Fonte: Progetto Barruel…
La Civiltà Cattolica anno III, serie I, vol. X, Roma 1852 pag. 510-528.
R.P. Matteo Liberatore d.C.d.G.
DEL CELIBATO SACRO E PROFANO
I.
Singolare stranezza sarebbe quella di coloro che dalle lodi da noi tributate al matrimonio argomentassero scemar di pregio il celibato. Anzi, a mirar rettamente, gli encomi fatti del primo, crescono al secondo meraviglia ed eccellenza. Perocchè una cosa, che è migliore d'un'altra assai buona, convien che sia sovranamente eccellente; come appunto sapientissimo si dirà colui, il quale ecceda non gli stolti ma i sapienti. Onorando è il matrimonio; nè può vituperarsi senza cadere in eresia. Per questo appunto è così ammirevole il celibato, perchè avanza ciò che è degno di tanto onore.
A non togliere abbaglio in un subbietto sì rilevante, uopo è primieramente distinguere di qual celibato si parli. Conciossiachè ci ha di quelli che rifuggono dalle nozze, ma per ben altro motivo che di virtù. Ne rifuggono per orrore che hanno dei gravissimi obblighi che esse arrecano, e del tremendo indissolubile vincolo, onde annodano i contraenti; il quale agli occhi carnali di chi non sa raffigurarvi la grazia del sacramento, si trasmuta in una importabile schiavitudine. Del resto essi non amano la continenza, e con isfrenato libertinaggio nei diletti della carne involti, si tuffano peggio che porci nel brago d'ogni più vituperoso appetito. Costoro son vera maledizione ambulante nella società, nè la lingua umana ha esecrazioni bastevoli per sfolgorarli, nè il civile consorzio pene proporzionate a punirli. Essi sono le furie infernali delle famiglie, cui riempiono di discordie e d'odii inestinguibili; son le pietre di scandalo ai pubblici costumi, cui appuzzano ed insozzano coi loro abbominevoli esempii; sono i seduttori dell'innocenza troppo credula cui rendono infelice vittima della loro procace bestialità; sono i promotori dei delitti di sangue, a che sommuovono coll'incancellabile offesa altrui fatta gli animi vendicativi. Sgombrare onde che sia e per qual si voglia modo più sbrigativo ed acconcio la società da codesti suoi spietati nemici non sarebbe un abuso di potere, un atto arbitrario della civile autorità; se è vero essere peggiore il danno sociale che essi producono, che non quello arrecato dal ladro e dall'assassino. Chè questi alla fine non ti tolgono che la borsa o al più la vita; ma quelli tentano rapirti l'onore e l'onestà, della vita stessa più preziosi, e disastrano la morale di cui non ci ha bene più eccelso sulla terra.
Siffatti celibi sono a fuggire più della peste, e guai a quella famiglia, a quella città che se li alimenta nel seno. Men paventevoli sono le ceraste, le vipere, o qual altra generazione di micidiali serpenti.
Ma quanto abbominevole e detestando è il celibato vizioso che noi chiamammo profano, altrettanto lodevole e ammirando è il virtuoso che noi dicemmo celibato sacro. Fo, senza mezzo, trapasso a questo secondo, perchè a certa razza di celibi, che dicono non voler essere nè l'uno nè l'altro e serbar continenza per mera filosofia, io non porto veruna fede; ricordandomi che continente non si può essere senza uno speciale dono di Dio, e questo dono non largirsi se non a chi desideroso di rendersi a Dio più accettevole, da lui umilmente lo implora: Ut scivi quoniam aliter non possem esse continens nisi Deus det ... adii Dominum et deprecatus sum illum [1]. [Sap. VIII, 21: «Tosto ch'io seppi come io non poteva essere continente, se Dio non mel concedeva ... io mi presentai al Signore, e lo pregai.» N.d.R.] E questo stesso è parte di alta sapienza, saper da cui venga un tal dono: et hoc ipsum erat sapientiae, scire cuius esset hoc donum [2]. [Ivi: «ed era effetto di sapienza il sapere da chi venga tal dono.»N.d.R.]
In siffatta materia tra la virtù e il vizio non si dà stato mediano. Al che vorrei che sottilmente e attesamente badassero quanti amano la morale per sè o pei loro figliuoli; onde a lor gran danno non si lascino abbacinare da troppa presunzione e confidenza nella facoltà della semplice natura. Se essi non son tratti alla vita celibe da un principio soprannaturale, cioè dall'amore di uno stato più perfetto dinanzi a Dio; se non sono abbastanza determinati di voler adoperare per mantenersi in tale stato quel corredo di mezzi, che la Chiesa porge loro; faranno miglior senno, credano a me, di appigliarsi al più facile e trito cammino d'un onesto e cristiano maritaggio. Leggano le opere dei santi Padri e vedranno che questi non apprezzarono nè credettero giammai a quella continenza, la quale non fosse accompagnata e sostenuta dall'assidua preghiera, dal frequente uso de' sacramenti, dalla fuga delle pompe mondane, de' geniali convegni, de' lauti desinari, del vestir molle e d'ogni altro incentivo di lussuria. Onora la vedova, purchè viva veramente da vedova. La vera vedova speri nel Signore e instantemente si eserciti nell'orazione e negli atti di pietà notte e giorno. Imperocchè se essa invece nuota nelle delizie, essa è morta benchè in apparenza sembri viva. Viduas honora, quae vere viduae sunt.... Quae vere vidua est et desolata, speret in Deum et instet obsecrationibus et orationibus nocte ac die. Nam quae in deliciis est, vivens mortua est. Così l'Apostolo al Vescovo Timoteo [3]. E che direbbesi di quel nocchiero, il quale in piccioletta barca, con pochi remi, senza sarte nè vele, si mettesse per l'alto oceano a sfidar gli aquiloni e le tempeste? Se non vuol esser preda de' flutti, ei dovrà prudentemente adoperando navigar terra terra, lungo i golfi e le rive, pronto a ritirarsi nel vicino porto ad ogni infuriare di venti e minacciar di burrasche.
