lunedì 20 febbraio 2017
[ … ciascun fedele deve propagare agli altri la propria fede, sia per l’istruzione degli altri fedeli, sia per confermarli, o per reprimere gli assalti degli infedeli …]
Proponiamo una delle più belle e “scuotenti” encicliche di Leone
XIII, datata 10. 1. 1890, zeppa di contenuti importantissimi per la fede
cattolica, dedicata ai principali doveri del cristiano, doveri che la
setta modernista attuale elude accuratamente, protesa demagogicamente
solo a soddisfare i bisogni ed i “pruriti” dei suoi adepti che, pur nel
peccato, nei sacrilegi, nelle scomuniche, nelle innumerevoli
censure, continuano a reputarsi cattolici. Qui abbiamo un elenco di
doveri dei cristiani, in particolare nei confronti delle autorità civili
che imponessero leggi o costumi contrari alla morale cristiana ed agli
insegnamenti religiosi, ricordando l’obbligo che si ha di obbedire a Dio
piuttosto che agli uomini, specie se corrotti e guidati da intenti
loschi e malvagi … notevole e perentorio è il passaggio che recita: “… però
se le leggi dello Stato dovessero essere apertamente in contraddizione
con il diritto divino; se dovessero essere ingiuriose verso la Chiesa, o
contraddire i doveri della religione o violare l’autorità di Gesù
Cristo nella persona del Papa, allora è doveroso resistere ed è colpa [sottolineiamo: colpa!] ubbidire”.
C’è inoltre un’aperta condanna del laicismo e della pluralità
religiosa, considerata come libertà di propugnare l’errore… figuriamoci
poi l’ecumenismo attuale propagato dalla setta modernista-mondialista
del “Novus Ordo”, costola attiva del progettato governo mondiale e delle
religioni unite sotto l’egida giudeo-massonica. – Eccezionalmente
illuminanti sono poi le espressioni sul dovere dei fedeli di conoscere e
tutelare la dottrina cristiana, il pericolo dell’inerzia colpevole,
l’impegno a professare e divulgare la fede cattolica, [ …
ciascun fedele deve propagare agli altri la propria fede, sia per
l’istruzione degli altri fedeli, sia per confermarli, o per reprimere
gli assalti degli infedeli …], le modalità di
partecipazione alla vita politica senza falsa prudenza e falso zelo, per
finire in brillantezza con l’educazione dei giovani, oggi totalmente
disattesa e deviata opportunamente con ogni mezzo e da tutte le
istituzioni, soprattutto in seno alla famiglia, [i padri …
si sforzino di respingere in questo campo ogni intromissione ingiuriosa e
rivendichino il diritto di educare come conviene i figli nel costume
cristiano], famiglia che è germe della società divina, e
richiamando alfine alla gravità dei doveri di ogni cristiano. – Ma non
roviniamo queste pagine del Sacro Magistero che, lo ricordiamo a
beneficio di coloro che sono oramai protestantizzati e massonizzati da
mass media “teleguidati”, nonché da falsi prelati mai validamente
ordinati, quindi laici in maschera di carnevale, è la voce del Vicario
di Cristo in terra, e quindi è parola vivente di Gesù-Cristo-Dio:
“Sapientiæ Christianæ revocari præcepta, eisque vitam, mores, instituta populorum penitua conformati …”
S. S. Leone XIII
“Sapientiae christianae”
[De præcipuis civium chriastianorum officiis]
Lettera Enciclica
Richiamarsi ai precetti della sapienza cristiana e conformare
profondamente ad essi la vita, i costumi e le istituzioni dei popoli è
cosa che ogni giorno appare sempre più necessaria. Avendoli messi da
parte, ne sono derivati mali così grandi che nessun uomo saggio può
sopportare la presente situazione senza una grave preoccupazione, né
guardare al futuro senza timore. – Si è realizzato un non comune
progresso dei beni che riguardano il corpo e le cose materiali, ma tutta
la natura sensibile, il possesso dell’energia e dell’agiatezza, se
possono generare comodità e aumentare la dolcezza della vita, non
possono soddisfare l’anima che è nata per destini più grandi e più alti.
Contemplare Dio e tendere a Lui è la suprema legge della vita degli
uomini, i quali, creati a immagine e somiglianza divina, sono fortemente
invitati a possedere il loro Creatore. – Ma non si va a Dio con le
tendenze e le esigenze del corpo, bensì con la conoscenza e l’affetto
che sono atti dell’anima. È Dio, infatti, la prima e suprema verità, e
la nostra mente non si pasce che di verità: alla santità perfetta e al
sommo bene può aspirare e accedere soltanto la nostra volontà sotto la
guida della virtù.- Quanto si dice dei singoli uomini, deve essere
riferito anche alla società, sia domestica, sia civile.
La natura
infatti non ha creato la società perché l’uomo la seguisse come un fine,
ma affinché in essa e per essa trovasse gli aiuti adatti alla propria
perfezione. Se la società civile persegue unicamente le comodità
esteriori e il culto della vita nel lusso e nell’abbondanza; se ignora
Dio nella vita amministrativa e non si cura delle leggi morali, essa
devìa terribilmente dal suo scopo e da quanto la natura prescrive, e non
può essere considerata società e comunità di uomini ma una falsa
imitazione e parodia di società. – Quei beni spirituali che – come
abbiamo già detto – si ritrovano soprattutto nel culto della vera
religione e nella costante osservanza dei precetti cristiani, li vediamo
oscurarsi ogni giorno per dimenticanza o per fastidio degli uomini,
cosicché quanto più grandi sono i progressi che riguardano la vita
corporale, tanto maggiore è il tramonto dei valori che riguardano
l’anima. Indizio significativo della diminuita e indebolita fede
cristiana si trova nelle stesse ingiurie che vengono rivolte troppo
spesso contro il nome cristiano, in piena luce e sotto gli occhi di
tutti; in altri tempi, una società rispettosa della religione non
l’avrebbe mai tollerato. Per queste cause è incredibile a dirsi quale
grande numero di uomini si trovi in pericolo di perdere l’eterna
salvezza. Ma le stesse città e gli Stati non possono restarne indenni a
lungo, perché crollando gli ordinamenti e i costumi cristiani,
inevitabilmente crollano anche le fondamenta della società umana. – Per
difendere la pubblica tranquillità e l’ordine resta soltanto la forza:
ma anche la forza pubblica diventa molto debole se scompare l’aiuto
della religione: risulta più atta a creare schiavitù che obbedienza;
raccoglie già in se stessa i semi di gravi disordini. – Il nostro secolo
ha provato gravi, memorabili vicende, e non si sa se dobbiamo
paventarne altre uguali. Pertanto il momento storico ci ammonisce da che
parte bisogna cercare i rimedi, cioè ripristinare in tutte le
componenti della vita sociale il modo cristiano di pensare e di agire
della vita privata: questo è l’unico sicuro mezzo per eliminare i mali
che ci affliggono e impedire i pericoli che ci sovrastano. – A questo,
Venerabili Fratelli, è necessario che ci dedichiamo; a questo dobbiamo
portare ogni nostro sforzo con il massimo impegno: per questa ragione,
sebbene abbiamo già altrove trattato queste cose, quando Ci fu data la
possibilità, Ci sembra tuttavia molto utile descrivere i doveri dei
cattolici più chiaramente in questa Lettera: questi doveri, se osservati
con ogni cura, saranno di grande utilità per la salvezza dei beni
sociali. – Incorriamo quasi ogni giorno in grandi contrasti sui massimi
problemi: ed è molto difficile non restare vittime di inganni, di errori
e di vedere molti perdersi d’animo e soccombere.
