AI PARROCI E AI QUARESIMALISTI DI ROMA
lunedì 13 marzo 2017
"Ogni ovile è spiato da ladri e malandrini, che agognano di farne il campo delle loro ruberie".
DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII
AI PARROCI E AI QUARESIMALISTI DI ROMA
AI PARROCI E AI QUARESIMALISTI DI ROMA
Sala del Concistoro – Venerdì, 27 marzo 1953
Ecco, diletti figli, una Udienza, alla quale non avremmo potuto
rinunziare. Appena le Nostre forze Ce lo hanno permesso, Ci siamo
affrettati a chiamarvi intorno a Noi, per trattenerCi un poco con voi,
per parlarvi col Nostro cuore ancor più che con le Nostre labbra.
La vostra presenza qui Ci è motivo di profondo gaudio e Ci spinge a
manifestarvi la Nostra più viva letizia; se infatti tanta gioia Ci
procura sempre l’incontro coi fedeli di Roma, quanto più grande deve
essere quella di poterCi trovare con voi, che dividete col Vescovo
dell’Urbe, col vostro Vescovo, le ansie, le trepidazioni, i timori, le
speranze, in una parola, le cure pastorali?
Vi diamo dunque, amati Parroci di Roma e Predicatori quaresimalisti,
il Nostro paterno benvenuto, nella speranza che quanto saremo
semplicemente per dirvi non solo servirà in qualche modo alla efficacia
del vostro ministero, ma giungerà anche alle menti e ai cuori di non
pochi romani, nel campo delle vostre apostoliche fatiche.
Voi ben sapete come la Sacra Scrittura, quando parla della Chiesa,
usa — secondo le circostanze — immagini architettoniche, sociali,
antropomorfe. Così la Chiesa è un edificio costruito sopra una « pietra »
fondamentale, tanto saldo che nessun impeto di uomini o di demoni varrà
a farlo crollare (cfr. Matth. 16, 18); è un regno, le cui
chiavi sono in mano di colui che ebbe da Gesù. Re eterno, la potestà di
legare e di sciogliere sulla terra e nel cielo (cfr. Matth. 16,
18-19); è un corpo, le cui membra sono i fedeli e le cui operazioni
sono governate dal Capo che è Gesù, rappresentato dal Vicario di Lui
sulla terra (cfr. Rom. 12, 4-6: 1 Cor. 12, 12-27; Eph. 4, 4).
Ma vi è un’immagine, sulla quale — come vi è noto — Gesù sembra
insistere in modo particolare, intrattenendosi a indicarne gli elementi,
a spiegarne il significato, a proporne le applicazioni pratiche: la
Chiesa è un ovile, che ha un Pastore supremo invisibile, Cristo stesso,
il quale però volle che facesse le sue veci sulla terra un Pastore
visibile, il Papa.
Per confidarCi con voi — come fa un padre coi figli più vicini e più
cari — Noi vi diciamo che pochi passi del Vangelo sono stati e sono
oggetto delle Nostre meditazioni quanto quello che descrive la Chiesa
come un ovile e qualifica il suo Capo col titolo, umile insieme e
grande, di Pastore (Io. 10, 1-18). Poche voci, per conseguenza,
risuonano tanto insistentemente — vorremmo dire: tanto imperiosamente, —
alle Nostre orecchie e s’imprimono tanto profondamente nel Nostro cuore
come questa: Tu es pastor ovium.
Non vi dispiaccia dunque che il Vescovo, il Pastore di Roma, rimediti
con voi quella pagina, riascolti con voi quella voce. Nello scorso
gennaio, ricevendo la parrocchia di S. Saba, procurammo di rivolgerCi
specialmente ai fedeli, indicando loro le mete da raggiungere,
invitandoli ad entrare, per così dire, in santa gara coi fedeli delle
altre parrocchie dell’Urbe. Intendevamo — fra l’altro — di proporre un
semplice e pratico modello, che potesse essere utile a quanti nel
settore parrocchiale desiderano lavorare all’attuazione del « mondo
migliore da Dio voluto » (Esort. 10 febbraio 1952). Oggi, quasi
a complemento di ciò che allora dicemmo, C’indirizziamo particolarmente
a voi, dilettissimi sacerdoti, cooperatori, — ognuno nel proprio
territorio, — del Vescovo presso il popolo romano, parte tanto eletta
dell’ovile universale di Cristo. Perciò Noi diremo a ciascuno di voi: tu es pastor ovium. La parrocchia, che Gesù per mezzo Nostro ti ha affidata, è anch’essa un ovile, e tu ne sei il pastore.
