martedì 8 settembre 2015
VADE RETRO ALLA SATANICA CHIESA CONCILIARE E A CHI L'HA CREATA ED ANCHE A COLORO CHE GLI PERMETTE, (ALLA CHIESA CONCILIARE), DI SOPPRAVVIVERE...
Quanto grande sia la dignità del casto connubio, si
può principalmente
riconoscere da ciò, Venerabili Fratelli, che Nostro Signore
Gesù
Cristo, Figlio dell'Eterno Padre, quando assunse la natura dell'uomo
decaduto, in quella amorosissima economia con la quale compiè la
totale
riparazione della nostra schiatta, non solo volle comprendere in
maniera particolare anche questo principio e fondamento della
società
domestica e quindi del consorzio umano; ma richiamandolo inoltre alla
primitiva purità della istituzione divina, lo elevò a
vero e «grande» [1]
Sacramento della Nuova Legge, affidandone perciò tutta la
disciplina e
la cura alla Chiesa sua Sposa.
Ma perchè da questo rinnovamento del matrimonio si possano
raccogliere
i frutti desiderati presso i popoli di ogni regione e di ogni
età, si
debbono anzitutto illuminare le menti degli uomini con la vera dottrina
di Cristo intorno al matrimonio; inoltre occorre che i coniugi
cristiani, con la grazia divina che internamente ne corrobora la
debolezza della volontà, conformino in tutto pensieri e condotta
a
quella purissima legge di Cristo, per ottenerne a sè e alla loro
famiglia la vera pace e felicità.
Purtroppo tuttavia, non solamente Noi che da questa Apostolica Sede
come da una specola riguardiamo con occhi paterni tutto il mondo, ma
voi pure, Venerabili Fratelli, e certamente vedete e insieme con Noi
amaramente lamentate come tanti uomini, dimentichi di quell'opera
divina di restaurazione, o ignorino del tutto la grande santità
del
matrimonio cristiano o sfrontatamente la neghino, o persino qua e
là
vadano conculcandola, seguendo i falsi principii di una certa nuova e
del tutto perversa moralità. E poichè si sono cominciati
a diffondere
eziandio tra i fedeli questi perniciosissimi errori e questi depravati
costumi, che tentano d'insinuarsi insensibilmente ma sempre più
profondamente, abbiamo
creduto essere dovere del Nostro ufficio di Vicario di Gesù
Cristo in
terra e di supremo Pastore e Maestro, alzare la Nostra voce apostolica
per allontanare le pecorelle a Noi affidate dai pascoli avvelenati e,
per quanto dipende a Noi, custodirnele immuni.
Abbiamo perciò divisato, Venerabili Fratelli, di parlare a voi e
per
mezzo vostro a tutta la Chiesa di Cristo e a tutto il genere umano,
della natura del matrimonio cristiano, della sua dignità, dei
vantaggi
e benefici che ne derivano alla famiglia e alla stessa umana
società,
degli errori contrari a questo gravissimo punto della dottrina
evangelica, dei vizi che si oppongono alla stessa vita coniugale, e
infine dei principali rimedi da apportarvi. E in ciò intendiamo
seguire
le orme del Nostro predecessore Leone XIII, di s. m., la cui Enciclica
Arcanum [2], scritta or sono cinquant'anni intorno al
matrimonio
cristiano, con questa Nostra Enciclica facciamo Nostra e confermiamo e,
mentre esponiamo alquanto più diffusamente alcuni punti per
riguardo
alle condizioni e ai bisogni del tempo nostro, dichiariamo che essa non
solo non è andata in disuso ma ritiene tutto il suo vigore.
E
per esordire da quella stessa Enciclica, che quasi unicamente
mira a
rivendicare la divina istituzione, la dignità sacramentale e la
perpetua indissolubilità del matrimonio, resti anzitutto
stabilito
questo inconcusso e inviolabile fondamento: che il matrimonio non fu
istituito nè restaurato dagli uomini, ma da Dio; non dagli
uomini ma da
Dio autore della natura e da Gesù Cristo Redentore della
medesima
natura fu presidiato di leggi e confermato e nobilitato; le quali leggi
perciò non possono andar soggette a verun giudizio umano e a
veruna
contraria convenzione nemmeno degli stessi coniugi. Questa è la
dottrina della Sacra Scrittura, [3]
questa la costante ed universale
tradizione della Chiesa; questa la solenne definizione del Concilio
Tridentino che proclama e conferma con le parole stesse della Sacra
Scrittura l'origine da Dio Creatore della perpetuità e
indissolubilità
del vincolo del matrimonio, e la sua stabilità ed unità.
[4]
Benchè però il matrimonio di sua natura sia d'istituzione
divina, anche l'umana volontà arreca in esso il suo contributo,
e
questo nobilissimo. Infatti ogni particolare matrimonio, in quanto dice
unione coniugale fra un uomo e una donna determinata, non può
cominciare ad
esistere se non dal libero consenso di ambedue gli sposi; e questo atto
libero della volontà, col quale ambedue le parti dànno e
accettano il
diritto proprio del connubio [5],
è talmente necessario
perchè esista
vero matrimonio, che «non può venire supplito da nessuna
autorità
umana» [6]. Senonchè
questa libertà a ciò
soltanto si estende: che i
contraenti vogliano realmente contrarre matrimonio e contrarlo con
questa determinata persona; ma la natura del matrimonio è
assolutamente
sottratta alla libertà umana, in modo che una volta che uno
abbia
contratto matrimonio, resta soggetto alle sue leggi e alle sue
proprietà essenziali. Infatti il Dottore Angelico, trattando
della fede
e della prole, «questo, dice, è causato dallo stesso patto
coniugale,
così che se nel consenso, che fa il matrimonio, si esprimesse
qualche
cosa di contrario a ciò, non esisterebbe vero matrimonio» [7].
Mediante il connubio adunque si congiungono e si stringono intimamente
gli animi, e questi prima e più fortemente che non i corpi,
nè
già per un passeggero affetto dei sensi o dell'animo, ma per un
decreto
fermo e deliberato di volontà; e da questa fusione di anime,
così
avendo Dio stabilito, sorge un vincolo sacro ed inviolabile.
La quale natura, affatto propria e speciale di questo contratto, lo
rende totalmente diverso, non solo dagli accoppiamenti fatti per cieco
istinto naturale fra i bruti, in cui non può esservi ragione o
volontà
deliberata, ma altresì da quegli instabili connubii umani, che
sono
disgiunti da qualsivoglia vero ed onesto vincolo di
volontà e
destituiti di qualsiasi diritto di domestica convivenza.
Di qui già appare manifesto che la legittima autorità ha
diritto e
dovere di frenare, impedire e punire questi turpi connubii, contrari a
ragione e a natura; ma trattandosi qui di cosa che consegue alla stessa
natura umana, non è meno certo quello che apertamente ammoniva
il
Nostro predecessore Leone XIII di f. m. [8]
«Nella scelta del genere
di vita, non è dubbio che è in potere ed arbitrio dei
singoli il
preferire l'una delle due: o seguire il consiglio di Gesù Cristo
intorno alla verginità, oppure obbligarsi col vincolo
matrimoniale. Niuna legge umana può
togliere all'uomo il diritto naturale e primitivo del coniugio, o in
qualsivoglia modo circoscrivere la cagione principale delle nozze,
stabilita da principio per autorità di Dio: Crescete e moltiplicatevi» [9].
Pertanto il sacro consorzio del vero connubio viene costituito e
dalla divina e dall'umana volontà; da Dio provengono
l'istituzione, le leggi, i fini, i beni del matrimonio; dall'uomo, con
l'aiuto e la cooperazione di Dio, dipende l'esistenza di qualsivoglia
matrimonio particolare coi doveri e coi beni stabiliti da Dio, mediante
la donazione generosa della propria persona ad altra persona per tutta
la vita.
Ma mentre Ci accingiamo ad esporre quali e quanto grandi siano questi
beni divinamente concessi al vero matrimonio, Ci vengono alla mente,
Venerabili Fratelli, le parole di quel preclarissimo Dottore della
Chiesa, che non molto tempo addietro commemorammo con l'Enciclica Ad
salutem, nel XV centenario dalla sua morte [10]: «Tutti questi, dice
Sant'Agostino, sono i beni per i quali le nozze sono buone: la prole,
la fede, il Sacramento» [11].
Che poi a buon diritto si possa
dire
che questi tre punti contengano uno splendido compendio di tutta la
dottrina sul matrimonio cristiano, ci viene eloquentemente dichiarato
dallo stesso Santo quando dice: «Nella fede si provvede che fuor del
vincolo coniugale non ci sia unione con un altro o con un'altra; nella
prole che questa si accolga
amorevolmente, si nutra benignamente, si
educhi religiosamente; nel sacramento
poi, che non si sciolga il
coniugio, e che il rimandato o la rimandata nemmeno per ragione di
prole si congiunga con altri. Questa è come la regola delle
nozze, dalla quale ed è nobilitata la fecondità della
natura ed è regolata la pravità dell'incontinenza» [12].
Pertanto fra i beni del matrimonio occupa il primo posto la prole. E
veramente, lo stesso Creatore del genere umano che nella sua
bontà volle servirsi come di ministri degli uomini per la
propagazione della vita, questo insegnò quando nel paradiso
terrestre, istituendo il matrimonio, disse ai progenitori e in essi a
tutti i coniugi futuri: «Crescete e moltiplicatevi e riempite la
terra» [13]. Questa stessa
virtù deduce elegantemente Sant'Agostino dalle parole
dell'Apostolo S. Paolo a Timoteo [14],
dicendo: «Che le nozze si contraggano per ragione della prole,
così ne fa fede l'Apostolo: Voglio
che i giovani si sposino. E
come se gli dicesse: E perchè?,
subito soggiunge: A procreare
figliuoli, ad essere madri di famiglia» [15].
Quanto poi questo sia un grande beneficio di Dio e un gran bene del
matrimonio appare dalla dignità e dal nobilissimo fine
dell'uomo. Infatti l'uomo, anche solo per l'eccellenza della natura
ragionevole, sovrasta a tutte le altre creature visibili. Si aggiunga
che Iddio vuole la generazione degli uomini, non solo perchè
esistano e riempiano la terra, ma assai più perchè ci
siano cultori di Dio, lo conoscano e lo amino e lo abbiano poi in fine
a godere perennemente nel cielo; il qual fine, per l'ammirabile
elevazione, compiuta da Dio, dell'uomo all'ordine soprannaturale,
supera tutto quello che «occhio vide, od orecchio intese e
potè
entrare nel cuore di uomo» [16].
Da ciò appare facilmente
quanto
gran dono della bontà divina e quanto egregio frutto del
matrimonio sia la prole, germogliata per onnipotente virtù
divina e con la cooperazione dei coniugi.
I genitori cristiani intendano inoltre che sono destinati non solo a
propagare e conservare in terra il genere umano; anzi non solo a
educare comunque dei cultori del vero Dio, ma a somministrare prole
alla Chiesa di Cristo, a procreare concittadini dei Santi e famigliari
di Dio [17], perchè cresca
ogni giorno più il popolo
dedicato
al culto del nostro Dio e Salvatore. E quantunque i coniugi cristiani,
per quanto siano essi santificati, non possano trasformare nella prole
la santificazione, che anzi la naturale generazione della vita
è divenuta via di morte, per la quale passa alla prole il
peccato originale; tuttavia essi partecipano in qualche modo
alcunchè di quel primitivo coniugio del paradiso terrestre,
essendo loro ufficio offrire la propria prole alla Chiesa,
perchè da questa fecondissima madre di figli di Dio venga
rigenerata per mezzo del lavacro del battesimo alla giustizia
soprannaturale, e perchè venga fatto membro vivo di Cristo,
partecipe della vita immortale e in fine erede della gloria eterna,
alla quale tutti aneliamo dall'intimo del cuore.
Se una madre veramente cristiana a ciò riflette,
comprenderà certamente che ad essa, e in senso più alto e
pieno di consolazione,
vanno applicate quelle parole del nostro Redentore: «La donna...
quando ha dato alla luce un bambino, non ricorda più le sue
angustie per il gaudio che prova, perchè un uomo è venuto
al mondo» [18]:
e rendendosi superiore a tutti i dolori, alle cure, ai
pesi
della maternità, molto più giustamente e santamente che
non quella matrona romana, madre dei Gracchi, si glorierà nel
Signore di una floridissima corona di figliuoli. Ambedue poi i coniugi
riguarderanno questi figliuoli, ricevuti con animo pronto e grato dalla
mano di Dio, quale un talento loro affidato da Dio, non già per
impiegarlo solamente a vantaggio proprio o della patria terrena, ma per
restituirlo poi col suo frutto nel giorno del conto finale.
Il bene però della prole non si esaurisce nel beneficio della
procreazione, ma occorre che se ne aggiunga un secondo, che consiste
nella debita educazione di essa. Troppo scarsamente invero avrebbe
Iddio sapientissimo provveduto alla prole venuta alla luce, e quindi a
tutto il genere umano, se a coloro a cui ha dato il potere e il diritto
di generare, non avesse altresì dato il dovere e il diritto di
educare. Niuno infatti può ignorare che la prole non può
bastare nè provvedere a se stessa nemmeno in ciò che
riguarda la vita naturale e molto meno in ciò che concerne la
vita soprannaturale, ma abbisogna per molti anni dell'altrui aiuto,
formazione ed educazione. È noto poi come, per ordinazione
naturale e divina, questo dovere e diritto all'educazione della prole
appartiene anzitutto a coloro che con la generazione iniziarono l'opera
della natura e ai quali è vietato di esporre alla perdita
l'opera incominciata lasciandola imperfetta. Ora a questa tanto
necessaria educazione dei figli è provvisto nel miglior modo
possibile col matrimonio, in
cui, essendo i genitori stretti tra loro con vincolo
indissolubile, prestano sempre ambedue l'opera loro e il loro
vicendevole aiuto.
Ma avendo già trattato altra volta a lungo dell'educazione
cristiana della gioventù [19],
possiamo restringere tutte queste
cose
col ripetere le parole di Sant'Agostino: «Nella prole si richiede
che
sia accolta con amore e religiosamente educata» [20], il che ci
viene
pure espresso stringatamente nel Codice di diritto canonico: «Il
fine
primario del matrimonio è la procreazione e la educazione della
prole» [21].
Nè si deve tacere che, essendo di tanta dignità e tanta
importanza l'uno e l'altro officio affidato ai genitori per il bene
della prole, qualsiasi onesto uso della facoltà data da Dio per
la generazione di una nuova vita, secondo l'ordine del Creatore
e della stessa legge di natura, è diritto e prerogativa del solo
matrimonio e deve essere assolutamente contenuto dentro i limiti sacri
del matrimonio.
