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giovedì 3 settembre 2015

3 SETTEMBRE 2015: SAN PIO X, PAPA E CONFESSORE...

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/21/Pius_X.jpg
Gravi pericoli.
La vecchiaia di Leone XIII, il cui regno era stato lungo e glorioso, fu attristata dai gravi pericoli che minacciavano la Chiesa. Una sottile eresia colpiva il cuore stesso della Rivelazione e, sotto le spoglie menzogniere d'un progresso vivificatore, rinnegava la tradizione e alterava i dogmi. Nondimeno, nessun Papa dei tempi moderni, al pari di Leone XIII, aveva fatto luce al cammino degli uomini. Il numero e la qualità delle sue Encicliche lo pongono tra i grandi Dottori che hanno capito il loro tempo e risolto le scottanti questioni dei momento. Si aveva ascoltato, si aveva applaudito, ma in molti ambienti non si aveva capito, non solo, ma si aveva persino alterato, e questa era la cosa più grave, il pensiero stesso del Papa.
Le scienze ecclesiastiche che egli aveva voluto rinnovare mediante il tomismo, si incamminavano per vie opposte; l'azione sociale dei cattolici che egli aveva definito con chiarezza veniva, poco alla volta, sostituita da una falsa democrazia liberale; il laicismo invadeva ogni campo e minacciava di oscurare completamente negli spiriti i principi che reggono le società e stabiliscono i loro rapporti con la Chiesa.

Instaurare omnia in Christo.
A Leone XIII mancò il tempo per smascherare e abbattere il modernismo, questa idra dalle molteplici teste, in ognuna delle quali riviveva una antica eresia; a Leone XIII mancò il tempo di riorganizzare le istituzioni ecclesiastiche in modo che potessero esercitare, con più ampiezza, più armonia e più efficacia, le funzioni essenziali del magistero e del governo che esse traggono dall'Autorità suprema della Sede Apostolica. Iddio, però, suscitò il successore che egli desiderava. San Pio X era stato uno dei suoi più fedeli discepoli, si era formato sulla dottrina delle sue grandi encicliche ed aveva egli pure la chiara intuizione dei gravi pericoli che minacciavano la Chiesa; in più, la profonda esperienza nel governo delle anime che egli aveva acquisita come parroco, come vescovo e come Patriarca, unita a non comuni doni naturali e ad una profonda santità, ne facevano l'uomo adatto per compiere l'opera di universale rinnovamento nella Chiesa. All'inizio del suo pontificato, Pio X stabilì le linee fondamentali del suo programma attraverso le parole con le quali san Paolo aveva parlato del piano di Dio che salva il mondo: "Instaurare omnia in Christo": opera che aveva avuto il suo termine con la vita terrena del Redentore, ma la cui realizzazione continua a compiersi nel tempo col concorso degli uomini. Con questo suo motto, Pio X faceva capire che le circostanze del tempo non affidavano al Papa una particolare vigilanza su certi problemi soltanto ma che tutto, omnia, abbisognava d'una energica presa di posizione, perché nulla sfuggisse al Cristo e alla sua Redenzione.
 

La vita liturgica.
È significativo che il suo primo atto, in vista di questa sua universale riforma, abbia toccato un particolare che molti allora giudicarono insignificante: con Motu proprio di appena qualche mese dopo la sua elezione, egli realizzò la prima tappa di una riforma completa della liturgia, mediante certe prescrizioni sul canto sacro. In questo atto, Pio X si mostra nel suo carattere più vero e più profondo: forte uomo di azione, Pio X fu innanzitutto uomo di preghiera. La preghiera che egli raccomanda è, innanzitutto, la preghiera pubblica e solenne della Chiesa che racchiude, in un comune linguaggio, una comune adorazione ed un unico sacrificio, tutte le anime battezzate: essa è un'anticipazione della preghiera dell'eternità. Pio X volle che i fedeli ritrovassero il senso di questa grande preghiera liturgica, racchiusa nella preghiera che il Cristo indirizza al Padre, ispirata dallo Spirito Santo presente nella Chiesa, che deve essere la sorgente, l'ispirazione delle preghiere personali che ogni fedele deve recitare, in più, ogni giorno.
La preghiera sarà la leva dell'azione di Pio X; e questo rinnovamento del canto gregoriano è appena l'inizio d'una serie di riforme e di iniziative di ordine liturgico che orienteranno, per vie nuove e al tempo stesso tradizionali, la vita spirituale dei fedeli. Riforma del breviario, che proporziona e armonizza la distribuzione dei salmi e che ridona alla domenica quel posto d'onore che il culto dei santi le aveva strappato nel Medio Evo; sviluppo del culto eucaristico; invito alla comunione frequente e quotidiana a cominciare dall'età della ragione; riaffermazione dell'ideale del sacerdozio. La fiamma dell'amore di questo santo Papa, ignis ardens, trabocca dai suoi insegnamenti e dalle sue prescrizioni. Così, poco alla volta, prende vita nella Chiesa un profondo rinnovamento di vita spirituale, nell'unione più intima delle anime, tra di loro, e in Cristo. E si viene così a determinare una duplice crescita, da una parte delle forze che resistono agli attacchi del nemico, dall'altra dell'omaggio reso a Dio con forma più piena, più alta, più pura.

