Le troppe “vedove ratzingeriane” leggano e traggano profitto…
L’EDITORIALE DEL VENERDI
di Arai Daniele
Questo 2016 si chiude ancora all’ombra sinistra di due guerre senza
fine. Le abbiamo descritte nell’articolo precedente, ma per i cattolici è
sempre bene approfondire le sue radici religiose, da dove spunta ogni
male nella società umana. Se non lo fa direttamente, lo fa minando le
difese della Verità, come sia la fortezza del Sacrificio perpetuo
menzionato dal profeta Daniele e ricordato da Gesù stesso come segno
della fine.
Qui un breve approfondimento sarà fatto con riferimento alla «lezione
di Ratzinger», allineato in pieno alla giustificazione di Lutero, tesi
con cui Bergoglio imperversa sempre più.
Lo faremmo seguendo quanto pubblicato dal vaticanista Sandro
Magister: « Joseph Ratzinger torna in cattedra; Non la cattedra di
vescovo di Roma, ma quella di professore di teologia. Una inattesa
lezione del papa emerito sulle questioni capitali del pensiero cristiano
d’oggi. Sì, ma a controsenso del pensiero cristiano di sempre.
- «ROMA, 18 marzo 2016 – Il testo di Joseph Ratzinger di cui sotto
sono riprodotti i brani salienti non è inedito. Era già stato letto dal
suo segretario Georg Gänswein durante un convegno organizzato a Roma dai
gesuiti della Rettoria del Gesù, tra l’8 e il 10 ottobre 2015, mentre
in Vaticano era in corso il sinodo sulla famiglia. Ma fino a due giorni
fa questo testo, che ha la forma dell’intervista, era noto soltanto a
pochissimi. Mentre ora sta per uscire in un libro che raccoglie gli atti
di quel convegno. Mercoledì 16 marzo il quotidiano “Avvenire” ne ha
anticipato ampi stralci, rivelando anche il nome dell’intervistatore. E
poche ore dopo “L’Osservatore Romano” l’ha pubblicato integralmente: «La
fede non è un’idea ma la vita. Intervista al papa emerito Benedetto XVI
Il tema del convegno era tipico della Compagnia di Gesù: “Per mezzo
della fede. Dottrina della giustificazione ed esperienza di Dio nella
predicazione della Chiesa e negli Esercizi Spirituali”. E gesuita era
anche l’intervistatore, Jacques Servais, belga, discepolo del grande
teologo Hans Urs von Balthasar. Ma da questo Ratzinger ha preso spunto
per mettere a fuoco le questioni capitali del pensiero cristiano d’oggi,
a partire da ciò che egli definisce “drastici capovolgimenti della
nostra fede” e “profonde evoluzioni del dogma”, con le drammatiche
“crisi” che ne conseguono. Senza
esitare a liquidare come “del tutto errata” alla luce della teologia
trinitaria una tesi che ha modellato per secoli la predicazione della
Chiesa, quella secondo cui “il Cristo doveva morire in croce per
riparare l’offesa infinita che era stata fatta a Dio e così restaurare
l’ordine infranto”.
- «Anche sul binomio giustizia / misericordia Ratzinger ha parole
illuminanti (!), con un brevissimo rimando a papa Francesco sul quale
hanno fatto leva gli adulatori dell’attuale pontefice, prontamente
zittiti da “L’Osservatore Romano”… Se è Dio a doversi giustificare –
Ecco dunque tre brani salienti di questo testo, che è il più ampio fin
qui scritto da Ratzinger dopo la sua rinuncia al papato. Il testo era
originariamente in lingua tedesca, ma è stato reso pubblico in italiano,
tradotto dall’intervistatore con la revisione ultima dello stesso papa
emerito.
«Bastano dieci giusti a salvare l’intera città, di Joseph Ratzinger
- «IL MISTERO DEL MALE E LA MEDICINA DELLA MISERICORDIA – Per l’uomo
di oggi, rispetto al tempo di Lutero e alla prospettiva classica della
fede cristiana, le cose si sono in un certo senso capovolte, ovvero non è
più l’uomo che crede di aver bisogno della giustificazione al cospetto
di Dio, bensì egli è del parere che sia Dio che debba giustificarsi a
motivo di tutte le cose orrende presenti nel mondo e di fronte alla
miseria dell’essere umano, tutte cose che in ultima analisi
dipenderebbero da lui.
Da notare che da qui in poi si tratta di una «teologia» che fa
riferimento a come crede, e male perché in modo capovolto, l’uomo
moderno di fronte al male da lui stesso prodotto. Allora, si passa a
giustificare tale «tendenza – segno dei tempi! – alla luce di una
responsabilità di Dio! Lui, Ratzinger, ha dimostrato che questo è pure
il suo modo di vedere le cose a Auschwitzs: dov’era Dio che ha permesso
questi orrori?»