Il secondo bene del matrimonio, menzionato da S. Agostino, come abbiamo
detto, è il bene della fede,
che è la vicendevole
fedeltà dei coniugi nell'adempimento del contratto matrimoniale;
sicchè quanto
compete per questo contratto sancito secondo la legge divina al solo
coniuge, nè a lui sia negato, nè permesso ad una terza
persona; e neppure al coniuge stesso sia concesso ciò che non si
può concedere siccome contrario alle leggi divine e al tutto
alieno dalla fede matrimoniale.
Questa fede pertanto richiede in primo luogo l'unità assoluta
del matrimonio, che il Creatore stesso adombrò nel matrimonio
dei primi genitori, volendo che esso non fosse se non fra un uomo solo
e una sola donna; e sebbene di poi il supremo Legislatore, Iddio,
allargò alquanto questa legge primitiva per qualche tempo, non
vi è tuttavia dubbio alcuno che la legge evangelica abbia
ristabilito pienamente l'antica e perfetta unità, abrogando ogni
dispensa, come dimostrano chiaramente le parole di Cristo e la dottrina
e prassi costante della Chiesa. A buon diritto perciò il Sacro
Concilio Tridentino dichiarò solennemente: «Cristo Signore
insegnò più apertamente che con questo vincolo due sole
persone si vengono strettamente a congiungere, quando disse: Non sono
dunque più due, ma una sola carne» [22].
E Nostro Signore Gesù Cristo non volle solamente proibire
qualsiasi
forma, sia successiva sia simultanea, come dicono, di poligamia e di
poliandria o qualsiasi altra azione esterna disonesta; ma di più
ancora, perchè si custodisse inviolato il santuario sacro della
famiglia, proibì gli stessi pensieri volontari e desideri su
tali cose: «Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per
desiderarla, ha già commesso in cuor suo adulterio con
essa» [23]. E queste parole
di Cristo non possono andare annullate,
neppure
per consenso del coniuge; giacchè esse rappresentano la legge
medesima di Dio e della natura, cui nessuna volontà umana
può distruggere o modificare [24].
Anzi, perchè il bene della fede splenda nella debita purezza, le
stesse vicendevoli manifestazioni di familiarità tra i coniugi,
debbono andate segnalate dal pregio della castità, in modo tale
che i coniugi si comportino in tutte le cose secondo la norma di Dio e
delle leggi di natura e si studino di seguire sempre, con grande
riverenza verso l'opera di Dio, la volontà sapientissima e
santissima del Creatore.
Questa fede della castità,
come è da S. Agostino
bellamente appellata, risulterà più facile, anzi molto
più piacevole non meno che nobile da un altro pregio
importantissimo: dall'amore coniugale cioè che
pervade i doveri tutti della vita coniugale e nel matrimonio cristiano
tiene come il primato della nobiltà. «Richiede inoltre la
fede
del matrimonio che il marito e la moglie siano fra loro congiunti di un
amore singolare, santo e puro, e non si amino fra di loro come
gli adulteri ma in quel modo che Cristo amò la Chiesa;
perchè questa regola prescrisse l'Apostolo quando disse:
«Uomini
amate le vostre mogli, come anche Cristo amò la Chiesa» [25], e
certo Egli l'amò con quella sua carità infinita, non per
un vantaggio suo, ma solo proponendosi l'utilità della Sposa [26].
Parliamo dunque di un amore non già fondato nella inclinazione
sola del senso che in breve svanisce, nè solo nelle parole
carezzevoli, ma nell'intimo affetto dell'anima e ancora —
giacchè la prova dell'amore è l'esibizione dell'opera [27]
— dimostrato con l'azione esterna. Questa azione poi nella
società domestica non comprende solo il vicendevole aiuto, ma
deve estendersi altresì, anzi mirare sopratutto a questo che i
coniugi si aiutino fra di loro per una sempre migliore formazione e
perfezione interiore; sicchè nella loro vicendevole unione di
vita crescano sempre più nelle virtù, massimamente nella
sincera carità verso Dio e verso il prossimo, da cui alfine
«pende tutta quanta la legge e i Profeti» [28]. Possono insomma e debbono
tutti, di
qualunque condizione siano e qualunque onesta maniera di vita abbiano
eletto, imitare l'esemplare perfettissimo di ogni santità,
proposta da Dio agli uomini, che è N. S. Gesù Cristo, e
con l'aiuto di Dio giungere anche all'altezza somma della perfezione
cristiana, come gli esempi di molti santi ci dimostrano.
Una tale vicendevole formazione interna dei coniugi, con l'assiduo
studio di perfezionarsi a vicenda, in un certo senso verissimo, come
insegna il Catechismo romano [29],
si può dire anche primaria
cagione
e motivo del matrimonio; purchè s'intenda per matrimonio, non
già nel senso più stretto, l'istituzione ordinata alla
retta procreazione ed educazione della prole, ma in senso più
largo, la comunanza, l'uso e la società di tutta quanta la vita.
Con questo amore medesimo si debbono conciliare tanto gli altri diritti
quanto gli altri doveri del matrimonio; in modo tale che non solo sia
legge di giustizia ma anche norma di carità quella
dell'Apostolo: «Alla moglie renda il marito quello che le deve e
parimente la moglie al marito» [30].
Rassodata finalmente col vincolo di questa carità la
società domestica, fiorirà in essa necessariamente quello
che è chiamato da S. Agostino ordine
dell'amore. Il quale ordine
richiede da una parte la superiorità del marito sopra la moglie
ed i figli, e dall'altra la pronta soggezione e ubbidienza della
moglie, non per forza, ma quale è raccomandata dall'Apostolo in
quelle parole: «Le donne siano soggette ai loro mariti, come al
Signore, perchè l'uomo è capo della donna, come Cristo
è capo della Chiesa» [31].
Una tale soggezione poi non nega nè toglie la libertà che
compete di pieno diritto alla donna, sia per la nobiltà della
personalità umana, sia per l'officio nobilissimo di sposa, di
madre e di compagna; nè l'obbliga ad accondiscendere a tutti i
capricci dell'uomo, anche se poco conformi alla ragione stessa o alla
dignità della sposa; nè vuole infine che la moglie sia
equiparata alle persone che si chiamano nel diritto minorenni, alle
quali per mancanza della maturità di giudizio o per
inesperienza delle cose umane non si suole concedere il libero
esercizio dei loro diritti; ma vieta quella licenza esagerata che non
cura il bene della famiglia, vieta che nel corpo di questa famiglia sia
separato il cuore dal capo, con danno sommo del corpo intiero e con
pericolo prossimo di rovina. Se l'uomo infatti è il capo, la
donna è il cuore; e come l'uno tiene il primato del governo,
così l'altra può e deve attribuirsi come suo proprio il
primato dell'amore.
Quanto poi al grado ed al modo di questa soggezione della moglie al
marito, essa può essere varia secondo la varietà delle
persone, dei luoghi e dei tempi; anzi, se l'uomo viene meno al suo
dovere, appartiene alla moglie supplirvi nella direzione della
famiglia. Ma in nessun tempo e luogo è lecito sovvertire o
ledere la
struttura essenziale della famiglia stessa e la sua legge da Dio
fermamente stabilita.
Dell'osservanza di questo ordine tra marito e moglie cosi parlò
già con molta sapienza il predecessore Nostro Leone XIII di f.
m. nell'Enciclica,
che abbiamo ricordato, del Matrimonio cristiano:
«Il marito è il principe della famiglia e il capo della
moglie; la quale pertanto, perchè è carne della carne di
lui ed
ossa delle sue ossa, non dev'essere soggetta ed obbediente al marito a
guisa di ancella, bensì di compagna;
cioè in tal modo che la soggezione che essa a lui rende non sia
disgiunta dal decoro nè dalla dignità. In esso, poi che
governa ed in lei che ubbidisce, rendendo entrambi immagine l'uno di
Cristo, l'altro della Chiesa, sia la carità divina la perpetua
moderatrice dei loro doveri» [32].
Queste sono dunque le virtù che vanno comprese nel bene della
fede: unità, castità, carità, nobile e dignitosa
ubbidienza; le quali riescono poi altrettanti vantaggi dei coniugi e
del loro coniugio, in quanto assicurano o promuovono la pace, la
dignità e la felicità del matrimonio. Non fa quindi
meraviglia che questa fede sia stata sempre annoverata tra i benefizi
insigni e proprii del matrimonio.
Senonchè a tutto il cumolo di benefizi così grandi il
compimento
e la corona ultima viene da quell'altro bene proprio del matrimonio
cristiano, che abbiamo chiamato con la parola di Agostino Sacramento, e
designa l'indissolubilità del vincolo ed insieme la elevazione e
consecrazione, fatta da Cristo, dei contratto in segno efficace della
grazia.
E anzitutto, quanto all'indissolubile fermezza del patto coniugale,
Cristo medesimo vi insiste dicendo: «Ciò che Iddio ha
congiunto, l'uomo non separi» [33];
e: «Chiunque ripudia la propria
moglie
e ne prende un'altra, commette adulterio; e chiunque prende quella che
è stata ripudiata dal marito, commette adulterio» [34].
In questa indissolubilità ripone appunto S. Agostino il bene che
egli chiama del sacramento, con queste chiare parole: «Nel
sacramento
poi si riguarda che il matrimonio non sia disciolto e il ripudiato o la
ripudiata non si unisca ad altri, neppure per causa della prole» [35].
Ora questa inviolabile fermezza, quantunque non competa a ciascun
matrimonio con la stessa misura di perfezione, compete nondimeno a
tutti i veri matrimoni; perchè il detto dal Signore:
«Ciò che Iddio ha congiunto l'uomo non separi»
essendosi
pronunciato a proposito del matrimonio dei primi progenitori, prototipo
di qualsiasi altro matrimonio futuro, deve di necessità
comprendere tutti assolutamente i veri matrimoni. Che se prima di
Cristo l'altezza e la severità della legge primitiva andò
tanto attenuata, che Mosè permise a quelli dello stesso popolo
di Dio, per la durezza del loro cuore, di dare per motivi determinati
il libello del ripudio, Cristo invece, giusta il suo potere di
legislatore supremo, rivocò questo permesso di una maggiore
libertà, e rimise pienamente in vigore la legge primitiva
con quelle parole da non dimenticarsi mai: «Ciò che Dio ha
congiunto, l'uomo non separi». Molto saggiamente perciò
Pio VI, Nostro predecessore di f. m., così rispondeva al Vescovo
di
Agra: «Per questo si fa manifesto che il matrimonio, nel medesimo
stato di natura e certo assai prima che fosse sollevato alla
dignità di Sacramento propriamente detto, è stato
divinamente istituito in maniera da portare seco la perpetuità e
la indissolubilità del nodo, tale perciò che da nessuna
legge civile possa andare disciolto. Quindi, sebbene la ragione di
sacramento possa andare disgiunta dal matrimonio, come tra gli
infedeli, anche in tale matrimonio tuttavia, se è vero
matrimonio, deve restare e certamente resta in perpetuo quel nodo che
fino
dalla prima origine è così inerente al matrimonio che
non va soggetto a nessun potere civile. Così qualsiasi
matrimonio si dica contratto, o viene contratto in modo da essere un
vero matrimonio, ed allora avrà insieme quel nodo perpetuo che
per diritto divino va connesso con ogni vero matrimonio; ovvero si
suppone contratto senza un tale nodo perpetuo, e allora non è
vero matrimonio, ma una illecita unione
contraria per il suo oggetto alla legge divina e che perciò
non si può lecitamente nè iniziare nè
mantenere»[36].
Che se questa fermezza sembra patire qualche eccezione, sebbene
rarissima, come in certi matrimoni naturali che siano contratti tra
infedeli solamente o, se tra fedeli, che siano bensì ratificati
ma non ancora consumati, una siffatta eccezione non dipende da
volontà di uomini nè di qualsiasi potere meramente umano,
ma dal diritto divino, di cui unica custode e interprete è la
Chiesa di Cristo. Ma una tale facoltà non potrà mai
cadere per nessun motivo nel matrimonio cristiano rato e consumato. In
questo infatti, come il nodo coniugale ottiene la piena perfezione,
così risplende per volontà di Dio la massima fermezza e
indissolubilità, tale da non potersi rallentare per nessuna
autorità umana.
Che se vogliamo investigare con riverenza l'intima ragione di questa
volontà divina, facilmente la troveremo, Venerabili Fratelli, in
quella mistica significazione del matrimonio cristiano, che si verifica
con piena perfezione nel matrimonio consumato tra fedeli. Il matrimonio
dei cristiani, infatti, secondo la testimonianza dell'Apostolo nella
sua lettera (in principio accennata) agli Efesini [37],
rappresenta
quell'unione perfettissima che corre fra Cristo e la Chiesa:
«questo Sacramento
è grande, io però parlo in riguardo a Cristo e alla
Chiesa»: la quale unione per nessuna separazione non potrà
mai
disciogliersi, finchè vivrà Cristo e la Chiesa per Lui.
Il che pure S. Agostino chiaramente c'insegna in quelle parole:
«Questo infatti viene custodito in Cristo e nella Chiesa, che per
nessun
divorzio sia separato il vivente col vivente in eterno. Del quale
Sacramento è tanto gelosa l'osservanza nella città del
Dio Nostro... cioè nella Chiesa di Cristo... che quando per
avere figliuoli o le donne prendano marito o gli uomini menino
moglie, non è lecito abbandonare la moglie sterile per menarne
un'altra feconda. Che se alcuno fa questo, è reo di adulterio,
non per la legge di questo secolo (dove, intervenendo il ripudio, si
concede, senza farne colpa, di contrarre matrimonii con altri;
ciò che il Signore testifica avere anche il santo Mosè
permesso agli Israeliti per la durezza del loro cuore) ma per la legge
dei Vangelo, come anche è rea di adulterio la donna se si
sposerà ad un altro» [38].
Quanti poi e quanto grandi vantaggi derivino
dall'indissolubilità del matrimonio, lo intende senz'altro
chiunque rifletta un istante al bene sì dei coniugi stessi e
della prole, come alla salute di
tutta l'umana società. Anzitutto i coniugi nella fermezza
assoluta del vincolo
hanno quel contrassegno certo di perennità, quale di natura sua
è voluto dalla generosa donazione di tutta la persona e
dall'intima unione dei cuori, essendochè la carità vera
non viene meno mai [39].
Ivi inoltre è un saldo baluardo a
difesa
della castità fedele, contro gl'interni ed esteriori eccitamenti
all'infedeltà, se mai sopravvengano; esclusa ogni ansietà
o timore che o per qualche disgrazia o per la vecchiaia l'altro coniuge
non si abbia ad allontanare, sottentra invece una tranquilla sicurezza.