Chi non sentesi, come Pietro, invitato dalla voce di Cristo a camminare con franco piede sopra le mobili onde; chi non è illustrato da luce superna a seguire una straordinaria vocazione; chi non può venir confortato dai presidii d'ogni maniera, onde nella Chiesa di Dio suol communirsi la professione del celibato; è stolto se al celibato si affida. Ei dovrebbe raccogliersi, come in sicuro porto, nella condizione de' maritati; dove esposto a minori tentazioni e ad assalti meno crudi, con sempre presta una onorevole e facile ritirata, potrà con armi usuali e con forze comuni guerreggiare e vincere l'inimico. Altrimenti se egli alla sprovveduta, senza invito del cielo, senza promessa di aiuti superiori alle forze della natura, senza amminicoli di una vita straordinaria, si avvia per questo arduo sentiero; ei si troverà bentosto ravviluppato in tragetti non praticabili, e si accorgerà tardi di camminare sopra ingannevole cenere che nasconde di sotto ardenti brage. Melius est nubere quam uri, dice l'Apostolo [4]; [I ad Cor. VII, 9.: «Meglio contrar matrimonio, che ardere.» N.d.R.] e brugerà senza fallo quel prosuntuoso che crede di poter a volontà fra i rischi e le lusinghe del secolo, senza il sussidio dell'orazione, dell'astinenza, del ritiramento, de' continuati esercizi di pietà, praticar una virtù sì eccelsa e sì contraria alle naturali propensioni del senso.
E questa è la prima cosa che io vorrei scolpita nell'animo de' miei lettori: il celibato non esser faccenda da tutti, ma sol di quei pochi, i quali mossi da celeste impulso per tempo drizzarono il collo al pan degli Angeli, cioè al gusto di quella arcana e soprannaturale sapienza, che tutta innamorando di sè l'anima quaggiù pellegrina, la fa quasi dimentica del corpo e l'invoglia e la pasce d'un cibo deliziosissimo ma sconosciuto agli occhi volgari, nè possibile a saporarsi dai sensi.
Lo sponsalizio è un atto, a cui forza è che venga ogni persona umana sulla terra, quando l'età e le circostanze il consentono. Rivochi alla mente il lettore ciò che dicemmo fin dal primo articolo sul matrimonio intorno all'essere incompiuta ed imperfetta la personalità umana considerata isolatamente nell'individuo di ciascun sesso, e come essa si compia e si perfezioni per le nozze. Ma siffatte nozze possono essere o reali, cioè tra un uomo e una donna, che stabilmente congiungonsi secondo le norme della divina ordinazione; ovvero mistiche, cioè tra un'anima grandemente innamorata di Dio ed esso Dio, che per singolare degnazione solleva a tanto onore la sua creatura. Queste seconde in tanto s'innalzano sulle prime, di quanto Iddio vantaggia l'uomo e l'essere infinito travalica i termini del finito. In esse il tempo, l'età, le maniere son tutte misteriose ed arcane; è un affare che passa fra l'anima e Dio, non ci entrano consiglieri umani, o parenti, nè qualsiasi altra autorità terrena. Iddio padrone assoluto delle sue fatture invita chi vuole e quando vuole e come vuole. Mettervi mano a frastornarle o regolarle secondo viste umane, è empio ardimento, violatore de' diritti divini e profanatore dell'atto più sacrosanto per l'anima che si rilega e ricongiunge al suo Creatore. La sola autorità che può regolarne l'esterna esecuzione e accettarle in nome di Dio, è l'autorità che esso Dio ha stabilito sulla terra per rappresentarlo visibilmente, cioè la Chiesa. Ogni altro potere che volesse ingerirsene, sarebbe, abusivo e sacrilego. Il che converrebbe che bene intendessero quei genitori e quei Governi, che stoltamente credono potere intromettersi di tale faccenda.
È da osservare per altro che siffatte mistiche nozze tra l'anima e Dio, non sono sempre solennizzate esteriormente come nella professione religiosa o nei maggiori ordini del divin ministero; sovente si tengon chiuse nel solo recinto della coscienza; la persona continua a vivere in mezzo al secolo, comechè separata colla mente e col cuore dal secolo; e bene spesso neppure includono obbligazione di voto speciale. In tal caso esse han forma privata e sono dirette dalla Chiesa nel foro interno. Ma il certo è che sempre richiedono una particolare dedizione dell'anima a Dio, per cui essa si offerisce in olocausto a lui, obbligandosi di amarlo a fede ed onorarlo con più diligenza; e Dio da sua parte le dà sicurtà d'esserle cortese di carismi più eletti, perchè essa valga a superare i contrasti e le ripugnanze della frale nostra natura.