Organizzatore e legislatore.
Fu non a caso che il Papa santo ricordò ai fedeli l'importanza fondamentale, non soltanto della preghiera (fatto che non si era mai avverato, del resto), ma particolarmente della preghiera liturgica: essa, infatti, è la preghiera stessa della Chiesa. Volendo riordinare ogni cosa in Cristo, è appunto nella Chiesa e mediante la Chiesa che si riconducono gli uomini a Lui. La Chiesa è la via che porta a Cristo ed è Cristo stesso comunicato alle anime, è il Suo Corpo mistico. Tale corpo visibile, Pio X volle renderlo sempre più bello e accogliente. Non volle che la Chiesa sembrasse una sorpassata società religiosa, una sopravvivenza medioevale, la bella testimonianza d'un passato ormai morto, senza rapporto col presente e senza influenza su di esso: si faceva indispensabile un sano riavvicinamento alla società moderna. Già Leone XIII se ne era convinto, ma quelle idee, allora ancora poco conosciute, e la mancanza di tempo, gli avevano impedito di giungere alla riorganizzazione del governo e dell'amministrazione ecclesiastica. Pio X affronta la riforma della Curia e degli Uffici delle Congregazioni romane. Era necessario ridare vita a certe abitudini fossilizzate da secoli. Le resistenze furono vive, ma il papa dimostrò di possedere, sia la forza e la tenacia, quanto la dolcezza e la pazienza. In pochi anni, la riforma venne portata a termine, alcune congregazioni scomparvero, altre vennero fuse tra loro, ognuna ricevette incarichi ben precisi. Sarebbe bastata questa sola riforma per rendere glorioso un pontificato: Pio X vi aggiunse ancora la completa riorganizzazione del Diritto Canonico. Quando il Papa morì, il Codice non era terminato e fu il suo successore, Benedetto XV, che lo promulgò dicendo che tale riforma poneva Pio X tra i più grandi studiosi di diritto canonico di tutta la storia.

Difensore della fede.
Ma tale opera di riordinamento non avrebbe portato eccessivi frutti se la fede, fondamento dell'unità della Chiesa, fosse rimasta in balìa dell'eresia. Lo spirito di ordine e di giustizia, già vivo nelle riforme fino ad allora effettuate, aiutò il Papa a portare a compimento gli insegnamenti di Leone XIII e a far risplendere, in tutto il suo splendore, la dottrina cristiana. Per questo, egli entrò in lotta contro l'eresia insidiosa che tentava di distruggere le fondamenta della fede: si può dire che gli undici anni di pontificato di Pio X siano stati una potente e vigorosa affermazione di fede cattolica. Sotto il suo insegnamento furono riaffermate le verità dei dogmi fondamentali: Dio trascendente e presente nelle creature; l'ordine soprannaturale e i suoi rapporti con la ragione e con la scienza; Cristo, Dio e Uomo; l'essenza della Chiesa, Corpo mistico di Cristo, società soprannaturale, fondata su Pietro; diversità tra la Chiesa docente e la chiesa che impara, valore assoluto delle definizioni dogmatiche; la soprannaturale efficacia dei sacramenti che oltrepassa il puro significato del simbolo; i canoni della interpretazione biblica; il senso della storia; le relazioni tra la Chiesa e lo Stato; le condizioni della salvezza. Furono ripresi pure, con meravigliosa chiarezza, gli elementi della nostra vocazione al fine soprannaturale, accessibile soltanto mediante la Grazia portata da Cristo. Il grande desiderio di Papa Pio X, di instaurare ogni cosa in Cristo, si manifesta soprattutto in questa preoccupazione di ridare alla fede della Chiesa tutto il suo splendore. A questo proposito, la sua delicatezza di coscienza fu esemplare, ma per smascherare e condannare ogni più piccolo germe di eresia diede esempio di fermezza e di inflessibile giustizia.

Il Santo.
Nel discorso della canonizzazione, descrivendo la sua forte personalità, Pio XII disse che Papa Sarto fu una figura gigantesca e dolce. Questo, appunto, è il carattere della sua santità: essa unisce, meglio e più che negli altri santi, a una grandezza sovrumana, l'umiltà, la bontà, la semplicità, qualità che attiravano le anime verso di lui. Realizzò, innanzitutto in se stesso, il programma al quale aveva richiamato gli uomini: Cristo viveva, Signore, nel suo cuore, nella sua intelligenza, nella sua volontà. Le brevi notizie che Pio XII ha inserito nel martirologio, in occasione della festa di questo santo, mostrano la pienezza dei doni e delle virtù soprannaturali che ornavano la sua anima e fecondavano le sue opere. Non sappiamo se si deve ammirare di più l'ardente carità o lo spirito di preghiera, il suo senso d'ordine e di giustizia o la sua profonda umiltà, l'integrità della fede o la fermezza delle sue direttive. Egli realizzò in sé l'ideale del cristiano, del prete, del pontefice. In ogni occasione, ha avuto l'intuizione realistica dei bisogni, delle aspirazioni, delle energie del suo tempo. È il giudice e il dottore della nostra società, il modello di santità adatto all'uomo del nostro tempo.
Vogliano rivolgersi a Lui le nostre società scristianizzate, ascoltare il suo messaggio, sollecitare le sue preghiere: sotto il pacifico giogo di Cristo Re, esse troveranno quella salvezza che nessuna altra potenza di questo mondo ha saputo loro dare.

VITA - Giuseppe Sarto nacque a Riese (diocesi di Treviso) il 2 giugno 1835; i suoi genitori erano poveri ma di molta onestà e profonda virtù. Venne battezzato il giorno seguente la nascita, ricevette la Cresima il 1° settembre del 1845, ricevette per la prima volta la santa Comunione il 6 aprile 1847. Nel 1850 entrò nel Seminario di Padova e venne ordinato sacerdote il 17 settembre 1858. Fu dapprima parroco di Salzano, poi segretario del Vescovo e Direttore Spirituale del Seminario di Treviso, Vescovo di Mantova nel 1884, Cardinale e Patriarca di Venezia nel 1893.
Il 4 agosto del 1903 venne eletto Sommo Pontefice, carica che accettò suo malgrado col nome di Pio X. I disastri della guerra che aveva tentato di impedire senza riuscirvi, lo portarono alla tomba il 4 agosto 1914.
Il popolo cristiano lo considerò già da allora un santo e, in seguito a numerose grazie e miracoli ottenuti mediante la sua intercessione, Pio XII lo beatificò il 3 giugno 1951 e lo dichiarò santo il 29 maggio 1954.