Ad assicurare similmente la dignità dei coniugi ed il
vicendevole aiuto, soccorre nel modo più opportuno il pensiero
del vincolo indissolubile, ricordando loro che non all'intento di
caduchi interessi, nè a soddisfazione di piacere, ma per
cooperare
insieme al conseguimento di beni più eccelsi ed eterni, essi
strinsero già il patto nuziale, non possibile a infrangere
fuorchè dalla morte. Egregiamente ancora la fermezza del
matrimonio provvede alla cura e alla educazione dei figli, opera di
lunghi anni, piena di gravi doveri e di fatiche, quali più
agevolmente le forze unite dei genitori possono sostenere. Nè
minori sono i vantaggi che ne provengono a tutta la società in
comune. Insegna infatti l'esperienza come all'onestà della vita
in genere ed
all'integrità dei costumi immensamente conferisce la fermezza
inconcussa dei maritaggi; e come dalla severa osservanza di tale
ordinamento venga assicurata la felicità e la salvezza della
cosa pubblica: poichè tale sarà lo Stato, quali sono le
famiglie, quali gli uomini, di cui esso è composto, come il
corpo delle membra. Ond'è che quanti difendono strenuamente
l'inviolabile saldezza del matrimonio, si rendono grandemente
benemeriti e del bene privato dei coniugi e della prole e del bene
pubblico dell'umana società.
Ma in questo benefizio del Sacramento, oltre i vantaggi della
inviolabile stabilità, si contengono, e più eccellenti
ancora, altri vantaggi designati bellamente dal vocabolo stesso di
Sacramento; giacchè per
i cristiani questo non è nome
vano e vuoto di senso, sapendo essi che Cristo «istitutore e
perfezionatore di venerabili Sacramenti» [40] con l'elevare alla
dignità di vero e proprio Sacramento della Nuova Legge il
matrimonio de' suoi fedeli, lo rese in effetto segno e fonte di quella
speciale grazia interna, con la quale «portava l'amore naturale a
maggior perfezione, ne confermava l'indissolubile unità, e i
coniugi stessi santificava» [41].
E poichè Cristo ancora stabili che lo stesso valido consenso
matrimoniale tra fedeli fosse il segno della grazia; quindi è
che la ragione di Sacramento va col coniugio cristiano così
strettamente connessa, che tra battezzati non può darsi
matrimonio «che non sia con ciò stesso anche
Sacramento» [42].
Con ciò stesso adunque che i fedeli dànno con animo
sincero un tale consenso, aprono a sè il tesoro della grazia
sacramentale, ove attingere le forze soprannaturali occorrenti ad
adempiere le proprie parti ed i propri doveri fedelmente, santamente,
con perseveranza fino alla morte.
Poichè questo Sacramento in coloro che non vi oppongono positivo
ostacolo, non solo accresce il principio di vita soprannaturale,
cioè la grazia santificante, ma vi aggiunge ancora altri doni
speciali, disposizioni e germi di grazia, come novello vigore e
perfezione alle forze della natura, affinchè possano non solo
bene intendere, ma intimamente sentire, con ferma convinzione e
risoluta volontà estimare e adempiere quanto appartiene allo
stato coniugale e ai suoi fini e doveri; ed a tale effetto da ultimo
conferisce il diritto all'aiuto attuale della grazia,
ogni qualvolta ne abbisognino per adempire agli obblighi di questo
stato.
Siccome nondimeno è legge di provvidenza divina nell'ordine
soprannaturale, che dai Sacramenti, ricevuti dopo l'uso di ragione,
l'uomo non tragga tutto intero il frutto loro, quando non cooperi alla
grazia; così anche la grazia propria del matrimonio rimarrebbe
in gran parte come talento inutile sepolto sotterra, qualora i coniugi
non adoprassero le forze soprannaturali, trascurando di coltivare e far
fruttificare i preziosi semi della grazia. Che se all'incontro si
studiino, quant'è in loro, di bene cooperare, potranno dello
stato loro proprio sopportare i pesi, adempiere i doveri, e dalla
potenza di sì gran Sacramento si sentiranno ravvalorati,
santificati e
come consecrati. Poichè, conforme insegna S. Agostino, siccome
per i sacramenti del Battesimo e dell'Ordine l'uomo viene
rispettivamente designato ed aiutato o a condurre vita cristiana o ad
esercitare l'officio sacerdotale, nè l'aiuto sacramentale
di quelli sarà mai per mancargli, così in modo simile
(ancorchè senza il carattere sacramentale), i fedeli uniti una
volta col vincolo del matrimonio, non potranno esser privati mai
nè dell'aiuto, ne del legame sacramentale. Che anzi, soggiunge
il medesimo santo Dottore, quel vincolo
sacro, qualora cadessero in adulterio, se lo porterebbero seco,
quantunque non più alla gloria della grazia, ma nella pena della
colpa, «a quella maniera che l'anima dell'apostata, quasi
separandosi
dal coniugio di Cristo, anche dopo perduta la fede, non perde il
Sacramento della fede, ricevuto nel lavacro della rigenerazione» [43].
Gli stessi coniugi poi dall'aureo vincolo del sacramento non incatenati
ma adorni, non impacciati ma rinvigoriti, si adopreranno con
tutte le forze a fare che il loro connubio, non solamente per la
proprietà e il significato del sacramento, ma anche per lo
spirito loro e la condotta della loro vita sia sempre e rimanga
immagine viva di quell'unione fecondissima di Cristo con la sua Chiesa,
che è certamente mistero venerando di perfettissimo amore.
Che se tutte queste verità, Venerabili Fratelli, si considerino
con ponderatezza e fede viva, se questi preziosi beni del matrimonio,
la prole, la fede e ii Sacramento, siano messi nella debita luce,
è impossibile non restare ammirati della sapienza,
santità e bontà divina, la quale con tanta larghezza
provvide insieme e a mantenere la dignità e la felicità
dei coniugi, e ad ottenere la conservazione e propagazione dell'uman
genere mediante la sola casta e sacra unione del vincolo nuziale.
Nel ponderare, Venerabili Fratelli, il pregio così grande delle
caste nozze, tanto più ci apparisce doloroso il vedere come
questa divina istituzione, in questi nostri tempi sopra tutto, sia
spesso e facilmente
dispregiata e vilipesa.
È un fatto, in verità, che non più di nascosto
e nelle
tenebre, ma apertamente, messo da parte ogni senso di pudore,
così a parole come in iscritto, con rappresentazioni teatrali
d'ogni specie, con romanzi, con novelle e racconti ameni, con
proiezioni cinematografiche, con discorsi radiofonici, in fine, con
tutti i trovati più recenti della scienza, è conculcata
e messa in derisione la santità del matrimonio, e invece o si
lodano divorzi, adulterii e i vizi più turpi, o se non altro si
dipingono con tali colori che sembra si vogliano far comparire scevri
d'ogni macchia ed infamia. Nè mancano libri, che si decantano
come scientifici, ma che, in verità, della scienza sovente altro
non hanno che una certa qual tintura, con l'intento di potersi
più agevolmente insinuare negli animi. E le dottrine in essi
difese, si spacciano quali meraviglie dell'ingegno moderno, cioè
di quell'ingegno che si vanta come amante solo della verità, di
essersi emancipato da tutti i
vecchi pregiudizi, fra i quali annovera e
bandisce anche la dottrina tradizionale cristiana del matrimonio.
Anzi, tali massime si fanno penetrare fra ogni condizione di
persone,
ricchi e poveri, operai e padroni, dotti e ignoranti, liberi e
coniugati, credenti e nemici di Dio, adulti e giovani; a questi sopra
tutto, come a più facile preda, si tendono i lacci più
pericolosi.
Certo, non tutti i fautori di siffatte nuove massime giungono a tutte
le ultime conseguenze della sfrenata libidine; vi sono di quelli che,
sforzandosi di arrestarsi come a mezzo della china, vorrebbero far
qualche concessione ai tempi nostri, solamente quanto ad alcuni
precetti della legge divina e naturale. Ma questi pure non sono altro
che mandatari, consapevoli più o meno di quell'insidiosissimo
nemico, che sempre si adopera a soprasseminare zizzania in mezzo al
frumento [44].
Noi pertanto, che il Padre di famiglia ha posto a
custodia
del proprio campo, e però siamo astretti dall'obbligo sacrosanto
di vigilare che il buon seme non sia soffocato dalle male erbe,
stimiamo a Noi rivolte dallo Spirito Santo quelle gravissime parole,
con le quali l'Apostolo Paolo esortava il suo diletto Timoteo:
«Ma tu,
veglia, adempi il tuo ministero... predica la parola, insisti a tempo,
fuori di tempo: riprendi, supplica, esorta con ogni pazienza e
dottrina» [45] .
E poichè, ad evitare le frodi del nemico, è anzitutto
necessario di scoprirle e giova molto avvisare gl'incauti degl'inganni
suoi, non possiamo del tutto tacerne, per il bene e la salute delle
anime, sebbene
preferiremmo di nemmeno nominare simili malvagità, «come
conviene a Santi» [46].
E per incominciare dalle fonti stesse di tanti mali, la loro principale
radice sta nel blaterare che fanno, il matrimonio non avere origine da
divina istituzione, nè essere stato dal Signor Nostro
Gesù Cristo sollevato alla dignità di Sacramento, ma
essere un'umana invenzione. Altri sostengono di non averne riconosciuto
indizio alcuno nella stessa natura e nelle leggi da cui è retta,
ma di avervi trovato soltanto la facoltà generativa, e ad essa
congiunto un forte impulso ad adempierla, come che sia; vi sono,
nondimeno, di quelli che riconoscono nella natura umana alcuni
principii o, vogliamo dire, germi di un vero connubio, nel senso, che
se gli uomini non si congiungessero con qualche fermezza di vincolo,
non si sarebbe provveduto a sufficienza alle dignità dei coniugi
e al fine naturale della propagazione e della educazione della
prole. E nondimeno anche costoro insegnano che lo stesso matrimonio,
come istituto che è al disopra di quei germi, col concorso di
varie cause, è stato escogitato dalla sola umana mente, ed
istituito dalla sola volontà degli uomini.
Ma quanto grave sia l'errore di tutti costoro, e come essi
vergognosamente deviino dalle norme dell'onestà, già si
comprende da quanto, in questa Nostra lettera, abbiamo esposto intorno
alla origine e alla natura del matrimonio, e dei fini e dei beni ad
esso proprii. E che queste siano dannosissime invenzioni, apparisce
ancora dalle conseguenze che gli stessi loro propugnatori ne deducono:
che essendo le leggi, le istituzioni, le consuetudini dalle quali
è regolato il matrimonio, nate solo dalla volontà degli
uomini, a questa soltanto soggiacciono; quindi è che si potranno
e dovranno stabilire, modificare, abrogare a piacere degli uomini e
secondo le esigenze delle condizioni umane; e quanto alla virtù
generativa, come quella che si fonda nella stessa natura, insegnano che
è più sacra e più ampia dello stesso matrimonio:
potersi quindi adoperare così dentro come fuori dei cancelli
della vita matrimoniale, anche senza tener conto dei fini del
matrimonio, come se il libertinaggio di una immonda meretrice godesse
quasi gli stessi diritti che la casta maternità della legittima
consorte.
Movendo da tali principii, alcuni giunsero al punto di inventare altre
forme di unione, adatte, come essi credono, alle presenti condizioni
degli uomini e dei tempi, e che propongono quasi nuove forme di
matrimonio: l'uno temporaneo,
l'altro a esperimento, un
terzo che dicono
amichevole, e che si
attribuisce la piena libertà e tutti i
diritti del matrimonio, toltone il vincolo indissolubile, ed esclusane
la prole, se non nel caso in cui le parti vengano poscia a trasformare
quella comunione di vita e di consuetudine in matrimonio di pieno
diritto.
E ciò che è peggio, non mancano di quelli, i quali
pretendono e si adoperano perchè simili abominazioni siano
coonestate dall'intervento delle leggi o, se non altro, vengano scusate
in forza delle pubbliche consuetudini di popoli e delle loro
istituzioni; e sembra non sospettino nemmeno che simili cose, lungi dal
potersi esaltare quali conquiste della cultura moderna, di cui menano
sì gran vanto, sono invece aberrazioni nefande, che ridurrebbero
senza dubbio anche le nazioni civili ai costumi barbarici di alcuni
popoli selvaggi.
Ma per venire ormai, Venerabili Fratelli, a trattare dei singoli punti
che si oppongono ai diversi beni del matrimonio, il primo riguarda la
prole, che molti osano chiamare molesto peso del connubio e affermano
doversi studiosamente evitare dai coniugi, non già con l'onesta
continenza, permessa anche nel matrimonio, quando l'uno e l'altro
coniuge vi consentano, ma viziando l'atto naturale. E questa
delittuosa licenza alcuni si arrogano perchè, aborrendo dalle
cure della prole,
bramano soltanto soddisfare le loro voglie, senza alcun onere; altri
allegano a propria scusa la incapacità di osservare la
continenza, e la impossibilità di ammettere la prole a cagione
delle difficoltà proprie, o di quelle della madre, o di quelle
economiche della famiglia.
Senonchè, non vi può essere ragione alcuna, sia pur
gravissima, che valga a rendere conforme a natura od onesto ciò
che è intrinsecamente contro natura. E poichè l'atto del
coniugio è, di sua propria natura, diretto alla generazione
della prole, coloro che nell'usarne lo rendono studiosamente incapace
di questo effetto, operano contro natura, e compiono un'azione turpe e
intrinsecamente disonesta.
Laonde non è meraviglia se la Maestà divina, secondo che
attestano le stesse Sacre Scritture, abbia in sommo odio tale delitto
nefando, e l'abbia talvolta castigato con la pena di morte, come
ricorda S. Agostino: «Perchè illecitamente e
disonestamente si sta anche con la legittima sposa, quando si impedisce
il frutto della prole. Così adoperava Onan, figlio di Giuda, e
per tal motivo Dio lo tolse di vita» [47].
Pertanto, essendovi di tali che, abbandonando manifestamente la
cristiana dottrina, insegnata fin dalle origini, nè mai
modificata, hanno ai dì nostri, in questa materia, preteso
pubblicamente proclamarne un'altra, la Chiesa Cattolica, cui lo stesso
Dio affidò il mandato di insegnare e difendere la purità
e la onestà dei costumi, considerando d'attorno tanta corruttela
di costumi, a fine di preservare la castità del consorzio
nuziale da tanta turpitudine, proclama altamente, per mezzo della
Nostra parola, in segno di sua divina missione, e novamente sentenzia:
che qualsivoglia uso del matrimonio, in cui per la umana malizia l'atto
sia destituito della sua naturale virtù procreatrice, va contro
la legge di Dio e della Natura, e che coloro che osino commettere tali
azioni, si rendono rei di colpa grave.