Questa specie di consecrazione almeno interna, per cui la persona che vuol vivere celibe si dedica al suo Creatore cogli affetti del cuore, e intende di esercitarsi più particolarmente, che non il comune degli uomini, in atti di religiosa pietà, sembra indispensabile affatto a chi sdegna la congiunzion delle nozze carnali. Laonde quegli esseri ibridi, direm così, che vogliono partecipare alla gloria del celibato, senza adoperarne le cautele, e vogliono medesimamente fruire di tutta la libertà del secolo e de' divertimenti mondani che possono esser leciti ad un maritato, finiscono col non essere nè l'uno nè l'altro, cioè nè maritati nè celibi; e se non cadranno in quella sozzissima condizione che esecrammo di sopra, diverranno almeno celibi viziosi, cioè concubinarii e fornicarii, i quali non possederanno il regno de' cieli, ma saranno dannati al fuoco eterno.
II.
Accennata così di volo l'indole del celibato virtuoso, passo ora a riprendere l'error di coloro, che osano riprovarlo o almen posporlo al matrimonio. Che ciò facciano i protestanti, non è meraviglia; dovendo essi in qualche modo sforzarsi di coprire la turpitudine del padre loro, che iniziò la sua bella riforma col rompere doppiamente la fede a Dio, gittando via la cocolla e sacrilegamente impalmandosi ad una suora fuggitiva da' sacri chiostri. Che tra' cattolici stessi il facciano quei, che vivendo in vituperoso concubinato fitti ed immersi in pensieri e desiderii animaleschi, non san concepire che altri possa appagarsi di beni soprassensibili, pur pure, potrà tollerarsi. Ma che il faccian cattolici non del tutto cattivi, e tal volta tali che li direste anche buoni, non dee patirsi in modo alcuno. Costoro talvolta son mossi da ignoranza, in quanto della religione conoscon solo la parte più grossa senza nulla intendere delle sue finezze più dilicate e squisite; e però bestemmiano ciò che non comprendono, simili a quei fisici che avvezzi nella natura a considerar i soli materiali fenomeni, senza sollevar mai lo spirito a contemplarne le ragioni intelligibili, mettono in deriso la metafisica, che poco studiarono e mai non capirono. Ma il più frequente, quei detrattori del celibato son mossi da leggerezza e vanità; in quanto non sentendo in sè tanto valore da poggiare all'altezza di quella vita perfetta, cercano di screditarla colle parole, per coprire così, se fia possibile, la loro pigrizia, e parere di rigettare per buona e vera deliberazione ciò da che in sostanza sono ritratti per fiacchezza e codardia. Quelle voci in che escono di sovente tra le festevoli brigate: la verginità essere cosa vana; lo stato religioso un inutile sacrifizio; Iddio aver approvate e benedette le nozze, e però queste essere la condizion propria dell'uomo da antiporsi certamente al celibato, il quale non si elegge che o per misantropia o per esagerata virtù; queste voci, dico, in bocca di tai persone vanerelle e leggiere non suonano un giudizio fermo della mente, ma uno sfogo di passionato dispetto, simile a quello della volpe che chiamava acerbi quei grappoli, a cui non giungeva a stender le zampe.
Di essi pertanto non occorrerebbe curarsi, se non fossero due considerazioni che ci vietano di tacere. L'una è l'avvertire questi cuori deboli e teste vuote che essi con quel falso parlare incorrono la scomunica fulminata dal Tridentino contro quelli che tengono il loro linguaggio. Se alcuno dirà che lo stato coniugale sia da antiporsi allo stato di verginità, o del celibato, e non esser meglio e più beato rimanersi vergine o celibe che congiungersi in matrimonio; sia anatematizzato. Si quis dixerit statum coniugalem anteponendum esse statui virginitatis vel caelibatus, et non esse melius ac beatius manere in virginitate aut caelibatu, quam iungi matrimonio; anathema sit [5]. Non è dunque da prendere a ciancia un modo di parlare, che comunque in alcuni proceda da inconsiderazione e pueril gelosia, è tuttavia per sè stesso punito dalla Chiesa cattolica con gastigo sì formidabile.
L'altra considerazione è il nocumento che simiglianti parole, comunque compatibili in chi le profferisce, possono non di rado produrre in quelli che le ascoltano, quando essi sforniti di scienza credono facilmente ciò che odono affermarsi con serietà, massime trattandosi di cosa alla cui credenza vengono aiutati dalle passioni. A schermo adunque di questi dirò che perfino i gentili, benchè condannassero il celibato meramente civile e si sforzassero con grandi ricompense di promuovere i matrimonii, nondimeno tennero sempre in grande ammirazione e venerazione il celibato che si professasse per motivo di religione. Ai tempi d'Augusto e di Tiberio, quando per lo sregolamento d'ogni costume non si trovava oggimai più in Roma chi volesse maritarsi, e rigorose leggi si compilavano contro gli scapoli; tuttavia le Vestali, perchè celibi sacre alla divinità, si onoravano e privilegiavano siffattamente, che i primi Senatori si disputavano la preminenza di farvi ascrivere le loro figliuole, e a grande onore dell'Imperadrice Livia si decretava la prerogativa di poter sedere tra esse nei pubblici spettacoli [6]. Taccio delle Sibille, delle vergini del Sole nella Persia, delle Sacerdotesse d'Iside in Egitto, dei gimnosofisti dell'India, persone tutte professanti il celibato in grazia del divin culto, come della vergine che per testimonianza d'Erodoto consecravasi a Belo in Babilonia. Osservo solo che la stessa dissolutissima Grecia dedicava vergini per servire agli altari di Minerva, di Diana e di altre divinità; vergin voleva la gran sacerdotessa di Apollo, e tra gli uomini ancora vantava i suoi gerofanti, che al culto sacro accoppiavano la professione del celibato.
