paolo in questo passo fa uso di due espressioni: egli dice prima «quello che rattiene» e poi «quegli che rattiene.» Egli parla di questo ostacolo ora come di una cosa, ora come di una persona: τὸ κατέχον e ὁ κατέχων. A prima giunta sembrerebbe esservi qui una grande difficoltà d'interpretazione, se, cioè, per questo ostacolo che impedisce la rivelazione dell'uomo del peccato debba intendersi una persona o un sistema: poichè in un luogo se ne parla in significato neutro quasi di un sistema: e in un altro in significato maschile, quasi di una persona. Credo in quello che ho sin qui detto di aver già dato la soluzione di questa apparente difficoltà. Io ho in brevi tratti, se vi ricorda, indicato le due linee parallele che sembran tracciare i due misteri di santità e d'iniquità coi rispettivi loro capi. Ho in ciò seguito S. Agostino il quale descrive lo svolgersi che fanno sin dal principio del mondo i due misteri di santità, e d'iniquità, rappresentandoli come due città, per le quali ha inteso lo spirito di Dio e lo spirito di Satana, che in diverse guise si rivelano negli eletti del Signore e nei nemici di lui e del suo regno. Ora a quel modo che il mistero di santità assommasi nella Persona e nella Incarnazione del Figliuolo di Dio, il mistero d'iniquità compendiasi nell'uomo del peccato il quale sarà rivelato a suo tempo. Per tal modo con quelle parole «quello che impedisce» e «quegli che impedisce» potrà benissimo intendersi e un sistema e una persona: poichè giusta gli esempî da me addotti questo sistema e questa persona non sono che una medesima cosa.

Ma facciamoci da prima a considerare più in particolare quale debba essere il carattere dell'«iniquo» ossia dell'Anticristo che dovrà venire. Le parole, di cui fa uso in questo luogo S. Paolo, significano l'«uomo senza legge» colui che non si assoggetta a veruna legge nè divina, nè umana, colui di cui sola legge è la sua propria volontà, colui che per sola sua norma non altro riconosce, non altro segue che il proprio suo libito [= piacere, N.d.R.]. Questo appunto significa il greco vocabolo «ὁ ἄνομος». Ora nel libro di Daniele avvi una profezia espressa quasi nei medesimi termini, nella quale predicesi che negli ultimi tempi del mondo sorgerà, un re «che farà ciò che vorrà»[1] che s'innalzerà su tutto ciò che dicesi Dio e che «bestemmierà contro l'Altissimo.»[2] Questa profezia è quasi alla parola la profezia di S. Paolo. Ciò che ci dimostra aver voluto S. Paolo citare alla lettera o al più parafrasare la profezia di Daniele. Ora, poichè questo iniquo dovrà essere un uomo senza legge che introdurrà il disordine, la sedizione, il tumulto, la rivolta tanto nel temporale quanto nello spirituale ordine del mondo, colui che dovrà impedire la sua manifestazione, e che sarà, questa avvenuta, il suo diretto avversario, dovrà necessariamente rappresentare il principio dell'ordine, la legge di suggezione, l'autorità del vero e del giusto. Abbiam noi dunque raggiunto, per così dire, un indizio il quale può metterci nella via di ritrovare questa persona o questo sistema che avversa, impedisce o rattiene la rivelazione dell'uomo del peccato sino al tempo in cui dovrà essa accadere.

Esaminiamo ora su questo punto le interpretazioni dei primi padri della Chiesa.

Tertulliano[3] credeva che questo ostacolo fosse il romano impero. L'immane potenza della Roma pagana che tutto il mondo abbracciava era il principio d'ordine che manteneva in quel tempo la tranquillità della terra.

Lattanzio[4], che scrisse più tardi, tenne del tutto la medesima opinione e credette che il romano impero che dava ordine e pace alle nazioni del mondo impedisse con ciò stesso la rivelazione dell'uomo senza legge, dell'uomo del peccato; e Tertulliano e Lattanzio ingiungevano ambedue ai cristiani del loro tempo che dovessero pregare per la conservazione del pagano impero di Roma, ravvisando in esso il materiale argine che opponevasi al traboccare della grande fiumana del male che, Roma distrutta, doveva il mondo inondare. Così pure insegnano S. Giovanni Crisostomo ed altri.[5]

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Un'altra interpretazione ci dà Teodoreto, greco scrittore, il quale dice che la grazia dello Spirito Santo, che la divina potenza si è quella che rattiene il manifestarsi o il rivelarsi dell'uomo del peccato.[6] Altri scrittori dicono da ultimo, questo argine essere il potere apostolico, ossia la presenza degli Apostoli. I cristiani, come da questa epistola a quei di Tessalonica ci è dato di dedurre, credevano vicina la rivelazione della venuta del supremo Giudice, e però credevan pure vicina la manifestazione dell'uomo del peccato. È adunque naturale che credessero che la presenza degli Apostoli sulla terra colla loro predicazione e coi loro miracoli impedisse la piena manifestazione del principio dell'incredulità e della spiritual ribellione.

mercoledì 20 agosto 2014

CENTENARIO DELLA MORTE DI SAN PIO X, COLUI CHE HA COLPITO I MODERNISTI CHE OGGI HANNO OCCUPATO ABUSIVAMENTE LA CHIESA…

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LETTERA ENCICLICA
PASCENDI
DOMINICI GREGIS
DEL SOMMO PONTEFICE

PIO X

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI
PRIMATI ARCIVESCOVI, VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI
AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE
PACE E COMUNIONE.