Per ciò, come vuole la suprema autorità Nostra e la cura
commessaCi della salute di tutte le anime, ammoniamo i sacerdoti che
sono applicati ad ascoltare le confessioni e gli altri
tutti che hanno cura d'anime, che non lascino errare i fedeli a
sè affidati, in punto tanto grave della legge di Dio, e molto
più che custodiscano se stessi immuni da queste perniciose
dottrine, e ad esse, in qualsiasi maniera, non si rendano conniventi.
Che se qualche confessore o pastore delle anime, che Dio nol permetta,
inducesse egli stesso in simiglianti errori i fedeli a sè
commessi, o, se non altro, ve li confermasse, sia con approvarli
sia
colpevolmente tacendo, sappia di dovere rendere severo conto a Dio,
Giudice Supremo, del tradito suo ufficio, e stimi a sè rivolte
le parole di Cristo: «Sono ciechi, e guide di ciechi: e se il
cieco al cieco faccia da guida, l'uno e l'altro cadranno nella
fossa» [48].
Quanto, poi, ai motivi, che li inducono a difendere l'uso perverso del
matrimonio, questi non di rado — per tacere di quelli che
ridondano a
loro vergogna — sono immaginari o esagerati. Nondimeno la Chiesa,
pia
Madre, intende benissimo e apprende al vivo le difficoltà che si
ripetono intorno alla sanità della madre e al suo pericolo per
la vita stessa. E chi mai potrebbe, se non con viva commiserazione,
ponderarle? Chi non sarebbe preso da ammirazione somma, al vedere una
madre offrirsi, con fortezza eroica, a morte quasi certa, pur di
risparmiare la vita alla prole già concepita? Tutto ciò
che ella avrà sofferto, per adempiere perfettamente
l'ufficio che natura le affidò, solo Dio ricchissimo e
misericordiosissimo potrà a lei retribuirlo, e, senza
dubbio, darà non solo la misura colma, ma anche sovrabbondante [49].
E ben sa altresì la santa Chiesa, che non di rado uno dei
coniugi soffre piuttosto il peccato, che esserne causa, quando, per
ragione veramente grave, permette la perversione dell'ordine dovuto,
alla quale pure non consente, e di cui quindi non è colpevole,
purchè memore, anche in tal caso, delle leggi della
carità, non trascuri di dissuadere il coniuge dal peccato e
allontanarlo da esso. Nè si può dire che operino contro
l'ordine
di natura quei coniugi, che usano dei loro diritto nel modo debito e
naturale, anche se per cause naturali, sia di tempo, sia di altre
difettose circostanze, non ne possa nascere una nuova vita.
Poichè, sia nello stesso matrimonio, sia nell'uso del diritto
matrimoniale, si contengono anche fini secondari, come sono il mutuo
aiuto e l'affetto vicendevole da fomentare e la quiete della
concupiscenza, fini che ai coniugi non è proibito di volere,
purchè sia sempre rispettata la natura intrinseca dell'atto e,
per conseguenza, la sua subordinazione al fine principale.
Penetrano pure nell'intimo Nostro i gemiti di quei coniugi, che
oppressi duramente da mancanza di mezzi, provano difficoltà
gravissima a mantenere la loro prole.
Con tutto ciò bisogna attentamente vigilare, perchè le
deplorevoli condizioni delle cose materiali non siano di occasione a un
errore ben più deplorevole. Giacchè non possono mai darsi
difficoltà di tanta gravezza, che valgano a dispensare dai
comandamenti di Dio, che proibiscono ogni atto che sia cattivo di sua
natura; e, in qualsivoglia condizione di cose, possono sempre i
coniugi, sostenuti dalla grazia di Dio, fedelmente compiere l'ufficio
loro e conservare nel matrimonio, pura da macchia tanto abominevole, la
castità; perchè resta inconcussa la verità della
fede cristiana, proposta dal magistero del Concilio di Trento:
«Nessuno ardisca pronunciare quel detto temerario, condannato
dai Padri, sotto la minaccia di anatema, che per l'uomo giustificato i
comandamenti di Dio siano impossibili ad osservarsi.
Poichè Dio non comanda cose impossibili, ma nel comandare
ammonisce e di fare ciò che puoi e di chiedere ciò che
non
puoi, e aiuta perchè tu possa» [50]. E la dottrina
medesima fu
dalla Chiesa solennemente ripetuta e confermata nella condanna della
eresia giansenistica, che aveva osato bestemmiare contro la
bontà di Dio, che «alcuni precetti di Dio agli uomini
giusti, che pur vogliono e procurano di osservarli, sono
impossibili secondo le forze che hanno al presente: e loro manca la
grazia, che li renda possibili» [51].
Ma dobbiamo ricordar pure, Venerabili Fratelli, l'altro gravissimo
delitto, col quale si attenta alla vita della prole, chiusa ancora nel
seno materno. Per alcuni la cosa è lecita, e lasciata al
beneplacito della madre e del padre; per altri è invece
proibita, salvo il caso in cui si diano molto gravi cagioni, che
chiamano col nome di indicazione
medica, sociale, eugenica. Costoro
tutti richiedono che, quanto alle pene, con cui le leggi dello Stato
sancirono la proibizione di uccidere la prole generata, ma non venuta
ancora alla luce, le pubbliche leggi riconoscano la indicazione,
secondo che ciascuno a modo suo la difende, e la dichiarino libera da
qualsiasi pena. Che anzi, non mancano di quelli quali domandano, che le
pubbliche autorità prestino il loro aiuto in simili mortifere
operazioni; enormità che, purtroppo, in qualche luogo, si
commette frequentissimamente, come è noto.
Per quanto riguarda la «indicazione medica e terapeutica»
— per
adoperare le loro stesse parole — già abbiamo detto,
Venerabili
Fratelli, quanta compassione Noi sentiamo per la madre, la quale, per
ufficio di natura, si trova esposta a gravi pericoli, sia della
sanità, sia
della stessa vita: ma quale ragione potrà mai aver forza a
rendere scusabile, in qualsiasi modo, la diretta uccisione
dell'innocente? Perchè qui si tratta appunto di questa. Sia che
essa si infligga alla madre, sia che si cagioni alla prole, è
sempre contro il comando di Dio e la voce stessa della natura:
«Non ammazzare!» [52].
È infatti egualmente sacra la vita dell'una e
dell'altra, a distruggere la quale non potrà mai concedersi
potere alcuno, nemmeno all'autorità pubblica. E, con
somma leggerezza, questo potere si deriverebbe contro innocenti, dal
diritto di spada, che vale solo contro i rei; nè ha qui luogo il
diritto di difesa, fino al sangue, contro l'ingiusto aggressore (chi,
infatti, chiamerebbe ingiusto aggressore una innocente creaturina?);
nè può essere, in alcun modo, il diritto che dicono
«diritto di estrema necessità», e che possa
giungere fino all'uccisione diretta dell'innocente. Pertanto i medici
probi e capaci si adoperano lodevolmente a difendere e conservare
così la vita della madre, come quella della prole; per
contrario, si darebbero a conoscere indegnissimi del nobile titolo e
vanto di medici, coloro che, sotto il colore di usare l'arte medica, o
per malintesa pietà, insidiassero alla vita della madre o della
prole.
E tutto ciò pienamente s'accorda con le severe parole del
Vescovo d'Ippona, con le quali inveisce contro quei coniugi depravati,
che s'industriano di evitare la prole; od ove non ottengano d'intento,
non temono di ucciderla. «Talvolta, dice, questa crudeltà
impura
o impurità crudele giunge fino al punto di ricorrere ai veleni
atti a procurare la sterilità, e se non vi riesce a estinguere
con qualche mezzo il frutto concepito e a liberarsene, bramando che la
propria prole muoia prima di vivere, o se già viveva nel materno
seno, sia uccisa prima di nascere. Per certo, se ambedue sono tali, non
sono coniugi: e se tali furono fin da principio, non si congiunsero
per connubio, ma piuttosto per illecito commercio; che se tali non
sono tutti e due, oso dire: o che ella, in qualche modo, si
prostituisce al marito, o che egli si rende adultero verso di
lei» [53].
Quanto poi alla indicazione
sociale ed eugenica, le cose che si
propongono, con mezzi leciti e onesti, e dentro i dovuti confini
possono, sì, e devono esser prese in considerazione; ma quanto
al voler
provvedere alla necessità, a cui si appoggiano, con la uccisione
degli innocenti, ripugna alla ragione ed è contrario al precetto
divino, promulgato pure dalla sentenza apostolica: «Non si hanno
da fare mali per conseguire beni» [54].
A coloro, in fine, che tengono il supremo governo delle nazioni, e
ne
sono legislatori, non è lecito dimenticare che è dovere
dell'autorità pubblica di difendere con opportune leggi e
con la sanzione di pene, la vita degli innocenti; e ciò tanto
maggiormente, quanto meno
valgono a difendersi quelli la cui vita è in pericolo, e alla
quale si attenta; e fra essi, certo, sono da annoverare, anzi tutto, i
bambini ascosi ancora nel seno materno. Che se i pubblici governanti
non solo non prendano la difesa di quelle creature, ma anzi con leggi e
con pubblici decreti le lascino, o piuttosto le mettano in mano dei
medici o d'altri, perchè le uccidano, si rammentino che Dio
è giudice e vindice del sangue innocente, il quale dalla terra
grida verso il cielo [55] .
Si deve poi da ultimo riprovare quella prassi dannosa, che riguarda per
sè il diritto naturale dell'uomo a contrarre matrimonio, ma che
appartiene pure, con qualche vera ragione, al bene della prole.
Vi sono, infatti, alcuni, che dei fini eugenici troppo solleciti, non
si contentano di dare alcuni consigli igienici, atti a procurare
più sicuramente la salute e il vigore della futura prole —
il
che, certo, non è contrario alla retta ragione — ma vanno
così innanzi, da anteporre l'eugenico
a qualsiasi altro fine,
anche di ordine più alto, e pretendono che l'autorità
pubblica vieti il matrimonio a tutti coloro che, secondo i procedimenti
della propria scienza e le sue congetture, credono che, per via di
trasmissione ereditaria, saranno per generare prole difettosa, anche se
siano, per
sè, capaci di contrarre matrimonio. Che anzi vogliono perfino
che essi, per legge, anche se riluttanti, siano, con l'intervento dei
medici, privati di quella naturale facoltà; nè ciò
come pena cruenta da infliggersi dalla pubblica autorità per
delitto commesso, nè a prevenire futuri delitti dei rei, ma
contro il giusto e l'onesto attribuendo ai magistrati civili un potere
che mai ebbero, nè mai possono legittimamente avere.
Tutti coloro che operano in tal guisa, malamente mettono in oblio che
la famiglia è più sacra dello Stato, e che gli uomini,
anzi tutto, sono procreati non per la terra e per il tempo, ma per il
cielo e per l'eternità. E non è giusto, certamente, di
accusare di grave colpa uomini, d'altra parte atti al matrimonio, e
che, anche adoperando ogni cura e diligenza, si prevede che avranno una
prole difettosa, se contraggono nozze; sebbene ad essi spesso convenga
dissuaderlo.
Le pubbliche autorità, poi, non hanno alcuna potestà
diretta sulle membra dei sudditi; quindi è che, se non sia
intervenuta colpa alcuna, nè vi sia motivo alcuno di infliggere
una pena cruenta, non possono mai, in alcun modo, ledere direttamente o
toccare l'integrità del corpo, nè per ragioni eugeniche,
nè per qualsiasi altra cagione. Questo insegna pure S. Tommaso
d'Aquino, mentre, proponendo la questione se i giudici
umani per prevenire mali futuri possano recar qualche danno al suddito,
lo concede quanto a certi altri mali, ma a ragione lo nega per quanto
riguarda la lesione corporale. «Mai, secondo il giudizio umano,
alcuno
deve essere punito, senza colpa, con pena di battiture, per essere
ucciso, o per esser mutilato o flagellato» [56].
Del resto, la cristiana dottrina insegna, e la cosa è certissima
anche al lume naturale della ragione, che gli stessi uomini privati non
hanno altro dominio sulle membra del proprio corpo, che quello che
spetta al loro fine naturale, e che non possono distruggerle o
mutilarle o per altro modo rendersi inetti alle funzioni naturali, se
non nel caso in cui non si può provvedere per altra via al bene
di tutto il corpo.
Ed ora, per venire all'altro capo di errori, che riguardano la fede
coniugale, ogni peccato che si commetta in danno della prole, viene di
conseguenza che sia peccato in qualche modo anche contro la fede
coniugale; perchè i beni dei matrimonio vanno connessi l'uno con
l'altro. Ma inoltre sono da noverarsi partitamente altrettanti
capi di errori e di corruttele contro la fede coniugale, quante sono le
virtù
domestiche che questa fede abbraccia: la casta fedeltà dell'uno
e l'altro coniuge; l'onesta soggezione della moglie al marito, e
finalmente il saldo e sincero amore tra i due.
Corrompono dunque anzitutto la fedeltà coloro che stimano
doversi essere indulgenti verso le idee e i costumi del nostro tempo,
intorno alla falsa e dannosa amicizia con terze persone, e sostengono
doversi in queste relazioni estranee consentire ai coniugi una certa
maggior licenza di pensare o di operare, e ciò tanto più
che (come vanno dicendo) non pochi hanno una congenita costituzione
sessuale, a cui non possono soddisfare tra gli angusti confini del
matrimonio monogamico. Quindi quella disposizione d'animo, onde gli
onesti coniugi condannano e ricusano ogni affetto ed atto libidinoso
con terza persona, essi la stimano un'antiquata strettezza di mente e
di cuore o una abbietta e vile gelosia; e però dicono nulle o da
annullare le leggi penali dello Stato intorno all'obbligo della fede
coniugale.
L'animo nobile dei casti coniugi, anche solo per lume naturale
respinge e disprezza certamente simili errori, come vanità e
brutture; e siffatta voce della natura è approvata e confermata
dal comandamento di Dio «Non fornicare» [57], e da quello di
Cristo: «Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha
già commesso in cuor suo adulterio con essa» [58].
E
nessuna
consuetudine o pravo esempio e nessuna parvenza di progresso umano
potrà mai indebolire la forza di questo divino precetto.
Perchè come è sempre il medesimo «Gesù
Cristo
ieri ed oggi e nei secoli» [59],
così è sempre la medesima
dottrina di Cristo, della quale non cadrà un punto solo, sino a
tanto che tutto sia adempito [60].