Ma abbiam noi uopo di ricorrere alle tradizioni pagane? noi che siamo illuminati dalla luce evangelica e ammaestrati dall'esempio e dalla voce di Cristo? Ora Cristo, il quale al certo conoscea meglio di questi saputelli qual fosse l'ordinazione divina e il vivere più perfetto, fu vergine, volle nascer di vergine, e fra tutti i suoi discepoli predilesse quello, che da lui eletto vergine, vergine si mantenne. Nell'Evangelio poi Ei ci consiglia la vita celibe e continente con quelle parole: ci ha di quelli che si contengono pel regno de' cieli; chi ne può esser capace, ne sia [7].
Son lodevoli le nozze. Ma sapete che cosa ci dice il Dottor S. Girolamo? Ci dice che intanto il sono, in quanto esse colla loro fecondità ci producono dei vergini. «Non biasimo, ma lodo il matrimonio, ma perchè mi genera delle vergini. Colgo e prendo dalle spine la rosa, dalla terra l'oro, e dalla conca la margarita. Or dee l'uomo tuttodì arare e del frutto non godere? No certo. Frutto del laborioso matrimonio è la santa verginità; e però più s'onora il matrimonio, perchè quello che ne nasce è più amato. Ma, o tu madre, perchè hai tu invidia e sei dolente della tua figliuola, che ha tanto bene? Del tuo latte non è nutricata, delle tue viscere nata, e nel tuo grembo allevata, e da te con molta diligenza guardata vergine? Or indegniti tu perchè non volle esser moglie del cavaliere, ma sì di un grande Re? Grande beneficio t'ha essa fatto, ed in grande dignità t'ha ella posto, se tu lo conosci. Suocera sei diventata di Dio, poichè ella è fatta sua sposa [8].»
Ben può addivenire che una persona maritata acquisti più merito presso Dio, perchè quantunque viva in uno stato meno perfetto, pure vi esercita più eccellente virtù. Massime se da una parte si ponga uno smogliato che per bontà di complessione poco o nulla senta gli stimoli delle passioni, e contento di vivere a sè solo meni una vita agiata e pacifica, senza molto curarsi di crescere di dì in dì in perfezione agli occhi di Dio; e dall'altra si consideri un padre e una madre cristiana, il quale o la quale circondata da numerosa figliuolanza, con tenui mezzi di sussistenza, tiri innanzi la vita tra mille stenti e sollecitudini angosciose, sempre conformandosi ai divini voleri, sempre benedicendo il Signore, nè allungandosi mai dall'osservanze delle sante sue leggi. Intorno a ciò non può cader dubbio; e così noi veggiamo nella Chiesa innumerevoli persone menare nel matrimonio una vita santissima, e parecchi essere giunti perfino a meritare l'onor degli altari; il che certamente non accade di tutti i celibi. Ma qui ora non si tratta di questo. Non si cerca di ciò che possa essere più meritorio per circostanze avventizie, e per maggior diligenza e virtù degl'individui. Bensì trattasi di ciò che sia più meritorio e lodevole per sè stesso, in quanto Stato, astrazion fatta dagli aggiunti accidentali, che per valore o dappocaggine propria possono crescergli o scemargli pregio. Or considerando così la cosa nella sua sostanza e qualità intrinseca, bisognerebbe esser privo affatto di mente, non dico per antiporre il matrimonio al celibato (il che sarebbe eresia), ma per non riconoscere la sovraccellenza stragrande di questo a fronte di quello. A convincersene basterebbe che gl'inetti detrattori della vita continente interrogassero sè medesimi. Perocchè l'interna risposta di non sentire in sè forze bastevoli per abbracciare siffatto stato li ammaestrerebbe esser esso cosa del tutto sovrumana e divina, per cui amare e servare si convengon conforti di un ordine superiore, che non è dato a tutti impromettersi. [= ... cosa del tutto sovrumana e divina, per amare e conservare la quale sono necessari aiuti soprannaturali che non tutti possono promettersi. N.d.R.]