- «A questo proposito trovo indicativo il fatto che un teologo
cattolico assuma in modo addirittura diretto e formale tale
capovolgimento: Cristo non avrebbe patito per i peccati degli uomini, ma anzi avrebbe per così dire cancellato le colpe di Dio.
Anche se ora la maggior parte dei cristiani non condivide un così
drastico capovolgimento della nostra fede, si può dire che tutto ciò fa
emergere una tendenza di fondo del nostro tempo. […] Tuttavia, a mio
parere, continua ad esistere, in altro modo, la percezione che noi
abbiamo bisogno della grazia e del perdono. Per me è un “segno dei
tempi” il fatto che l’idea della misericordia di Dio diventi sempre più
centrale e dominante. […] Papa Giovanni Paolo II era profondamente
impregnato da tale impulso, anche se ciò non sempre emergeva in modo
esplicito. […] Solo là dove c’è misericordia finisce la crudeltà,
finiscono il male e la violenza. Papa Francesco si trova del tutto in
accordo con questa linea. La sua pratica pastorale si esprime proprio
nel fatto che egli ci parla continuamente della misericordia di Dio.
Si tratta, come spiegato da alcuni pensatori cattolici, della «nuova
misericordia», che evita parlare di giustizia, poiché l’amore
precederebbe il pensare. Eccone la conferma, in una frase che racchiude
tutto un nuovo programma, poiché sarebbe un «amore» da definire in
proprio, e cioè con la propria volontà = volontarismo. Da tale
soggettivismo deriverà la «praxis» e tutto il resto che raggira l’essere
oggettivo di ogni realtà.
- «È la misericordia quello che ci muove verso Dio, mentre la
giustizia ci spaventa al suo cospetto. A mio parere ciò mette in risalto
che sotto la patina della sicurezza di sé e della propria giustizia
l’uomo di oggi nasconde una profonda conoscenza delle sue ferite e della
sua indegnità di fronte a Dio. Egli è in attesa della misericordia. Non
è di certo un caso che la parabola del buon samaritano sia
particolarmente attraente per i
- «ANCHE DIO PADRE SOFFRE, PER AMORE – La contrapposizione tra il Padre, che insiste in modo assoluto sulla giustizia, e il
Figlio che ubbidisce al Padre e ubbidendo accetta la crudele esigenza
della giustizia, non è solo incomprensibile oggi, ma, a partire dalla
teologia trinitaria, è in sé del tutto errata.
Si noti il passaggio spoglio da ogni logica: quello che è
incomprensibile e male spiegato oggi, passa a essere del tutto errato,
ma per chi, oltre che per il confuso uomo moderno? Per Ratzinger
teologo, poiché si ritiene forte della sua interpretazione della
teologia trinitaria, quella di una sola volontà del Padre e del Figlio,
spiegata a controsenso nei passi evangelici. Cioè, sarebbe una sola
volontà per attirare l’uomo a seguire il Padre: sia fatta la Vostra
volontà! Sì, ma nel dubbio che Dio permetta o induca al male!
- «Il Padre e il Figlio sono una cosa sola e quindi la loro volontà è
“ab intrinseco” una sola. Quando il Figlio nel giardino degli ulivi
lotta con la volontà del Padre non si tratta del fatto che egli debba
accettare per sé una crudele disposizione di Dio, bensì del fatto di
attirare l’umanità al di dentro della volontà di Dio. […] Ma allora
perché mai la croce e l’espiazione? […] Mettiamoci di fronte
all’incredibile sporca quantità di male, di violenza, di menzogna, di
odio, di crudeltà e di superbia che infettano e rovinano il mondo
intero. Questa massa di male non può essere semplicemente dichiarata
inesistente, neanche da parte di Dio. Essa deve essere depurata,
rielaborata e superata. L’antico Israele era convinto che il quotidiano
sacrificio per i peccati e soprattutto la grande liturgia del giorno di
espiazione, lo yom kippur, fossero necessari come contrappeso alla massa
di male presente nel mondo e che solo mediante tale riequilibrio il
mondo poteva, per così dire, rimanere sopportabile. Una volta scomparsi i
sacrifici nel tempio, ci si dovette chiedere cosa potesse essere
contrapposto alle superiori potenze del male, come trovare in qualche
modo un contrappeso. I cristiani sapevano che il tempio distrutto era
stato sostituito dal corpo risuscitato del Signore crocifisso e che nel
suo amore radicale e incommensurabile era stato creato un contrappeso
all’incommensurabile presenza del male. Essi sapevano che il Cristo
crocifisso e risorto è un potere che può contrastare quello del male e
che salva il mondo. E su queste basi poterono anche capire il senso
delle proprie sofferenze come inserite nell’amore sofferente di Cristo e
come parte della potenza redentrice di tale amore.