Questi stessi maestri di errori che offuscano il candore della fede e
della castità coniugale, facilmente scalzano altresì la
fedele
ed onesta soggezione della moglie al marito. E anche più
audacemente molti di essi affermano con leggerezza essere quella una
indegna servitù di un coniuge all'altro: i diritti tra i coniugi
essere tutti uguali, e che essendo essi violati con la servitù
di una parte, bandiscono superbamente come già fatta o da
procurarsi una certa emancipazione
della donna. E questa emancipazione
dicono dovere essere triplice; e nella direzione della società
domestica, e nell'amministrazione del patrimonio, e
nell'esclusione e soppressione della prole; e la chiamano emancipazione
sociale,
economica, fisiologica; fisiologica in quanto
vogliono che la donna, a
seconda della sua libera volontà, sia o debba essere sciolta dai
pesi coniugali, sia di moglie, sia di madre (e che questa, più
che emancipazione, debba dirsi nefanda scelleratezza, già
abbiamo bastantemente dichiarato): emancipazione economica, in forza
della quale la moglie, senza saputa e contro il volere del marito,
possa liberamente avere, trattare e amministrare affari suoi privati,
trascurando figli, marito e famiglia; emancipazione infine sociale, in
quanto si rimuovono dalla moglie le cure domestiche sì dei figli
come della famiglia, perchè, mettendo queste da parte possa
assecondare il proprio genio e dedicarsi agli affari e agli uffici
anche pubblici.
Ma neppure questa è vera emancipazione della donna, nè la
ragionevole e dignitosa libertà che si conviene al cristiano e
nobile ufficio di donna e di moglie; ma piuttosto è corruzione
dell'indole muliebre e della dignità materna e perversione di
tutta la famiglia, in quanto il marito resta privo della moglie, i
figli della madre, la casa e tutta la famiglia della sua sempre vigile
custode. Che anzi questa falsa libertà e innaturale eguaglianza
coll'uomo torna a ruina della stessa donna; giacchè se la donna
scende dalla sede veramente regale, a cui, tra le domestiche pareti, fu
dal Vangelo innalzata, presto ricadrà nella vecchia
servitù (se
non di apparenza, certo di fatto) e ridiventerà, come nel
paganesimo, un mero istrumento dell'uomo.
Quell'eguaglianza poi di diritti, che tanto si esagera e si mette
innanzi, deve riconoscersi in tutto quello che è proprio della
persona e dignità umana, e che consegue dal patto nuziale ed
è insito nel matrimonio; nel che certo, l'uno e l'altro coniuge
godono perfettamente dello stesso diritto e son legati da uno stesso
dovere; nel resto deve esservi una certa ineguaglianza e temperamento,
che è richiesto dal bene stesso della famiglia e dalla doverosa
unità e fermezza dell'ordine e della società domestica.
Tuttavia se in qualche luogo le condizioni sociali ed economiche della
donna maritata debbono mutarsi alquanto per le mutate consuetudini e
usi della umana convivenza, s'appartiene al pubblico magistrato
adattare all'odierne necessità ed esigenze i diritti civili
della moglie, tenuto conto di ciò che è richiesto dalla
diversa indole naturale del sesso femminile, dall'onestà dei
costumi e dal comune bene della famiglia; purchè l'ordine
essenziale della società domestica rimanga intatto, come quello
che fu istituito da un'autorità e sapienza più alta della
umana, cioè divina, e non può cambiarsi per leggi
pubbliche o per gusti privati.
Ma vanno ancor più oltre i recenti sovvertitori del
matrimonio,
col sostituire al sincero e solido amore, che è il fondamento
dell'intima dolcezza e felicità coniugale, una certa cieca
convenienza di carattere e concordia di gusti, che chiamano simpatia;
col cessar della quale sostengono che si rallenta e si scioglie l'unico
vincolo, onde gli animi si uniscono. Che altro mai sarà questo,
se non un edificare la casa sopra l'arena? Della quale dice Cristo, che
appena venga assalita dai flutti dell'avversità subito
vacillerà e ruinerà: «E soffiarono i venti e
imperversarono contro quella casa, ed ella andò giù, e fu
grande la sua ruina» [61].
Al contrario, la casa che sia stata
eretta
sulla pietra, cioè sul mutuo amore tra i coniugi, e rassodata da
una consapevole e costante unione di animi, non sarà mai scossa,
nonchè abbattuta, da nessuna avversità.
Abbiamo fin qui rivendicato, Venerabili Fratelli, i due primi
eccellentissimi beni del matrimonio cristiano, insidiati dai
sovvertitori della società odierna. Ma siccome a questi va
innanzi di gran lunga un
terzo bene, quello del sacramento,
così non ci fa meraviglia
il vedere che anzitutto questa bontà ed eccellenza sia da
costoro molto più veementemente impugnata. E da prima insegnano
che il matrimonio è cosa affatto profana e meramente civile e in
nessun modo da commettersi alla società religiosa, cioè
alla Chiesa di Cristo, ma soltanto alla società civile; e
soggiungono inoltre che il nodo nuziale dev'essere affrancato da ogni
legame d'indissolubilità, col tollerare non solo ma col sancire
per via di legge le separazioni ossia divorzi dei coniugi; dal che
alfine
nascerà che il matrimonio, spogliato di ogni santità, se
ne rimanga nel novero delle cose profane e civili.
Come prima cosa e principale stabiliscono che l'atto civile sia da
ritenersi quale vero contratto nuziale (e lo chiamano comunemente matrimonio civile); l'atto
religioso poi sia un mero aggiunto, o al
più da permettersi al volgo superstizioso. Di poi vogliono che
senza rimprovero d'alcuno sia lecito il matrimonio tra cattolici ed
acattolici, non avendo riguardo alla religione e senza chiedere il
consenso dell'autorità religiosa. Un'altra cosa, che viene di
conseguenza, consiste nello scusare i fatti divorzi e nel lodare e
propugnare quelle leggi civili, che favoriscono la
dissoluzione del vincolo stesso.
Per quanto riguarda la natura religiosa di qualsivoglia matrimonio, e
molto più del matrimonio cristiano che è altresì
sacramento, avendo Leone XIII largamente trattato e appoggiato con
gravi argomenti quello che in questa materia è da notare,
rimandiamo all'Enciclica
che Noi più volte abbiamo citato e
apertamente dichiarata Nostra. Qui stimiamo dover ripetere soltanto
alcuni pochi punti.
Anche col solo lume della ragione, massime chi voglia investigare gli
antichi monumenti della storia, e interrogare la costante coscienza dei
popoli, e consultare le istituzioni e i costumi di tutte le genti, si
può dedurre chiaramente essere inerente allo stesso matrimonio
naturale qualche cosa di sacro e di religioso, «non sopravvenuto
ma congenito, non ricevuto dagli uomini, ma inserito dalla
natura»,
avendo il matrimonio «Dio per autore, ed essendo stato, fin da
principio, una tal quale figura della Incarnazione del Verbo di
Dio» [62]. La ragione sacra
del coniugio, che va intimamente
connessa con
la religione e con l'ordine delle cose sacre, risulta sì
dall'origine sua divina, che abbiamo ricordato, sì dal
suo fine, che è generare ed educare a Dio la prole e condurre
parimente a Dio i coniugi mediante l'amore cristiano e il vicendevole
aiuto; sì finalmente dall'ufficio stesso naturale del
matrimonio,
voluto dalla provvida mente di Dio Creatore, per essere come un
tramite onde si trasmette la vita, facendo in ciò i genitori
quasi da ministri dell'onnipotenza divina. A tutto questo si aggiunge
la nuova ragione di dignità, derivante dal Sacramento, in grazia
del quale il matrimonio cristiano è divenuto di gran lunga
più nobile ed è stato elevato a tanta eccellenza, da
apparire all'Apostolo un grande mistero, in tutto onorabile [63].
La qual natura religiosa del matrimonio e la sublime sua significazione
della grazia e dell'unione fra Gesù Cristo e la Chiesa, richiede
dai futuri sposi una santa riverenza per le nozze cristiane e un santo
amore e zelo perchè il matrimonio, che stanno per contrarre, si
avvicini il più possibile al modello di Cristo e della Chiesa.
Molto mancano su questo punto, e talora mettendo in pericolo la loro
salvezza eterna, coloro che, senza gravi motivi, contraggono matrimonio
misto. Da siffatti matrimoni misti il provvido amore materno
della Chiesa distoglie i fedeli per gravissime ragioni, come si fa
manifesto da molti documenti compresi in quel canone del Codice di
diritto canonico, dove si legge: «La Chiesa con ogni
severità
vieta dappertutto, che si contragga matrimonio tra due persone
battezzate, delle quali una sia cattolica, l'altra appartenente a setta
eretica o scismatica; se poi vi è pericolo di perversione del
coniuge cattolico e della prole, il matrimonio è vietato dalla
stessa legge divina» [64].
Ed anche quando la Chiesa si induce, attese
le
circostanze dei tempi, delle cose e delle persone, a concedere la
dispensa da queste severe disposizioni (salvo il diritto divino
e rimosso con opportune guarentigie, quanto è possibile, il
pericolo di perversione), non può non avvenire, se non
difficilmente, che il coniuge cattolico abbia a risentire qualche danno
da siffatto matrimonio. Da esso infatti non raramente deriva nei
discendenti una luttuosa defezione dalla religione, o almeno il cadere
facilmente nell'indifferenza religiosa, vicinissima alla
incredulità ed alla empietà. Inoltre, in questi matrimoni
misti, è resa molto più difficile quella viva unione
degli animi, la quale deve imitare il mistero dianzi ricordato,
cioè l'arcana unione della Chiesa con Cristo.
Giacchè verrà a mancare facilmente la stretta unione
degli animi; la quale, com'è segno e nota distintiva della
Chiesa di Cristo,
così dev'essere distintivo, decoro ed ornamento del coniugio
cristiano. In fatti suole sciogliersi o almeno rallentarsi il vincolo
dei cuori, dove è diversità di pensiero e di affetto
circa le cose più alte e supreme dall'uomo venerate, cioè
nelle verità e nei sentimenti religiosi. Quindi viene il
pericolo che languisca l'amore tra i coniugi e ne vada in rovina la
pace e la felicità della famiglia, la quale fiorisce
principalmente dall'unità dei cuori. E così già,
da tanti secoli, l'antico Diritto Romano aveva definito: «Il
matrimonio è la congiunzione dell'uomo e della donna nel
consorzio di tutta la vita e nella comunicazione del diritto divino ed
umano» [65] .
Ma quello che sopratutto impedisce la restaurazione e la perfezione del
matrimonio stabilito da Cristo Redentore, è, come avvertimmo,
Venerabili Fratelli, la sempre crescente facilità dei divorzi.
Che anzi, gli odierni fautori dei Neopaganesimo, per nulla fatti saggi
dall'esperienza, vanno sempre più acremente oppugnando la sacra
indissolubilità del coniugio e le leggi che la sostengono, e
sostengono doversi dichiarare lecito il divorzio, affinchè una
legge nuova e più umana venga sostituita a leggi antiquate e
sorpassate.
Essi rappresentano molte e varie ragioni per il divorzio; alcune
provenienti da vizio o colpa delle persone, altre inerenti alle cose
stesse (le une dicono soggettive le altre oggettive); in una parola,
tutto quello che rende più aspra ed ingrata la indivisibile
convivenza. E pretendono di dimostrare siffatte ragioni, per molti
capi: da prima, per il bene di ambedue i coniugi, sia dell'innocente,
il quale ha perciò il diritto di separarsi dal coniuge reo, sia
del colpevole di delitti, che per questo appunto deve essere
separato da una unione ingrata e coatta; di poi, per il bene della
prole, la quale resta priva della retta educazione, essendo troppo
facilmente scandalizzata e ritratta dalla via della virtù per
le discordie e altre colpe dei genitori; infine, per il bene comune
della società, giacchè questo richiede, che anzitutto si
sciolgano affatto quei matrimoni i quali non valgono più ad
ottenere il fine inteso dalla natura; e che inoltre si permettano dalla
legge i divorzi sia per prevenire quei delitti che si possono
facilmente temere dalla convivenza di tali coniugi, sia per evitare che
cadano sempre più in ludibrio i tribunali e l'autorità
delle leggi, quando i coniugi, ad ottenere la bramata sentenza di
divorzio, o commettono a bella posta quei delitti per i quali il
giudice può sciogliere il vincolo a norma di legge, o
sfacciatamente mentiscono e spergiurano di averli commessi, non ostante
che il giudice vegga chiaramente lo stato delle cose. Pertanto, essi
dicono, le leggi devono in ogni modo conformarsi a tutte queste
necessità, alle mutate condizioni dei tempi, opinioni
degli uomini, istituzioni e costumi delle nazioni; i quali motivi per
sè soli, e massimamente se tutti insieme considerati,
dimostrerebbero con evidenza che per determinate cause deve
assolutamente concedersi la facoltà di divorzio.
Altri, con più audacia, opinano che il matrimonio, come
contratto meramente privato, deve essere lasciato al consenso e
all'arbitrio privato dei due contraenti, come avviene degli altri
contratti privati; e perciò sostengono che può essere
sciolto per qualsiasi motivo.
Senonchè, contro tutte queste insanie sta immobile, Venerabili
Fratelli, la legge di Dio, da Cristo amplissimamente confermata, e che
non può venire smossa da nessun decreto degli uomini, opinione
di popoli o volontà di legislatori: «Quello che Dio ha
congiunto, l'uomo non separi» [66].
E se l'uomo ingiuriosamente
si
attenta a separarlo, il suo atto è del tutto nullo, e resta
immutabile quanto Cristo apertamente confermò: «Chiunque
rimanda la moglie e ne sposa un'altra, è adultero, e chi
sposa la rimandata dal suo marito, è adultero» [67]. E queste
parole
di Cristo riguardano qualsiasi matrimonio, anche quello soltanto
naturale e legittimo; giacchè ad ogni vero matrimonio spetta
quella indissolubilità, per la quale esso è sottratto,
quanto alla soluzione del vincolo, e all'arbitrio delle parti e ad ogni
potestà laicale.
E qui deve pur essere ricordato il solenne giudizio, onde il Concilio
Tridentino condannò le insanie stesse di anatema:
«Chiunque
dice, che il vincolo del matrimonio può essere sciolto dal
coniuge, a causa di eresia o di molesta coabitazione o di affettata
assenza, sia anatema» [68];
e inoltre: «Chiunque dice che la Chiesa
erra
quando ha insegnato e insegna che, secondo la dottrina evangelica ed
apostolica, non può essere disciolto il vincolo del matrimonio
per l'adulterio di uno dei coniugi, e che nessuno dei due, neanche
l'innocente che non diede motivo all'adulterio, può contrarre
altro matrimonio, vivente l'altro coniuge, e che commette adulterio
tanto colui il quale, ripudiata l'adultera, sposa un'altra, quanto
colei, che abbandonato il marito, ne sposa un altro, sia anatema»
[69]. Che se non errò
nè erra la Chiesa in questa sua dottrina,
e perciò è al tutto certo che il vincolo del matrimonio
non può essere disciolto neppure per l'adulterio, ne segue con
evidenza che molto minor valore hanno tutti gli altri motivi di
divorzio, di molto più deboli, che sogliono o possono mai
allegarsi; e quindi non è da farne verun conto.