È nostro dovere,
Venerabili Fratelli, ammonire, insegnare, esortare a suo tempo affinché
nessuno abbandoni la via della verità. – Non si può dubitare che siamo
molti e maggiori i doveri dei cattolici che non di coloro che sono
appena consapevoli della loro fede cattolica o ne sono completamente
privi. Allorché Cristo, procurata la salvezza al genere umano, comandò
agli Apostoli di predicare il Vangelo ad ogni creatura, impose pure
questo dovere a tutti gli uomini: che imparassero e credessero alle cose
che venivano loro insegnate; a questo dovere è congiunto il
raggiungimento dell’eterna salvezza. “Chi crederà e sarà battezzato sarà
salvo: chi non crederà sarà condannato” (Mc XVI,16). Ma l’uomo quando
ha abbracciato la fede cristiana – come è suo dovere – deve perciò
stesso sottomettersi alla Chiesa come figlio suo, e diventa partecipe di
questa grandissima e santissima società, sulla quale spetta esercitare
il sommo potere al romano Pontefice, sottoposto al capo invisibile Gesù
Cristo. – Ora, pertanto, se siamo obbligati per legge di natura ad amare
e difendere particolarmente quella città nella quale siamo nati e
cresciuti in questa luce, fino al punto che un buon cittadino non può
dubitare di dover dare anche la vita per la patria, è molto più doveroso
per i cristiani amare sempre la Chiesa. La Chiesa è infatti la città
santa del Dio vivente, nata da Dio stesso e costituita dallo stesso
Autore: è pellegrina qui sulla terra, ma sempre intenta a chiamare gli
uomini per istruirli e condurli all’eterna felicità del cielo. Pertanto
si deve amare la patria dalla quale abbiamo ricevuto il dono di una vita
mortale: ma è necessario anteporle nell’amore la Chiesa, alla quale
dobbiamo una vita che durerà in perpetuo: perché bisogna anteporre i
beni dell’anima a quelli del corpo; i nostri doveri verso Dio sono molto
più santi che non quelli verso gli uomini. – D’altra parte, se si vuole
giudicare rettamente, l’amore soprannaturale per la Chiesa e l’amore
naturale per la patria sono entrambi figli della stessa sempiterna
fonte, poiché hanno come causa e autore Dio stesso, dal che consegue che
un dovere non può essere in contraddizione con l’altro. Possiamo e
dobbiamo dunque amare l’una e l’altra: amare noi stessi; essere benevoli
con il prossimo; amare lo Stato e il potere che vi presiede, e nello
stesso tempo venerare la Chiesa come nostra madre, e con il massimo
amore possibile tendere a Dio. Tuttavia questo ordine di precetti talora
viene pervertito, sia per la calamità dei tempi, sia per la cattiva
volontà degli uomini. Accadono anche circostanze in cui sembra che lo
Stato richieda dai cittadini cose del tutto contrarie a quelle richieste
dalla religione ai cristiani, per il fatto che le autorità dello Stato
non tengono in nessun conto il potere sacro della Chiesa, oppure la
vogliono soggetta a sé.
Da qui sorgono il contrasto e l’occasione per
mettere alla prova la virtù. Incalzano due poteri, per cui non si può
obbedire contemporaneamente a coloro che comandano cose contrarie:
“Nessuno può servire a due padroni” (Mt 6,24), per cui se si segue uno,
diventa inevitabile lasciare l’altro. Nessuno può dubitare quale dei due
sia da anteporre. – È un atto di empietà abbandonare l’ossequio a Dio
per soddisfare gli uomini: come pure trasgredire le leggi di Gesù Cristo
per obbedire alle autorità dello Stato, o violare i diritti della
Chiesa col pretesto di osservare il diritto civile. “È necessario
obbedire più a Dio che agli uomini” (At V,29). È ciò che Pietro e gli
altri Apostoli risposero alle autorità che imponevano cose ingiuste; è
ciò che si deve sempre ripetere senza esitazioni in casi simili. Nessun
cittadino, sia in pace sia in guerra, è migliore di un vero cristiano,
memore del proprio dovere; ma questi deve essere pronto a sopportare
tutto, anche la morte piuttosto che abbandonare la causa di Dio e della
Chiesa. Perciò non hanno considerato adeguatamente la forza e la natura
delle leggi coloro che riprovano questa decisione nella scelta dei
doveri, e affermano che questa è sedizione. Parliamo di cose note al
popolo e da Noi altre volte spiegate.
La legge non è che un comando
della retta ragione, promulgata per il bene comune da colui che ha un
legittimo potere. – Ma non c’è nessun vero e legittimo potere se non
parte da Dio, sommo sovrano e padrone di tutte le cose, che solo può
concedere ad un uomo il potere su altri uomini; e non deve essere
ritenuta retta una ragione che dissenta dalla verità e dalla ragione
divina: né vi è un vero bene se è contrario al sommo e immutabile bene o
che allontani e svii dall’amore a Dio le volontà degli uomini. Sacro è
per i cristiani il nome dell’autorità pubblica, nella quale essi
riconoscono una certa immagine e un simbolo della maestà divina, persino
quando è gestita da persone indegne. Alla legge è dovuto un giusto
rispetto, non per la forza o le minacce, ma per la consapevolezza di un
dovere: “Dio non ci ha dato uno spirito di timore” (2Tm 1,7). Però se le
leggi dello Stato dovessero essere apertamente in contraddizione con il
diritto divino; se dovessero essere ingiuriose verso la Chiesa, o
contraddire i doveri della religione o violare l’autorità di Gesù Cristo
nella persona del Papa, allora è doveroso resistere ed è colpa
ubbidire; e questo si collega al disprezzo verso lo Stato, perché si
pecca anche contro lo Stato quando si va contro la religione. –
Nuovamente si chiarisce quanto sia ingiusta l’accusa di sedizione:
infatti, non si ricusa la dovuta obbedienza al capo dello Stato e agli
autori delle leggi, ma ci si oppone solamente alla loro volontà in quei
precetti che essi non hanno alcun potere di imporre perché vengono
emanati offendendo Dio, perciò mancano di giustizia e sono tutto fuorché
leggi.