Quanto il cielo avanza la terra e agli uomini gli angeli sovrastanno, di tanto la vita celibe sulla coniugale s'innalza. Per essa l'individuo esce fuori della schiera comune; si trasmuta in un essere sovrumano; doma ed infrena colla forza del suo spirito le inferiori tendenze del corpo; le assorbe in certa guisa nell'unica tendenza dell'animo verso il sommo ed incorruttibile bene; di lui solo vive quaggiu; e sebben plasmato di carne, in niente cede agli angeli del paradiso; ma nobilmente li emula, facendo per sola efficacia di virtù quel che essi per necessità di natura. Non sono io che affermo siffatte cose; è il Dottore S. Gian Crisostomo che le bandisce. «Imperocchè (così quell'inclito Padre di S. Chiesa) se gli angeli non si maritano, non sono essi composti di carne e di sangue, ed oltre a ciò non dimorano quaggiù sulla terra, non vanno soggetti alle perturbazioni degli appetiti sensibili, non han bisogno di cibo nè di bevanda, non sono capaci d'esser mossi dalla mollezza de' suoni e de' canti, o solleticati dalla leggiadria di un viso, ed insomma non possono esser presi da niuna specie di cotali lusinghe.... Ma la generazione umana, benchè sia tanto inferior di natura a quelle menti beate, pure con ogni ingegno e studio si sforza, per quanto può, d'agguagliarle. In che modo? Non si maritano gli Angeli? Così pure un uomo od una donna vergine. Assistono sempre quelli al cospetto di Dio, e lo servono ad ogni ora? Il medesimo fa chi si è dedicato alla professione di vergine. Onde S. Paolo comanda loro che si sequestrino da ogni pensiero e cura terrena, acciocchè possano continuamente e con ogni attenzione servire a Dio, senza esserne da alcuna cosa distratti. Che se i vergini mentre sono oppressi dal peso del corpo non possono, siccome gli Angeli, salire al cielo; compensano essi quel danno con questo grandissimo sollazzo, che rendendosi santi di spirito e di corpo ricevono in loro stessi il Re del cielo. Vedi tu dunque la grande eccellenza della virginità? in che modo nobiliti gli abitatori della terra, sicchè quantunque vestiti di corpo li adequi alle incorporee intelligenze? [9]»
Ondechè questo stato, giova ripeterlo, non è concesso a ciascuno di temerariamente usurpare; ma solo quelli possono trasceglierlo, i quali per soprannaturale vocazione ci sono invitati dallo Sposo celeste. Avendo Cristo parlato della indissolubilità del vincolo maritale, i suoi discepoli gli dissero: se tali cose, o Maestro, occorrono tra l'uomo e la donna, non torna utile il maritarsi. Sì, è vero, rispose Cristo; ma non tutti sono capaci di questa parola; bensì quelli soltanto a cui è straordinariamente concesso [10]. Altrimenti pentendosi essi dipoi della lor temeraria elezione, e cercando sottrarsi ai fatti giuri, [= ai giuramenti fatti N.d.R.] si rendono meritevoli di eterna dannazione: habentes damnationem, quia primam fidem irritam fecerunt [11].
Pertanto a conchiudere questo punto e sgombrare dalla mente dei semplici ogni nebbia d'errore che potrebbe addensarsi da discorsi di labbra invereconde, io non ho a far altro che ripetere brevemente la dottrina dell'Apostolo in questa materia. Interrogato l'Apostolo dai Corinti intorno al matrimonio e al celibato, si fa loro a rispondere in questa forma [12]. — Riguardo a quello di che mi avete scritto, vi dico esser bene per l'uomo il non toccar donna [13]. Imperocchè io vorrei che tutti voi foste come me; ma non tutti hanno lo stesso dono da Dio. Dico pertanto alle non maritate e alle vedove esser buono per esse se si conservino in tale stato, come appunto fo io. Che se non si sentono in podere di servar continenza, si maritino pure; essendo meglio maritarsi che ardere [14]..... Veramente io non posso proporvi alcun comando del Signore intorno alla verginità; bensì ve ne porgo consiglio, non in qualità di superiore ma di semplice confratello. Io stimo esser essa un gran bene [15]. Il tempo della vita è breve; l'apparenza di questo mondo svanisce [16]... Io vorrei che voi foste sciolti da terrene sollecitudini. Colui che è senza moglie, è sollecito soltanto delle cose del Signore, cioè come possa piacere a Dio. Ma chi ha moglie, è sollecito delle cose del mondo, in che modo possa piacere alla consorte, ed è diviso in più cose. Del pari la donna non maritata e la vergine pensa le cose di Dio, studiandosi di farsi santa di corpo e di mente. Ma la donna maritata pensa alle cose del mondo, come possa piacere al marito. Io dico questo per utile vostro, non per costringervi all'una parte nè all'altra.... Chi si marita fa bene; ma chi non si marita, fa meglio: sarà certamente più beato, chi si rimane così, secondo il consiglio mio [17].
Non so se potea dirsi nulla di più semplice, di più preciso, e insieme di più sublime, di più commovente, di più persuasivo.
A queste parole del Dottor delle genti consuonano quelle del prediletto Apostolo, il quale ci assicura che i vergini oltre il premio commisurato ai loro meriti personali per le altre virtù, sortiranno un'aureola particolare di gloria in forza unicamente della integrità verginale che conservarono. Essi saranno regalmente accolti in quell'eletto coro, che da vicino assiste all'Agnello immacolato di Dio e lo segue per ogni dove. Essi scioglieranno la lingua a quel cantico nuovo, che si canterà dinanzi al trono dell'Altissimo, e che a niun altro de' beati è concesso di ripetere. Essi formeranno quella ghirlanda di fulgidi fiori ed odorati, che tra tutte le aiuole della cattolica Chiesa si sceglieranno quali primizie a Dio ed all'Agnello: hi empti sunt ex hominibus primitiae Deo et Agno [18]. Oh lieta sorte dei vergini! oh ben verace! Voi infra tutti eleggeste la parte ottima! Dove gli altri dopo il breve gusto d'un po' di mele, [= miele N.d.R.] che tosto si converte in assenzio, son costretti a tollerare tutti i travagli del secolo, che l'Apostolo chiama tribolazioni della carne, voi vi sedete tranquilli all'ombra di quell'alloro, che con più faticoso combattimento, ma unico, vi guadagnaste. In voi non pur lo spirito, ma il corpo altresì è sacro; è un vasello a Dio dedicato, che ispira riverenza; e voi stessi siete indotti a guardarlo con religioso rispetto e venerazione. Deh uscite in canti di giubilo e in amoroso rendimento di grazie al sommo Largitore di sì gran dono! Ma sia lungi da voi la presunzione o vanagloria! Voi potreste in un attimo precipitare, e quanto più alta macchina siete, con tanto maggior danno rovinereste.