Sugli errori del Modernismo

VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

Introduzione

L'officio divinamente commessoCi di pascere il gregge del Signore ha, fra i primi doveri imposti da Cristo, quello di custodire con ogni vigilanza il deposito della fede trasmessa ai santi, ripudiando le profane novità di parole e le opposizioni di una scienza di falso nome. La quale provvidenza del Supremo Pastore non vi fu tempo che non fosse necessaria alla Chiesa cattolica: stanteché per opera del nemico dell'uman genere, mai non mancarono "uomini di perverso parlare (Act. XX, 30), cianciatori di vanità e seduttori (Tit. I, 10), erranti e consiglieri agli altri di errore (II Tim. III, 13)". Pur nondimeno gli è da confessare che in questi ultimi tempi, è cresciuto oltre misura il numero dei nemici della croce di Cristo; che, con arti affatto nuove e piene di astuzia, si affaticano di render vana la virtù avvivatrice della Chiesa e scrollare dai fondamenti, se venga lor fatto, lo stesso regno di Gesù Cristo. Per la qual cosa non Ci è oggimai più lecito di tacere, seppur non vogliamo aver vista di mancare al dovere Nostro gravissimo, e che Ci sia apposta a trascuratezza di esso la benignità finora usata nella speranza di più sani consigli.

Ed a rompere senza più gl'indugi Ci spinge anzitutto il fatto, che i fautori dell'errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma, ciò che dà somma pena e timore, si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista. Alludiamo, o Venerabili Fratelli, a molti del laicato cattolico e, ciò ch'è più deplorevole, a non pochi dello stesso ceto sacerdotale, i quali, sotto finta di amore per la Chiesa, scevri d'ogni solido presidio di filosofico e teologico sapere, tutti anzi penetrati delle velenose dottrine dei nemici della Chiesa, si dànno, senza ritegno di sorta, per riformatori della Chiesa medesima; e, fatta audacemente schiera, si gittano su quanto vi ha di più santo nell'opera di Cristo, non risparmiando la persona stessa del Redentore divino, che, con ardimento sacrilego, rimpiccioliscono fino alla condizione di un puro e semplice uomo.

Pericolo delle dottrine moderniste

Fanno le meraviglie costoro perché Noi li annoveriamo fra i nemici della Chiesa; ma non potrà stupirsene chiunque, poste da parte le intenzioni di cui Dio solo è giudice, si faccia ad esaminare le loro dottrine e la loro maniera di parlare e di operare. Per verità non si allontana dal vero chi li ritenga fra i nemici della Chiesa i più dannosi. Imperocché, come già abbiam detto, i lor consigli di distruzione non li agitano costoro al di fuori della Chiesa, ma dentro di essa; ond'è che il pericolo si appiatta quasi nelle vene stesse e nelle viscere di lei, con rovina tanto più certa, quanto essi la conoscono più addentro. Di più, non pongono già la scure ai rami od ai germogli; ma alla radice medesima, cioè alla fede ed alle fibre di lei più profonde. Intaccata poi questa radice della immortalità, continuano a far correre il veleno per tutto l'albero in guisa, che niuna parte risparmiano della cattolica verità, niuna che non cerchino di contaminare. Inoltre, nell'adoperare le loro mille arti per nuocere, niuno li supera di accortezza e di astuzia: giacché la fanno promiscuamente da razionalisti e da cattolici, e ciò con sì fina simulazione da trarre agevolmente in inganno ogni incauto; e poiché sono temerari quanto altri mai, non vi è conseguenza da cui rifuggano e che non ispaccino con animo franco ed imperterrito. Si aggiunga di più, e ciò è acconcissimo a confonderle menti, il menar che essi fanno una vita operosissima, un'assidua e forte applicazione ad ogni fatta di studi, e, il più sovente, la fama di una condotta austera. Finalmente, e questo spegne quasi ogni speranza di guarigione, dalle stesse loro dottrine sono formati al disprezzo di ogni autorità e di ogni freno; e, adagiatisi in una falsa coscienza, si persuadono che sia amore di verità ciò che è infatti superbia ed ostinazione. Sì, sperammo a dir vero di riuscire quando che fosse a richiamar costoro a più savi divisamenti; al qual fine li trattammo dapprima come figli con soavità, passammo poi ad un far severo, e finalmente, benché a malincuore, usammo pure i pubblici castighi. Ma voi sapete, o Venerabili Fratelli, come tutto riuscì indarno: sembrarono abbassai la fronte per un istante, mala rialzarono subito con maggiore alterigia. E potremmo forse tuttora dissimulare se non si trattasse che sol di loro: ma trattasi invece della sicurezza del nome cattolico. Fa dunque mestieri di uscir da un silenzio, che ormai sarebbe colpa, per far conoscere alla Chiesa tutta chi sieno infatti costoro che così mal si camuffano.

E poiché è artificio astutissimo dei modernisti (ché con siffatto nome son chiamati costoro a ragione comunemente) presentare le loro dottrine non già coordinate e raccolte quasi in un tutto, ma sparse invece e disgiunte l'una dall'altra, allo scopo di passare essi per dubbiosi e come incerti, mentre di fatto sono fermi e determinati; gioverà innanzi tutto raccogliere qui le dottrine stesse in un sol quadro, per passar poi a ricercar le fonti di tanto traviamento ed a prescrivere le misure per impedirne i danni.

I sette aspetti del modernista

E alfin di procedere con ordine in una materia di troppo astrusa, è da notare anzi tutto che ogni modernista sostiene e quasi compendia in sé molteplici personaggi: quelli cioè di filosofo, di credente, di teologo, di storico, di critico, di apologista, di riformatore: e queste parti sono tutte bene da distinguersi una ad una, da chi voglia conoscere a dovere il lor sistema e penetrare i principî e le conseguenze delle loro dottrine.