– Voi sapete, Venerabili Fratelli, che questa è la stessa
dottrina del beato Paolo Apostolo, che dopo aver scritto a Tito che si
dovevano ammonire “i cristiani di stare soggetti ai principi e ai
governanti e obbedire ai loro ordini”, aggiunse subito che “dovevano
essere preparati per ogni opera buona” (Tt 3,1). Dal che appare
chiaramente che se le leggi umane dovessero stabilire qualcosa di
contrario all’eterna legge di Dio, sarebbe giusto non obbedire. Con
simile argomentazione il Principe degli Apostoli rispondeva con forte ed
eccelsa nobiltà d’animo a coloro che gli volevano togliere la libertà
di predicare il Vangelo: “Se è giusto al cospetto di Dio ascoltare voi
piuttosto che Dio, giudicatelo voi stessi: non possiamo infatti non
parlare di quelle cose che abbiamo visto e udito” (At 4,19-20). È dunque
grande dovere dei cristiani amare le due patrie, quella di natura e
l’altra della città celeste, purché sia prevalente l’amore di
quest’ultima sulla prima, e non si antepongano mai i diritti umani a
quelli divini, e si consideri la città celeste come fonte dalla quale
sgorgano tutti gli altri doveri. Il Salvatore del genere umano ha detto
di se stesso “Io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel
mondo: per rendere testimonianza della verità” (Gv 18,37). Come pure
“Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e che cosa voglio se non
che si accenda?” (Lc 12,49). Tutta la vita e la libertà del cristiano
stanno nella conoscenza di questa verità, che è il massimo della
perfezione della mente, e nell’amore a Dio che pure rende perfetta la
volontà.
E la Chiesa conserva e difende con continuo impegno e vigilanza
questo nobilissimo patrimonio – cioè della verità e della carità –
affidatole da Gesù Cristo. – Ma non vale la pena parlare qui della
guerra accanita e multiforme scatenata contro la Chiesa. Tutto quello
che capita alla ragione umana di scoprire con l’investigazione
scientifica su realtà finora sconosciute e gelosamente nascoste dalla
natura, e di convertire le scoperte in uso per la vita, dà agli uomini
l’ardire di sentirsi dei e di poter allontanare dalla vita comune
l’autorità di Dio. Ingannati da questo errore, trasferiscono alla natura
umana il dominio strappato a Dio, e sostengono che si deve ricercare
nella natura il principio e la norma di ogni verità: da essa emanano e
ad essa dovrebbero essere ricondotti tutti i doveri religiosi. Pertanto,
niente è stato rivelato da Dio: non si deve obbedire alla Chiesa e alla
disciplina dei costumi cristiani; la Chiesa non ha nessun potere e
nessun diritto di legiferare; anzi, è necessario non lasciare alla
Chiesa spazio alcuno nelle istituzioni dello Stato. Esigono, e con ogni
sforzo operano per giungere al potere e al governo negli Stati per
potere più agevolmente indirizzare le leggi secondo queste dottrine, e
creare nuovi costumi fra i popoli. E così si aggredisce ovunque la
cattolicità, o apertamente o la si combatte occultamente: permettendo la
libertà ad ogni perverso errore, viene spesso limitata e ristretta con
molti vincoli la professione della verità cristiana. In questa triste
condizione, ciascuno prima di tutto deve rientrare in se stesso per
custodire e difendere la fede altamente radicata nell’animo, evitando i
pericoli, sempre armato contro le varie insidie dei sofismi. A tutela di
questa virtù è molto utile, e consentaneo ai nostri tempi, lo studio
diligente, secondo le personali capacità, della dottrina cristiana e di
quelle cose che riguardano la religione e che possono essere comprese
col lume della ragione, e di esse arricchirsi la mente.
E poiché non
basta conservare incorrotta la fede nell’anima, ma è necessario
aumentarla con assiduo studio, si deve ricorrere a Dio con la reiterata e
umile preghiera degli Apostoli: “Aumenta i noi la fede!” (Lc 18,5). Per
la verità in questa materia che riguarda la fede cristiana ci sono
altri doveri che, se fu sempre importante osservare accuratamente e
religiosamente per la salvezza, è più che mai necessario osservare ai
nostri tempi.- In tanta pazza confusione di ideologie così vastamente
diffuse, è certamente compito della Chiesa assumersi la difesa delle
verità e sradicare dagli animi gli errori: questo in ogni tempo e
religiosamente, poiché essa deve tutelare l’amore di Dio e la salvezza
degli uomini. Ma quando lo richieda la necessità, non solo devono
difendere la fede i prelati, ma “ciascun fedele deve propagare agli
altri la propria fede, sia per l’istruzione degli altri fedeli, sia per
confermarli, o per reprimere gli assalti degli infedeli” . Cedere
all’avversario o tacere, mentre dovunque si alza tanto clamore per
opprimere la verità, è proprio dell’inetto oppure di chi dubita che sia
vero quello che professa. L’uno e l’altro atteggiamento sono ignobili e
ingiuriosi a Dio; l’una cosa e l’altra contrastanti con la salvezza
individuale e collettiva: sono soltanto giovevoli ai nemici della fede,
perché l’arrendevolezza dei buoni aumenta l’audacia dei malvagi. Per
questo è ancor più da condannare l’inerzia dei cristiani perché il più
delle volte si possono confutare gli errori e le malvagie affermazioni
facendolo spesso con poco sforzo; ma farlo sempre occorre un impegno
molto più grande. Per ultimo, nessuno è dispensato dall’usare quella
forza che è propria dei cristiani, perché con essa si spezzano spesso le
macchinazioni e i piani degli avversari. Ci sono poi dei cristiani nati
per la disputa: quanto più grande è il loro coraggio, tanto più certa è
la vittoria con l’aiuto di Dio. “Confidate: io ho vinto il mondo” (Gv
16,33).