III.
Queste cose abbiam leggermente discorse del celibato in ordine agl'individui; ma che dovrà dirsene per rispetto al civile consorzio? Fu già tempo, che uomini al mal più che al ben usi ingegnaronsi di persuadere essere esso non pur disutile ma pernicioso alla società, come quello che si oppone al suo incremento; e però dovere i Governi, se non abolirlo, almen limitarlo. Proposta quanto tirannica, altrettanto ridicola. E a senno di costoro sarebbe nocivo al pubblico ciò che confessarono sì giovevole ai privati? inutile alla comunanza ciò che è gloriosissimo agl'individui? Quasi che la società sia come cosa distinta e diversa dalla collezione dei singoli che la compongono, o la perfezione dell'individuo non ridondi in abbellimento e decoro di tutto il corpo sociale di cui esso è parte! Secondo la costoro animalesca e gregale [= attinente l'aggregazione, aggregativa, N.d.R.] sapienza, la società non si differenzierebbe da una mandra di pecore, di cui il pregio si misurasse dalla moltitudine; quando anche in una mandra oltre al numero vi cercherebbero altre qualità che la rendano più pregiata? Solo nell'umana comunanza sarebbon contenti di tanto meno, senza niun riguardo ad altre doti più elevate, che bisogna rinunziare ad esser uomini per obliarle? E neppure hanno costoro intelligenza da comprendere che la pluralità stessa de' figliuoli non tanto dipende dalla copia de' maritaggi, quanto dalla onestà de' coniugati, a cui conferisce mirabilmente il celibato cattolico sia coll'esempio, sia colla cura spirituale del sacro ministero? A norma della sociale giustizia di questi stolti il Governo, che non ha altro debito più stringente che di tutelare i diritti degl'individui e promuoverli al loro perfezionamento, potrebbe opporsi all'uso del loro più essenziale diritto, che è l'elezione di quel genere di vita cui onestamente credono a sè più conforme, e più conducente al conseguimento del loro ultimo fine?
Per colmo d'assurdità, inculcavano la violazione di diritto sì sagrosanto dell'uomo quei medesimi che si spacciavano apostoli e propugnatori di libertà, e strepitavano contro il celibato volontario e virtuoso, moltiplicando e propagando il celibato forzato, esca di mille turpitudini, colla creazione di sterminati eserciti stanziali.
Ma ora sembra che il secolo muti vezzo, e cessate in gran parte le declamazioni contro la volontaria continenza, predica in quella vece e strombazza contro la troppa libertà dei maritaggi. S'incomincia a divolgare a voce e a stampa che oggimai le popolazioni crescon di troppo; che lo spaventevole pauperismo [= impoverimento N.d.R.], che più o meno ingrossa in ogni contrada e minaccia una nuova irruzione di barbari usciti non più dalle selve settentrionali ma dal grembo stesso delle società incivilite, procede da matrimonii fatti tra persone sfornite di mezzi per sostentar le nascenti famiglie; che la schiatta umana va notabilmente peggiorando per le nozze che liberamente contraggono individui mal sani, mogi, slombati, rachitici, vecchi e infermi d'ogni ragione; che la società non dee tollerare tal guasto; che essa dee venire a rigorosi provvedimenti; che ottimo sarebbe e sapiente consiglio vietare i coniugii, se prima gli sposi non abbiano dimostrato d'essere di valida sanità, d'avere i mezzi pel sostenimento della prole, e sieno giunti ad età ferma e matura.
Tra breve, io credo, si aggiungerà esser mestieri che il pubblico maestrato [= magistrato N.d.R.] visiti i neonati, e quei che troverà storpii, nani o infermicci, uccida in culla o comandi che si gettino in una fossa, come praticavasi in Grecia e in altre culte nazioni del paganesimo. A questo ancora verranno i nostri riformisti, acciocchè quegli esseri infelici non riescano d'ingombro o di cattivo seme alla patria. Così potremo sperare di veder rinvertire i nostri costumi verso quei tempi beati del gentilesimo, quando la personalità umana era annullata, e lo schiavo era cosa e proprietà del cittadino; il cittadino cosa e proprietà dello Stato; lo Stato Nume supremo, che con illimitato dominio disponesse di tutto.