Ratzinger riconoscendo la grande liturgia di espiazione, lo yom
kippur della tradizione ebraica, dovrebbe pure ricordare che il
sacrificio di riparazione alla divinità è un fatto universale, di tutti i
popoli in tutti i tempi, però non nei suoi studi. Ora lo vedono come
pensiero «arretrato», ma non possono cancellare la Storia dell’umanità,
né il pensiero cristiano perfezionato nello stesso senso dal Verbo di
Dio.
- «Sopra citavo quel teologo [intellettuale traviato come lui] per il quale Dio ha dovuto soffrire per le SUE
colpe nei confronti del mondo. Ora, dato questo capovolgimento della
prospettiva, emerge la seguente verità: Dio semplicemente non può
lasciare com’è la massa del male che deriva dalla libertà che Lui stesso
ha concesso. Solo lui, venendo a far parte della sofferenza del mondo,
può redimere il mondo. Su queste basi diventa più perspicuo il rapporto
tra il Padre e il Figlio. Riproduco sull’argomento un passo tratto dal
libro di Henri de Lubac su Origene che mi pare molto chiaro: “Il
Redentore è entrato nel mondo per compassione verso il genere umano. Ha
preso su di sé le nostre ‘passiones’ prima ancora di essere crocefisso…
Ma quale fu questa sofferenza che egli sopportò in anticipo per noi? Fu
la passione dell’amore. Ma il Padre stesso, il Dio dell’universo, lui
che è sovrabbondante di longanimità, pazienza, misericordia e
compassione, non soffre anch’egli in un certo senso?… Il Padre stesso
non è senza passioni! Se lo si invoca, allora Egli conosce misericordia e
compassione. Egli percepisce una sofferenza d’amore”.
Due osservazioni riguardo a questa citazione: i teologi sempre
citatati da Ratzinzer sono i suoi amici della «nuova teologia» accusata
dal Papa Pio XII. Prima Hans Urs Von Balthasar, ora De Lubac. Nella sua
inconsistente «spiegazione» del Terzo Segreto di Fatima, ha addirittura
citato quel Edouard Dannis, come grande studioso della questione, senza
rendersi conto che costui nega l’autenticità di quanto lui pensa di
poter spiegare: la «prova del proprio ridicolo»! Poi, che Dio sia
soggetto a passioni è la nuova idea sua che denota l’altra tendenza che è
la necessità di umanizzare Dio, più di quanto lo vuole rivelandosi
Padre! Il conciliare Giovanni Paolo 1º lo voleva pure «madre».
- «In alcune zone della Germania ci fu una devozione molto commovente
che contemplava “die Not Gottes”, l’indigenza di Dio. E anche l’immagine
del “trono di grazia” fa parte di questa devozione: il Padre sostiene
la croce e il crocifisso, si china amorevolmente su di lui e per così
dire è insieme sulla croce. Così in modo grandioso e puro si percepisce
lì cosa significano la misericordia di Dio e la partecipazione di Dio
alla sofferenza dell’uomo. Non si tratta di una giustizia crudele, non già del fanatismo del Padre,
bensì della verità e della realtà della creazione: del vero intimo
superamento del male che in ultima analisi può realizzarsi solo nella
sofferenza dell’amore.
Già voler costruire un ragionamento sopra quest’idea di giustificare
un «fanatismo» denota distorsione di tale sua «teologia trinitaria»; è
vero che Dio ha sofferto, ma nella persona umana del Figlio, incarnatoSi
per fare la volontà di espiazione dal Peccato originale voluta da
Padre; ciò è quanto il cristiano contempla nella Passione di Gesù
Cristo, per seguirLo nella espiazione nostra. Se in questa lezione c’è
da qualche parte il Peccato originale, la questione è di come va
riparato? Ma Dove sarà?
