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venerdì 9 dicembre 2016

Articolo per le “vedove ratzingeriane”...

Le troppe “vedove ratzingeriane” leggano e traggano profitto…
L’EDITORIALE DEL VENERDI
di Arai Daniele

Questo 2016 si chiude ancora all’ombra sinistra di due guerre senza fine. Le abbiamo descritte nell’articolo precedente, ma per i cattolici è sempre bene approfondire le sue radici religiose, da dove spunta ogni male nella società umana. Se non lo fa direttamente, lo fa minando le difese della Verità, come sia la fortezza del Sacrificio perpetuo menzionato dal profeta Daniele e ricordato da Gesù stesso come segno della fine.
Qui un breve approfondimento sarà fatto con riferimento alla «lezione di Ratzinger», allineato in pieno alla giustificazione di Lutero, tesi con cui Bergoglio imperversa sempre più.
Lo faremmo seguendo quanto pubblicato dal vaticanista Sandro Magister: « Joseph Ratzinger torna in cattedra; Non la cattedra di vescovo di Roma, ma quella di professore di teologia. Una inattesa lezione del papa emerito sulle questioni capitali del pensiero cristiano d’oggi. Sì, ma a controsenso del pensiero cristiano di sempre.
  • «ROMA, 18 marzo 2016 – Il testo di Joseph Ratzinger di cui sotto sono riprodotti i brani salienti non è inedito. Era già stato letto dal suo segretario Georg Gänswein durante un convegno organizzato a Roma dai gesuiti della Rettoria del Gesù, tra l’8 e il 10 ottobre 2015, mentre in Vaticano era in corso il sinodo sulla famiglia. Ma fino a due giorni fa questo testo, che ha la forma dell’intervista, era noto soltanto a pochissimi. Mentre ora sta per uscire in un libro che raccoglie gli atti di quel convegno. Mercoledì 16 marzo il quotidiano “Avvenire” ne ha anticipato ampi stralci, rivelando anche il nome dell’intervistatore. E poche ore dopo “L’Osservatore Romano” l’ha pubblicato integralmente: «La fede non è un’idea ma la vita. Intervista al papa emerito Benedetto XVI Il tema del convegno era tipico della Compagnia di Gesù: “Per mezzo della fede. Dottrina della giustificazione ed esperienza di Dio nella predicazione della Chiesa e negli Esercizi Spirituali”. E gesuita era anche l’intervistatore, Jacques Servais, belga, discepolo del grande teologo Hans Urs von Balthasar. Ma da questo Ratzinger ha preso spunto per mettere a fuoco le questioni capitali del pensiero cristiano d’oggi, a partire da ciò che egli definisce “drastici capovolgimenti della nostra fede” e “profonde evoluzioni del dogma”, con le drammatiche “crisi” che ne conseguono. Senza esitare a liquidare come “del tutto errata” alla luce della teologia trinitaria una tesi che ha modellato per secoli la predicazione della Chiesa, quella secondo cui “il Cristo doveva morire in croce per riparare l’offesa infinita che era stata fatta a Dio e così restaurare l’ordine infranto”.
  • «Anche sul binomio giustizia / misericordia Ratzinger ha parole illuminanti (!), con un brevissimo rimando a papa Francesco sul quale hanno fatto leva gli adulatori dell’attuale pontefice, prontamente zittiti da “L’Osservatore Romano”… Se è Dio a doversi giustificare – Ecco dunque tre brani salienti di questo testo, che è il più ampio fin qui scritto da Ratzinger dopo la sua rinuncia al papato. Il testo era originariamente in lingua tedesca, ma è stato reso pubblico in italiano, tradotto dall’intervistatore con la revisione ultima dello stesso papa emerito.
«Bastano dieci giusti a salvare l’intera città, di Joseph Ratzinger
  • «IL MISTERO DEL MALE E LA MEDICINA DELLA MISERICORDIA – Per l’uomo di oggi, rispetto al tempo di Lutero e alla prospettiva classica della fede cristiana, le cose si sono in un certo senso capovolte, ovvero non è più l’uomo che crede di aver bisogno della giustificazione al cospetto di Dio, bensì egli è del parere che sia Dio che debba giustificarsi a motivo di tutte le cose orrende presenti nel mondo e di fronte alla miseria dell’essere umano, tutte cose che in ultima analisi dipenderebbero da lui.