E nessuno può opporre l’obiezione che il custode e il garante
della Chiesa, Gesù Cristo, non ha bisogno certamente dell’opera degli
uomini. Ma non è per mancanza di potenza, bensì per la grandezza della
sua bontà che egli vuole che qualcosa si faccia pure da noi per l’opera
della salvezza che egli ci ha procurato, e per ottenerne frutti sempre
maggiori. – Gl’impegni più importanti di questo dovere sono di
professare la dottrina cattolica a viso aperto e con costanza, e di
propagarla come ciascuno può. Infatti, come è stato affermato tante
volte e con verità, niente è così dannoso per la dottrina cristiana che
il non essere conosciuta. Basta da sola a dissipare gli errori quando è
appresa rettamente; se la mente con semplicità e non vincolata da falsi
pregiudizi la comprende, la ragione dichiara di dovere assentire. Per
vero, la virtù della fede è un grande dono della grazia e della bontà
divina. Ma i mezzi con i quali si raggiunge la fede non sono
generalmente altri che l’ascolto: “Come potranno credere, senza averne
sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo
annunzi?.. La fede dipende dunque dalla predicazione, e la predicazione a
sua volta si attua per la parola di Cristo” (Rm IX,14-17). – Poiché
dunque la fede è necessaria per la salvezza, ne consegue che si deve
assolutamente predicare la parola di Cristo. Certamente il ministero di
predicare, cioè di insegnare, per diritto divino spetta a quei maestri
che lo “Spirito Santo ha costituito Vescovi per reggere la Chiesa di
Cristo” (At XX,28) e specialmente al Pontefice romano, Vicario di Gesù
Cristo, messo a capo di tutta la Chiesa con il supremo potere, maestro
di quanto si deve credere e praticare. Ma nessuno creda che sia proibito
ai privati di dare la propria attività in questo compito, specialmente
per coloro ai quali Dio ha dato profondità di ingegno, e il desiderio di
rendersi meritevoli per il bene comune. Costoro, quando sia necessario,
possono convenientemente assumersi non la parte del dottore della
Chiesa, ma quella di trasmettere agli altri ciò che essi hanno appreso,
facendo risuonare la voce dei maestri come fossero la loro immagine.
L’opera dei privati è apparsa anzi così opportuna e utile ai Padri del
Concilio Vaticano da richiederla espressamente. “Per le viscere di Gesù
Cristo noi supplichiamo tutti i fedeli, specialmente coloro che sono
costituiti in autorità o che hanno il compito d’insegnare, e ordiniamo
loro in nome di Dio e del nostro Salvatore affinché impegnino la loro
opera e le loro forze nel respingere ed eliminare dalla Santa Chiesa
tutti questi errori e nel diffondere la luce della purissima fede” . –
Del resto ognuno ricordi che può e deve diffondere la fede cattolica con
l’autorità dell’esempio, e predicarla con la costante professione. Fra i
doveri che ci uniscono a Dio e alla Chiesa questo più di tutti bisogna
ricordare, che cioè ciascuno, con tutte le capacità possibili, lavori per propagare la verità cristiana e per confutare gli errori.
– Certamente non potranno compiere utilmente e sufficientemente questi
compiti se scenderanno in campo divisi gli uni dagli altri. Gesù Cristo
predisse che come Egli stesso per primo dovette sostenere l’offesa e
l’avversione degli uomini, certamente anche l’opera da Lui istituita
avrebbe incontrato eguale trattamento; in modo che a molti sarebbe stato
vietato di giungere alla salvezza da Lui recata con il suo sacrificio.
Per questo non volle soltanto avere seguaci della sua dottrina, ma
unirli strettamente in una comunità e in un solo corpo, “che è la
Chiesa” (Col 1,24), di cui Egli fosse il capo.
La vita di Gesù Cristo
permea e si diffonde in tutto il corpo nella sua compagine; alimenta e
sostiene le singole membra, e così unite e composte le dirige allo
stesso fine, anche se l’azione di ciascun membro non è la stessa. Per
questa ragione la Chiesa non solo è una società perfetta e molto
superiore ad ogni altra società, ma è stato ordinato dal suo Autore che
essa debba combattere per la salvezza del genere umano “come esercito
schierato sul campo” (Ct VI,9). – Codesto ordinamento e codesta
conformazione della società cristiana non possono essere cambiati in
nessun modo: a nessuno è lecito vivere secondo il proprio arbitrio, né
seguire nella lotta la tattica che gli pare, perché non raccoglie ma
disperde chi non raccoglie con Cristo e con la Chiesa, e certamente
combattono contro Dio coloro che non combattono con Lui e con la Chiesa.
– Prima di tutto, dunque, sono necessarie una piena concordia e
uniformità di sentimenti per unire tutti gli animi nell’azione motivata
contro i nemici del nome cattolico. A questa stessa unione Paolo
Apostolo esortava con grande ardore e con gravi parole i Corinzi:
“Pertanto vi scongiuro, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù
Cristo, a dire tutti la stessa cosa, e che non esistano divisioni fra
voi: siate uniti nello stesso spirito e nello stesso sentimento” (1Cor
1,10). Facilmente si percepisce la sapienza di questo precetto. Infatti,
principio dell’azione è la mente; pertanto non possono essere concordi
le volontà né simili le azioni se le menti hanno pensieri diversi.
Coloro che seguono soltanto la ragione poco facilmente possono avere,
anzi neppur possono avere, una sola dottrina; l’arte di conoscere bene
le cose è molto difficile: la nostra mente è inferma per natura e
deviata dalla varietà delle opinioni: spesso erra per l’impulso
offertole esternamente dalle cose: si aggiungono poi le passioni, che
spesso tolgono la facoltà di scorgere il vero o la diminuiscono
certamente molto.
Per questa ragione nel governo degli Stati si opera
spesso per tenere unite con la forza persone che fra loro sono discordi.
Ben diversamente avviene fra i cristiani che ricevono dalla Chiesa ciò
che bisogna credere: dalla sua autorità e dalla sua guida sanno per
certo di attingere alla verità. Poiché dunque una è la Chiesa, uno Gesù
Cristo, una deve essere la dottrina di tutti i cristiani in tutto il
mondo. “Un solo Signore, una sola fede” (Ef 4,5). “Avendo tutti lo
stesso spirito di fede” (2Cor 4,13), ottengono effetti salutari, dai
quali derivano spontaneamente in tutti la stessa volontà e lo stesso
modo di agire. – Ma, come comanda l’Apostolo Paolo, bisogna che
l’unanimità sia perfetta. Poiché la fede cristiana non si basa sulla
ragione umana ma sull’autorità della mente divina, noi crediamo che le
cose che abbiamo ricevuto da Dio siano “vere non per l’intrinseca verità
delle cose viste con il naturale lume della ragione, ma per l’autorità
dello stesso Dio rivelante che non può ingannarsi né può ingannare” . Ne
consegue che qualunque cosa certamente rivelata da Dio deve essere
accettata con pieno ed uguale assenso: negare fede ad una sola di
queste, significa rifiutarle tutte. Sovvertono il fondamento stesso
della fede coloro che negano che Dio abbia parlato agli uomini, o che
dubitano della sua infinita verità e sapienza. Spetta alla Chiesa
docente stabilire quali sono le verità divinamente affidate alla Chiesa
stessa, alla quale Dio demandò anche la custodia e l’interpretazione
della propria parola. Il sommo maestro nella Chiesa è il Pontefice
romano.