Ora l’opera del pastore, l’opera quindi di ciascuno di voi, dovrà
essere primieramente di difesa dai ladri. Ogni ovile è spiato da ladri e
malandrini, che agognano di farne il campo delle loro ruberie. Quando
essi si accostano all’ovile e furtivamente vi penetrano, non hanno che
un fine : rubare e fare strage: Fur non venit visi ut furetur et mactet et perdat (Io. 10, 10).
Dovete quindi e innanzi tutto studiarvi di individuare e riconoscere i
ladri, badando di non lasciarvi guidare da un certo semplicismo, che
farebbe volgere la vostra attenzione, le vostre precauzioni verso una
sola parte. Come nel gran mondo della Chiesa universale, così nel
piccolo mondo della parrocchia, il nemico » sembra uno, ma è molteplice.
Noi lo avvertimmo — se ben ricordate — dinanzi alla immensa moltitudine
degli Uomini di Azione Cattolica nella radiosa giornata del 12 ottobre
scorso. Vi è bensì — sarebbe impossibile di non accorgersene —un nemico
che tiene tutti particolarmente in ansia; esso diventa ogni giorno più
minaccioso, e insidia e assalta con tutti i mezzi e senza esclusione di
colpi; ma questo nemico è divenuto fra tutti il più facilmente
riconoscibile.
Altri nemici, o — se volete, — lo stesso « nemico » sotto diverse
forme e spoglie, occorrerà scoprire. Si avvicinano spesso vestiti da
agnelli, « in vestimentis ovium » (Matth. 7,
15). Bisognerà quindi adoperarsi affinché i fedeli li riconoscano dalle
opere; dalle piante, cioè, che per causa loro, nascono e crescono nel
campo di Dio, come pure dai frutti che su quelle piante maturano : « a fructibus eorum ».
A tal fine gioverà mostrare quanto disorientamento e quali tenebre
s’incontrano spesso là dove prima era tutto uno splendore di luce;
additare l’odio che opprime certi cuori, già dilatati nell’amore
operoso; la discordia e la guerra che infuriano là dove regnava la pace;
la torbida passione che sconvolge gli animi là dove era il candore
della purezza. Il « nemico » disanima i giovani, estinguendo in loro la
fiamma dei supremi ideali; priva i bambini della innocenza, riducendoli a
piccole furie ribelli contro Dio e contro gli uomini. E quando vedrete i
poveri privati delle loro più alte e consolanti speranze e certi ricchi
chiusi in un pervicace egoismo; quando rimarrete tristi davanti a
focolari, dove gli sposi gemono nel freddo, perché si è spento il fuoco
dell’amore; dite : ecco, è venuto il ladro; ecco, è venuto il nemico, ed
è venuto ut furetur et mactet et perdat, per rubare e portare lo scompiglio e la morte.
Contro questo multiforme nemico bisognerà reagire con l’impeto del
padre che difende i suoi figli e con la prontezza che un dovere così
urgente e tremendo impone.
Noi sappiamo che i Nostri parroci romani vigilano insonni e si
affaticano e si affannano per evitare la strage nel proprio ovile, o
almeno per ridurne il danno. Ognuno di voi è, con Noi, pastore
nell’ovile : tu es pastor ovium.
Ma ecco un’ansia di Gesù. Se, a guardia dell’ovile, invece del
pastore buono, vi fosse soltanto un mercenario, potrebbe avvenire che il
gregge rimanesse incustodito, o andasse addirittura disperso, appena
che si facesse sentire l’urlo dei lupi, avidi di preda, pronti
all’assalto : Mercenarius . . . vidit lupum venientem et dimittit oves et fugit, et lupus rapit et dispergit oves (Io.
10, 12). Oggi le condizioni del clero difficilmente possono essere un
motivo di umana attrattiva, come erano forse in altri tempi. In un mondo
preso, come non mai, nella rete dell’interesse, agitato dalla frenesia
del piacere e tormentato dalla sete di dominio, il sacerdozio è ed
appare come qualche cosa di raramente appetibile per coloro che
volessero rimanere nel mondo appartenendo al mondo. Voi, diletti figli,
vi sforzate di dare splendente esempio di distacco da quanto potrebbe
darvi l’apparenza di «impiegati », che nel lavoro non vedessero nè
cercassero altro fuorché una mercede — giusta, del resto — che valga a
procacciare loro il necessario sostentamento.