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Preghiera di Pio XII.
O beato Pontefice, fedele servo del tuo signore, umile e fido discepolo del Divin Maestro, nel dolore e nella gioia, nei travagli e nelle sollecitudini sperimentato Pastore del gregge di Cristo, volgi il tuo sguardo su di noi che siamo prostrati dinanzi alle tue verginee spoglie. Ardui sono i tempi in cui viviamo; dure le fatiche che essi esigono da noi. La sposa di Cristo, affidata già alle tue cure, si trova di nuovo in gravi angustie. I suoi figli sono minacciati da innumerevoli pericoli nell'anima e nel corpo. Lo spirito del mondo, come leone ruggente, va attorno cercando chi possa divorare. Non pochi cadono sue vittime. Hanno occhi e non vedono; hanno orecchi e non odono. Chiudono lo sguardo alla luce della eterna verità; ascoltano le voci di sirene insinuanti ingannevoli messaggi. Tu, che fosti quaggiù grande suscitatore e guida del popolo di Dio, sii ausilio e intercessore nostro e di tutti coloro che si professano seguaci di Cristo [1].
Sì o san Pio X, gloria del sacerdozio, splendore e decoro del popolo cristiano. Tu, in cui l'umiltà parve affratellarsi con la grandezza, l'austerità con la mansuetudine, la semplice pietà con la profonda dottrina; Tu, pontefice della Eucarestia e del catechismo della fede integra e della fermezza impavida; volgi il tuo sguardo verso la Chiesa santa, che tu tanto amasti e alla quale dedicasti il meglio dei tesori che, con mano prodiga, la divina Bontà aveva deposto nell'animo tuo; ottienile la incolumità e la costanza, in mezzo alle difficoltà e alle persecuzioni dei nostri tempi; sorreggi questa povera umanità, i cui dolori così profondamente Ti afflissero, che arrestarono alla fine i palpiti del Tuo gran cuore; fa' che in questo mondo agitato trionfi quella pace, che deve essere armonia fra le nazioni, accorda fraterna e sincera collaborazione tra le classi sociali, amore e carità tra gli uomini, affinché in tal guisa quelle ansie, che consumarono la Tua vita apostolica, divengano, grazie alla Tua intercessione, una felice realtà, a gloria del Signore nostro Gesù Cristo, che col Padre e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli dei secoli. Così sia! [2].

[1] Nel giorno della beatificazione. Atti e Discorsi di S. S. Pio XII, vol. XIII, p. 157 s., Ed. Paoline, Roma.

[2] Nel giorno della Canonizzazione. Atti e Discorsi di S. S. Pio XII, vol. XVI, p. 133, Ed. Paoline Roma.
da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1047-1052
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San Pio X

Motu proprio

Sacrorum Antistitum

(1° settembre 1910)
col quale si stabiliscono le norme atte a respingere il pericolo del modernismo.
Nessuno tra i Vescovi ignora, riteniamo, che una genia perniciosissima di persone, i modernisti, anche dopo che con l'Enciclica Pascendi dominici gregis [1] fu tolta loro la maschera di cui si coprivano, non hanno abbandonato i loro piani di turbare la pace della Chiesa. Difatti non hanno cessato di ricercare nuovi adepti raggruppandoli in una società segreta, e per mezzo di costoro inoculare il veleno delle loro opinioni nelle vene della società cristiana con la pubblicazione di libri e scritti anonimi o sotto falso nome. Se, dopo aver riletto la detta Nostra Lettera Enciclica, si considera attentamente tale culmine d'audacia che Ci ha causato tanto dolore, ci si convincerà facilmente che queste persone non sono diverse da come ivi Noi le abbiamo descritte, avversari tanto più da temersi, quanto più ci sono vicini; i quali abusano del loro ministero per prendere all'amo con esca avvelenata gli incauti che abboccano, spargendo attorno a sè un'apparenza di dottrina che contiene la somma di tutti gli errori.

Poichè questa pestilenza va propagandosi considerevolmente per quella parte del campo del Signore, da cui sarebbero stati da attendersi frutti migliori, è dovere dei Vescovi lavorare alla difesa della fede cattolica e vegliare con somma diligenza affinchè l'integrità del divino deposito non soffra un qualche detrimento, mentre a Noi compete massimamente di eseguire l'ordine di Cristo Salvatore che disse a Pietro, dal quale abbiamo ereditato, sebbene indegnamente, il principato: Conferma i tuoi fratelli. Proprio per questo motivo, cioè per rafforzare l'animo dei buoni nella presente lotta, abbiamo ritenuto utile ricordare i seguenti insegnamenti e prescrizioni del succitato documento:
«Vi preghiamo e vi scongiuriamo di non tollerare che, in una questione sì grave, la vostra vigilanza, la vostra diligenza e la vostra fortezza lascino  minimamente a desiderare. E ciò che vi domandiamo e che Ci aspettiamo da voi lo domandiamo anche e ce lo aspettiamo da tutti gli altri pastori d'anime, da tutti gli educatori e maestri del giovane clero, e particolarmente dai Superiori maggiori degli Istituti religiosi.