Prendendo adunque le mosse dal filosofo, tutto il fondamento della filosofia religiosa è riposto dai modernisti nella dottrina, che chiamano dell'agnosticismo. Secondo questa, la ragione umana è ristretta interamente entro il campo dei fenomeni, che è quanto dire di quel che apparisce e nel modo in che apparisce: non diritto, non facoltà naturale le concedono di passare più oltre. Per lo che non è dato a lei d'innalzarsi a Dio, né di conoscerne l'esistenza, sia pure per intromessa delle cose visibili. E da ciò si deduce che Dio, riguardo alla scienza, non può affatto esserne oggetto diretto; riguardo alla storia non deve mai riputarsi come soggetto istorico. Poste cotali premesse, ognuno scorge di leggieri quali sieno le sorti della teologia naturale, dei motivi di credibilità, dell'esterna rivelazione. Tutto questo i modernisti tolgon via di mezzo, e ne fanno assegno all'intellettualismo, ridicolo sistema, come essi affermano, e tramontato già da gran tempo. Né in ciò ispira loro alcun ritegno il sapere che si enormi errori furono già formalmente condannati dalla Chiesa. Giacché infatti il Concilio Vaticano così ebbe definito: "Se qualcuno dirà, che Dio uno e vero, Creatore e Signor nostro, per mezzo delle cose create, non possa conoscersi con certezza col lume naturale dell'umana ragione, sia anatema"(De Revel., can. I); e similmente: "Se alcuno dirà non essere possibile, o non convenire che, mediante divina rivelazione, sin l'uomo ammaestrato di Dio e del culto che Gli si deve, sia anatema" (Ibid., can. II); e finalmente: "Se alcuno dirà che la rivelazione divina non possa essere fatta credibile da esterni segni e che perciò gli uomini non debbano esser mossi alla fede se non da interna esperienza o privata ispirazione, sia anatema" (De Fide, can. III).Di qual guisa poi i modernisti dall'agnosticismo, che è puro stato d'ignoranza, passino all'ateismo scientifico e storico, che invece è stato di positiva negazione; e con qual diritto perciò di logica, dal non sapere se Iddio sia intervenuto o no nella storia dell'uman genere si trascorra a spiegar tutto nella storia medesima ponendo Dio interamente da parte come se in realtà non fosse intervenuto, lo assegni chi può. Ma tanto è; per costoro è fisso e determinato che la scienza e la storia debbano esser atee; entro l'àmbito di esse non vi è luogo se non per fenomeni, sbanditone in tutto Iddio e quanto sa di divino. Dalla quale dottrina assurdissima vedrem bentosto che cosa siasi costretti di ammettere intorno alla persona augusta di Gesù Cristo, intorno ai misteri della Sua vita e della Sua morte, intorno alla Sua risurrezione ed ascensione al Cielo.

Vero è che l'agnosticismo non costituisce nella dottrina dei modernisti se non la parte negativa; la positiva sta tutta nell'immanenza vitale. Dall'una all'altra ecco con qual discorso procedono. La Religione, sia essa naturale o sopra natura, alla guisa di ogni altro fatto qualsiasi, uopo è che ammetta una spiegazione. Or, tolta di mezzo la naturale teologia, chiuso il cammino alla rivelazione per il rifiuto dei motivi di credibilità, negata anzi qualsivoglia esterna rivelazione, chiaro è che siffatta spiegazione indarno si cerca fuori dell'uomo. Resta dunque che si cerchi nell'uomo stesso; e poiché la religione non è altro infatti che una forma della vita, la spiegazione di essa dovrà ritrovarsi appunto nella vita dell'uomo. Di qui il principio dell'immanenza religiosa. Di più, la prima mossa, per così dire, di ogni fenomeno vitale, quale si è detta essere altresì la religione, è sempre da ascrivere ad un qualche bisogno; i primordi poi, parlando più specialmente della vita, sono da assegnare ad un movimento del cuore, o vogliam dire ad un sentimento. Per queste ragioni, essendo Dio l'oggetto della religione, dobbiamo conchiudere che la fede, inizio e fondamento di ogni religione, deve riporsi in un sentimento che nasca dal bisogno della divinità. Il quale bisogno, non sentendosi dall'uomo se non indeterminate ed acconce circostanze, non può di per sé appartenere al campo della coscienza: ma giace da principio al di sotto della coscienza medesima o, come dicono con vocabolo tolto ad imprestito dalla moderna filosofia, nella subcoscienza, ove la sua radice rimane occulta ed incomprensibile. Che se si chieda in qual modo da questo bisogno della divinità, che l'uomo provi in se stesso, si faccia poi trapasso alla religione, i modernisti rispondono così. La scienza e la storia, essi dicono, sono chiuse come fra due termini: l'uno esterno, ed è il mondo visibile; l'altro interno, ed è la coscienza. Toccato che abbiano o l'uno o l'altro di questi termini, non hanno come passare più oltre; al di là si trovano essi a faccia dell'inconoscibile. Dinanzi a questo inconoscibile, o sia esso fuori dell'uomo oltre ogni cosa visibile, o si celi entro l'uomo nelle latebre della subcoscienza, il bisogno del divino, senza verun atto della mente, secondo che vuole il fideismo, fa scattare nell'animo già inclinato a religione un certo particolar sentimento; il quale, sia come oggetto sia come causa interna, ha implicata in sé la realtà del divino e congiunge in certa guisa l'uomo con Dio. A questo sentimento appunto si dà dai modernisti il nome di fede, e lo ritengono quale inizio di religione.

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Ma non è qui tutto il filosofare, o, a meglio dire, il delirare di costoro. Imperocché in siffatto sentimento essi non riscontrano solamente la fede: ma colla fede e nella fede stessa quale da loro è intesa, sostengono che vi si trovi altresì la Rivelazione. E che infatti può pretendersi di vantaggio per una rivelazione? O non è forse rivelazione, o almeno principio di rivelazione, quel sentimento religioso che si manifesta d'un tratto nella coscienza? Non è rivelazione l'apparire, benché in confuso, che Dio fa agli animi in quello stesso sentimento religioso? Aggiungono anzi di più che, essendo Iddio in pari tempo e l'oggetto e la causa della fede, la detta rivelazione è al tempo stesso di Dio e da Dio: ha cioè insieme Iddio e come rivelante e come rivelato. Di qui, Venerabili Fratelli, quell'assurdissimo effato dei modernisti che ogni religione, secondo il vario aspetto sotto cui si riguardi, debba dirsi egualmente naturale e soprannaturale. Di qui lo scambiar che fanno, come di pari significato, coscienza e rivelazione. Di qui la legge, per cui la coscienza religiosa si dà come regola universale, da porsi in tutto a pari della rivelazione, ed alla quale tutti hanno obbligo di sottostare, non esclusa la stessa autorità suprema della Chiesa, sia che ella insegni, sia che legiferi in materia di culto o di disciplina.

sabato 16 agosto 2014

“Oh lieta sorte dei vergini! oh ben verace! Voi infra tutti eleggeste la parte ottima!”…

Fonte: Progetto Barruel…
La Civiltà Cattolica anno III, serie I, vol. X, Roma 1852 pag. 510-528.