Del resto, le obbiezioni che vengono mosse contro la saldezza del
vincolo da quel triplice capo, sono di facile soluzione. Infatti, i
danni ricordati vengono impediti e i pericoli rimossi, se in quelle
estreme circostanze si permette la separazione imperfetta dei coniugi,
rimanendo cioè intatto il vincolo; la quale separazione è
consentita chiaramente dalla legge della Chiesa nelle chiare parole dei
canoni che trattano della separazione del talamo, della mensa e
dell'abitazione [70]. Lo stabilire
poi le cause di tale separazione, le
condizioni, il modo e le cautele onde si provveda all'educazione dei
figli e all'incolumità della famiglia e si rimuovano quanto
è possibile i danni tutti derivanti ai coniugi, alla prole e
alla stessa comunità civile, spetta alle leggi sacre e, almeno
in parte, anche alle leggi civili, in quanto si attiene alle cose e
agli effetti civili.
Tutti gli argomenti poi, che sogliono apportarsi e sopra abbiamo
toccati, a dimostrare la indissolubilità del matrimonio, valgono
chiaramente con uguale forza ad escludere non solamente la
necessità ma anche ogni facoltà o concessione di
divorzio. Inoltre quanti sono gli eccellenti vantaggi che militano per
la indissolubilità, altrettanti all'opposto appaiono i danni del
divorzio, e questi perniciosissimi e agli individui e a tutta l'umana
convivenza.
E, per valerci di nuovo della dottrina del Nostro predecessore, appena
è necessario osservare che quanta copia di beni in sè
contiene
la fermezza indissolubile del matrimonio, altrettanta messe di mali
portano seco i divorzi. Da una parte, con la fermezza del vincolo, i
matrimoni sono pienamente sicuri; dall'altra invece, con la
possibilità e anzi probabilità del divorzio, il legame
nuziale diventa mutabile o almeno soggetto ad ansietà e
sospetti. Dall'una parte viene mirabilmente consolidata la mutua
benevolenza e comunione di beni, dall'altra deplorevolmente indebolita
per l'offerta facoltà di separarsi. Da una parte validi presidii
alla fedeltà dei coniugi, dall'altra perniciosi incitamenti
all'infedeltà. Dall'una la procreazione, protezione ed
educazione della prole efficacemente promossa, dall'altra sempre
esposta ai più gravi danni. Da una parte chiuso l'adito
molteplice alle discordie tra le famiglie e i parenti,
dall'altra datane più frequente occasione. Dall'una più
facilmente sopiti i germi di dissensioni, dall'altra più
copiosamente e largamente seminati. Dall'una massimamente redintegrata
e felicemente restaurata la dignità e l'ufficio della donna
nella famiglia e nella società; dall'altra indegnamente
depressa, esposta com'è la sposa al pericolo di «venire
abbandonata dopo di aver servito alla passione dell'uomo» [71].
E poichè a distruggere le famiglie — per concludere con le
gravissime parole di Leone XIII — «ed abbattere la potenza
dei regni
niente ha maggior forza che la corruzione dei costumi, è agevole
a conoscere che alla prosperità delle famiglie e delle nazioni
sono funestissimi i divorzi, i quali nascono da depravate consuetudini,
e come ne attesta l'esperienza, aprono l'adito ad una sempre maggiore
corruttela del pubblico e privato costume. E questi mali appariranno
anche più gravi se pongasi mente che non vi sarà mai
alcun freno sì potente che valga a contenere entro certi e
prestabiliti confini la licenza una volta conceduta dei divorzi.
È
grande la forza degli esempi, maggiore quella delle passioni; per tali
eccitamenti avverrà certo che la sfrenata voglia dei divorzi,
serpeggiando ogni dì più largamente, invada l'animo di
moltissimi, a
guisa di morbo che si sparge per contagio, o come torrente che, rotti i
ripari, trabocca» [72].
E perciò, come nell'Enciclica stessa si legge, «ove non si
muti
consiglio, le famiglie e la società umana dovranno stare in
perpetuo timore di essere travolte nel rivolgimento e scompiglio di
tutte
le cose» [73]. Orbene, la
corruzione tuttodì crescente e
l'incredibile depravazione della famiglia nelle regioni pienamente
dominate dal comunismo, ben dimostrano con quanta verità tutto
ciò sia stato prenunziato cinquant'anni addietro.
Finora, Venerabili Fratelli, abbiamo con venerazione ammirato le
disposizioni date dal sapientissimo Creatore e Redentore dell'uman
genere in ordine al matrimonio, addolorati in pari tempo di vedere
sì spesso rese vane e conculcate tali sante intenzioni della
divina Bontà dalle
passioni, dagli errori e vizi degli uomini. È quindi naturale
che noi
rivolgiamo la sollecitudine paterna dell'animo Nostro a trovare rimedi
opportuni ad estirpare interamente i perniciosissimi abusi già
ricordati, e a rendere dappertutto al matrimonio il dovuto rispetto.
Aiuterà a ciò principalmente il ricordare quella massima
certissima, che è comunemente ammessa dalla sana filosofia e
dalla sacra teologia: che per ricondurre al loro pristino stato,
secondo la loro natura, le cose che hanno deviato dalla rettitudine,
non vi è altra via che di riportarle a conformità della
ragione divina, la quale (come insegna l'Angelico) [74] è
l'esemplare
della perfetta rettitudine. Per questo il Nostro predecessore di f. m
Leone XIII, ben a ragione, incalzava i naturalisti con queste
gravissime parole: «È legge divinamente sancita che le
cose istituite
dalla natura e da Dio, si sperimentino da noi tanto più utili e
salutari, quanto più rimangono intere ed immutabili nel loro
stato naturale: essendochè Iddio, creatore di tutte le cose, ben
conobbe ciò che alla istituzione e al mantenimento di ciascuna
sia espediente, e tutte con la volontà e mente sua le ha in
guisa ordinate, che ognuna debba convenientemente raggiungere il suo
fine. Ma se la temerità e malvagità degli
uomini voglia rimutare e sconvolgere l'ordine delle cose
provvidissimamente stabilito, allora anche le cose con somma sapienza
ed altrettanta utilità istituite o cominciano a nuocere, o
lasciano di giovare, sia perchè col mutare abbiano perduta la
virtù di far bene, sia perchè Iddio stesso voglia
piuttosto prendere siffatti castighi dell'orgoglio e dell'audacia dei
mortali» [75] .
È dunque necessario per ricondurre il retto ordine nella
materia
matrimoniale, che tutti considerino il disegno divino intorno al
matrimonio e cerchino di conformarsi ad esso.
E poiché tale studio è soprattutto contrastato dalla
forza della concupiscenza che è senza dubbio la cagione
principale per cui si pecca contro le sante leggi coniugali, e non
potendo l'uomo tener a sè soggette le passioni se prima non
sottomette sè a Dio, a ciò bisogna anzitutto rivolgere le
cure secondo l'ordine divinamente stabilito. È legge
inderogabile che
chi vive soggetto a Dio veda con l'aiuto della divina grazia
assoggettarsi a sè le passioni e la concupiscenza, ed al
contrario chi è ribelle a Dio, esperimenti con dolore l'interna
lotta delle passioni violente. Nè ciò va senza una
sapiente disposizione, come dimostra Sant'Agostino: «Infatti
è giusto che l'inferiore si assoggetti al superiore; in modo che
chi vuole a sè soggetto chi è sotto di sè, debba a
sua volta star soggetto a chi è sopra di sè. Riconosci
l'ordine, cerca la pace! Tu a Dio: e
la carne a te. Che di più
giusto? che di più bello? Tu al maggiore, a te il minore: servi
tu a Colui che creò te, perchè a te serva ciò che
è stato creato per te. Bada però, l'ordine non
l'intendiamo, non lo proponiamo così: A te la carne, e tu a Dio,
sibbene Tu a Dio, e la carne a te!
E se trascuri il Tu a Dio,
non
raggiungerai mai l'A te la carne.
Tu che non ubbidisci al Signore, sei
tormentato dal servo» [76].
Tale ordinamento della divina Sapienza è pure attestato, per
ispirazione dello Spirito Santo, dal Santo Dottore delle Genti, dove, a
proposito dei sapienti antichi i quali ricusavano di prestare culto e
venerazione al Creatore dell'universo da essi ben conosciuto, si
esprime cosi: «Per questo Iddio li abbandonò ai desideri
del
loro cuore, all'immondezza, talchè disonorassero in se stessi i
corpi loro»; e di nuovo «per questo Iddio li diede in
balìa di ignominiose passioni» [77], perchè «Iddio
resiste ai superbi e largisce la grazia agli umili» [78], senza la quale, come
insegna
lo stesso Dottore delle Genti, l'uomo non può soggiogare la
ribelle concupiscenza [79].
Poichè dunque non è possibile raffrenare, come si deve,
le
indomite brame, senza che prima l'anima presti l'umile ossequio della
pietà e della riverenza al Creatore, questo sopratutto è
necessario, che coloro che stringono il sacro vincolo matrimoniale
siano bene compenetrati da una profonda pietà verso Dio, la
quale informi tutta la loro vita, e riempia la mente e la
volontà di somma venerazione verso la suprema Maestà di
Dio.
Ben dunque si guidano e conforme al più sano e perfetto senso
cristiano quei Pastori di anime, i quali per impedire che gli sposi non
abbiano nel matrimonio a deviare dalla legge di Dio, anzitutto li
esortano agli esercizi di pietà e di religione, ad unirsi
totalmente a Dio, ad invocarne costantemente l'aiuto, e frequentare i
sacramenti, a fomentare e custodire, sempre e in tutto, sentimenti di
devozione e pietà verso Dio.
Grandemente invece si ingannano
coloro i quali, lasciati da parte
questi mezzi che trascendono la natura, credono di potere, per mezzo
dei soli ritrovati delle scienze naturali (come la biologia, lo studio
delle trasmissioni ereditarie, e simili), persuadere gli uomini a
frenare le concupiscenze carnali. Nè con ciò intendiamo
dire che non si debba tener conto anche di questi aiuti naturali quando
non siano illeciti: perchè è lo stesso Dio, unico autore
della natura e della grazia, il quale ha disposto che i beni sì
dell'uno come dell'altro ordine servano ad uso ed utilità degli
uomini. I fedeli, dunque, possono e debbono giovarsi anche degli aiuti
naturali. Ma sbagliano quelli che credono bastar questi a guarentire la
castità dell'unione matrimoniale, o che stimano trovarsi in
essi una maggiore efficacia che non nell'aiuto soprannaturale della
grazia.
Ma tale conformità della convivenza e dei costumi matrimoniali
alle leggi di Dio, senza la quale non si potrebbe avere un'efficace
ristaurazione di esso, suppone che da tutti si possa conoscere
facilmente, con ferma certezza e senza mescolanza di errore, quali
siano queste leggi. A nessuno può sfuggire a quanti inganni si
aprirebbe l'adito, quanti errori si mischierebbero alla verità,
se tale indagine fosse lasciata alla ragione individuale munita del
solo lume naturale, ovvero se tale investigazione fosse affidata alla
privata interpretazione della verità
rivelata. Il che se vale di tante altre verità di ordine morale,
soprattutto si deve dire di quelle che spettano al matrimonio, atteso
che tanto facile sia che la
passione della voluttà venga a sopraffare la debolezza umana,
ingannarla e sedurla; tanto più che l'osservanza della legge di
Dio richiede talvolta dai coniugi dei sacrifizi ardui e diuturni; e
l'esperienza dimostra che di questi appunto si serve l'umana
fragilità come di pretesti per esimersi dall'osservanza della
legge divina.
Affinchè pertanto la conoscenza vera e sincera della legge
divina, e non una simulazione ed una corrotta immagine di essa, sia di
luce e guida alle menti e alla condotta degli uomini, si richiede che
alla pietà verso Dio e alla brama di ubbidire a Lui, vada unita
pure una filiale ed umile ubbidienza verso la Chiesa. Poichè
è stato il medesimo Cristo Signor Nostro colui che
costituì la Chiesa Maestra di verità anche in queste cose
spettanti alla direzione e regola dei costumi, quantunque tra esse
molte non siano per se stesse inaccessibili all'umano intelletto. E
come il Signore, quanto alle verità naturali riguardanti la fede
e i costumi, volle aggiungere al semplice lume della ragione quello
della rivelazione, sicchè queste cose giuste e vere «anche
nelle condizioni presenti dell'umana natura, da tutti possano
conoscersi facilmente e con certezza assoluta e
senza ombra di errore» [80]
così, per lo stesso fine, volle
costituire la Chiesa custode e maestra delle verità tutte che
riguardano la religione e i costumi: ad essa quindi i fedeli, se
vogliono serbarsi immuni da errori di intelletto e da corruzione
morale, debbono ubbidire e assoggettare la mente ed il cuore. E per non
privarsi da se stessi di un aiuto apprestato con sì larga
benignità dal Signore, essi debbono prestare doverosa obbedienza
non solo alle definizioni più solenni della Chiesa, ma
altresì, osservata la debita proporzione, alle altre
Costituzioni o Decreti, coi quali certe opinioni vengono proscritte
come perverse e pericolose [81].
I cristiani debbono quindi tenersi lontani da una smodata indipendenza
di giudizio e da una falsa «autonomia» della ragione, anche
rispetto a certe questioni che sul matrimonio si dibattono ai giorni
nostri. Disdirebbe affatto ad un cristiano degno di tal nome, il
fidarsi a
tal segno della propria intelligenza, da voler prestar fede soltanto a
quelle verità di cui apprende da sè l'intrinseca natura;
il ritenere che la Chiesa, da Dio destinata a maestra e reggitrice dei
popoli, non sia abbastanza illuminata intorno alle cose e circostanze
moderne; ovvero il non prestarle
assenso ed obbedienza se non in ciò che essa impone per via di
definizioni più solenni, quasi che le altre sue decisioni si
potessero presumere o false, o non fornite di sufficienti motivi di
verità e di onestà. È proprio invece di tutti i
veri
seguaci di Cristo, così dotti come ignoranti, di lasciarsi
reggere e guidare dalla santa Chiesa di Dio in tutte le cose spettanti
alla fede e ai costumi, per mezzo del suo Supremo Pastore, il Pontefice
Romano, il quale è retto a sua volta da Gesù Cristo
Signor Nostro.