I. Per ciò che riguarda gli studi, vogliamo ed ordiniamo che la filosofia scolastica sia posta a fondamento delle sacre scienze. — Certamente, se nei dottori scolastici qualcosa è trattato con eccessiva sottigliezza  o insegnato superficialmente, se qualcosa non concorda con dottrine successivamente comprovate o non è in nessun modo ammissibile, è ben lungi dal nostra intenzione che ciò oggi sia proposto ad imitazione. [2] — E quando prescriviamo la filosofia scolastica, con ciò intendiamo, e questo è fondamentale, la filosofia tramandataci da san Tommaso d'Aquino; noi vogliamo perciò che tutto ciò che a questo riguardo è stato ordinato dal Nostro Predecessore resti pienamente in vigore e, se necessario, lo ripetiamo e confermiamo, e comandiamo che sia strettamente osservato da tutti. Se in qualche luogo nei Seminari queste cose fossero state trascurate, sarà compito de Vescovi imporne ed esigerne l'osservanza da ora in avanti. Lo stesso comandiamo ai Superiori degli Ordini religiosi. Ammoniamo pure i professori di ben persuadersi che abbandonare minimamente l'Aquinate, specialmente in ciò che attiene alla metafisica, non si fa senza gran danno. Un piccolo errore nei principî, per dirla con lo stesso Aquinate, diviene un grande errore nelle sue ultime conseguenze [3].

Una volta posto questo fondamento filosofico, si elevi solidamente l'edifizio teologico. — Promuovete lo studio della teologia più che potete, Venerabili Fratelli, in modo che i chierici uscendo dai Seminari siano ripieni di una stima profonda e di un profondo amore per esso e lo considerino una delle occupazioni più gradite. Nessuno ignora infatti che, tra la gran moltitudine di scienze così differenti che si offrono allo spirito avido di verità il primo posto spetta di diritto alla teologia, al punto che fu una massima dell'antica sapienza che il dovere delle altre scienze, come pure delle arti, è di esserle soggette e sottomesse alla maniera di serve [4]. — Aggiungiamo che Ci paiono degni di lode coloro i quali, pienamente rispettosi della Tradizione dei santi Padri e del magistero ecclesiastico, misurati nel loro giudizio e facendosi guidare dalle norme cattoliche (cosa che non sempre da tutti si osserva) si prefiggono di fare maggior luce nella teologia positiva proiettandovi la luce della vera storia. Certamente bisogna dare maggior importanza che in passato alla teologia positiva, ma ciò si faccia senza che la teologia scolastica ne abbia il minimo detrimento, e sono da reprimersi come fiancheggiatori dei modernisti coloro che esaltano la teologia positiva in modo tale che sembrano denigrare nello stesso tempo la scolastica. 

Quanto agli studi profani, sarà sufficiente ricordare ciò che assai saggiamente ha detto il Nostro Predecessore: Applicatevi con ardore allo studio delle scienze naturali: le geniali scoperte e le utili applicazioni fatte al giorno d'oggi in questo campo, come a giusto titolo sono ammirate dai contemporanei, così saranno per i posteri motivo di ammirazione e di lode. [5] Ma le scienze sacre non ne devono subir danno; riguardo a ciò lo stesso nostro Predecessore dà il seguente grave ammonimento: Se si ricerca con cura la causa di questi errori, la si troverà soprattutto in questo: che quanto più s'è accresciuto l'ardore per le scienze naturali, tanto più le scienze elevate, le scienze severe sono andate in declino; ve ne sono alcune che languono nell'oblio, altre sono trattate debolmente ed alla leggera e, quel che è più indegno, perduto lo splendore della primitiva dignità, le si infetta ancora con dottrine perverse ed opinioni dalla spaventevole mostruosità. [6] Noi ordiniamo che lo studio delle scienze naturali nei Seminari sia regolato su questa norma.
II. Si dovrà tener conto di queste prescrizioni, quelle del Nostro Predecessore e le Nostre, ogni qual volta sarà questione della scelta dei direttori e dei professori nei Seminari e nelle Università cattoliche. Coloro che in una maniera o nell'altra si mostreranno infetti di modernismo saranno esclusi senza riguardo dalla carica di direttore o professore; coloro che già la occupassero, ne siano rimossi; così pure coloro che favoriscono il modernismo, sia lodando i modernisti sia scusando la loro colpevole condotta sia criticando la scolastica, i santi Padri, il magistero della Chiesa, sia rifiutando l'obbedienza all'autorità ecclesiastica da chiunque esercitata; ed anche coloro che, nella storia, nell'archeologia, nell'esegesi biblica, coltivano le novità; come pure coloro che trascurano le scienze sacre o fanno mostra di preferir loro le profane.
In tutta questa questione, Venerabili Fratelli, e specialmente nella scelta dei professori, la vigilanza e la costanza non saranno mai abbastanza: infatti gli allievi si formano sul modello dei maestri. In una tale situazione perciò, forti della coscienza del vostro dovere, agite  prudentemente ma con fortezza.
Con pari vigilanza e severità occorre procedere all'esame ed alla scelta dei candidati ai sacri Ordini. Lungi, lungi dal sacerdozio lo spirito di novità: Dio aborre i superbi ed i testardi!
La laurea in teologia ed in diritto canonico non sia più conferita a chi non abbia precedentemente seguito il corso regolare di filosofia scolastica, e se conferita, sia nulla.
Ciò che la S. Congr. dei Vescovi e Regolari ha ordinato nell'anno 1896 al clero secolare e regolare d'Italia riguardo alla frequenza alle Università, decretiamo che da ora in poi sia esteso a tutte le nazioni.
Chierici e Sacerdoti iscritti ad un Istituto o ad una Università cattolica non potranno seguire nelle Università civili quei corsi, di cui vi siano cattedre negli Istituti cattolici ai quali essi appartengono. Se ciò è stato permesso in qualche luogo, Noi lo proibiamo per l'avvenire.
I vescovi che presiedono alla direzione di queste Università ed Istituti veglino con somma diligenza affinchè ciò che abbiamo or ora ordinato vi sia fedelmente eseguito. 