R.P. Matteo Liberatore d.C.d.G.

DEL CELIBATO SACRO E PROFANO

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I.

Singolare stranezza sarebbe quella di coloro che dalle lodi da noi tributate al matrimonio argomentassero scemar di pregio il celibato. Anzi, a mirar rettamente, gli encomi fatti del primo, crescono al secondo meraviglia ed eccellenza. Perocchè una cosa, che è migliore d'un'altra assai buona, convien che sia sovranamente eccellente; come appunto sapientissimo si dirà colui, il quale ecceda non gli stolti ma i sapienti. Onorando è il matrimonio; nè può vituperarsi senza cadere in eresia. Per questo appunto è così ammirevole il celibato, perchè avanza ciò che è degno di tanto onore.

A non togliere abbaglio in un subbietto sì rilevante, uopo è primieramente distinguere di qual celibato si parli. Conciossiachè ci ha di quelli che rifuggono dalle nozze, ma per ben altro motivo che di virtù. Ne rifuggono per orrore che hanno dei gravissimi obblighi che esse arrecano, e del tremendo indissolubile vincolo, onde annodano i contraenti; il quale agli occhi carnali di chi non sa raffigurarvi la grazia del sacramento, si trasmuta in una importabile schiavitudine. Del resto essi non amano la continenza, e con isfrenato libertinaggio nei diletti della carne involti, si tuffano peggio che porci nel brago d'ogni più vituperoso appetito. Costoro son vera maledizione ambulante nella società, nè la lingua umana ha esecrazioni bastevoli per sfolgorarli, nè il civile consorzio pene proporzionate a punirli. Essi sono le furie infernali delle famiglie, cui riempiono di discordie e d'odii inestinguibili; son le pietre di scandalo ai pubblici costumi, cui appuzzano ed insozzano coi loro abbominevoli esempii; sono i seduttori dell'innocenza troppo credula cui rendono infelice vittima della loro procace bestialità; sono i promotori dei delitti di sangue, a che sommuovono coll'incancellabile offesa altrui fatta gli animi vendicativi. Sgombrare onde che sia e per qual si voglia modo più sbrigativo ed acconcio la società da codesti suoi spietati nemici non sarebbe un abuso di potere, un atto arbitrario della civile autorità; se è vero essere peggiore il danno sociale che essi producono, che non quello arrecato dal ladro e dall'assassino. Chè questi alla fine non ti tolgono che la borsa o al più la vita; ma quelli tentano rapirti l'onore e l'onestà, della vita stessa più preziosi, e disastrano la morale di cui non ci ha bene più eccelso sulla terra.

Siffatti celibi sono a fuggire più della peste, e guai a quella famiglia, a quella città che se li alimenta nel seno. Men paventevoli sono le ceraste, le vipere, o qual altra generazione di micidiali serpenti.

Ma quanto abbominevole e detestando è il celibato vizioso che noi chiamammo profano, altrettanto lodevole e ammirando è il virtuoso che noi dicemmo celibato sacro. Fo, senza mezzo, trapasso a questo secondo, perchè a certa razza di celibi, che dicono non voler essere nè l'uno nè l'altro e serbar continenza per mera filosofia, io non porto veruna fede; ricordandomi che continente non si può essere senza uno speciale dono di Dio, e questo dono non largirsi se non a chi desideroso di rendersi a Dio più accettevole, da lui umilmente lo implora: Ut scivi quoniam aliter non possem esse continens nisi Deus det ... adii Dominum et deprecatus sum illum [1]. [Sap. VIII, 21: «Tosto ch'io seppi come io non poteva essere continente, se Dio non mel concedeva ... io mi presentai al Signore, e lo pregai.» N.d.R.] E questo stesso è parte di alta sapienza, saper da cui venga un tal dono: et hoc ipsum erat sapientiae, scire cuius esset hoc donum [2]. [Ivi: «ed era effetto di sapienza il sapere da chi venga tal dono.»N.d.R.]

In siffatta materia tra la virtù e il vizio non si dà stato mediano. Al che vorrei che sottilmente e attesamente badassero quanti amano la morale per sè o pei loro figliuoli; onde a lor gran danno non si lascino abbacinare da troppa presunzione e confidenza nella facoltà della semplice natura. Se essi non son tratti alla vita celibe da un principio soprannaturale, cioè dall'amore di uno stato più perfetto dinanzi a Dio; se non sono abbastanza determinati di voler adoperare per mantenersi in tale stato quel corredo di mezzi, che la Chiesa porge loro; faranno miglior senno, credano a me, di appigliarsi al più facile e trito cammino d'un onesto e cristiano maritaggio. Leggano le opere dei santi Padri e vedranno che questi non apprezzarono nè credettero giammai a quella continenza, la quale non fosse accompagnata e sostenuta dall'assidua preghiera, dal frequente uso de' sacramenti, dalla fuga delle pompe mondane, de' geniali convegni, de' lauti desinari, del vestir molle e d'ogni altro incentivo di lussuria. Onora la vedova, purchè viva veramente da vedova. La vera vedova speri nel Signore e instantemente si eserciti nell'orazione e negli atti di pietà notte e giorno. Imperocchè se essa invece nuota nelle delizie, essa è morta benchè in apparenza sembri viva. Viduas honora, quae vere viduae sunt.... Quae vere vidua est et desolata, speret in Deum et instet obsecrationibus et orationibus nocte ac die. Nam quae in deliciis est, vivens mortua est. Così l'Apostolo al Vescovo Timoteo [3]. E che direbbesi di quel nocchiero, il quale in piccioletta barca, con pochi remi, senza sarte nè vele, si mettesse per l'alto oceano a sfidar gli aquiloni e le tempeste? Se non vuol esser preda de' flutti, ei dovrà prudentemente adoperando navigar terra terra, lungo i golfi e le rive, pronto a ritirarsi nel vicino porto ad ogni infuriare di venti e minacciar di burrasche.