«FEDE CRISTIANA E SALVEZZA DEGLI INFEDELI
- «Non c’è dubbio che su questo punto siamo di fronte a una profonda evoluzione del dogma. […]
Se è vero che i grandi missionari del XVI secolo erano ancora convinti
che chi non è battezzato è per sempre perduto – e ciò spiega il loro
impegno missionario – nella Chiesa cattolica dopo il concilio Vaticano
II tale convinzione è stata definitivamente abbandonata. Da ciò derivò
una doppia profonda crisi. Per un verso ciò sembra togliere ogni
motivazione a un futuro impegno missionario. Perché mai si dovrebbe
cercare di convincere delle persone ad accettare la fede cristiana
quando possono salvarsi anche senza di essa? Ma pure per i cristiani
emerse una questione: diventò incerta e problematica l’obbligatorietà
della fede e della sua forma di vita. Se c’è chi si può salvare anche in
altre maniere non è più evidente, alla fin fine, perché il cristiano
stesso sia legato alle esigenze dalla fede cristiana e alla sua morale.
Se fede e salvezza non sono più interdipendenti, anche la fede diventa
immotivata. Negli ultimi tempi sono stati formulati diversi tentativi
allo scopo di conciliare la necessità universale della fede cristiana
con la possibilità di salvarsi senza di essa. Ne ricordo qui due:
innanzitutto la ben nota tesi dei cristiani anonimi di Karl Rahner. […] È
vero che questa teoria è affascinante, ma riduce il cristianesimo
stesso a una pura conscia presentazione di ciò che l’essere umano è in
sé, e quindi trascura il dramma del cambiamento e del rinnovamento che è
centrale nel cristianesimo. Ancor meno accettabile è la soluzione
proposta dalle teorie pluralistiche della religione, per le quali tutte
le religioni, ognuna a suo modo, sarebbero vie di salvezza e in questo
senso nei loro effetti devono essere considerate equivalenti. La critica
della religione del tipo di quella esercitata dall’Antico Testamento,
dal Nuovo Testamento e dalla Chiesa primitiva è essenzialmente più
realistica, più concreta e più vera nella sua disamina delle varie
religioni. Una ricezione così semplicistica non è proporzionata alla
grandezza della questione. Ricordiamo soprattutto Henri de Lubac e con
lui alcuni altri teologi che hanno fatto forza sul concetto di
sostituzione vicaria. […] Cristo, in quanto unico, era ed è per tutti; e
i cristiani, che nella grandiosa immagine di Paolo costituiscono il suo
corpo in questo mondo, partecipano di tale “essere per”. Cristiani, per
così dire, non si è per se stessi, bensì, con Cristo, per gli altri.
Ciò non significa una specie di biglietto speciale per entrare nella
beatitudine eterna, bensì la vocazione a costruire l’insieme, il tutto.
Quello di cui la persona umana ha bisogno in ordine alla salvezza è
l’intima apertura nei confronti di Dio, l’intima aspettativa e adesione a
Lui, e ciò viceversa significa che noi assieme al Signore che abbiamo
incontrato andiamo verso gli altri e cerchiamo di render loro visibile
l’avvento di Dio in Cristo. […]
Eccoci qui all’esempio con cui concludiamo, perché ci basta per
vedere come la realtà della salvezza nella sola Chiesa Cattolica è
sotterrata da un mare di parole conciliari, di una letteratura clericale
che niente spiega, ma confonde. Si ricorre solo a metà al «cristiano
anonimo» di Rahner; si pensa ma senza fare menzione alla «redenzione
universale» di Wojtyla, e chissà quale sia la sua, per spiegare
l’affossamento deliberato – che riconosce, della «Missione Cattolica» – .
Allora diciamo che questo deviato pensa che i bei discorsi possono
rimpiazzare la verità del SACRIFICIO ESPIATORIO DI RIPARAZIONE, del mea
culpa, mea massima culpa! Per loro il Figlio non lo volge verso il
Padre, ma verso il popolo. L’inversione liturgica segue la nuova fede,
ed eccoci ai nuovi preti che mettono la faccia e tutti i loro sentimenti
nel pronunciare fuori posto come un profondo enigma le Parole di Gesù:
Mistero della Fede!
Così come è vero che si crede come si prega, «lex orandi lex
credendi», così la nuova leva di consacrati e fedeli conciliari prega
con una fede tutta soggettiva. Tutto nell’onda della «nuova teologia» di
intellettuali togati, come Ratzinger, per cui i diritti umani sono
prioritari su quelli di Dio. Ecco un mondo che si è sentito giustificato
in ogni sua rivendicazione senza contropartita quanto a doveri. E ciò
lo applicano alla vita religiosa, come alla politica. E vanno entrambe a
catafascio, senza che dal mondo teologale venga alcun richiamo al fatto
che il grande «guaio» ha radice religiosa, nel senso della riparazione
ai mali scatenati. No, si chiede scusa dei freni messi a queste
scelleratezze!
Chiediamo che la dolce Madonna di Loreto intervenga per guarire
questa povera generazione, che si ritiene ricca nelle sue scienze,
invenzioni e adulteri, pure neoteologali!
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