Or siccome tutto si deve riportare alla legge e alle idee di Dio,
perchè si ottenga una generale e stabile ristaurazione del
matrimonio,
dobbiamo considerare di primaria importanza che i fedeli siano bene
istruiti circa il matrimonio, a voce e in iscritto, non una volta sola
e superficialmente, ma spesso e con sodezza, con argomenti chiari e
solidi, in modo che queste verità s'imprimano bene
nell'intelletto e penetrino fino in fondo al cuore. Sappiano e
considerino assiduamente quanta sapienza, santità, bontà
abbia dimostrato il Signore verso l'uman genere, sia con l'istituzione
del matrimonio, sia con presidiarlo di sante leggi, e più ancora
elevandolo alla mirabile dignità di Sacramento, per cui si apre
agli sposi cristiani una sì copiosa fonte di grazie da poter
corrispondere, in castità e fedeltà, agli alti fini del
matrimonio, a bene e salute
propria e dei figli, di tutta la società civile e
dell'umanità intera.
E certo se i moderni distruttori del matrimonio si danno tanto attorno
con discorsi, con libri ed opuscoli e con infiniti altri mezzi, a
pervertire le menti, a corrompere i cuori, a mettere in derisione la
castità matrimoniale, e ad esaltare i vizi più
vergognosi, molto più Voi, o Venerabili Fratelli, cui «lo
Spirito Santo ha costituiti Vescovi per reggere la Chiesa di Dio da Lui
conquistata col Sangue suo» [82],
non dovrete lasciare alcun
mezzo
intentato, o per Voi stessi, o per mezzo dei sacerdoti a Voi soggetti,
come pure mediante i laici opportunamente scelti fra gli iscritti
all'Azione Cattolica tanto da noi bramata e raccomandata in aiuto
dell'apostolato gerarchico, per modo da contrapporre la verità
all'errore, alla turpitudine del vizio lo splendore della
castità, alla servitù delle passioni la libertà
dei figli di Dio [83], alla iniqua
facilità dei divorzi la
perenne
stabilità del vero amore coniugale e dell'inviolabilità
fino alla morte del prestato giuramento di fedeltà.
In tal modo i cristiani ringrazieranno Dio di tutto cuore di essere
vincolati dal precetto e di essere con soave violenza costretti a
tenersi lontani il più possibile da ogni idolatria della carne e
dall'ignobile schiavitù della libidine. E sentiranno profondo
orrore e fuggiranno con ogni diligenza quelle nefande opinioni che oggi
appunto, a disonore della verace dignità umana, si vanno
diffondendo a voce e in iscritto, col nome di «perfetto
matrimonio» e che fanno di tal perfetto matrimonio un
«matrimonio depravato», come giustamente e meritamente
è stato detto.
Ma questa sana istruzione ed educazione religiosa circa il matrimonio
cristiano, starà ben lontana da quella esagerata educazione
fisiologica, con la quale ai dì nostri certi riformatori della
vita coniugale presumono di venire in aiuto agli sposi, spendendo
moltissime parole su tali questioni fisiologiche, dalle quali tuttavia
più che la virtù di una vita casta si apprende l'arte di
peccare abilmente.
Per ciò ben di cuore facciamo nostre, Venerabili Fratelli, le
parole che il Nostro predecessore di f. m. Leone XIII rivolgeva ai
Vescovi di tutto il mondo nell'Enciclica
sul Matrimonio cristiano: «Per quanto si possono estendere i
vostri sforzi e l'autorità
vostra, fate opera perchè appresso i popoli raccomandati alla
vostra tutela, si mantenga intera e incorrotta la dottrina che Cristo
Signore e gli Apostoli interpreti dei voleri del Cielo insegnarono e
che la Chiesa cattolica conservò essa
medesima gelosamente e comandò che fosse dai cristiani per
tutte le età custodita» [84].
Ma anche la migliore educazione impartita per mezzo della Chiesa, da
sola non basta ad ottenere novamente la conformità del
matrimonio alla legge di Dio: all'istruzione della mente negli sposi
deve andar congiunta la ferma volontà di osservare le sane leggi
di Dio e della natura intorno ad matrimonio. Qualunque teoria altri
voglia o con discorsi o con iscritti affermare e diffondere, i coniugi
stabiliscano e propongano con fermezza e costanza di volere, senza
veruna esitanza, attenersi ai comandamenti di Dio in tutto ciò
che riguarda il matrimonio: nel prestarsi cioè mutuamente
l'aiuto della carità, nel serbar la fedeltà della
castità, nel non attentare mai alla stabilità dei
vincolo, nell'usare dei diritti matrimoniali sempre conforme alla
moderazione e pietà cristiana, specialmente nel primo periodo
dell'unione, di modo che se, in appresso, le circostanze imponessero la
continenza, ad ambedue per l'abitudine contratta riesca più
facile l'osservarla.
Servirà loro di grande aiuto a concepire, mantenere ed
attuare una sì ferma volontà, il considerare spesso lo
stato
loro, e la memoria attiva del Sacramento ricevuto. Si ricordino
assiduamente che sono stati santificati e fortificati nei doveri e
nella dignità dello stato loro per mezzo di uno speciale
Sacramento, la cui efficace virtù, sebbene non imprima
carattere, è tuttavia permanente. Riflettano perciò a
queste parole, veramente feconde di soda consolazione, del santo
Cardinal Bellarmino, il quale, con altri autorevoli teologi,
così piamente sente e scrive: «Il Sacramento del
matrimonio si
può riguardare in due modi: il primo mentre si celebra; il
secondo mentre perdura dopo che è stato celebrato.
Giacchè è un sacramento simile all'Eucarestia, la quale
è Sacramento non solo mentre si fa, ma anche mentre perdura:
perchè, fin quando vivono i coniugi, la loro unione è
sempre il Sacramento di Cristo e della Chiesa» [85] .
Ma perchè la grazia di questo Sacramento eserciti tutta la
sua
efficacia, si richiede altresì, come abbiamo già
accennato, il concorso dei coniugi: e questo consiste in ciò che
con l'opera ed industria propria si sforzino seriamente di compiere
quanto dipende da loro nell'adempimento dei doveri. Come nell'ordine
naturale, perchè le forze date da Dio manifestino tutto il loro
vigore, bisogna che siano applicate dall'opera e dall'industria umana,
e ove questa si trascuri non se ne può trarre alcun profitto:
così anche nell'ordine della grazia, le
forze che nel ricevere il Sacramento vengono depositate nell'anima,
debbono essere esercitate dagli uomini con la propria opera ed
industria. Badino dunque gli sposi di non trascurare la grazia propria
del Sacramento che sta in essi [86]:
ma dandosi alla diligente
osservanza
dei propri doveri, siano pure difficili, di giorno in giorno
sperimenteranno in sè più efficace la virtù della
grazia. Che se talora si sentiranno alquanto più oppressi dai
travagli dello stato e della vita loro, non si lascino abbattere, ma
stimino come a sè dette le parole che, circa il sacramento
dell'Ordine S.
Paolo scriveva al suo dilettissimo discepolo Timoteo, per sollevarlo
dalle fatiche e dagli strapazzi ond'era quasi oppresso: «Ti
raccomando
di ravvivare in te la grazia di Dio che è in te mediante
l'imposizione delle mie mani, poichè Iddio non ci ha dato
spirito di timidità, ma di fortezza, di amore e di
saggezza» [87].
Ma il fin qui detto, Venerabili Fratelli, in gran parte dipende
dall'accurata preparazione, sia remota, sia prossima, degli sposi al
matrimonio. Non si può infatti negare che tanto il saldo
fondamento dell'unione felice, come le rovine delle unioni disgraziate,
si vanno preparando e disponendo nel cuore dei fanciulli e delle
fanciulle sin dalla loro puerizia e giovinezza. Ben è a temersi
che coloro che nel tempo precedente alle nozze, dappertutto non
cercavano che se stessi e le proprie comodità, e solevano
accondiscendere ai propri desideri, anche se turpi, giunti poi al
matrimonio, siano poi tali quali erano prima, e che abbiano poi a
mietere ciò che hanno seminato [88]:
vale a dire che abbiano a
ritrovare tra le mura domestiche tristezza, pianto, disprezzo
scambievole, litigi, avversione di animo, noia della vita coniugale, e,
ciò che è peggio,
abbiano a trovare se stessi con le loro sfrenate passioni.
I futuri sposi adunque si presentino al matrimonio ben disposti e ben
preparati, perchè possano a vicenda porgersi il dovuto conforto
nelle vicende tristi e liete della vita e molto più nel
procurarsi la salute eterna e nel formare l'uomo interiore «alla
misura dell'età piena di Cristo» [89]. Ciò
servirà loro di aiuto a dimostrarsi veramente tali verso la loro
diletta prole, quali Iddio vuole che siano i genitori verso i loro
figliuoli: cioè un padre che sia veramente padre, una madre che
sia veramente madre; sicchè, grazie al loro pio amore e alle
loro cure assidue, la casa paterna diventi per i figliuoli, anche tra
l'inopia più dura, in questa valle di lacrime, quasi
un'immagine di quel paradiso di letizia, dove il Creatore dell'uman
genere aveva collocati i nostri progenitori. Di qui anche
avverrà che dei figliuoli sapranno fare degli uomini perfetti e
dei perfetti cristiani e imbevuti dello schietto sentimento della
Chiesa cattolica, e loro infondere altresì quel nobile amore e
sentimento di patria, ch'è richiesto dalla pietà e dalla
riconoscenza.
Pertanto, sia coloro che pensano di contrarre un giorno questo santo
connubio, sia coloro che hanno cura della educazione della
cristiana gioventù facciano grandissimo conto di questo
avvenire, e lo
preparino lieto e impediscano che sia triste, tenendo in mente gli
ammonimenti da Noi dati nell'Enciclica sopra l'educazione: «Sono
dunque da correggere le inclinazioni disordinate, promuovere e ordinare
le buone, sin dalla più tenera infanzia, e sopratutto devesi
illuminare l'intelletto e fortificare la volontà con le
verità soprannaturali e i mezzi della grazia; senza di cui non
si può nè dominare le perverse inclinazioni ne
raggiungersi la debita perfezione educativa della Chiesa, perfettamente
e compiutamente dotata da Cristo e della dottrina divina e dei
Sacramenti, mezzi efficaci della grazia» [90].
Rispetto poi alla preparazione prossima di un buon matrimonio è
di somma importanza la diligenza nella scelta del coniuge; da essa
infatti dipende molto la felicità o la infelicità futura
del matrimonio, potendo l'un coniuge essere all'altro di grande aiuto a
menare nello stato coniugale una vita cristiana, oppure di grande
pericolo ed impedimento. Affinchè dunque non abbia per tutta la
loro vita da pagare la pena di una scelta inconsiderata, chi desidera
sposare sottoponga a matura deliberazione la scelta della persona, con
la quale dovrà poi sempre vivere; ed in siffatta deliberazione
abbia anzitutto riguardo a Dio ed alla vera
religione di Cristo, indi a se medesimo, al coniuge, alla futura prole,
come pure alla umana e civile società, la quale dal matrimonio
nasce come da propria fonte. Implori con fervore il divino aiuto,
perchè possa eleggere secondo la cristiana prudenza, e
non già spinto dal cieco e indomito impeto della passione, o dal
mero desiderio di lucro, o da altro men nobile impulso, bensì da
vero e ordinato amore, e da sincero affetto verso il futuro coniuge,
cercando nel matrimonio quei fini appunto per i quali esso fu da Dio
istituito. Non tralasci infine di richiedere il prudente consiglio dei
genitori sulla scelta da fare; anzi di questo faccia gran conto,
affinchè mediante la loro maggiore esperienza e matura
conoscenza delle cose umane, abbia ad evitare dannosi errori, e ottenga
pure più copiosamente, nel contrarre il matrimonio, la divina
benedizione del quarto comandamento: «Onora il padre e la madre
tua (che è il primo comandamento che ha promessa):
affinchè tu sii felice e viva lungamente sopra la terra» [91].
E poichè non di rado l'esatta osservanza della legge divina e
l'onestà del matrimonio sono esposte a gravi difficoltà,
quando i coniugi sono oppressi dalla scarsezza dei mezzi e dalla grande
penuria di beni
temporali, bisognerà certamente, nel miglior modo possibile,
venire in aiuto delle loro necessità.
Ed in primo luogo, dovrà con ogni sforzo procurarsi, quanto fu
già sapientissimamente decretato dal nostro predecessore Leone
XIII [92], che cioè nella
civile società le condizioni
economiche e sociali siano così ordinate, che ogni padre di
famiglia possa meritare e lucrare quanto è necessario al
sostentamento proprio, della moglie e dei figli, secondo le diverse
condizioni sociali e locali: «poichè è dovuta
all'operaio la sua mercede» [93];
e il negarla o il non darla in
equa
misura è commettere una grande ingiustizia, che dalla Sacra
Scrittura viene annoverata tra i massimi peccati [94]; come pure non
è lecito pattuire salari tanto esigui, che non siano sufficienti
per le condizioni dei tempi e le circostanze in cui si trova la
famiglia da sostenere.
Occorrerà tuttavia provvedere che gli stessi coniugi,
già
molto tempo prima di contrarre matrimonio, rimuovano gli ostacoli
materiali, o procurino almeno di diminuirli, lasciandosi istruire da
persone esperte
sul modo di riuscirvi efficacemente, nonchè
onestamente. Che se essi da soli non bastano, si provvegga con l'unione
degli sforzi delle persone di simili condizioni, e mediante
associazioni private e pubbliche, ai modi di
soccorrere alle necessità della vita [95].
Allorchè poi i mezzi fin qui indicati non riescano a pareggiare
le spese, sopratutto se la famiglia è piuttosto numerosa o meno
capace, l'amore cristiano per il prossimo richiede assolutamente che la
carità cristiana supplisca a quanto manca agli indigenti, che i
ricchi anzitutto assistano i più poveri, e quelli che hanno beni
superflui, anzichè impiegarli in vane spese o addirittura
dissiparli, li impieghino per la vita e la sanità di quelli che
mancano del necessario. Quelli che nei poveri daranno a Cristo delle
proprie sostanze, riceveranno dal Signore abbondantissima mercede,
allorchè Egli verrà a giudicare il mondo; quelli invece
che faranno il contrario saranno puniti [96];
giacchè non invano
avverte l'Apostolo: «Chi avrà dei beni di questo mondo, e
vedrà il suo fratello in necessità, e gli chiuderà
le sue viscere, come la carità di Dio dimora in lui?» [97].