III.  È pure dovere dei vescovi l'impedire la pubblicazione degli scritti dei modernisti e di quelli infetti di modernismo o che lo propagano; se nonostante ciò siano stati pubblicati, ne proibiscano la lettura.
Tutti i libri, i giornali, le riviste di questo genere dovranno essere interdetti agli allievi dei Seminari ed agli studenti delle Università: non sono infatti meno perniciosi degli scritti contrari ai buoni costumi, anzi lo sono perfino di più, perchè avvelenano alla fonte la vita cristiana.
Nè altrimenti si deve giudicare delle opere di certi cattolici, uomini del resto di non malvagie intenzioni ma che, sprovvisti di conoscenze teologiche ed imbevuti di filosofia moderna, si sforzano di conciliare quest'ultima con la fede ed a utilizzarla, come dicono, a profitto della fede. Queste opere, in quanto sono lette senza timore in ragione del nome e della buona fama dei loro autori, sono più pericolose poichè fanno inclinare insensibilmente verso il modernismo. 

In linea generale ordiniamo, Venerabili Fratelli, di fronte ad una tanto grave questione, che vi adoperiate con forza per eliminare tutti i libri dannosi a leggersi che si trovano nelle vostre rispettive diocesi, anche ricorrendo a solenni condanne. Sebbene infatti la Sede Apostolica faccia di tutto per togliere di mezzo simili scritti, tuttavia a tal segno crescono di numero, che a censurarli a stento bastano le forze. Ne consegue che il rimedio arriva troppo tardi, quando il male ha già fatto i suoi danni. Vogliamo dunque che i vescovi, disprezzando ogni timore, e messa da parte la prudenza della carne, senza riguardo ai clamori dei malvagi, soavemente senza dubbio ma con forza facciano la loro parte; memori di ciò che Leone XIII prescrisse nella Costituzione apostolica Officiorum ac munerum [7]: Gli Ordinari, anche in quanto Delegati della Sede Apostolica, si adoperino a proscrivere i libri e gli altri scritti nocivi pubblicati o diffusi nelle loro diocesi e di toglierli dalle mani dei fedeli. Con queste parole è conferito sì un diritto, ma è anche imposto un dovere. E che nessuno pensi di aver corrisposto agli obblighi del proprio incarico se Ci ha deferito uno o due libri ed ha lasciato che molti altri si diffondessero e circolassero. 

Non vi trattenga, Venerabili Fratelli, il fatto che per caso l'autore di un qualche libro abbia ottenuto altrove quel permesso detto volgarmente Imprimatur: esso può essere apocrifo, o dato con negligenza o con eccessiva benignità ed eccessiva fiducia nell'autore, ciò che forse talvolta succede negli Ordini religiosi. Accade che, come uno stesso cibo non è conveniente a tutti, così i libri, che in un luogo sono innocenti, in un altro a causa delle circostanze possono essere nocivi. Se dunque il vescovo, dopo aver udito il parere di uomini prudenti, giudicasse necessario censurare nella propria diocesi qualche libro di questo genere, lo faccia, Noi glie ne diamo assai volentieri la facoltà, e perfino glie ne facciamo un obbligo. Naturalmente la cosa dev'esser fatta con prudenza, restringendo la proibizione, se ciò basta, al clero; restando integro l'obbligo per i librai cattolici di non porre assolutamente in vendita  i libri condannati dal Vescovo.
E poichè si tratta di librai, vigilino i Vescovi a che la cupidigia non li trascini a trafficare opere malvagie: certamente in alcuni cataloghi sono proposti, e con grandi lodi, molti libri dei modernisti. Se i librai rifiutassero di obbedire, i Vescovi, dopo averli ammoniti, non esitino a privarli del titolo di librai cattolici; lo stesso, e a maggior ragione, se avessero il titolo di librai episcopali: e coloro che si  fregiassero del titolo di librai pontifici, li deferiscano alla Sede Apostolica.
A tutti infine ricordiamo l'articolo XXVI della Costituzione Officiorum: Coloro che hanno ottenuto la facoltà di leggere e ritenere i libri proibiti, non per questo hanno il diritto di leggere e ritenere quei libri o giornali, quali che siano, proibiti dall'Ordinario del luogo, a meno che nell'Indulto apostolico sia stata accordata espressa facoltà di leggere e ritenere i libri condannati da qualsiasi autorità

IV. Non è tuttavia sufficiente proibire la lettura e la vendita dei libri cattivi, bisogna anche impedirne la pubblicazione. Che i vescovi facciano uso della più grande severità nell'accordare il permesso di pubblicare.
Ma, siccome è grande il numero delle opere che, secondo la Costituzione Officiorum richiedono il permesso dell'Ordinario per poter essere pubblicate, e siccome, d'altra parte, il Vescovo non le può esaminare tutte di persona, in talune diocesi sono stati istituiti dei censori d'ufficio in numero sufficiente per procedere ad esaminarle. Noi lodiamo fortemente quest'istituzione: e non solo esortiamo ad estenderla a tutte le diocesi ma certamente lo comandiamo. Vi siano in tutte le curie episcopali dei censori d'ufficio incaricati di esaminare le opere da pubblicare: essi saranno scelti tra i sacerdoti del clero tanto regolare che secolare, raccomandabili per età, scienza e prudenza e che, riguardo alle dottrine da approvarsi o da condannarsi, si tengano in un giusto mezzo. Ad essi sarà affidato l'esame di tutti gli scritti che, secondo gli articoli XLI e XLII della suddetta Costituzione, devono essere sottoposti ad un esame previo. Il censore emetterà il suo giudizio per iscritto. Se questo giudizio è favorevole, il Vescovo concederà il permesso di pubblicazione con la parola Imprimatur, che sarà tuttavia preceduta dalla formula Nihil obstat con al di sotto il nome del censore.
Nella Curia romana, così come nelle altre, saranno istituiti dei censori d'ufficio, che saranno nominati, sentito prima il Cardinal Vicario del Pontefice romano e con l'assenso e l'approvazione dello stesso Sovrano Pontefice, dal Maestro del Sacro Palazzo, che dovrà designare il censore incaricato di esaminare i singoli scritti. Sempre dal Maestro sarà concesso il permesso di pubblicazione, come pure dal Cardinal Vicario del Pontefice o dal Vescovo suo vice gerente, che sarà preceduto, come detto sopra, dalla formula di approvazione con sotto il nome del censore.