Chi non sentesi, come Pietro, invitato dalla voce di Cristo a camminare con franco piede sopra le mobili onde; chi non è illustrato da luce superna a seguire una straordinaria vocazione; chi non può venir confortato dai presidii d'ogni maniera, onde nella Chiesa di Dio suol communirsi la professione del celibato; è stolto se al celibato si affida. Ei dovrebbe raccogliersi, come in sicuro porto, nella condizione de' maritati; dove esposto a minori tentazioni e ad assalti meno crudi, con sempre presta una onorevole e facile ritirata, potrà con armi usuali e con forze comuni guerreggiare e vincere l'inimico. Altrimenti se egli alla sprovveduta, senza invito del cielo, senza promessa di aiuti superiori alle forze della natura, senza amminicoli di una vita straordinaria, si avvia per questo arduo sentiero; ei si troverà bentosto ravviluppato in tragetti non praticabili, e si accorgerà tardi di camminare sopra ingannevole cenere che nasconde di sotto ardenti brage. Melius est nubere quam uri, dice l'Apostolo [4]; [I ad Cor. VII, 9.: «Meglio contrar matrimonio, che ardere.» N.d.R.] e brugerà senza fallo quel prosuntuoso che crede di poter a volontà fra i rischi e le lusinghe del secolo, senza il sussidio dell'orazione, dell'astinenza, del ritiramento, de' continuati esercizi di pietà, praticar una virtù sì eccelsa e sì contraria alle naturali propensioni del senso.

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E questa è la prima cosa che io vorrei scolpita nell'animo de' miei lettori: il celibato non esser faccenda da tutti, ma sol di quei pochi, i quali mossi da celeste impulso per tempo drizzarono il collo al pan degli Angeli, cioè al gusto di quella arcana e soprannaturale sapienza, che tutta innamorando di sè l'anima quaggiù pellegrina, la fa quasi dimentica del corpo e l'invoglia e la pasce d'un cibo deliziosissimo ma sconosciuto agli occhi volgari, nè possibile a saporarsi dai sensi.

venerdì 15 agosto 2014

15 AGOSTO IN ASSUMPTIÓNE BEÁTÆ MARÍÆ VÍRGINIS…

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INTRÓITUS

Ap. 12, 1. Signum magnum appáruit in coelo: múlier amicta sole, et luna sub pédibus ejus, et in cápite ejus coróna stellárum duódecim. Ps. 97, 1. Cantáte Dómino cánticum novum: quóniam mirabília fecit. Glória Patri.Patri.

Ap. 12, 1. Un portento grande apparve nel cielo: una donna rivestita di sole, e la luna sotto i suoi piedi, e sul capo una corona di dodici stelle. Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha operato meraviglie.ORÁTIO

Omnípotens sempitérne Deus, qui ImmaculátamVírginem Maríam, Fílii tui genitrícem, córpore et ánima ad coeléstem glóriam assumpsísti: concéde, quǽsumus ; ut, ad superna semper inténti, ipsíus glóriæ mereámur esse consórtes. Per eúndem Dóminum.

Dio onnipotente ed eterno, che hai assunto in corpo ed anima alla gloria celeste l’Immacolata Vergine Maria, Madre del tuo Figliuolo, concedici, te ne preghiamo, che sempre intenti alle cose di lassù, meritiamo di essere partecipi della sua stessa gloria. Per lo stesso nostro Signore.

EPISTOLA

Léctio libri Judith. Judith 13, 22-25; 15, 10. Benedíxit te Dóminus in virtúte sua, quia per te ad níhilum redégit inimícos nostros. Benedícta es tu, fília, a Dómino Deo excelso, præ ómnibus muliéribus super terram. Benedíctus Dóminus, qui creávit coelum et terram, qui te direxit in vúlnera cápitis príncipis inimicórum nostrórum; quia hódie nomen tuum ita magnificávit, ut non recédat laus tua de ore hóminum, qui mémores fúerint virtútis Dómini in ætérnum, pro quibus non pepercísti ánimæ tuæ propter angústias et tribulatiónem géneris tui, sed subvenísti ruínæ ante conspéctum Dei nostri. Tu glória Jerúsalem, tu lætítia Israël, tu honorificéntia pópuli nostri. M. - Deo grátias.

Il Signore ti ha benedetta nella sua potenza, perché per mezzo tuo annientò i nostri nemici. Tu, o figlia, sei benedetta dall’Altissimo piú che tutte le donne della terra. Sia benedetto Iddio, creatore del cielo e della terra, che ha guidato la tua mano per troncare il capo al nostro maggior nemico. Oggi ha reso cosí glorioso il tuo nome, che la tua lode non si partirà mai dalla bocca degli uomini che in ogni tempo ricordino la potenza del Signore; a pro di loro, infatti, tu non ti sei risparmiata, vedendo le angustie e le tribolazioni del tuo popolo, che hai salvato dalla rovina procedendo rettamente alla presenza del nostro Dio. Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu la gloria di Israele, tu l’onore del nostro popolo! M. - Deo grátias.

 GRADUALE

Ps. 44, 11-12 et 14. Audi, fília, et vide, et inclína aurem tuam, et concupíscit rex decórem tuum. Omnis glória ejus fíliæ Regis ab intus, in fímbriis áureis circumamícta varietátibus.