Senza dubbio, secondo la dottrina dell’Apostolo Paolo (cfr. Cor. 9, 13-14) e dello stesso Salvatore divino (cfr. Matth. 10, 10; Luc.
10, 7), colui che serve all’altare, ha diritto di vivere dell’altare;
ma non vi ricorderemo mai abbastanza l’impegno sacro che un giorno
assumeste dinanzi a Dio e alla Chiesa, quando il Vescovo vi affidò una
porzione del suo gregge. Nessuno di voi è il mercenario, il quale fugge
dinanzi al lupo, perchè non gl’importa niente delle pecorelle. Ognuno
vuol essere invece, ognuno è di fatto, pastore vero, pastore buono, che
nulla pretende, che anzi è disposto a immolare la vita stessa per le sue
pecorelle. Bonus pastor animam suam dat pro ovibus suis (Io. 10, 11).
In tal guisa passiamo, diletti figli, alla parte che chiameremo «
positiva » della Nostra meditazione con voi. — Dopo le parole severe
indirizzate ai ciechi ed ostinati Farisei, Gesù pronunzia —
probabilmente durante la festa della Sagra in Gerusalemme —
un’allegoria, improntata dai costumi pastorizi della Palestina,
traboccante di amore e di mistero, spirante la più soave tenerezza. Egli
è la porta dell’ovile, per la quale soltanto si può entrare ed uscire e
trovare il pascolo di salute. È il buon Pastore; conosce le sue
pecorelle, che ascoltano la sua voce e lo seguono, e per esse Egli dà la
sua vita.
Sia Egli, diletti figli, il vostro fulgido modello. Il buon pastore,
il buon parroco, deve conoscere tutte le pecorelle, di tutte occuparsi,
per tutte prodigarsi, affinché ad esse non manchino i pascoli
verdeggianti, herbae virentes (Prov. 27, 25).
Il suo primo pensiero correrà alle pecorelle che non sono nell’ovile.
Diletti figli, non dimenticate che ognuno di voi è parroco e pastore
per tutti coloro che dimorano nel territorio della sua parrocchia e per
il bene di tutti egli porta una tremenda responsabilità. Non sarà dunque
difficile di accorgersi che vi sono pecorelle le quali non appartengono
a quell’ovile: « Et alias oves habeo, quae non sunt ex hoc ovili » (Io. 10, 16), per risolvere senza indugio che anche esse debbono essere radunate: « et illas oportet me adducere » (ibid.).
È il problema, come voi vedete, delle pecorelle non entrate mai
nell’ovile; il problema di quelle che ne fuggirono, abbandonando la
fonte di acqua viva, per cercare melma e fango nelle cisterne
screpolate: « dereliquerunt fontem aquae vivae et foderunt sibi cisternas, cisternas dissipatas » (Ier. 2, 13).
Pecorelle smarrite, che non accetterebbero nemmeno di essere
ricercate; altre che invece gradirebbero di incontrare l’occhio
amorevole che le scopra e la mano pietosa che le raccolga e le
risollevi; altre infine che già si apprestano a tornare, e forse temono
di essere male accolte.
Noi vi scongiuriamo, diletti figli, di rimanere in uno stato di santa
e quasi perenne angustia per le pecorelle tuttora lontane, perchè non
ebbero mai o perdettero la fede.
Noi non dubitiamo che, di estate o d’inverno, di notte o di giorno,
quando verranno a battere alla vostra porta, la troveranno già aperta o
pronta ad aprirsi.
E quelle che non vengono, cercatele; e quelle che volessero rimanere
lontane ed ostili, raggiungetele con quell’apostolato della preghiera e
del sacrificio, che non conosce ostacoli ed è il più efficace di tutti.
Altre pecorelle sono nell’ovile e non intendono di allontanarsene
sottraendosi all’unità della fede o alla unità del regime; eppure,
rimanendo vittime del peccato, che si oppone all’unità nella grazia,
vengono giustamente chiamate membra morte del Corpo mistico di Cristo,
che è la Chiesa. Il pastore, il parroco, deve anzitutto ricercare le vie
più atte per procurare la loro risurrezione.
Abbiamo già detto altra volta (Discorso alla parrocchia di S. Saba)
che i veri fedeli, i vivi, si contano ai piedi dell’altare, quando il
sacerdote distribuisce il Pane di vita. Non basta trovarli numerosi al
cinema parrocchiale, e nemmeno, per sé, soltanto alla Messa domenicale.