Solo in casi eccezionali e rarissimi, a prudente giudizio del vescovo, potrà essere omessa la menzione del censore.
Il nome del censore sarà tenuto segreto agli autori prima che abbia emesso parere favorevole, perchè egli non sia molestato o mentre esamina gli scritti, o qualora non ne approvasse la pubblicazione.
Non saranno scelti censori appartenenti ad Istituti religiosi se non si sarà sentito previamente in segreto il Superiore provinciale, il quale attesterà in coscienza della virtù, della scienza e dell'integrità dottrinale del candidato.
Avvisiamo i Superiori religiosi del grave loro dovere di non consentire che sia pubblicato alcunchè, senza il loro permesso e quello dell'Ordinario.
Stabiliamo e dichiariamo infine che il titolo di censore non ha alcun valore per confermare le opinioni private di colui che se ne fregia.
Ciò detto in linea generale, ordiniamo in particolare che si osservi con somma diligenza quanto espresso nell'articolo XLII della Costituzione Officiorum: È fatta proibizione ai membri del clero secolare di assumere la direzione di giornali o riviste senza il permesso dell'Ordinario. E qualora ne abusino, previa monizione, il permesso sarà loro ritirato.

Riguardo ai sacerdoti corrispondenti o collaboratori come son detti volgarmente, siccome accade di frequente che pubblichino in giornali o riviste articoli infettati dalla sozzura modernista; i Vecovi veglino che costoro non travalichino i limiti del consentito e, se necessario, ritirino l'autorizzazione. Parimenti ammoniamo severissimamente i Superiori religiosi  affinchè adempiano a questo compito; chè se agissero negligentemente, provvedano i vescovi come delegati del Sommo Pontefice.
A ogni giornale e rivista scritti da cattolici, per quanto possibile, sia assegnato un censore, che avrà l'incarico di leggere integralmente ed attentamente i numeri o i fascicoli, dopo la loro pubblicazione: se ciò che vi è espresso fosse pericoloso, si ingiunga una ritrattazione nel successivo numero o fascicolo. Inoltre questo stesso diritto lo abbiano i vescovi, anche se per avventura il censore fosse stato di parere favorevole.
V. Abbiamo già ricordato i congressi e le pubbliche assemblee come luoghi in cui i modernisti difendono apertamente e si studiano di propalare le loro opinioni.
I Vescovi non consentano più, se non assai di rado, congressi di sacerdoti. Nel caso, li permettano con questa regola, che cioè non vi si tratti di questioni che competono ai Vescovi od alla Sede Apostolica; che non vi sia proposto o auspicato nulla che vada a detrimento della sacra autorità, che non vi si proferirà discorso alcuno che sappia di modernismo, di presbiterianismo o di laicismo. 

A questo tipo di congressi che potranno tenersi solo dietro autorizzazione scritta, accordata volta per volta, non potranno assistere i sacerdoti di altra diocesi senza un permesso scritto del proprio Vescovo.
Di più ancora, nessun sacerdote dimentichi la grave raccomandazione di Leone XIII: Sacra sia ai sacerdoti l'autorità dei proprii pastori: tengano per certo che il ministero sacerdotale, se non sia esercitato subordinatamente al magistero dei Vescovi, non potrà essere nè santo, nè fruttuoso, nè onesto [8].
VI. E tuttavia, Venerabili fratelli, a che servirebbero i Nostri ordini e precetti, se non fossero osservati puntualmente e fedelmente? Affinchè ciò felicemente si compia come desiderato, Ci è parso opportuno estendere a tutte le diocesi ciò che con somma prudenza hanno decretato i Vescovi dell'Umbria [9] alcuni anni or sono per le loro. Allo scopo di proscrivere gli errori già diffusi, così essi, e di impedirne una ulteriore diffusione, e di eliminare i dottori di menzogna per i quali si perpetuano gli effetti perniciosi provocati da tale diffusione, questa sacra Assemblea ha decretato, sulle orme di San Carlo Borromeo, di istituire in ciascuna diocesi un Consiglio formato da uomini probi scelti tra entrambi i cleri, che abbia il compito di sorvegliare se serpeggino e siano disseminati errori e con quali artificii, e d'informarne il Vescovo affinchè questi,  opportunamente consigliato, prenda le misure più opportune a soffocare il male su nascere ed a impedire che si diffonda sempre più a rovina delle anime e, ciò che sarebbe peggio, che si rafforzi e cresca.