E come la concordia degli animi richiede un perfetto consenso in
una stessa fede, così richiede che le volontà siano perfettamente
soggette e obbedienti alla Chiesa e al romano Pontefice, come a Dio.
L’obbedienza deve essere perfetta perché è richiesta dalla fede stessa,
ed ha in comune con la fede che non può essere separata da essa; anzi,
se non è assoluta pur avendone tutti gli aspetti le resta soltanto
un’apparenza di obbedienza, ma di fatto scompare. La tradizione
cristiana attribuisce a tale perfezione tanto valore, che essa è sempre
stata ed è ritenuta la nota caratteristica per riconoscere i cattolici.
Questa asserzione è mirabilmente spiegata da Tommaso d’Aquino:
“L’oggetto formale della fede è la prima verità, come ci viene rivelato
nella Sacra Scrittura e nella dottrina della Chiesa, che procede dalla
prima verità. Perciò chiunque non aderisce alla dottrina della Chiesa
come a regola infallibile e divina che promana dalla verità prima
manifestata nelle Sacre Scritture, non ha la proprietà della fede, ma
considera le verità della fede in modo diverso dalla fede. È pertanto
manifesto che chi aderisce alla dottrina della Chiesa come a regola
infallibile, accetta tutto ciò che la Chiesa insegna; invece, se dei
suoi insegnamenti egli ritiene quello che vuole e rigetta quello che non
vuole, egli non aderisce come norma infallibile alla dottrina della
Chiesa, ma unicamente alla propria volontà . Una sola deve essere la
fede di tutta la Chiesa secondo le parole dell’Apostolo Paolo (cf. 1Cor
1).
Siate unanimi nel parlare, e non vi siano divisioni fra voi: e
quest’unanimità non si potrebbe conservare se, sorta una questione
intorno alla fede, non venisse decisa da colui che presiede a tutta la
Chiesa, in modo che la sua dichiarazione sia accolta fermamente da tutta
la Chiesa. Quindi alla sola autorità del Sommo Pontefice spetta
approvare una nuova edizione del Simbolo, come pure tutte le altre cose
che riguardano la Chiesa” . – Nel determinare i limiti dell’obbedienza
nessuno creda di dover obbedire all’autorità dei sacri Pastori, e
specialmente del romano Pontefice, solamente in ciò che riguarda il
dogma, il cui ostinato ripudio non può essere disgiunto dal peccato di
eresia. Anzi, non basta neppure accettare con sincera e ferma
approvazione quelle dottrine che, quantunque non definite da un solenne
giudizio, vengono tuttavia proposte dalla Chiesa alla credenza dei
fedeli come divinamente rivelate al magistero ordinario ed universale, e
si devono credere come “di fede cattolica e divina” secondo il decreto
del Concilio Vaticano. Ma resta ancora l’obbligo dei cristiani, che
devono lasciarsi guidare e governare dal potere e dal consiglio dei
Vescovi, e in primo luogo dalla Sede Apostolica. Quanto ciò sia
ragionevole è evidente. Infatti, delle verità contenute nella
Rivelazione, alcune riguardano Dio, altre l’uomo stesso e le cose
necessarie alla salvezza eterna dell’uomo. Ora, questo doppio ordine di
verità, cioè quello che si deve credere e quello che si deve operare,
appartiene per diritto divino, come abbiamo detto, alla Chiesa e al
Sommo Pontefice. Per tali motivi il Pontefice deve poter giudicare con
la sua autorità quali siano le cose contenute nella parola di Dio, quali
dottrine sono ad esse conformi, e quali no. Allo stesso modo deve
indicare ciò che è onesto o turpe; ciò che si deve fare e cosa fuggire
per raggiungere la salvezza; altrimenti non sarebbe più il sicuro
interprete della parola di Dio, né guida sicura all’uomo nell’agire. –
Addentrandoci ancor più profondamente nella natura della Chiesa, vediamo
che essa non è una fortuita comunità di cristiani, ma una società
costituita con eccellente ordinamento di Dio stesso, con il fine diretto
e naturale di portare la pace e la santità nelle anime; e poiché essa
sola ha da Dio i mezzi a ciò necessari, ha le sue leggi ben determinate,
determinati doveri, e segue nel governo dei popoli cristiani metodi e
vie conformi alla sua natura.
Ma l’esercizio di questo governo è
difficile e con frequenti contrasti. La Chiesa guida popoli sparsi su
tutta la terra, differenti per razze e costumi, i quali, vivendo nei
singoli Stati secondo le proprie leggi, devono obbedire
contemporaneamente al potere civile e a quello ecclesiastico. Questi due
doveri sono congiunti nella stessa persona, ma non contrastanti fra
loro – come abbiamo detto – e neppure confusi, perché l’uno riguarda la
potestà dello Stato, l’altro il bene proprio della Chiesa: ambedue
istituiti per il perfezionamento dell’uomo. – Posta questa delimitazione
di diritti e di doveri, è evidente che i governanti sono liberi
nell’amministrazione dei loro Stati, e questo non certamente con
l’ostilità della Chiesa, ma anzi con il suo pieno aiuto, poiché
inculcando l’osservanza della pietà religiosa, che è un atto di
giustizia verso Dio, essa promuove con ciò stesso l’ossequio verso il
principe. Ma con intendimento molto più nobile il potere della Chiesa
tende a governare gli uomini tutelando “il regno di Dio e la sua
giustizia” (Mt 6,33), dedicandosi totalmente a realizzarlo. Nessuno può
dubitare, salva la fede, che alla sola Chiesa sia stato assegnato questo
particolare governo delle anime in modo che non è rimasto spazio alcuno
alla potestà civile; infatti Gesù Cristo ha affidato le chiavi del
regno dei cieli non a Cesare ma a Pietro. Con questa dottrina
politico-religiosa sono connesse alcune altre questioni di non lieve
importanza, delle quali in questo documento non vogliamo tacere. – La
società cristiana dista moltissimo da ogni tipo di governo politico.
Anche se ha somiglianza e forma di regno, senza dubbio ha un’origine,
una ragion d’essere e una natura molto diversa dai regni terreni.
Pertanto è diritto della Chiesa vivere e conservarsi con leggi e
istituzioni conformi alla sua natura. Essa, essendo non soltanto una
società perfetta, ma superiore a qualunque altra società umana, si
rifiuta di seguire, per suo diritto e per il suo fine, le vicende dei
partiti e di adeguarsi alle esigenze mutabili della vita civile.