Da notare che da qui in poi si tratta di una «teologia» che fa riferimento a come crede, e male perché in modo capovolto, l’uomo moderno di fronte al male da lui stesso prodotto. Allora, si passa a giustificare tale «tendenza – segno dei tempi! – alla luce di una responsabilità di Dio! Lui, Ratzinger, ha dimostrato che questo è pure il suo modo di vedere le cose a Auschwitzs: dov’era Dio che ha permesso questi orrori?»
  • «A questo proposito trovo indicativo il fatto che un teologo cattolico assuma in modo addirittura diretto e formale tale capovolgimento: Cristo non avrebbe patito per i peccati degli uomini, ma anzi avrebbe per così dire cancellato le colpe di Dio. Anche se ora la maggior parte dei cristiani non condivide un così drastico capovolgimento della nostra fede, si può dire che tutto ciò fa emergere una tendenza di fondo del nostro tempo. […] Tuttavia, a mio parere, continua ad esistere, in altro modo, la percezione che noi abbiamo bisogno della grazia e del perdono. Per me è un “segno dei tempi” il fatto che l’idea della misericordia di Dio diventi sempre più centrale e dominante. […] Papa Giovanni Paolo II era profondamente impregnato da tale impulso, anche se ciò non sempre emergeva in modo esplicito. […] Solo là dove c’è misericordia finisce la crudeltà, finiscono il male e la violenza. Papa Francesco si trova del tutto in accordo con questa linea. La sua pratica pastorale si esprime proprio nel fatto che egli ci parla continuamente della misericordia di Dio.

Si tratta, come spiegato da alcuni pensatori cattolici, della «nuova misericordia», che evita parlare di giustizia, poiché l’amore precederebbe il pensare. Eccone la conferma, in una frase che racchiude tutto un nuovo programma, poiché sarebbe un «amore» da definire in proprio, e cioè con la propria volontà = volontarismo. Da tale soggettivismo deriverà la «praxis» e tutto il resto che raggira l’essere oggettivo di ogni realtà.
  • «È la misericordia quello che ci muove verso Dio, mentre la giustizia ci spaventa al suo cospetto. A mio parere ciò mette in risalto che sotto la patina della sicurezza di sé e della propria giustizia l’uomo di oggi nasconde una profonda conoscenza delle sue ferite e della sua indegnità di fronte a Dio. Egli è in attesa della misericordia. Non è di certo un caso che la parabola del buon samaritano sia particolarmente attraente per i
  • «ANCHE DIO PADRE SOFFRE, PER AMORE – La contrapposizione tra il Padre, che insiste in modo assoluto sulla giustizia, e il Figlio che ubbidisce al Padre e ubbidendo accetta la crudele esigenza della giustizia, non è solo incomprensibile oggi, ma, a partire dalla teologia trinitaria, è in sé del tutto errata.

Si noti il passaggio spoglio da ogni logica: quello che è incomprensibile e male spiegato oggi, passa a essere del tutto errato, ma per chi, oltre che per il confuso uomo moderno? Per Ratzinger teologo, poiché si ritiene forte della sua interpretazione della teologia trinitaria, quella di una sola volontà del Padre e del Figlio, spiegata a controsenso nei passi evangelici. Cioè, sarebbe una sola volontà per attirare l’uomo a seguire il Padre: sia fatta la Vostra volontà! Sì, ma nel dubbio che Dio permetta  o induca al male!
  • «Il Padre e il Figlio sono una cosa sola e quindi la loro volontà è “ab intrinseco” una sola. Quando il Figlio nel giardino degli ulivi lotta con la volontà del Padre non si tratta del fatto che egli debba accettare per sé una crudele disposizione di Dio, bensì del fatto di attirare l’umanità al di dentro della volontà di Dio. […] Ma allora perché mai la croce e l’espiazione? […] Mettiamoci di fronte all’incredibile sporca quantità di male, di violenza, di menzogna, di odio, di crudeltà e di superbia che infettano e rovinano il mondo intero. Questa massa di male non può essere semplicemente dichiarata inesistente, neanche da parte di Dio. Essa deve essere depurata, rielaborata e superata. L’antico Israele era convinto che il quotidiano sacrificio per i peccati e soprattutto la grande liturgia del giorno di espiazione, lo yom kippur, fossero necessari come contrappeso alla massa di male presente nel mondo e che solo mediante tale riequilibrio il mondo poteva, per così dire, rimanere sopportabile. Una volta scomparsi i sacrifici nel tempio, ci si dovette chiedere cosa potesse essere contrapposto alle superiori potenze del male, come trovare in qualche modo un contrappeso. I cristiani sapevano che il tempio distrutto era stato sostituito dal corpo risuscitato del Signore crocifisso e che nel suo amore radicale e incommensurabile era stato creato un contrappeso all’incommensurabile presenza del male. Essi sapevano che il Cristo crocifisso e risorto è un potere che può contrastare quello del male e che salva il mondo. E su queste basi poterono anche capire il senso delle proprie sofferenze come inserite nell’amore sofferente di Cristo e come parte della potenza redentrice di tale amore.