Decretiamo dunque che in ogni diocesi sia istituito quanto prima un tale consiglio, che Ci piace denominare Consiglio di vigilanza. Coloro che saranno chiamati a farne parte saranno scelti più o meno come è stato detto a proposito dei censori; si riuniranno con il Vescovo ogni due mesi in un  determinato giorno, e saranno tenuti al segreto riguardo agli argomenti ed alle deliberazioni. Il loro ruolo sarà il seguente: sorveglieranno vigilando con massima attenzione gli indizi e le tracce di modernismo sia nelle pubblicazioni sia nell'insegnamento, ed allo scopo di preservarne il clero e la gioventù prenderanno misure prudenti sì ma pronte ed efficaci.
Facciano attenzione in particolare ai vocaboli di nuovo conio, ed a questo proposito rammentino l'avvertimento di Leone XIII: Non si può approvare, negli scritti dei cattolici, un linguaggio che, ispirandosi ad uno spirito di novità condannabile, sembra ridicolizzare la pietà dei fedeli e parla di un nuovo ordine di vita cristiana, di nuove dottrine della Chiesa, di nuovi bisogni dell'anima cristiana, di nuova vocazione sociale del clero, di nuova umanità cristiana, ed altre cose dello stesso genere [10]. Non tollerino tali cose nè nelle pubblicazioni nè nei corsi dei professori.
Sorveglino parimenti le opere in cui si tratta di pie tradizioni locali e di sacre Reliquie. Non permettano che sui giornali o nelle riviste destinate a nutrire la pietà tali questioni siano dibattute irrispettosamente o con disprezzo, nè con la pretesa di giudizi senza appello, soprattutto se ciò che si afferma, come spesso accade, non sorpassa i limiti della probabilità e si basa solo su opinioni preconcette. 

A proposito delle sacre Reliquie, ci si regoli come segue: se i Vescovi, unici competenti in tale materia, vengono a sapere con certezza che una reliquia non è autentica, questa dev'essere ritirata dal culto dei fedeli; se il documento che testimonia dell'autenticità di una reliquia è andato distrutto in qualche rivolgimento civile o in altra maniera, tale reliquia dovrà essere esposta alla pubblica venerazione solo dopo una accurata ricognizione da parte del Vescovo. L'argomento di prescrizione o di fondata presunzione avrà valore solamente se il culto è commendevole per la sua antichità secondo il seguente decreto portato nel 1896 dalla S. Congr. delle Indulgenze e sacre Reliquie: Le reliquie antiche devono essere mantenute nella venerazione in cui sono state fino ad oggi, a meno che, in qualche caso particolare, si abbiano ragioni certe per ritenerle false ed inautentiche

Per quanto riguarda il giudizio sulle pie tradizioni, ecco ciò che bisogna ricordare: la Chiesa usa di tale prudenza in questa materia che non permette che si raccontino tali tradizioni in pubblici scritti, se ciò non vien fatto con grande precauzione e dopo aver premesso la dichiarazione imposta da Urbano VIII; ed anche in tal caso non si fa garante della verità del fatto, ma semplicemente non impedisce di credere cose che non mancano di argomenti di fede umana. Così ha decretato, trent'anni or sono, la S. Congr. dei Riti: Tali apparizioni o rivelazioni non sono state nè approvate nè condannate dalla Santa Sede, che ha semplicemente permesso che fossero credute con fede puramente umana basandosi sulle tradizioni che le riferiscono corroborate da testimonianze e monumenti degni di fede [11]. Chi mantiene tale dottrina non ha nulla da temere, perchè la devozione che ha per oggetto qualcuna di queste apparizioni, per quel che riguarda il fatto stesso, implica sempre come condizione la verità del fatto, e allora si dice relativa; in quanto assoluta, non può mai basarsi se non sulla verità, dato che s'indirizza alla persona stessa dei Santi che si desiderano onorare. Lo stesso per quanto riguarda le Reliquie.
Raccomandiamo infine al Consiglio di vigilanza di fare attenzione costantemente e diligentemente alle istituzioni sociali e a tutti gli scritti che trattano di questioni sociali, affinchè non vi si introduca nulla del modernismo ma che tutto vi corrisponda alle prescrizioni dei Romani Pontefici.
VII. E nel timore che tali prescrizioni cadano in oblio, Noi vogliamo ed ordiniamo che tutti gli Ordinari delle diocesi, un anno dopo la pubblicazione delle presenti Lettere, e poi ogni tre anni, inviino alla Santa Sede una relazione fedele e giurata sull'esecuzione di tutte le ordinanze contenute in questa Nostra Lettera, come pure sulle dottrine che hanno corso fra il clero, e soprattutto nei Seminarii e nelle altre istituzioni cattoliche, compresi coloro che sono esenti dalla giurisdizione dell'Ordinario. Lo stesso ordiniamo ai Superiori generali degli Ordini religiosi per ciò che riguarda i loro sudditi.»
A queste prescrizioni che Noi confermiamo pienamente nella loro integrità, con l'intenzione di obbligare in coscienza coloro che le infrangessero, aggiungiamo qualche misura speciale per i seminaristi ed i novizi degli istituti religiosi. 