Per la
stessa ragione, custode del proprio diritto, rispettosissima
dell’altrui, afferma che non appartiene alla Chiesa esprimere preferenze
sulla forma di governo e con quali istituzioni la società civile dei
popoli cristiani debba reggersi: fra le varie forme di governo non ne
condanna nessuna, purché siano rispettate la religione e la morale dei
costumi. A questo contegno devono essere indirizzati i pensieri e le
azioni dei singoli cristiani. Non v’ha dubbio che sia lecita in politica
una giusta lotta, naturalmente quando si combatte secondo verità e
giustizia, affinché prevalgano quelle opinioni che appaiono più conformi
delle altre al bene comune. Ma trascinare la Chiesa a partecipare
all’attività di qualche partito, oppure pretendere di averla come aiuto
per superare gli avversari è di coloro che vogliono abusare
smoderatamente della religione. Al contrario la religione deve essere
santa e inviolata per tutti. Nella politica stessa, che non può
prescindere dalle leggi morali e dai doveri della religione, si deve
precipuamente e sempre cercare ciò che è più conforme al nome cristiano.
Se talora appare che questo è in pericolo ad opera degli avversari,
allora deve cessare ogni divergenza, e con intendimento concorde degli
animi si deve prendere la difesa della religione, che è il massimo bene
comune a cui devono rapportarsi tutti gli altri. Il che conviene che sia
da Noi esposto più diffusamente. – Certamente sia la Chiesa, sia lo
Stato, hanno una loro sovranità: pertanto nessuno dei due, nella propria
sfera e nei propri limiti costituiti dai singoli fini, ubbidisce
all’altro. Ma da questo non si deve tuttavia concludere che i due poteri
siano fra loro separati e tanto meno in lotta l’uno contro l’altro.
La
natura non ci ha dato soltanto un’esistenza fisica, ma anche una morale.
Per questo l’uomo chiede alla tranquillità dell’ordine pubblico, che la
società civile si propone come fine prossimo, di poter vivere bene, ma
soprattutto chiede sempre maggior aiuto per perfezionare i costumi; e
questa perfezione non consiste altro che nel conoscere e praticare la
virtù. Contemporaneamente l’uomo vuole doverosamente trovare nella
Chiesa gli aiuti dei quali possa fruire per la sua perfezione religiosa,
la quale si trova nella conoscenza e nella pratica della vera religione
che è la regina delle virtù, appunto perché, ordinandole a Dio, le
compie e le perfeziona tutte. – Nel sancire le leggi e le istituzioni si
deve aver riguardo alla natura morale e religiosa dell’uomo, e si deve
curare la sua perfezione, ma rettamente e con ordine: non si deve
comandare o vietare alcunché, senza tener conto di quello che spetta
alla società civile e di quello che spetta alla società religiosa. Per
questa ragione la Chiesa non può disinteressarsi delle leggi che hanno
valore nello Stato, non in quanto tali, ma perché, uscendo dai limiti
del proprio ambito, talvolta invadono il diritto della Chiesa. Anzi, per
essa è un dovere impostole da Dio di resistere ogni volta in cui la
legislazione dello Stato danneggi la religione, e di impegnarsi
attivamente affinché lo spirito del Vangelo arrivi a permeare le leggi e
le istituzioni dei popoli. – Poiché le sorti degli Stati per lo più
dipendono dall’indole dei governanti, la Chiesa non può favorire e
appoggiare coloro dai quali si sente contestata: cioè coloro che
apertamente ricusano di rispettare i suoi diritti e che vogliono
separare due cose connesse per la loro natura, la religione e la vita
civile. Al contrario essa favorisce, come è suo dovere, coloro che
avendo un giusto concetto dello Stato e della società cristiana,
vogliono operare concordi per il bene comune. In questi precetti è
contenuta la norma che ogni cattolico deve seguire nell’esercizio della
vita pubblica.
Pertanto, è permesso ovunque militare per la Chiesa nella
politica, favorendo uomini di specchiata probità morale che diano buona
speranza di onorare il nome cristiano, e non c’è nessuna ragione per
cui si debba dare la preferenza a uomini ostili alla religione. – Da
questo appare chiaramente quanto sia importante il dovere di conservare
l’unità degli animi specialmente in questi tempi, in cui con tanta
astuzia viene impugnato il cristianesimo. Tutti coloro che vogliono
restare fedeli alla Chiesa che è “colonna e fondamento della verità”
(1Tm 3,15) eviteranno facilmente i maestri menzogneri “che promettono
agli altri la libertà, mentre essi stessi sono schiavi della corruzione”
(2Pt 1,19). Anzi, resi forti della potenza spirituale della Chiesa,
sapranno vincere con la saggezza le insidie, e con il coraggio la
violenza. – Non è questo i luogo per indagare se e quanto abbiano
contribuito a creare questo nuovo stato di cose l’opera troppo debole e
l’interna discordia dei cattolici: ma certamente gli uomini malvagi
sarebbero stati meno audaci e non avrebbero provocato tante rovine se ci
fosse stata negli animi di molti una fede più vigorosa: quella fede che
“opera per mezzo della carità” (Gal V,6), e non sarebbe tanto scaduta
nel costume quella morale cristiana che ci è stata divinamente affidata.
Voglia Dio che il passato, attraverso il ricordo, procuri maggiore
saggezza nell’avvenire. – Quanto poi a coloro che parteciperanno alla
politica dovranno evitare due difetti, dei quali uno usurpa il falso
nome di prudenza, l’altro è la temerarietà. Alcuni affermano che non
conviene opporsi apertamente alla potente e imperante iniquità, perché
la lotta non esasperi l’animo degli avversari. Non si sa se costoro
stiano pro o contro la Chiesa, in quanto affermano di professare la
dottrina cattolica ma poi vorrebbero che la Chiesa permettesse di
propagare impunemente le teorie che le sono contrarie. Si lamentano
dello scadimento della fede e anche della corruzione dei costumi, ma non
fanno nulla per rimediarvi, anzi talvolta con l’eccessiva indulgenza o
con una dannosa simulazione aggravano il male. Costoro vogliono che
nessuno abbia dubbi sulla loro devozione alla Sede Apostolica, ma hanno
sempre qualcosa da rimproverare al Papa.
La prudenza di queste persone è
di quel genere che l’Apostolo Paolo chiama “sapienza della carne e
morte dell’anima”, dato che non è né può essere subordinata alla legge
divina . Nulla è meno utile per chi voglia diminuire questi mali. I
nemici lo dichiarano apertamente, e se ne gloriano: hanno il fermo
proposito di abbattere fin dalle fondamenta, se fosse possibile, l’unica
vera religione, quella cattolica. Con tale obiettivo tutto osano:
comprendono infatti che quanto più si indebolirà il coraggio degli
altri, tanto maggiore libertà avranno per compiere le loro malefatte.