Sal. 44, 11-12 e 14 - Ascolta, o figlia, guarda, e inclina il tuo orecchio, e s’appassionerà il Re della tua bellezza. Tutta bella entra la figlia del Re; tessute d’oro sono le sue vesti. ALLELÚIAAllelúia, allelúia. Assumpta est María in coelum: gaudet exércitus Angelórum.Allelúia.  Allelúia, allelúia. Maria è assunta in cielo: ne giúbila l’esercito degli Angeli. Allelúia.

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 EVANGÉLIUM

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam. P Luc. 1, 41-50. In illo témpore: Repléta est Spíritu Sancto Elisabeth et exclamávit voce magna, et dixit: Benedícta tu inter mulíeres, et benedíctus fructus ventris tui. Et unde hoc mihi ut véniat mater Dómini mei ad me? Ecce enim ut facta est vox salutatiónis tuæ in áuribus meis, exsultávit in gáudio infans in útero meo. Et beáta, quæ credidísti, quóniam perficiéntur ea, quæ dicta sunt tibi a Dómino. Et ait María: Magníficat ánima mea Dóminum; et exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo; quia respéxit humilitátem ancíllæ suæ, ecce enim ex hoc beátam me dicent omnes generatiónes. Quia fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus, et misericórdia ejus a progénie in progénies timéntibus eum. M. - Laus tibi Christe.

In quel tempo: Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo, e ad alta voce esclamò: Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno! Donde a me questo onore che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, infatti, che appena il tuo saluto è giunto alle mie orecchie, il bimbo ha trasalito nel mio seno. Beata te, che hai creduto che si compirebbero le cose che ti furono dette dal Signore! E Maria rispose: L’ànima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché ha guardato all’umiltà della sua serva; ed ecco che da ora tutte le generazioni mi diranno beata. Perché grandi cose mi ha fatto colui che è potente, e santo è il suo nome, e la sua misericordia si estende di generazione in generazione su chi lo teme. M. - Laus tibi Christe.

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Dalla Costituzione Apostolica »Munificentissimus Deus» di Pio XII, papa
(AAS 42 [1950], 760-762. 767-769)

Santità, splendore e gloria: il corpo della Vergine!

I santi padri e i grandi dottori nelle omelie e nei discorsi, rivolti al popolo in occasione della festa odierna, parlavano dell'Assunzione della Madre di Dio come di una dottrina già viva nella coscienza dei fedeli e da essi già professata; ne spiegavano ampiamente il significato, ne precisavano e ne apprendevano il contenuto, ne mostravano le grandi ragioni teologiche. Essi mettevano particolarmente in evidenza che oggetto della festa non era unicamente il fatto che le spoglie mortali della beata Vergine Maria fossero state preservate dalla corruzione, ma anche il suo trionfo sulla morte e la sua celeste glorificazione, perché la Madre ricopiasse il modello, imitasse cioè il suo Figlio unico, Cristo Gesù.

domenica 10 agosto 2014

LA LOTTA PERPETUA DEL VICARIO DI GESÙ CRISTO (II)…

Fonte: Progetto Barruel…

Monsignor Enrico Eduardo Manning

Protonotario apostolico e Proposto del Capitolo metropolitano di Westminster
Da: Il dominio temporale del Vicario di Gesù Cristo, Roma 1862 (coi tipi della S. Congreg. de Propaganda Fide) pag. 230-141.

LA LOTTA PERPETUA DEL VICARIO DI GESÙ CRISTO (II)

Discorso II

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«(Filius perditionis) qui adversatur et extollitur supra omne, quod dicitur Deus, aut quod colitur, ita ut in templo Dei sedeat ostendens se tamquam sit Deus.» (II. Thess. II. 4.)  [«Il quale (figliuolo di perdizione) si oppone, e si innalza sopra tutto quello, che dicesi Dio, o si adora, talmente che sederà egli nel tempio di Dio, spacciandosi per Dio.» N.d.R.]

Tale si è adunque la ribellione che sempre maggior forza è andata acquistando nei diciotto secoli della nostra era cristiana e che si va facendo matura pel tempo in cui dovrà essa avere il suo condottiero, il suo capo.

L'interpretazione universalmente ricevuta dai controversisti anticattolici, giusta la quale l'Anticristo ritienesi primamente essere non già una persona, ma un principio o un sistema, e in secondo luogo, o la Cattolica e Romana Chiesa, o il Vicario del Verbo Incarnato, è il colpo maestro della satanica frode. Questa interpretazione sminuisce ogni tema, ispira la presunzione e la confidenza, induce le menti degli uomini ad attendere i segni della venuta dell'Anticristo da tutt'altra parte che da quella donde s'hanno a vedere e gli occhi ne storna dal luogo ove già sono visibili.

Io per converso non dubito punto di affermare che in tutte le profezie della rivelazione niuna ve ne ha di quelle che alla venuta di Cristo riferisconsi la quale possa dirsi più chiara, più esplicita di ciascuna di quelle che la venuta dell'Anticristo ci annunziano.

1. Primamente egli ci vien descritto con tutti gli attributi di una persona. In questo solo passo S. Paolo lo chiama «quello scellerato, ὁ ἄνομος, ille iniquus» l'uomo del peccato ἄνθρωπος τῆς ἁμαρτίας, homo peccati» il figliuolo della perdizione «υἱὸς τῆς ἀπωλείας». E di costui, come dell'Anticristo, parla in quattro luoghi S. Giovanni. Negare adunque la personalità dell'anticristo è un negare la chiara testimonianza della Sagra Scrittura e lo applicare questi termini, questi titoli tutti personali ad un sistema o ad un principio è tanto razionalistico quanto l'empietà dello Strauss che nega il Cristo istorico ossia la persona di Cristo.

È una legge della S. Scrittura che quando le profezie annuncian persone, persone appariscono. Ne sian per esempio le profezie di S. Giovanni Battista, della B. Vergine e del nostro medesimo Signore.