Ma anche se dalla frequenza in questa ultima fosse possibile di
computare fondatamente i fedeli vivi, non è forse vero che già così si
presenterebbe uno spettacolo non sempre consolante al vostro occhio di
pastori? E le bestemmie? E i peccati contro il sesto comandamento
commessi dai giovani e da coloro che sono uniti col vincolo santo del
matrimonio? E i furti? E le false testimonianze?
A questi morti il buon pastore deve ridare la vita. Il sacerdote in
cura d’anime non può dimenticare che Gesù Pastore supremo ed universale
dichiarò di essere venuto al mondo affinchè le pecorelle avessero la
vita: Veni ut vitam habeant (Io. 10, 10).
Quando poi considera le pecorelle che sono vive, non creda il pastore
buono, il parroco, di poter restarsene tranquillo. È vero che in
particolari contingenze bisognerà lasciare le novantanove, sicure
nell’ovile, per correre dietro alla pecorella smarrita. Ordinariamente
però sarà necessario di conservare la vita in chi la possiede, avendo
cura che a nessuno manchi il conveniente nutrimento spirituale.
Anzi bisognerà non contentarsi di conservare; occorrerà anche accrescere la vita divina nelle anime. Veni ut vitam habeant et abundantius habeant (Io.
10, 10): proclamò il Redentore, intendendo che questa fosse anche
l’ansia degli altri pastori preposti alle varie porzioni del suo gregge
nell’ovile della Chiesa.
È il problema urgentissimo dei cattolici militanti. Ne parlammo già
ai fedeli di S. Saba e intendiamo di qui rinnovare la Nostra
raccomandazione che crescano in numero e in qualità. Sarà utile altresì
di riflettere che queste anime generose più facilmente seguiranno il
pastore che sappia precederle col suo esempio. Il buon pastore, « cum pro prias oves einiserit, ante cas vadit, et oves illuin sequuntur » (Io. 10, 4).
Forse l’uno o l’altro di voi sentirà dolorosamente il tagliente
contrasto fra la mirabile allegoria del buon Pastore e la cruda realtà
presente. E Noi vogliamo con ciò alludere non tanto alle difficoltà che
s’incontrano nelle grandi parrocchie col loro stragrande numero di
anime, quanto piuttosto al travaglio in cui vivono non pochi parroci in
varie regioni: indebolimento dello spirito di fede; accaniti sforzi
degli avversari per escludere la religione dalla vita pubblica; potenti
organizzazioni tese nella lotta contro Dio, Cristo e la Chiesa.
Noi non neghiamo, diletti figli, che la nave della Chiesa avanza in
un mare procelloso. Tuttavia, quanto maggiori sono le difficoltà, tanto
più dobbiamo conservare la quiete interiore ed elevare il cuore a Dio.
Noi viviamo di fede (cfr. Rom. I, 17). Ma la fede importa un
abbandono incondizionato in Dio, indipendentemente da ogni calcolo umano
delle possibilità di un favorevole successo. Nel momento in cui noi
cominciassimo a dirigere l’opera nostra secondo un tale calcolo, ci
allontaneremmo dal senso della fede. Non dobbiamo inoltre dimenticare
che la via della Chiesa è la via della Croce, e che il seguire Gesù
portando la croce è dovere primario del sacerdote.
È stato giustamente osservato che nella storia della Chiesa vi sono
periodi, in cui viene principalmente gettato il seme del futuro
sviluppo. Le generazioni venture ripongono poi la ricca messe nei
granai. Ci troviamo forse noi ora in una simile epoca di promettente
seminagione? Ad ogni modo, se il Male ai nostri giorni ha accresciuto la
sua potenza, ciò è vero anche più del Bene, e la Chiesa ha potuto
registrare ai nostri tempi fulgidissimi esempi di ardente zelo per la
gloria di Dio e per la salvezza di tante anime immortali.
Il numero di coloro, che vogliono rimanere fedeli a Cristo e alla sua
Chiesa, merita davvero sempre il pieno impiego delle vostre forze; e
quanto ai lontani e ai nemici, valga per essi l’olocausto delle vostre
preghiere, delle vostre fatiche, delle vostre ansietà, ed anche delle
vostre forse deluse speranze.
Cuore largo, imperturbabile coraggio, incrollabile fiducia, siano il
sostegno della vostra vita, e con tale augurio impartiamo di cuore a
voi, a tutto il clero e il popolo romano, la Nostra Apostolica
Benedizione.
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