Ratzinger riconoscendo la grande liturgia di espiazione, lo yom kippur della tradizione ebraica, dovrebbe pure ricordare che il sacrificio di riparazione alla divinità è un fatto universale, di tutti i popoli in tutti i tempi, però non nei suoi studi. Ora lo vedono come pensiero «arretrato», ma non possono cancellare la Storia dell’umanità, né il pensiero cristiano perfezionato nello stesso senso dal Verbo di Dio.
  • «Sopra citavo quel teologo [intellettuale traviato come lui] per il quale Dio ha dovuto soffrire per le SUE colpe nei confronti del mondo. Ora, dato questo capovolgimento della prospettiva, emerge la seguente verità: Dio semplicemente non può lasciare com’è la massa del male che deriva dalla libertà che Lui stesso ha concesso. Solo lui, venendo a far parte della sofferenza del mondo, può redimere il mondo. Su queste basi diventa più perspicuo il rapporto tra il Padre e il Figlio. Riproduco sull’argomento un passo tratto dal libro di Henri de Lubac su Origene che mi pare molto chiaro: “Il Redentore è entrato nel mondo per compassione verso il genere umano. Ha preso su di sé le nostre ‘passiones’ prima ancora di essere crocefisso… Ma quale fu questa sofferenza che egli sopportò in anticipo per noi? Fu la passione dell’amore. Ma il Padre stesso, il Dio dell’universo, lui che è sovrabbondante di longanimità, pazienza, misericordia e compassione, non soffre anch’egli in un certo senso?… Il Padre stesso non è senza passioni! Se lo si invoca, allora Egli conosce misericordia e compassione. Egli percepisce una sofferenza d’amore”.

Due osservazioni riguardo a questa citazione: i teologi sempre citatati da Ratzinzer sono i suoi amici della «nuova teologia» accusata dal Papa Pio XII. Prima Hans Urs Von Balthasar, ora De Lubac. Nella sua inconsistente «spiegazione» del Terzo Segreto di Fatima, ha addirittura citato quel Edouard Dannis, come grande studioso della questione, senza rendersi conto che costui nega l’autenticità di quanto lui pensa di poter spiegare: la «prova del proprio ridicolo»! Poi, che Dio sia soggetto a passioni è la nuova idea sua che denota l’altra tendenza che è la necessità di umanizzare Dio, più di quanto lo vuole rivelandosi Padre! Il conciliare Giovanni Paolo 1º lo voleva pure «madre».
  • «In alcune zone della Germania ci fu una devozione molto commovente che contemplava “die Not Gottes”, l’indigenza di Dio. E anche l’immagine del “trono di grazia” fa parte di questa devozione: il Padre sostiene la croce e il crocifisso, si china amorevolmente su di lui e per così dire è insieme sulla croce. Così in modo grandioso e puro si percepisce lì cosa significano la misericordia di Dio e la partecipazione di Dio alla sofferenza dell’uomo. Non si tratta di una giustizia crudele, non già del fanatismo del Padre, bensì della verità e della realtà della creazione: del vero intimo superamento del male che in ultima analisi può realizzarsi solo nella sofferenza dell’amore.

