Paolo disse ai santi di Filippi: “Siate miei imitatori, fratelli, e riguardate a coloro che camminano secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti camminano (ve l’ho detto spesso e ve lo dico anche ora piangendo), da nemici della croce di Cristo; la fine de’ quali è la perdizione, il cui dio è il ventre, e la cui gloria è in quel che torna a loro vergogna; gente che ha l’animo alle cose della terra” (Filippesi 3:17-19).
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A proposito dell'articolo del cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, uscito su "L'Osservatore Romano" del 7 luglio scorso, pubblichiamo un intervento del Rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, e la replica del porporato.
Gli Ebrei,uccisori di Nostro Signore ed attuali nemici della Croce di Cristo...
Leggere con attenzione il Commenterio sulla Nostra Aetate di Don Curzio Nitoglia...
d) La genesi di “Nostra Aetate”
Come abbiamo visto, sia gli ebrei che i cristiani, ritengono che “N.A.” sia la “Dichiarazione” più importante del Concilio, avendo dato luogo ad una nuova èra, quella della “chiesa conciliare” (come l’hanno chiamata i cardinali Benelli e Kasper), fondata sui rapporti tra ebraismo e cristianesimo, in essa Gesù non è più necessario alla salvezza degli ebrei, i quali sono sempre cari a Dio, sono tuttora il suo popolo eletto e restano nella sua Alleanza che non è stata mai revocata.
Ma come si è arrivati a tanto?
Marx Jules Isaac, appartenente alla setta massonica del bnai
brith, è stato uno dei protagonisti principali della formazione di “N. A.”; egli era un ebreo, non credente, tendenzialmente comunista ed iscritto al
B’nai B’rith (la massoneria ebraica), come ha rivelato il presidente del
B.B. francese Marc Aron, il 16 novembre del 1991, nel discorso in occasione della premiazione del card. Decourtray ().
L’incontro tra Roncalli e Isaac (13 giugno 1960) fu organizzato dal B.B e da alcuni uomini politici socialcomunisti ().
L’altro artefice di “N.A” fu il card.
Agostino Bea (
noto massone che compare anche nella lista dei 121 ecclesiastici massoni di Pecorelli). Il porporato tedesco, volle incontrare - subito dopo aver ricevuto da Roncalli l’incarico di arrivare ad un documento “revisionista” sui rapporti giudaico-cristiani -
Nahum Goldman, presidente del
Congresso Mondiale Ebraico, a Roma il 26 ottobre 1960. Bea chiese a Goldman, da parte di Roncalli, una bozza per il futuro documento del Concilio sui rapporti cogli ebrei e sulla libertà religiosa (“N.A” e “D.H”). Il 27 febbraio 1962 il
memorandum fu presentato a Bea da Goldman e Label Katz (membro del
B.B.), a nome della
Conferenza Mondiale delle Organizzazioni Ebraiche. Ebbene questa bozza ispirata dalla massoneria ebraica (
B.B.) e dal
Congresso Mondiale Ebraico, ha prodotto
Nostra Aetate ().
Lo stesso Bea, sin dal 1961, incontrava spesso, a Roma, il rabbino Abraham Heschel, professore al seminario teologico ebraico, che «come collega scientifico di Bea... esercitò un notevole influsso sulla elaborazione di “N.A.”» ()
Nel 1986 Jean Madiran ha svelato l’accordo segreto di Bea-Roncalli con i dirigenti ebrei (Isaac-Goldman), citando due articoli di Lazare Landau, su Tribune Juive (n° 903, gennaio 1986 e n° 1001, dicembre 1987). Landau scrive: «nell’inverno del 1962, i dirigenti ebrei ricevevano in segreto, nel sottosuolo della sinagoga di Strasburgo, un inviato del papa... il padre domenicano Yves Congar, incaricato da Bea e Roncalli di chiederci, ciò che ci aspettavamo dalla Chiesa cattolica, alla vigilia del Concilio... la nostra completa riabilitazione, fu la risposta... In un sottosuolo segreto della sinagoga di Strasburgo, la dottrina della Chiesa aveva conosciuto realmente una mutazione sostanziale» ()...