Ove poi i privati sussidi non bastassero, appartiene alla pubblica
autorità di supplire alle forze insufficienti dei privati,
specialmente in una cosa di tanta importanza per il bene comune quanto
è la condizione delle famiglie e dei coniugi che sia degna di
uomini. Se infatti alle famiglie, a quelle specialmente che hanno una
numerosa figliolanza, mancano convenienti abitazioni; se l'uomo non
riesce a trovare l'opportunità di procacciarsi lavoro e vitto;
se le cose occorrenti agli usi quotidiani non possono comprarsi che a
prezzi esagerati; se perfino le madri di famiglia, con non piccolo
danno dell'economia domestica, sono gravate dalla
necessità e dal peso di guadagnar denaro col proprio
lavoro; se esse, negli ordinari o anche straordinari travagli della
maternità, mancano del conveniente vitto, delle medicine,
dell'aiuto di un medico esperto, e di altre simili cose: non è
chi non vegga, quanto grande pericolo ne possa nascere per la pubblica
sicurtà, la salvezza e la vita stessa della società
civile, se cotali uomini, non avendo più nulla da temere che sia
loro tolto, siano spinti a tanta disperazione, che osino ripromettersi
di poter forse conseguir molto dallo sconvolgimento dello Stato e di
ogni cosa.
Quanti dunque hanno cura della cosa pubblica e del bene comune, non
possono trascurare queste materiali necessità dei coniugi e
delle famiglie, senza arrecare grave danno alla cittadinanza ed al bene
comune; ed è perciò necessario che, nel fare le leggi e
nell'ordinare le pubbliche spese, tengano in massimo conto la cura di
venire in aiuto alla penuria delle famiglie povere, stimando ciò
tra i precipui doveri della loro carica.
Con dolore poi avvertiamo, non essere oggi raro il caso, in cui,
contrariamente al retto ordine, molto facilmente si provvegga di pronto
e copioso sussidio la madre e la prole illegittima (sebbene a questa
pure si debba soccorrere, anche per impedire mali maggiori); laddove
alla legittima o è negato il soccorso, o concesso grettamente e
quasi strappato a forza.
Senonchè, non soltanto per quello che spetta ai beni temporali,
Venerabili Fratelli, importa moltissimo alla pubblica autorità
che il matrimonio e la famiglia siano bene costituiti, ma anche per
quanto concerne i beni propri delle anime: il sancire cioè
giuste leggi, che riguardino la fedeltà della castità e
il mutuo aiuto dei coniugi e cose simili, e la loro fedele osservanza:
giacchè, come insegna la storia, la salvezza della Stato e la
prosperità della vita temporale dei cittadini non può
restare salda e sicura, ove vacilli il fondamento su cui si appoggia,
che è il retto ordine morale, e ove per i vizi dei cittadini si
ostruisca la fonte donde
nasce la città, cioè il matrimonio e la famiglia.
Ma, alla tutela dell'ordine morale non bastano le forze esterne della
comunità e le pene, e nemmeno il proporre agli uomini la
bellezza stessa della virtù e la sua necessità; ma
è necessario che vi si aggiunga l'autorità religiosa, che
illumini la mente con la verità, diriga la volontà
e valga a fortificare l'umana fragilità con gli aiuti della
divina grazia: la quale autorità è la sola Chiesa,
istituita da nostro Signore Gesù Cristo. Pertanto, vivamente
esortiamo nel Signore quanti hanno la suprema potestà civile, ad
entrare in concorde amicizia e sempre più rafforzarla con questa
Chiesa di Cristo, affinchè mediante la concorde e solerte opera
della duplice potestà, si allontanino i danni enormi, che, per
le irruenti e procaci libertà contro il matrimonio e la
famiglia, minacciano non solo la Chiesa, ma la stessa civile
società.
A questo gravissimo officio della Chiesa possono infatti giovare assai
le leggi civili, se nei loro ordinamenti terranno conto di ciò
che prescrive la legge divina ed ecclesiastica, e stabiliranno pene
contro i violatori. Non mancano infatti persone, che stimano essere
loro lecito, anche secondo la legge morale, quanto dalle leggi dello
Stato è
permesso o almeno non è punito; oppure, anche contro la voce
della coscienza, compiono queste azioni, poichè nè temono
Dio nè veggono esservi alcunchè da temere dalle umane
leggi; donde non di rado e a se stessi e a moltissimi altri sono causa
di rovina.
Nè poi è da temere alcun pericolo o menomazione dei
diritti e dell'integrità della società civile da questo
accordo con la Chiesa; e sono insussistenti e del tutto vani siffatti
sospetti e timori, come ebbe già a mostrare eloquentemente Leone
XIII: «Non v'è dubbio, egli dice, che Gesù Cristo,
fondatore della Chiesa, abbia voluto la potestà sacra distinta
dalla civile, e che l'una e l'altra avesse nell'ordine proprio libero e
spedito l'esercizio del suo potere, ma con questa condizione tuttavia,
che torna bene all'una ed all'altra e che è di molta importanza
per tutti gli uomini, che cioè fosse tra loro unione e
concordia... Che se l'autorità civile va di pieno accordo con la
sacra potestà della Chiesa, non può non derivarne grande
utilità ad entrambe. Dell'una infatti si accresce la
dignità, e sotto la guida della religione il suo governo non
riuscirà mai ingiusto; all'altra poi si offrono aiuti di tutela
e di difesa per il comune vantaggio dei
fedeli»
[98].
E, per apportare un esempio recente e illustre, così appunto
è
avvenuto, secondo il retto ordine e del tutto secondo la legge di
Cristo, che nelle solenni convenzioni felicemente stipulate tra la
Santa Sede e il Regno d'Italia, anche rispetto ai matrimoni fosse
stabilito un pacifico accordo ed una amichevole cooperazione, quale si
addiceva alla gloriosa storia ed alle vetuste memorie sacre del popolo
italiano. Così infatti si legge decretato nei Patti Lateranensi:
«Lo Stato italiano, volendo ridonare all'istituto del matrimonio,
ch'è base della famiglia, la dignità conforme alle
tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al Sacramento del
matrimonio disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili»
[99];
alla quale norma fondamentale sono aggiunte ulteriori determinazioni
del mutuo accordo.
Questo può a tutti essere di esempio e di argomento, onde anche
nella nostra età nella quale, purtroppo, così di
frequente si va predicando una assoluta separazione
dell'autorità civile dalla Chiesa, anzi da qualsiasi religione,
possano le due supreme potestà, senza veruno
scambievole detrimento dei propri diritti e poteri sovrani,
congiungersi ed associarsi con mutua concordia e patti amichevoli, per
il
bene comune dell'una e dell'altra società, e possa aversi dalle
due potestà una comune cura per ciò che spetta al
matrimonio, con la quale siano rimossi dalle unioni coniugali cristiane
pericoli perniciosi, anzi la già imminente rovina.
Tutti questi argomenti, Venerabili Fratelli, che con Voi abbiamo
attentamente ponderato, mossi dalla pastorale sollecitudine, vorremmo
che fossero largamente diffusi, secondo le norme della cristiana
prudenza, tra tutti i Nostri diletti figli, alle vostre cure
immediatamente commessi, tra quanti sono membri della grande famiglia
cristiana, affinché tutti pienamente conoscano la sana dottrina
intorno al matrimonio, si guardino diligentemente dai pericoli tesi dai
divulgatori di errori, e sopratutto, rinnegata
l'empietà e i
desiderii del secolo, vivano in questo secolo, con temperanza, con
giustizia e con pietà, aspettando la beata speranza, e
l'apparizione della gloria del grande Dio e Salvatore nostro
Gesù Cristo [100].
Ci conceda il Padre onnipotente, «da cui ogni paternità
e in cielo e in terra prende nome» [101], il
quale
corrobora i deboli e dà coraggio ai pusillanimi e ai timidi; ci
conceda Cristo Signore e Redentore, «istitutore e perfezionatore
dei
venerabili Sacramenti» [102],
il quale volle e fece del matrimonio una
mistica immagine della sua ineffabile unione con la Chiesa; ci conceda
lo Spirito Santo, Dio Carità, lume dei cuori e vigore delle
menti, che le cose da Noi esposte nella presente Nostra lettera intorno
al santo sacramento del matrimonio, alla mirabile legge e
volontà divina rispetto ad esso, agli errori e pericoli che
sovrastano, ai rimedi con cui vi si può ovviare, tutti valgano a
bene intenderle, ad accettarle con pronta volontà, e, con
l'aiuto della grazia divina, a metterle in opera; sicchè
rifiorisca e prosperi nei matrimoni cristiani la fecondità a Dio
dedicata, la fedeltà illibata, l'inconcussa stabilità, la
sublimità del sacramento e la pienezza delle grazie.
Ed affinchè Iddio, che delle grazie tutte è autore e dal
quale è tutto il volere e
l'eseguire [103], si
degni di compiere
e
concederci tutto ciò, secondo la grandezza della sua
benignità ed onnipotenza, mentre Noi con ogni umiltà
alziamo fervide preghiere al Trono della sua grazia, come
pegno della copiosa benedizione dello stesso Onnipotente Iddio, a Voi,
Venerabili Fratelli, al clero e al popolo, commesso alle Vostre assidue
e vigilanti cure, impartiamo con ogni affetto l'Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 31 Dicembre 1930, anno nono
del Nostro Pontificato.
PIUS PP. XI
[1] Ephes., V, 32.
[3] Gen. I, 27-28; II, 22-23; Matth., XIX, 3 sqq.; Ephes., V, 23
sqq.
[4] Conc. Trident., sess. XXIV.
[5] Cfr. Cod. Iur. Can., c. 1081, par. 2.
[6] Cfr. Cod. Iur. Can., c. 1081, par. 1.
[7] S. Thom. Aquin., Summa theolog., p. III, Supplem.,
q.
XLIX, art. 3.
[8] Litt. Encycl. Rerum Novarum, 15 Maii 1891.
[9] Gen. I, 28.
[10] Litt. Encycl. Ad salutem, 20 Apr. 1930.
[11] S. August., De bono coniug., cap. 24, n. 32.
[12] S. August., De Gen. ad litt., lib. IX, cap. 7,
n. 12.
[13] Gen., I, 28.
[14] I Tim., V, 14.
[15] S. August., De bono coniug., cap. 24, n. 32.
[16] Cfr. I Cor., II, 9.
[17] Cfr. Ephes., II, 19.
[18] Io., XVI, 21.
[19] Litt. Encycl. Divini illius Magistri, d. 31 Dec.
1929.
[20] S. August., De Gen. ad litt., lib. IX, cap. 7,
n. 12.
[21] Cod.
Iur. Can., c. 1013, par. 1.
[22] Conc Trident., sess. XXIV.
[23] Matth., V, 28.
[24] Cfr. Decr. S. Officii, 2
Mart. 1679, propos. 50.
[25] Ephes., V, 25; cfr. Col., III, 19.
[26] Catech. Rom., II. cap. VIII, q. 24.
[27] Cfr. S. Greg. M., Homil. XXX in Evang., (Io., XIV, 23-31), n. 1.
[28] Matth., XXII, 40.
[29] Cfr. Catech. Rom., p. II, cap. VIII, q.
13.
[30] I Cor., VII, 3.
[31] Ephes., V, 22-23.
[33] Matth., XIX. 6.
[34] Luc., XVI, 18.
[35] S. August., De Gen. ad litt., lib. IX, c. 7, n.
12.
[36] Pius VI, Rescript. ad Episc. Agriens., 11
Iul. 1789.
[37] Ephes., V, 32.
[38] S. August., De nupt. et concup., lib. I, cap.
10.
[39] I Cor., XIII, 8.
[40] Conc. Trident., sess. XXIV.
[41] Conc. Trident., sess. XXIV.
[42] Cod. Iur. Can., c. 1012.
[43] S. August., De nupt. et concup., lib. I, cap.
10.
[44] Cfr. Matth., XIII, 25.
[45] II Tim., IV, 2-5.
[46] Ephes., V, 3.
[47] S. August., De coniug. adult., lib. II, n. 12;
cfr. Gen. XXXVIII, 8-10; S.
Poenitent., 3 April., 3 Iun. 1916.
[48] Matth., XV. 14; S. Offic., 22
Nov. 1922.
[49] Luc.,VI, 38.
[50] Concil. Trident. sess. VI, cap. 11.
[51] Const. Apost. Cum occasione, die 31 Maii 1653,
prop. 1.
[52] Exod., XX, 13; cfr. Decr. S. Offic.
4 Maii 1898, 24 Iulii 1895, 31
Maii 1884.
[53] S. August., De nupt. et concupisc., cap. XV.
[54] Cfr.
Rom., III, 8.
[55] Cfr. Gen., VI, 10.
[56] Summ. theolog., 2.a 2.ae, q. 108,
a. 4, ad 2.m.
[57] Exod., XX, 14.
[58] Matth., V, 28.
[59] Hebr., XIII, 8.
[60] Cfr. Matth., V, 18.
[61] Matth., VII, 27.
[63] Cfr. Ephes., V, 32; Hebr., XIII. 4.
[64] Cod. Iur. Can., c. 1060.
[65] Modestinus, in Dig. (Lib.
XXIII, II: De Ritu nuptiarum,
lib. I, Regularum).
[66] Matth., XIX, 6.
[67] Luc., XVI, 18.
[68] Concil. Trid., sess. XXIV, c. 5.
[69] Concil. Trid., sess. XXIV, c. 7.
[70] Cod. Iur. Can., cc. 1128 sqq.
[74] S. Thom. Aquin., Summ. Theolog., 1.a-2.ae, q. 91, a.
1-2.
[76] S. August., Enarrat. in Ps. 143.
[77] Rom., I, 24, 26.
[78] Iac., IV, 6.
[79] Cfr. Rom., VII, VIII.
[80] Conc.
Vat., sess. III, cap. 2.
[81] Cfr. Conc.
Vat., sess. III. cap. 4; Cod.
Iur. Can., c. 1324.
[82] Act., XX, 28.
[83] Cfr. Io., VIII, 32 sqq.; Gal., V. 13.
[85] S. Rob. Bellarmin., De controversiis, tom. III, De Matr.,
controvers. II, cap. 6.
[86] Cfr. I Tim., IV, 14
[87] II Tim., I, 6-7.
[88] Cfr. Gal., VI, 9.
[89] Cfr. Eph., IV, 13.
[90] Litt. Encycl. Divini illius Magistri, 31 Dec.
1929.
[91] Ephes., VI, 2-3; cfr. Exod., XX, 12.
[92] Leo XIII, Litt. Encycl. Rerum Novarum, 15 Maii 1891.
[93] Luc., X, 7.
[94] Cfr. Deut., XXIV, 14, I5.
[95] Cfr. Leo XIII, Litt. Encycl. Rerum Novarum, 15 Maii 1891.
[96] Matth., XXV, 34 sqq.
[97] I Io., III, 17.
[99] Concord., Art. 34: Acta Apost. Sed., XXI (1929), pag.
290.
[100] Tit., II, 12-13.
[101] Ephes. III, 15.
[102] Conc. Trident., sess. XXIV.
[103] Phil., II, 13.
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