Già voler costruire un ragionamento sopra quest’idea di giustificare un «fanatismo» denota distorsione di tale sua «teologia trinitaria»; è vero che Dio ha sofferto, ma nella persona umana del Figlio, incarnatoSi per fare la volontà di espiazione dal Peccato originale voluta da Padre; ciò è quanto il cristiano contempla nella Passione di Gesù Cristo, per seguirLo nella espiazione nostra. Se in questa lezione c’è da qualche parte il Peccato originale, la questione è di come va riparato? Ma Dove sarà?
«FEDE CRISTIANA E SALVEZZA DEGLI INFEDELI
  • «Non c’è dubbio che su questo punto siamo di fronte a una profonda evoluzione del dogma. […] Se è vero che i grandi missionari del XVI secolo erano ancora convinti che chi non è battezzato è per sempre perduto – e ciò spiega il loro impegno missionario – nella Chiesa cattolica dopo il concilio Vaticano II tale convinzione è stata definitivamente abbandonata. Da ciò derivò una doppia profonda crisi. Per un verso ciò sembra togliere ogni motivazione a un futuro impegno missionario. Perché mai si dovrebbe cercare di convincere delle persone ad accettare la fede cristiana quando possono salvarsi anche senza di essa? Ma pure per i cristiani emerse una questione: diventò incerta e problematica l’obbligatorietà della fede e della sua forma di vita. Se c’è chi si può salvare anche in altre maniere non è più evidente, alla fin fine, perché il cristiano stesso sia legato alle esigenze dalla fede cristiana e alla sua morale. Se fede e salvezza non sono più interdipendenti, anche la fede diventa immotivata. Negli ultimi tempi sono stati formulati diversi tentativi allo scopo di conciliare la necessità universale della fede cristiana con la possibilità di salvarsi senza di essa. Ne ricordo qui due: innanzitutto la ben nota tesi dei cristiani anonimi di Karl Rahner. […] È vero che questa teoria è affascinante, ma riduce il cristianesimo stesso a una pura conscia presentazione di ciò che l’essere umano è in sé, e quindi trascura il dramma del cambiamento e del rinnovamento che è centrale nel cristianesimo. Ancor meno accettabile è la soluzione proposta dalle teorie pluralistiche della religione, per le quali tutte le religioni, ognuna a suo modo, sarebbero vie di salvezza e in questo senso nei loro effetti devono essere considerate equivalenti. La critica della religione del tipo di quella esercitata dall’Antico Testamento, dal Nuovo Testamento e dalla Chiesa primitiva è essenzialmente più realistica, più concreta e più vera nella sua disamina delle varie religioni. Una ricezione così semplicistica non è proporzionata alla grandezza della questione. Ricordiamo soprattutto Henri de Lubac e con lui alcuni altri teologi che hanno fatto forza sul concetto di sostituzione vicaria. […] Cristo, in quanto unico, era ed è per tutti; e i cristiani, che nella grandiosa immagine di Paolo costituiscono il suo corpo in questo mondo, partecipano di tale “essere per”. Cristiani, per così dire, non si è per se stessi, bensì, con Cristo, per gli altri. Ciò non significa una specie di biglietto speciale per entrare nella beatitudine eterna, bensì la vocazione a costruire l’insieme, il tutto. Quello di cui la persona umana ha bisogno in ordine alla salvezza è l’intima apertura nei confronti di Dio, l’intima aspettativa e adesione a Lui, e ciò viceversa significa che noi assieme al Signore che abbiamo incontrato andiamo verso gli altri e cerchiamo di render loro visibile l’avvento di Dio in Cristo. […]

Eccoci qui all’esempio con cui concludiamo, perché ci basta per vedere come la realtà della salvezza nella sola Chiesa Cattolica è sotterrata da un mare di parole conciliari, di una letteratura clericale che niente spiega, ma confonde. Si ricorre solo a metà al «cristiano anonimo» di Rahner; si pensa ma senza fare menzione alla «redenzione universale» di Wojtyla, e chissà quale sia la sua, per spiegare l’affossamento deliberato – che riconosce, della «Missione Cattolica» – . Allora diciamo che questo deviato pensa che i bei discorsi possono rimpiazzare la verità del SACRIFICIO ESPIATORIO DI RIPARAZIONE, del mea culpa, mea massima culpa! Per loro il Figlio non lo volge verso il Padre, ma verso il popolo. L’inversione liturgica segue la nuova fede, ed eccoci ai nuovi preti che mettono la faccia e tutti i loro sentimenti nel pronunciare fuori posto come un profondo enigma le Parole di Gesù: Mistero della Fede!
Così come è vero che si crede come si prega, «lex orandi lex credendi», così la nuova leva di consacrati e fedeli conciliari prega con una fede tutta soggettiva. Tutto nell’onda della «nuova teologia» di intellettuali togati, come Ratzinger, per cui i diritti umani sono prioritari su quelli di Dio. Ecco un mondo che si è sentito giustificato in ogni sua rivendicazione senza contropartita quanto a doveri. E ciò lo applicano alla vita religiosa, come alla politica. E vanno entrambe a catafascio, senza che dal mondo teologale venga alcun richiamo al fatto che il grande «guaio» ha radice religiosa, nel senso della riparazione ai mali scatenati. No, si chiede scusa dei freni messi a queste scelleratezze!
Chiediamo che la dolce Madonna di Loreto intervenga per guarire questa povera generazione, che si ritiene ricca nelle sue scienze, invenzioni e adulteri, pure neoteologali!

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