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La lingua del dialogo deve essere comune
di RICCARDO DI SEGNI
Nell'"Osservatore Romano" del 7 luglio, Sua Eminenza il Cardinale Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani, ha proposto alcune riflessioni sul significato della Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo che avrà luogo il 27 ottobre ad Assisi.
Le riflessioni del Cardinale coinvolgono il dialogo interreligioso e nell'ultima parte dell'articolo vi sono dei riferimenti ai rapporti con l'ebraismo. Su questi punti vorrei tornare, perché si tratta di aspetti essenziali e decisivi del problema del dialogo e delle sue regole. Il Cardinale scrive che la croce di Gesù "si erge sopra di noi come il permanente e universale Yom Kippur", e "pertanto la croce di Gesù non è di ostacolo al dialogo interreligioso; piuttosto, essa indica il cammino decisivo che soprattutto ebrei e cristiani [...] dovrebbero accogliere in una profonda riconciliazione interiore diventando così fermento di pace e di giustizia nel mondo". Ferma restando la condivisione degli obiettivi di pace e giustizia, temo che queste parole, benché ispirate da fraternità e da buona volontà, se non vengono spiegate meglio, possano denunciare i limiti di un certo modo di fare dialogo da parte cristiana. Per capire l'impatto che queste parole possano avere su un lettore ebreo, è necessaria qualche spiegazione. Yom Kippur, il giorno dell'espiazione di istituzione biblica, è una data fondamentale del calendario liturgico ebraico. È il giorno in cui è concessa la remissione dei peccati. Nel passaggio tra ebraismo e cristianesimo, quest'ultimo ha ripreso alcune ricorrenze dell'ebraismo (come la Pasqua), integrandone il significato con gli elementi della sua fede. Questo non è successo però per tutte le ricorrenze ebraiche autunnali, tra cui il Kippur; una possibile spiegazione di questa assenza è che la fede cristiana ha assorbito in sé il valore espiatorio del Kippur, che non le è più necessario; ed è quello che dice qui il Cardinale parlando della Croce; ma d'altra parte il fedele ebreo che continua a celebrare il Kippur afferma implicitamente che per lui la Croce non è necessaria. Ma allora che cosa c'è di problematico nelle parole del Cardinale, che in apparenza non fa che affermare i principi della sua fede? Se fosse solo così, non sarebbe criticabile; non si può certo chiedere, nella cornice del dialogo, che uno dei due interlocutori rinunci o nasconda o eviti di testimoniare la sua fede, per un malinteso senso di rispetto nei confronti dell'altro; il dialogo presuppone la differenza. Ma il punto è che bisogna vedere cosa ci si fa con la differenza. Mi pare di cogliere nelle parole del Cardinale, in tutto il suo articolo, prima di tutto la necessità di dimostrare alla propria comunità che la necessità e l'urgenza del dialogo sono radicate nei principi della fede; e fin qui è un impegno lodevole, anche perché può esistere una minoranza di cattolici che non condivide ancora queste idee. Ma ben diversa è la sua proposta all'interlocutore ebreo di farsi indicare "il cammino decisivo" da simboli che non condivide. Tanto più quando questi simboli vengono presentati come sostituzioni, con valore aggiunto, dei riti e dei simboli in cui crede l'interlocutore. Il credente cristiano può certamente pensare che la Croce rimpiazzi in modo permanente e universale il giorno del Kippur, ma se desidera dialogare sinceramente e rispettosamente con l'ebreo, per il quale il Kippur rimane parimenti nella sua valenza permanente e universale, non deve proporre all'ebreo le sue credenze e interpretazioni cristiane come indici del "cammino decisivo". Perché allora veramente si rischia di rientrare nella teologia della sostituzione e la Croce diventa ostacolo. Il dialogo ebraico-cristiano soffre inevitabilmente di questo rischio, perché l'idea della realizzazione delle promesse ebraiche è base della fede cristiana; quindi l'affermazione di questa fede contiene sempre un'implicita idea di integrazione, se non di superamento della fede ebraica. Questo anche quando si dichiara, con il Concilio e Nostra aetate, che le promesse al popolo ebraico sono irrevocabili. Ma la propria differenza non può essere proposta all'altro come il modello da seguire. In questo modo si supera un limite che nel rapporto ebraico-cristiano può sembrare sfumato ma che deve essere invalicabile. Perlomeno non è un modo di dialogare che possa interessare gli ebrei. Per usare un'espressione oggi molto comune, è come passare dall'et et all'aut aut. La lingua del dialogo deve essere comune e il progetto deve essere condiviso. Se i termini del discorso sono quelli di indicare agli ebrei il cammino della Croce, non si capisce il perché di un dialogo e il perché di Assisi.