Pertanto coloro che seguono la “prudenza della carne” e fingono di
ignorare che ognuno deve essere un buon soldato di Cristo, coloro che
vogliono conseguire il premio dovuto ai vincitori attraverso una via
addolcita e senza combattere, invece di troncare la via dei malvagi
arrivano a favorirla. – Alcuni, mossi da intenti fallaci o, quel che è
peggio, un po’ agendo e un po’ dissimulando, non si assumono le loro
responsabilità. Vorrebbero che la Chiesa si reggesse secondo il loro
giudizio e parere, fino ad accettare di malavoglia o con ripugnanza ciò
che si fa altrimenti. Costoro contestano con vane parole e sono da
rimproverare non meno degli altri. Questo significa non voler seguire la
legittima potestà, ma prevenirla; è un voler trasferire ai privati
l’ufficio dei magistrati, con grande sconvolgimento di quell’ordine che
Dio ha stabilito nella sua Chiesa, da osservarsi in perpetuo, e che non
permette sia violato impunemente da chicchessia. – Agiscono veramente
bene coloro che non rifiutano di scendere in campo ogni volta che è
necessario, nella ferma persuasione che un’ingiusta persecuzione contro
la santità del diritto e della religione avrà certamente fine. Questi si
presentano come coloro che riprendono ancora l’antico valore, quando si
sforzano di difendere la religione, specialmente contro quella setta
audacissima, nata per far guerra al cristianesimo, che non cessa di
perseguitare il Sommo Pontefice nei suoi poteri, pur conservando
diligentemente la tattica dell’obbedienza e di non intraprendere nulla
senza permesso. – Ma siccome questa volontà di obbedienza congiunta a
forza e carattere e a costanza è necessaria a tutti i cristiani,
affinché in qualsiasi circostanza “non siano carenti in nessuna cosa”
(Gc 1,4), Noi vorremmo che nell’animo di tutti fosse radicata quella che
Paolo chiama “la prudenza dello spirito” (Rm VIII,6). Questa, nel
moderare le azioni umane, segue l’aurea regola del giusto mezzo, facendo
sì che l’uomo non si disperi per paura, o troppo presuma per
temerarietà.
C’è anche differenza tra la prudenza politica, che riguarda
il bene comune, e quella che riguarda il bene personale di ciascuno.
Quest’ultima è propria di ogni privato, che nel governo di se stesso
segue i dettami della retta ragione. L’altra è quella dei governanti,
soprattutto dei sovrani, il cui compito è di governare validamente; così
come la politica dei privati è tutta impostata sulla prudenza, quella
del potere legittimo è di eseguire fedelmente i decreti . Questa
disposizione e quest’ordine tanto più devono valere nella società
cristiana, in quanto la prudenza politica del Pontefice abbraccia tanti
settori. Infatti egli non solo deve reggere la Chiesa, ma dirigere
dovunque le azioni dei cittadini cristiani, affinché si conformino alla
speranza di ottenere la vita eterna. Da questo risulta chiaramente che
oltre una somma concordia di pensieri e di opere, essi devono
conformarsi nell’agire alla sapiente politica del potere ecclesiastico.
Il governo della società cristiana, dopo il romano Pontefice e secondo
le sue direttive, spetta ai Vescovi, i quali anche se non hanno la
pienezza del potere pontificio, tuttavia nella gerarchia ecclesiastica
sono autentici principi e nell’amministrazione della propria Chiesa sono
“per così dire i principali costruttori… dell’edificio spirituale” , ed
hanno come coadiutori nel loro ufficio ed esecutori dei loro ordini i
sacerdoti. A questa struttura della Chiesa che nessun mortale può
cambiare, bisogna adattare l’azione della vita. E come è necessaria per i
Vescovi l’unione con la Sede Apostolica, così i chierici e i laici
devono vivere e operare in perfetta unione con i Vescovi. Può accadere
di trovare qualcosa di poco lodevole in qualche Vescovo, sia nei
costumi, sia nelle opinioni: ma nessun privato deve arrogarsi la
funzione di giudice, perché questo potere Cristo Signore lo diede
soltanto a colui cui affidò gli agnelli e le pecore.
Tenga ben presente
ciascuno le sapientissime parole di Gregorio Magno: “I sudditi devono
essere ammoniti a non giudicare temerariamente la vita dei loro
superiori, anche se forse vedono in loro qualcosa di riprovevole,
affinché mentre giustamente riprovano il male, essi per orgoglio non
cadano più in basso di loro. Devono essere ammoniti che, considerando le
colpe dei loro superiori, non diventino arroganti contro di essi, ma se
le loro colpe sono molto grandi, le giudichino entro se stessi, in modo
che per l’impulso del timore di Dio non ricusino il dovere della
obbedienza… Le azioni dei superiori non devono essere ferite con la
spada della lingua, anche quando sono giustamente da condannare” . – Ma
tutti questi sforzi giovano poco se non viene intrapresa una condotta di
vita conforme alla morale cristiana. È della Sacra Scrittura quella
sentenza sul popolo ebreo: “Finché non peccarono al cospetto del loro
Dio avevano molti beni, perché Dio odia la loro iniquità. Quando
abbandonarono la strada che Dio aveva loro insegnato perché in essa
camminassero, furono sterminati in battaglia da molti popoli” (Gdt
5,21-22). La nazione Giudaica portava in sé la figura del popolo
cristiano: nelle sue antiche vicende c’era il preannuncio di realtà
future; sennonché avendoci la bontà divina arricchiti e ornati di molti e
maggiori benefici, la colpa dell’ingratitudine rende ancor più gravi le
colpe dei cristiani. – La Chiesa in nessun tempo e in nessun modo viene
abbandonata da Dio: per questo non ha nulla da temere dalla malvagità
degli uomini; ma le nazioni, degenerando dalla virtù cristiana, non
possono avere la stessa sicurezza. “Infatti il peccato rende miseri i
popoli” (Pr 14,34). E se ogni età anteriore ha sperimentato la forza e
la verità di questa sentenza, per quale motivo non dovrebbe
sperimentarla la nostra? Anzi, molti già affermano che il castigo è
imminente e la condizione stessa degli Stati moderni lo conferma:
infatti ne vediamo parecchi per nulla sicuri e tranquilli a causa delle
discordie intestine. E se le fazioni dei malvagi continueranno
spavaldamente per questa strada: se accadrà che coloro che già procedono
sulla via del malaffare e dei peggiori proponimenti aumentino di potere
e di mezzi, c’è da temere che demoliscano tutto l’edificio sociale fin
dalle fondamenta poste dalla natura. E non è possibile che tanti
pericoli possano essere allontanati con la sola opera degli uomini,
soprattutto perché molta gente, abbandonata la fede cristiana,
giustamente paga il fio della propria superbia; accecata dalle passioni,
inutilmente cerca la verità; abbraccia come vero ciò che è falso, e
crede di essere saggia “quando chiama bene il male e male il bene” e
chiama “luce le tenebre e tenebre la luce” (Is 5,20).