I padri dell'Oriente e dell'Occidente, S. Ireneo, S. Cipriano, S. Girolamo, S. Ambrogio, S. Cirillo di Gerusalemme, S. Gregorio Nazianzeno, S. Giovanni Crisostomo, Teofilatto, Ecumenio nell'interpretar questi passi ammettono unanimente un vero e personale Anticristo [«I Padri tutti ... unanimi ammettono un vero e proprio Anticristo personale — All the Fathers ... all interpret these passages of a literal and personal Antichrist.» N.d.R.]. La contraria interpretazione di cui sopra ho fatto menzione è moderna, eretica, di sola controversia e irragionevole. Questo arbitrario e contradittorio sistema è stato già bastantemente confutato da scrittori eziandio protestanti: dal Todd nella sua opera sull'Anticristo, pregevole ed erudito libro benchè alquanto deturpato da qualche reliquia di protestantici pregiudizî, dal Greswell nella sua Exposition or the Parables e dal Maitland nelle sue disquisizioni su Daniele e S. Giovanni. In Germania fra gli stessi interpreti protestanti lo attenersi alla interpretazione anticattolica, si riguarda come un voler rinunciare al carattere di dottore biblico.

I protestanti d'Inghilterra sono ancora, come sempre furono, i meno colti, i meno ragionevoli. È ben vero che l'Anticristo al pari dello stesso Cristo ha avuto, come ne avrà tuttavia, molti precursori: come Isacco, Mosè, Giosuè, David e Geremia furon figure dell'uno, così Antioco, Giuliano, Ario, Maometto ed altri moltissimi furon figure del secondo: chè solo persone possono esser figura di persone. E come Cristo è il Capo, il Rappresentante in cui tutto il mistero della Santità (Τò τῆς εὐσεβίας μυστήριον)[1] si è compendiato e ricapitolato, così pure tutto il mistero dell'empietà (Τò μυστήριον τῆς ἀνομίας)[2] nella persona dell'Anticristo farà capo ed avrà in esso la sua piena espressione. Potrà egli animare del suo spirito un ceto di uomini, potrà rappresentare un sistema, ma non cesserà per questo di esser persona. In questa opinione concordano pure i teologi. Bellarmino dice: «Tutti i cattolici, ritengono che l'Anticristo sarà una persona individua [3].» Lessio dice: «Tutti convengono nell'insegnare che il vero Anticristo sarà una sola persona e non un aggregato di più uomini [4].» Suarez va tanto innanzi che dice la dottrina dell'Anticristo personale esser di fede «de fide» [5].

2. In secondo luogo i padri han creduto che l'Anticristo sarà di razza giudaica. Questa fu l'opinione di S. Ireneo, di S. Girolamo, dell'Autore dell'opera de consummatione mundi che si ascrive a S. Ippolito, dello scrittore di un comentario sull'Epistola a quei di Tessalonica che si ascrive a S. Ambrogio e di altri moltissimi i quali aggiungono che l'Anticristo verrà dalla tribù di Dan: come per esempio, S. Gregorio Magno, Teodoreto, Areta di Cesarea ed altri molti [6]. Tale è pure l'opinione del Bellarmino che la dice certa [7]. Lessio afferma che i padri insegnano unanimente [«in modo unanime, with unanimous consent» N.d.R.] come cosa che non soffre dubbio che l'Anticristo debba essere giudeo [8]. Ribera ripete la medesima opinione ed aggiugne che Areta, Beda, Aimone, S. Anselmo e Ruperto affermano che la tribù di Dan non sia stata per questa ragione noverata nell'Apocalisse fra le tribù segnate col sigillo di Dio vivo [9]. Viegas dice la stessa cosa citando altre autorità [10]. Nè ciò apparisce improbabile, chi consideri dover l'Anticristo venire ad ingannare i giudei giusta la profezia di nostro Signore: «Io son venuto nel nome di mio Padre e voi non mi ricevete: verrà altri da niuno mandato e voi lo riceverete;» le quali parole per comun consenso di tutti i padri debbonsi interpretare pel falso Messia che spaccerassi per vero a' giudei. [Ioann. V, 43: «Ego veni in nomine Patris mei, et non accipietis me: si alius venerit in nomine suo, illum accipietis.» Mons. Martini chiarisce il versetto con questa parafrasi: «Io son venuto con autorità veramente divina, e tutto quello, che fo, lo fo con autorità del Padre, che mi ha mandato; e l'autorità, e la potenza divina spiccano nelle opere mie: tutto questo però non basta, perchè mi riceviate. Verrà un altro, che di proprio capriccio si spaccerà per Messia; e benchè sprovveduto di prove della sua missione sarà da voi ricevuto, e acclamato per tale.» N.d.R.] Questa, il ripeto, è l'unanime interpretazione dei padri orientali e occidentali, di S. Cirillo di Gerusalemme, di S. Efrem Siro, di S. Gregorio Nazianzeno, di S. Gregorio Niceno, di S. Giovanni Damasceno, di S. Ireneo, di S. Cipriano, di S. Girolamo, di S. Ambrogio, di S. Agostino. E la probabilità di questa interpretazione apparirà ancora più evidente se consideriamo eziandio, che un falso Cristo mancherebbe della prima qualità necessaria al suo buon successo se non fosse della casa di David; che i giudei aspettano tuttavia la sua venuta; che colla Crocifissione del vero Messia han già preparato la via del loro inganno. Per questo appunto si è che [i Padri N.d.R.] interpretano del vero e del falso Messia anche quelle parole che S. Paolo rivolge a quei di Tessalonica: «Perchè non han dato ricetto all'amore della verità (τὴν ἀγάπην τῆς ἀληθείας) che sarebbe stato la loro salvezza, però Iddio manderà loro l'operazione dell'errore (ἐνέργειαν πλάνης) che darà loro a credere la menzogna [11] ». Ora niuno avvi io penso il quale consideri la dispersione dei giudei e la providenzial loro conservazione in mezzo alle nazioni del mondo e l'indestruttibile vitalità della loro razza, e non sentasi ad un tempo costretto a credere dover essi esser riservati per qualche futuro disegno del severo giudicio di Dio e della soave sua grazia. Così appunto più e più volte ci vien predetto nel nuovo testamento: come a mo' d'esempio, nelle epistole ai Romani e a quei di Corinto [12].