(©L'Osservatore Romano 29 luglio 2011)
Ebrei e cattolici verso il prossimo incontro di Assisi Sicuramente la Croce non è un ostacolo
di KURT KOCH
Posso capire che il Rabbino Capo Di Segni abbia reagito in maniera così sensibile al mio articolo sulla "Giornata di riflessione, dialogo e preghiera" ad Assisi. Difatti, vi si menzionava un tema che non solo è pesantemente connotato dal punto di vista storico ma costituisce anche oggi una difficile questione nel dialogo ebraico-cattolico. Pertanto, desidero offrire brevemente le seguenti riflessioni.
Il mio articolo si rivolgeva ai lettori cristiani, a cui volevo far presente il loro compito di riconciliarsi anche e precisamente con l'ebraismo, compito che deriva dall'essenza stessa della fede cristiana. È nella logica di questa fede la centralità fondamentale della croce di Gesù come fulcro della riconciliazione tra Dio e gli uomini. Ma è anche per l'amore nutrito nei confronti dell'ebraismo e per l'amicizia, degna di riconoscenza, che mi è stata testimoniata dal Rabbino Capo Di Segni, che ho voluto far riferimento alla croce, dato che questa è stata a lungo considerata come un grande ostacolo alla riconciliazione tra cristiani ed ebrei. Volevo infatti mostrare che, partendo precisamente dall'evento della croce, i cristiani hanno il dovere di riconciliarsi con gli ebrei. Per i cristiani la croce non può essere "un ostacolo al dialogo interreligioso". Se i rappresentanti di altre religioni e soprattutto gli ebrei, la vedono in tal modo, non sta a me giudicare; ciò si iscrive piuttosto nella libertà della convinzione religiosa di ognuno. Non ritengo assolutamente che gli ebrei debbano vedere la croce come noi cristiani per poter intraprendere insieme il cammino verso Assisi. Il fatto che Yom Kippur rappresenti una data fondamentale nel calendario liturgico ebraico e che rivesta un'importanza centrale per la fede ebraica è per me fuori discussione e lo rispetto. A me stava a cuore semplicemente il compito comune della riconciliazione e della pace, sapendo bene che per entrambe la motivazione è diversa negli ebrei e nei cristiani. Tutto ciò che esula da questo rispetto reciproco contraddirebbe lo spirito nel quale Papa Benedetto XVI rivolge il suo invito a partecipare alla Giornata di Assisi.
Alla luce di ciò, non si intende pertanto sostituire lo Yom Kippur ebraico con la croce di Cristo, anche se i cristiani vedono nella croce "il permanente e universale Yom Kippur". Ecco che viene qui toccato il punto fondamentale, molto delicato, del dialogo ebraico-cattolico, ovvero la questione di come si possano conciliare la convinzione, vincolante anche per i cristiani, che l'alleanza di Dio con il popolo d'Israele ha una validità permanente e la fede cristiana nella redenzione universale in Gesù Cristo, in modo tale che, da una parte, gli ebrei non abbiano l'impressione che la loro religione è vista dai cristiani come superata e, dall'altra, i cristiani non debbano rinunciare a nessun aspetto della loro fede. Senz'altro, tale questione fondamentale occuperà ancora a lungo il dialogo ebraico-cristiano; qui può essere menzionata solo brevemente. Tuttavia, essa non è sicuramente un ostacolo al fatto che cristiani ed ebrei, nel reciproco rispetto davanti alle rispettive convinzioni religiose, s'impegnino a promuovere la pace e la riconciliazione e s'incamminino insieme, così, verso Assisi.