È necessario che
Dio intervenga e, memore della sua benignità, rivolga uno sguardo
pietoso sulla società civile. Per questo, come abbiamo altre volte
esortato, è necessario adoperarsi con particolare zelo e costanza
affinché la divina clemenza venga implorata con umile preghiera e siano
richiamate quelle virtù che costituiscono l’essenza della vita
cristiana. – Prima di tutto bisogna far risorgere e poi difendere la
carità, che è il fondamento della vita cristiana, senza la quale le
altre virtù sono vane e senza alcun frutto. San Paolo, esortando i
Colossesi a fuggire qualsiasi vizio ed a conseguire la lode per le altre
virtù, aggiunge “soprattutto conservate la carità, che è il vincolo
della perfezione” (Col III,14). La carità è certamente il vincolo della
perfezione, perché congiunge intimamente con Dio coloro che la
praticano, per cui ottengono da Dio la vita dell’anima, agiscono in
unione con Dio e tutto riferiscono a Dio. L’amore per Dio deve però
essere unito all’amore per il prossimo, perché gli uomini partecipano
della infinita bontà di Dio e portano espressa in se stessi la sua
immagine e somiglianza. “Noi abbiamo da Dio questo comandamento: chi ama
Dio deve amare il fratello” (1Gv IV,21). “Se qualcuno dirà che ama Dio e
odia il fratello, è bugiardo” (1Gv IV,20). Il divino legislatore di
questo comandamento della carità lo chiamò “nuovo” non perché qualche
altra legge o la stessa natura non avessero già comandato di amare il
prossimo, ma perché questo modo cristiano di amare era affatto nuovo, e a
memoria d’uomo inaudito. Infatti Gesù Cristo domandò ai suoi discepoli e
seguaci quell’amore con il quale Egli è amato dal Padre ed Egli stesso
ama gli uomini, affinché essi potessero essere in Lui un cuore solo e
un’anima sola, come Egli e il Padre sono per natura una cosa sola.
Nessuno ignora come la potenza di questo precetto sia profondamente
penetrata fin dall’inizio nel cuore dei cristiani, e quali frutti di
concordia, di benevolenza reciproca, di pietà e di pazienza abbia
procurato.
Perché non ci si adopera ad imitare gli esempi dei primi
cristiani? I nostri tempi ci stimolano vivamente alla carità. Mentre gli
empi rinfocolano il loro odio contro Gesù Cristo, i cristiani devono
rinvigorire la loro pietà e rinnovare quella carità che è fonte di
grandi imprese. Cessino dunque gli eventuali dissensi; tacciano quelle
contese che diminuiscono le forze dei combattenti e in nessun modo
giovano alla religione: con l’unione delle menti nella stessa fede, con
la carità sollecitatrice delle volontà, vivano tutti, come è giusto,
nell’amore di Dio e dell’umanità. – L’occasione Ci porta ad ammonire
specialmente i padri di famiglia affinché sappiano governare la loro
casa con questi precetti ed educare bene i figli. La famiglia è il germe
della società civile, e le sorti della società si formano in gran parte
fra le pareti domestiche. Pertanto, coloro che vogliono strappare la
società dal cristianesimo, partono dalle radici e si affrettano a
corrompere la famiglia. Da questa decisione e da questo crimine non li
trattiene il pensiero di non poterlo fare senza recare una gravissima
ingiuria ai genitori: infatti i genitori hanno dalla natura il diritto
di educare coloro che hanno procreato, con il conseguente dovere che la
loro educazione corrisponda alla grazia di avere avuto dei figli in dono
da Dio. È dunque necessario che i genitori, reagendo, si sforzino di
respingere in questo campo ogni intromissione ingiuriosa e rivendichino
il diritto di educare come conviene i figli nel costume cristiano,
specialmente tenendoli lontani da quelle scuole nelle quali corrono il
pericolo di assorbire il veleno dell’empietà. Quando si tratta di
formare rettamente la gioventù, nessun’opera e fatica sono tanto
rilevanti che non se ne possano compiere delle maggiori. In questo sono
veramente degni di ogni ammirazione quei cattolici di varie nazioni, che
per l’educazione dei loro figli hanno organizzato scuole con grandi
spese e maggiore costanza. Bisogna che questi salutari esempi siano
imitati dovunque i tempi lo esigono: ma si convinca ognuno che prima di
tutto nell’anima dei fanciulli molto può l’educazione domestica.
Se
l’adolescenza avrà trovato in casa una retta regola di vita, come una
palestra di cristiane virtù, la salvezza della società sarà in gran
parte assicurata. – Ci sembra avere trattato delle cose principali che i
cattolici oggi devono seguire oppure evitare. Il resto, Venerabili
Fratelli, tocca a voi: che la Nostra voce si diffonda in ogni parte e
che tutti comprendano quanto è importante mettere in pratica le cose
delle quali abbiamo trattato in questa lettera. L’osservanza di questi
doveri non può essere né molesta né grave, perché il giogo di Gesù
Cristo è lieve e il suo carico leggero. Se qualche cosa sembrerà
difficile da eseguire, con la vostra autorità e con il vostro esempio
farete sì che ognuno, con la maggior forza d’animo, vi si applichi e
dimostri coraggio contro ogni difficoltà. Spiegate a tutti che sono in
pericolo, come spesso abbiamo ammonito, i beni più grandi e più
desiderabili, per la difesa dei quali ogni fatica deve essere
considerata sopportabile; a tale sforzo è unita una grandissima
ricompensa, quanta ne produce una vita cristianamente vissuta.
Altrimenti, rifiutarsi di combattere per Cristo significa combattere
contro di Lui. Egli stesso proclama (Lc 9,26) che rinnegherà davanti al
Padre suo che è nei cieli chiunque avrà ricusato di confessarlo davanti
agli uomini sulla terra. – Per quanto riguarda Noi e tutti voi,
certamente, finché siamo in vita faremo sì che non vengano mai meno in
questo combattimento la Nostra autorità, il Nostro consiglio e la Nostra
opera. E non c’è dubbio che sia al gregge, sia ai pastori, non mancherà
il particolare aiuto di Dio, finché il nemico non sarà vinto. –
Sostenuti da tale fiducia, auspice dei celesti favori, con tutto il
cuore impartiamo nel Signore a voi, Venerabili Fratelli, al Clero e a
tutto il popolo al quale singolarmente presiedete, come pegno della
Nostra benevolenza l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 10 gennaio 1890, anno dodicesimo del Nostro Pontificato.
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