È sempre la stessa corda che si tocca, la stessa idea che si vagheggia or da coppa or da ciglio: il patriottismo alla pagana, l'idolatria dello Stato, coll'annientamento non pur d'ogni virtú, ma d'ogni diritto individuale ed umano, cui vogliono assorbito in un essere astratto che denominano società. Pensatori insensati, e veri nemici dell'umano consorzio! La società, non qual voi la sognate, ma qual Dio la creò, non è un'astrazione, ma un essere collettivo. Gl'individui ne son le parti integranti che le dànno vita e sussistenza. Essa non è fine ma mezzo, ordinato alla felicità de' suoi componenti, che non posson cessare d'esser persone tendenti ad uno scopo oltramondiale ed eterno. I diritti di lei, considerandola nella sua totalità come corpo morale, nascono appunto dal dovere che essa ha di proteggere i diritti degl'individui ond'è formata e aiutarli co' suoi presidii al conseguimento di quel supremo bene a cui essi tendono in quanto uomini. Di qui adunque vuol prendersi la norma ultima, essenziale, immutabile di ciò che possa o non possa la Società e il Governo che ne esercita l'azione. Se pertanto è tirannico ed inumano il divieto che farebbemi la società di professare il celibato, cui io volessi abbracciare per meglio ordinarmi verso il mio ultimo fine della eterna beatitudine secondo le norme della Chiesa che a tale scopo ci guida; tirannica del pari ed inumana sarebbe qualunque ordinazione che da sua parte mi togliesse o restringesse la libertà d'accasarmi, quando senza offendere veruna legge morale io posso farlo, ed attese le mie private disposizioni io il credo più conducente ad assicurarmi la salute dell'anima. Oh vedete bel proteggitore de' tuoi interessi che hai tu rinvenuto! Vedete nuova foggia di tutela de' tuoi naturali diritti! Una mano di ferro che ti costringe a viver celibe, quando tu non ne hai nè volontà nè virtù bastevole, sotto lo specioso pretesto che tu sei povero, o troppo vecchio, o non ben disposto della persona! Ed acciocchè i godenti del secolo non abbiano a patir la noia di vedersi chiedere l'elemosina, e la pretesa patria abbia soldati alti e vigorosi da far trucidare sui campi in olocausto alla gloria, dovrai tu contentarti di serbar malamente una continenza, per la quale non ti si porgono mezzi, e correre a certo rischio di eternalmente dannarti! E questa patria così spietata, questi godenti così fieramente egoistici son poi quei dessi che condannano e svillaneggiano íl celibato volontario e virtuoso sotto i conforti della grazia; e l'indirizzo della Chiesa!
Consento io volentieri che certe nozze se non assolutamente vietate, perchè ripugnanti a qualche diritto irrepugnabile e certo, sono almeno poco conformi alla morale, sia per l'età, sia per la condizione de' contraenti. Consento ancora che certe altre son poco utili al prosperoso andamento sociale. Ma opporre a queste una diga non può farsi dalla società senza manifesta oppressione degl'individui nè senza offesa di quella libertà naturale, a cui niun uomo può rinunziare giammai. Unico mezzo non violento nè ingiusto sarebbe quello d'indurre bellamente le persone a voler esse stesse per propria elezione astenersi in tal caso dal coniugio, somministrando loro dall'altro lato opportuni amminicoli ed efficaci per mantenersi casti. Ma un tal mezzo è al di sopra delle forze della società civile, ed essa anzi il distrugge quante volte avversa e vitupera il celibato virtuoso.
La sola Chiesa è da ciò; perchè essa sola presiede all'ordine morale; essa sola l'infonde e lo promuove negl'individui; essa sola ha in mano i canali della divina grazia nei sacramenti da Cristo instituiti; e a quello scopo si vale del mezzo più acconcio che è l'esempio e la pratica della vita celibe per motivo religioso, da lei onorata e impreziosita di soprannaturali promesse.
Sì, a svegliare negli animi di quelli, che per altre ragioni il dovrebbero, il desiderio d'un casto celibato e fornirli d'aiuti efficaci a serbarlo, non ci ha mezzo più acconcio che l'esempio di coloro, i quali per sola virtù l'abbracciarono. Perocchè quanta forza non dee avere sul cuore d'un vecchio, d'un malsano, d'un povero, ricalcitranti alla continenza, la vista d'un giovinetto leggiadro e vigoroso che, abbandonati per Dio i pingui suoi patrimonii, si appigliò, sulla speranza d'una mercede celeste, alla volontaria professione del celibato? Quel lieto sembiante, quell'angelico sguardo, quel modesto portamento, non è a dir quanta breccia fa nel petto dei riguardanti, di quai santi pensieri diventa cagione! Grande è l'efficacia dell'altrui esempio; e noi sappiamo esser esso bastato a tramutare Agostino da impudico in un angelo di purità, e persuadergli la pratica nel grado più eccelso di quella virtù, che egli prima teneva per impossibile all'uomo. Se quegli e questi poterono, perchè non io? Ecco il discorso che Agostino faceva seco stesso, nel considerare l'altrui castità. Ed ecco il discorso che nasce spontaneamente in cuore a chiunque s'imbatte a guardare una persona che viva celibe. Tanto più che siffatto esempio, nell'atto che da una parte t'infiamma a desiderio d'imitarlo, t'insegna dall'altra i mezzi per pervenirvi. I quali se da te non potranno adoperarsi nella stessa misura, il potranno almeno in misura più scarsa, ma pur tale che basti all'uopo. E così ancora la vita di chi si è fatto povero per Dio, serve ad impreziosire agli occhi del mendico la povertà, cui vede cerca ed amata qual prezioso tesoro; e l'aspetto di chi si obbligò con voto alla volontaria ubbidienza vale mirabilmente per persuadere ai popoli e render cara la soggezione ai loro legittimi governanti. Ciò è sì vero, che i demagoghi nulla tanto abborriscono quanto l'abito e la profession religiosa, e i nemici del celibato si sforzano a più potere di calunniare i sacri ministri, mettendo, in dubbio l'osservanza del voto in tutto il ceto, per la sacrilega infrazione che se ne avvera talvolta in alcun degenere.