(©L'Osservatore Romano 29 luglio 2011)
Posso capire che il Rabbino Capo Di Segni abbia reagito in maniera così sensibile al mio articolo sulla "Giornata di riflessione, dialogo e preghiera" ad Assisi. Difatti, vi si menzionava un tema che non solo è pesantemente connotato dal punto di vista storico ma costituisce anche oggi una difficile questione nel dialogo ebraico-cattolico. Pertanto, desidero offrire brevemente le seguenti riflessioni.
Il mio articolo si rivolgeva ai lettori cristiani, a cui volevo far presente il loro compito di riconciliarsi anche e precisamente con l'ebraismo, compito che deriva dall'essenza stessa della fede cristiana. È nella logica di questa fede la centralità fondamentale della croce di Gesù come fulcro della riconciliazione tra Dio e gli uomini. Ma è anche per l'amore nutrito nei confronti dell'ebraismo e per l'amicizia, degna di riconoscenza, che mi è stata testimoniata dal Rabbino Capo Di Segni, che ho voluto far riferimento alla croce, dato che questa è stata a lungo considerata come un grande ostacolo alla riconciliazione tra cristiani ed ebrei. Volevo infatti mostrare che, partendo precisamente dall'evento della croce, i cristiani hanno il dovere di riconciliarsi con gli ebrei. Per i cristiani la croce non può essere "un ostacolo al dialogo interreligioso". Se i rappresentanti di altre religioni e soprattutto gli ebrei, la vedono in tal modo, non sta a me giudicare; ciò si iscrive piuttosto nella libertà della convinzione religiosa di ognuno. Non ritengo assolutamente che gli ebrei debbano vedere la croce come noi cristiani per poter intraprendere insieme il cammino verso Assisi. Il fatto che Yom Kippur rappresenti una data fondamentale nel calendario liturgico ebraico e che rivesta un'importanza centrale per la fede ebraica è per me fuori discussione e lo rispetto. A me stava a cuore semplicemente il compito comune della riconciliazione e della pace, sapendo bene che per entrambe la motivazione è diversa negli ebrei e nei cristiani. Tutto ciò che esula da questo rispetto reciproco contraddirebbe lo spirito nel quale Papa Benedetto XVI rivolge il suo invito a partecipare alla Giornata di Assisi.
Alla luce di ciò, non si intende pertanto sostituire lo Yom Kippur ebraico con la croce di Cristo, anche se i cristiani vedono nella croce "il permanente e universale Yom Kippur". Ecco che viene qui toccato il punto fondamentale, molto delicato, del dialogo ebraico-cattolico, ovvero la questione di come si possano conciliare la convinzione, vincolante anche per i cristiani, che l'alleanza di Dio con il popolo d'Israele ha una validità permanente e la fede cristiana nella redenzione universale in Gesù Cristo, in modo tale che, da una parte, gli ebrei non abbiano l'impressione che la loro religione è vista dai cristiani come superata e, dall'altra, i cristiani non debbano rinunciare a nessun aspetto della loro fede. Senz'altro, tale questione fondamentale occuperà ancora a lungo il dialogo ebraico-cristiano; qui può essere menzionata solo brevemente. Tuttavia, essa non è sicuramente un ostacolo al fatto che cristiani ed ebrei, nel reciproco rispetto davanti alle rispettive convinzioni religiose, s'impegnino a promuovere la pace e la riconciliazione e s'incamminino insieme, così, verso Assisi.