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3. Da tuttociò possiam noi rilevare un terzo carattere dell'Anticristo che cioè sarà egli non solo un semplice antagonista del vero Messia, ma il suo intruso sostituto, l'usurpatore della sua missione [13]. Questo carattere acquista anche maggior probabilità dal considerare come il Messia venisse sempre riguardato dagli ebrei come un temporal salvatore, come il restauratore della temporale loro potenza, o in altre parole come un politico e guerriero principe. È altresì ovvio che chiunque abbia poscia a deluderli nella pretesa qualità di loro Messia, dovrà per necessità negare la divina Incarnazione, qualunque vanto egli possa darsi di soprannaturale carattere. La sua stessa persona sarà una piena negazione di tutta la fede cristiana e della Chiesa: poichè dicendosi esso il vero Messia uopo è che il Cristo dei cristiani dica falso.

lunedì 4 agosto 2014

“Può essere considerato soltanto sconveniente o illecito favorire l’eresia protestante in un rito cattolico? P. Nitoglia lo afferma assumendo che l’intenzione «eretizzante» non capiti sostanzialmente, ma solo accidentalmente. Come ha fatto a dedurlo?”

ABBIAMO SMARRITO LA CAUSA DELLA MISERIA MORALE DEL MONDO PRESENTE?

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L’EDITORIALE DEL VENERDI

di Arai Daniele

Quando si osserva la crescente miseria morale del mondo presente, dove sembra sparire ovunque ogni barlume di prudenza, di rispetto, di amore per la verità e per il bene delle anime, allora si capisce trattarsi di un segno della «fine dei tempi delle nazioni» (Lc 21, 24).

Sì, perché alla evidente decadenza spirituale e morale, seguirà l’inesorabile e rovinoso collasso, sia economico che sociale; la fine dell’attuale «civiltà occidentale».

Di fronte a tanto sfacelo, la prudenza, ma anche il semplice buon senso, induce a indagare sulle cause di questa crisi autodistruttiva di dimensioni mondiali, che tocca il più profondo dell’anima umana, specialmente di quanti, venuti da quella Civiltà Cristiana che ha esteso le sue radici nel mondo, oggi si trovano orfani della Fede con cui nutrire la propria vita e sostenere un tessuto sociale capace di reggere qualche forma dignitosa di civiltà.

In un momento storico di tale gravità solo l’appello alla Divina Misericordia ha senso.

Eppure, ci sarebbe da chiedere se non è proprio un’immane smacco di queste generazioni nei confronti della Provvidenza divina la causa prima di tanta miseria morale.

Il cattolico ha un riferimento sicuro per giudicare il bene sociale nella Dottrina evangelica dell’amore a Dio e del prossimo. La chiave di quest’amore è nel Culto al Bene e al Vero alla cui espansione l’uomo è attratto; il culto alla Volontà del Padre nel Sacrificio di Amore del Figlio.

Il culto di questo Sacrificio è il riferimento universale di ogni tempo e luogo, che viene dagli albori della storia. Della sua decadenza e sospensione parlano i profeti e in speciale Daniele, ricordato da Gesù nel discorso escatologico, quando ci ha segnato il momento culminante della più perfida malvagità umana: “Quando vedrete l’abominio della desolazione, della quale ha parlato il profeta Daniele, introdotta nel Luogo santo …” (Mt 24,15).

Daniele parla del Tempio, dov’è cessato il Sacrificio e l’Offerta (9, 27), la Cittadella del santuario dove il Sacrificio quotidiano è stato interrotto (11, 31).

A questo punto ognuno si deve mettere di fronte alla propria coscienza. Non importa sentire le voci e opinioni di un clero allo sbando o le voci di balordi che non distinguono più la destra dalla sinistra. È alla Chiesa del Sacrificio che siamo chiamati a dirigere gli occhi. Questa è la Nuova Gerusalemme, il Luogo santo, il tempio e il Santuario, la Cittadella della Fede, oggi occupata da una deteriore mentalità mondana consacrata ad estinguere la sua vita spirituale.

Dall’anima della Chiesa provengono ancora afflitte chiamate per la vigilanza e il sacrificio nel presente abominio causato dalla desolazione sugli altari per opera dei pastori idoli, vicari dell’iniquo nel tempio di Dio, che si presentano come maestri di nuovi tempi” (II Ts. 2 4).

Ecco che oggi è inevitabile ripetere quanto è evidente agli occhi di chi ancora può capire: hanno toccato e inquinato a fondo il culto del Santo Sacrificio dell’Altare. E chi l’ha fatto, era stato elevato proprio alla Sede suprema per la difesa della Fede, ma invece di difenderla la rovina.

Alcuni dotti cattolici hanno da tempo denunciato lo scempio e invocato la resistenza. Ma di fronte all’inerzia e alle più oscure confusioni, sembra che nessuna evidenza possa bastare.

C’è sempre chi è pronto a tornarehttp://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/d4/COA_sede_vacante_San_Giovanni_in_Laterano_2006-09-07.jpg indietro, con le più diverse scuse, Per esempio ritenendo impossibile che tanto danno avvenga nelle cose di Dio per opera di pontefici. Quando, il danno – e sulla gravità di questo solo i sciocchi o gli apostati possono negarlo – potrebbe presentare la sua validità liturgica e canonica autenticato da vicari di Cristo; come se fosse benedetto da Dio stesso. E per dimostrarlo, e convincere le coscienze titubanti (e la propria), si lanciano in lunghe acrobazie di marchio clericale, contrapponendosi a quei cattolici che vedono i mali del mondo alla luce dell’offesa a Dio, tanto più sinistra quanto opposta alla sacralità della Sua Chiesa.