Vedi adunque efficacia e ordinamento affatto divino delle leggi della Chiesa cattolica! La pubblica professione di celibato che essa richiede nei suoi ministri e nelle persone a Dio sacre per la santità del loro ufficio e per privato loro perfezionamento, si converte in valido e potente strumento di edificazione pei costumi pubblici.
Altra volta si disse e dimostrò quanto sia non pur convenevole ma necessario che chi assiste quotidianamente al sacro altare e offre a Dio il sacrifizio incruento, abbia mondo il cuore ed il corpo, e come i doveri d'un ecclesiastico nell'amministrazione de' sacramenti, massime della penitenza, richiedono una vita intemerata e continente. È troppo chiaro che chi dev'essere il confidente delle coscienze, il maestro de' popoli, l'esortatore a ogni più sublime virtù, il padre de' poveri, l'amministratore dei tesori della carità, il visitator degl'infermi, quegli la cui famiglia dee esser composta dal popolo, di cui è pastore, e massimamente dagli orfani e dalle vedove, non dee esso stesso aver famiglia, nè figliuoli, nè donna. Rendesi più evidente un tal discorso dal vedere la disistima ed il disprezzo in che stanno presso il popolo i Popi maritati della Chiesa scismatica greco-russa. Ma io ora lascio stare tutti questi argomenti, e mi soffermo nel solo che ho di sopra proposto, cioè che il celibato sacro della Chiesa colla sola vista delle persone è un vivente e perenne insegnamento, è una valida e persuadente esortazione alla castità e purità de' costumi. Da esso apprendono i maritati a serbar la fede coniugale, non parendo lor duro contentarsi d'una sola donna, quando veggono altri volontariamente astenersi da ogni corporeo diletto. Da esso apprendono gli smogliati, aspiranti alle nozze, di serbare a tempo quella castità, che rimirano in altri serbata perpetuamente. Da esso apprendono gl'impediti a contrar maritaggio di fare della necessità virtù, dove altri che avrebbon potuto conseguire sceltissime e lietissime nozze, per desiderio del cielo e amor di Dio se ne privarono. Tutti in somma veggono in siffatto esempio, che eloquentemente da sè stesso parla ad ognuno, di che correggere, migliorare, appurare i proprii atti, e confortarsi nell'amore della castità secondo lo stato e le condizioni, nelle quali per avventura trovansi collocati. Laonde come non ci ha cosa più proficua ai costumi sociali che tenere in onore e promuovere il celibato virtuoso, così niente ci ha di più pregiudizievole ed esiziale che l'astiarlo e vilipenderlo.
NOTE:
[1] Sap. VIII, 21.
[2] Ivi.
[3] I. ad Tim. V, 3-6.
[4] I, ad Cor. VII, 9.
[5] Conc. Trid. Sess. XXIV, Can. X. [DB 981 N.d.R.]
[6] Tacito Annali.
[7] Sunt eunuchi qui seipsos castraverunt propter regnum caelorum; qui potest capere capiat. Matth. XIX, 12.
[8] Epist. ad Eustoch. Traduzione del Cavalca. VI.
[9] Lib. de Virginit. c. XI, XII.
[10] Dicunt ei discipuli eius: si ita est causa homini cum uxore, non expedit nubere Qui dixit illis: non omnes capiunt verbum istud, sed quibus datum est. Matth. XIX, 10, 11.
[11] I. ad Timoth. V, 12.
[12] Vedi il capo VII della I epistola ad essi indirizzata.
[13] De quibus autem scripsistis mihi, bonum est homini mulierem non tangere. Ivi 1.
[14] Volo enim omnes vos esse sicut meipsum; sed unusquisque proprium donum habet ex Deo, alius quidem sic, alius vero sic. Dico autem non nuptis et viduis, bonum est illis si sic permaneant sicut et ego. Quod si non se continent, nubant; melius est enim nubere quam uri. Ivi 7, 8, 9.
[15] De virginibus praeceptum Domini non habeo, consilium autem do, tanquam misericordiam consequutus a Deo ut sim fidelis. Existimo ergo hoc bonum esse. Ivi 25.
[16] Tempus breve est... Praeterit enim figura huius mundi. Ivi 31.
[17] Volo autem vos sine sollicitudine esse. Qui sine uxore est, sollicitus est quae Domini sunt; quomodo placeat Deo. Qui autem cum uxore est, sollicitus est quae sunt mundi, quomodo placeat uxori, et divisus esi. Et mulier innupta et virgo, cogitat quae Domini sunt, ut sit sancta corpore et spiritu. Quae autem nupta est, cogitat quae sunt mundi, quomodo placeat viro. Porro hoc ad utilitatem vestram dico, non ut laqueum vobis iniiciam.... Qui matrimonio iungit virginem suam bene facit; qui non iungit melius facit... Beatior autem erit si sic permaneat, secunndum meum consilium. Ivi 32-46.
[18] Et cantabant quasi canticum novum ante sedem et ante quatuor animalia et seniores; et nemo poterant dicere canticum nisi illa centum guadraginta quatuor millia, qui empti sunt de terra. Hi sunt qui cum mulieribus non sunt coinquinati, virgines enim sunt. Hi sequuntur Agnum quocumque ierit. Hi empti sunt ex hominibus primitiae Deo et Agno. Apocal. XIV, 3, 4.
E' proprio così....
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