(©L'Osservatore Romano 29 luglio 2011)
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RispondiElimina"...convinzione, vincolante anche per i cristiani, che l'alleanza di Dio con il popolo d'Israele ha una validità permanente e la fede cristiana nella redenzione universale in Gesù Cristo, in modo tale che, da una parte, gli ebrei non abbiano l'impressione che la loro religione è vista dai cristiani come superata e, dall'altra, i cristiani non debbano rinunciare a nessun aspetto della loro fede..." "partendo precisamente dall'evento della croce, i cristiani hanno il dovere di riconciliarsi con gli ebrei.."3 cose da dire:A Che l'alleanza con il popolo ebraico con Dio sia alleanza permanente E' INVENZIONE POST-CONCILIARE CONTRARIA AD OGNI INSEGNAMENTO PRECEDENTE,FATTA PER GRATIFICARE IL POPOLO EBRAICO.B gli ebrei devono sentire dai cristiani veri, credenti che ascoltano e seguono gli evangeli,che la loro religione è superata!Altrimenti si entra in contraddizione con tutto quanto è stato detto da secoli nei Vangeli e dai Padri della Chiesa.Se la enciclica Nostra Aetate, prodotta con le modalità che conosciamo, è in contrasto con quanto sempre insegnato,è faccenda di chi vuol esserein contrasto con la Chiesa di sempre, non del fedele cattolico che segue la tradizione ecclesiale, unico deposito della fede in tempi drammatici come i nostri! C I CRISTIANI NON HANNO NESSUN DOVERE DI RICONCILIAZIONE,SEMMAI IL CONTRARIO. Poichè risulta che mai la fede cristiana si oppose a che gli ebrei si convertissero al credo che partì proprio da loro e dalla loro tradizione.Sono i pagani, di cui la stragrande magioranza è formata nel cristianesimo ,che appresero la nuova Via dagli ebrei convinti del Cristo,il Messia tanto atteso. Quindi se la parola riconciliazione significa (come intendono adesso..) arrivare ad un compromesso per avvicinarsi al credo ebraico, NO; PROPRIO NO ! non per questo è da seguire!L'errore proviene dal compromesso di papi ed encicliche colluse col compromesso per amore di una pace che non è la Pace di Gesù il Cristo, ma è la pace degli uomini,ovvero la pace ad ogni costo sulla Terra per compromessi di ogni genere, fino alla perdita della fede ed identità nella PAROLA DI DIO.
RispondiEliminaNon è certo una pataccata come Assisi che può promuovere la vera pace e la riconciliazione camminando insieme!Soltanto la individuale apologia del Bene e della Parola di Dio può fare presa sul miscredente per avvicinarlo al Signore.Se le adunate organizzate, come Assisi, fossero il tentativo della Chiesa di avvicinare gli altri al cristianesimo cattolico, insegnando e divulgando la verità dei Vangeli, allora sarebbe positivo.Ma, poichè, date le premesse ed i proclami papali, non sarà proprio così, ma solo un raduno sorridente di pacifisti ad ogni costo, NON SERVE A NULLA, SE NON OTTUNDERE LE COSCIENZE DI CIASCUNO DALLA PROPRIA FEDE o CREDO, PREPARANDO IL TERRENO ALLA RELIGIONE UNIVERSALE, di massonica ispirazione.
RispondiEliminaCero Mardu cade a fagiuolo quello che ieri ho letto nella bellissima enciclica Quare lacrymae di Pio VI a proposito del tuo punto C. San Cipriano: "Come è possibile che siano gli eretici a giudicare i cristiani, gli ammalati ad occuparsi dei sani, i feriti di chi è rimasto incolume, i peccatori del santo, i rei dei giudici e i sacrileghi del sacerdote?".
RispondiEliminaCVCRCI
Marco 8:38 Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi».
RispondiEliminaCVCRCI
Santa Caterina da Siena scrisse:
RispondiElimina"Ahimè! Ahimè! Le membra di Cristo si corrompono perché nessuno le castiga.
Gesù ha una particolare avversione a tre vizi: l’impurità, l’avarizia e l’orgoglio che dilagano nella Chiesa di Cristo, cioè, in coloro che pensano soltanto ai piaceri, alle onorificenze, alle ricchezze.
Costoro vedono che i demoni dell’inferno rapiscono le anime… e non se ne inquietano, perché loro stessi sono dei lupi e trafficano con la grazia divina.
Sarebbe necessaria una giustizia forte per castigarli: l’esagerata compassione è a volte una grande crudeltà."
Dopo la Misericordia, arriva sempre la Giustizia.
Patrizia