Per formare un sacerdote che sia degno di questo nome è necessario che nei Seminari  tutti gli insegnamenti convergano; non è lecito ritenere che tali strutture siano aperte per i soli studii oppure per la sola pietà. La formazione completa comporta entrambi questi elementi, ed i Seminari sono come palestre in cui si prepara lungamente la milizia sacra di Cristo. Perchè dunque ne esca un'armata perfettamente formata, due cose sono assolutamente necessarie: la dottrina per la formazione dello spirito [mens, N.d.T.], la virtù per la perfezione dell'anima. L'una richiede che i giovani alunni seminaristi siano anzitutto istruiti nelle scienze più strettamente legate con gli studii teologici, l'altra esige che essi eccellano particolarmente per costanza e per virtù. Coloro che sono incaricati della disciplina e della pietà osservino quali speranze offra ogni allievo, esaminino il carattere di ciascuno chiedendosi se assecondi le proprie inclinazioni più corrette, o sembri accessibile ai sentimenti profani, se sia pronto all'obbedienza, incline alla pietà, se non abbia troppa stima di se stesso, se sia indisciplinato, se si avvii alla dignità sacerdotale proponendosi un retto fine o se sia mosso da motivi umani, se infine si distingua per la santità e la dottrina che convengono a questa vita o almeno se, in mancanza dell'una o dell'altra di queste qualità, si sforzi con sincera e pronta volontà di acquisirla. Tale ricerca non presenta un'eccessiva difficoltà: infatti l'assenza delle virtù di cui abbiamo detto si tradisce ben presto per il fatto che gli esercizi di pietà sono compiuti senza sincerità e che la disciplina è osservata per timore e non per obbedire alla voce della coscienza. Colui che si mantiene nella disciplina per timore servile, o che l'infrange per leggerezza di spirito o disprezzo, è assai lontano dall'offrire speranza di un sacerdozio esercitato santamente. È di fatto poco probabile che uno spregiatore della disciplina domestica  non venga meno, più avanti, alle regole pubbliche della Chiesa. Se un superiore incaricato dei giovani chierici individuasse una tale disposizione di spirito in un allievo e se, dopo parecchi ammonimenti ed un anno di prova, si rendesse conto che il chierico non modifica per nulla la propria condotta, lo espella, in maniera che non possa più esser ricevuto nè da lui nè da qualunque altro Vescovo.
Due condizioni sono necessariamente richieste per la promozione dei chierici: l'innocenza della vita unita alla sana dottrina. E non bisogna dimenticare che le prescrizioni e gli avvertimenti che il Vescovo dà ai nuovi ordinandi s'indirizzano anche ai candidati, poichè è detto: «Si provveda acciocchè coloro che sono scelti per questo ministero siano illustri per sapienza celeste, per costumi integerrimi e per la costante osservanza della giustizia... Siano onesti e maturi sia nella scienza che nelle opere... Splenda in essi la giustizia in tutti i suoi aspetti.» 

E per quanto riguarda l'onestà della vita, ne avremmo parlato già a sufficienza, se si potesse separarla dalla dottrina e dalle opinioni che ciascuno fa sue e difende. Ma, come si legge nel libro dei Proverbi: Colla sua dottrina si farà conoscere l'uomo  [12], e come insegna l'Apostolo: Chi non persevera nella dottrina di Cristo non possiede Dio [13]. Quanto invero debba essere l'impegno da impiegare nell'acquisire conoscenze numerose e varie, anche la situazione stessa dei nostri tempi ce lo rivela: nulla vi è esaltato quanto la luce del progresso dell'umanità. Così dunque tutti i chierici che vogliono esercitare le loro funzioni come conviene ai nostri tempi, esortare fruttuosamente nella sana dottrina e rimproverare i suoi detrattori [14] e che hanno a cuore di consacrare al bene della Chiesa le risorse del loro spirito, costoro dovranno acquisire conoscenze superiori a quelle del comune degli uomini ed aspirare più degli altri all'ecellenza della dottrina. Dobbiamo in effetti lottare contro abili nemici che uniscono un'alto livello di studii ad una scienza spesso artificiosa, le cui frasi speciose e vibranti sono proposte con grande flusso e fracasso di parole da cui pare zampillare qualcosa d'esotico. Perciò le armi devono essere opportunamente predisposte, si deve cioè preparare un'abbondante messe di dottrina per tutti coloro che, nella calma di una vita nascosta, si preparano ad esercitare santissime e difficilissime funzioni. 

Tuttavia, poichè la vita umana è limitata da tali confini, che dalla ricchissima fonte di conoscenze che ci si offrono a mala pena ci è concesso di coglierne qualcuna, è necessario moderare l'ardore nell'apprendimento e ricordarsi di queste parole di san Paolo: non occorre sapere più di ciò che conviene, ma sapere con moderazione [15]. Perciò, siccome i chierici sono già sottoposti a numerosi e gravi studii, siano essi in relazione alle Sacre Lettere, ai dogmi della Fede, alla morale, alla scienza della pietà e del culto detta ascetica, o ancora alla storia della Chiesa, al diritto canonico, all'eloquenza sacra; è importante che i giovani non sprechino il loro tempo in altre questioni e non siano distratti dai loro studii principali, Noi proibiamo loro la lettura di tutti i periodici o riviste, per quanto possano essere ecellenti, obbligando in coscienza i superiori che non avranno vegliato con cura scrupolosa ad impedirlo.
Ed al fine di togliere al modernismo ogni possibilità di intrudersi dissimulatamente, non solo Noi vogliamo che sia osservato ciò che è stato prescritto più sopra al numero II, ma ordiniamo anche che tutti i professori, prima di iniziare i loro singoli insegnanti, all'inizio dell'anno accademico, presentino ai loro superiori il testo che si propongono d'insegnare  o le questioni e le tesi che si propongono di trattare; inoltre vogliamo che, nel corso dell'anno, il loro metodo d'insegnamento sia esaminato: e se pare allontanarsi dalla sana dottrina, sarà il caso di rimuovere immediatamente quell'insegnante. Infine ordiniamo che oltre alla professione di fede, ogni insegnante presti giuramento tra le mani del proprio Vescovo, secondo la formula allegata più oltre, e che vi apponga la propria firma. 

Questo guramento, dopo la professione di fede secondo la formula prescritta da Pio IV, Nostro predecessore di santa memoria, con l'aggiunta delle definizioni del Concilio Vaticano, lo presteranno inoltre al proprio Vescovo:
I. - I chierici che stanno per essere promossi agli ordini maggiori; si dovrà consegnar loro in precedenza una copia tanto della professione di fede quanto della formula del giuramento da pronunciare, affinchè ne siano accuratamente informati, compresa la sanzione prevista in caso d'infrazione, come sarà detto più avanti.
II. - I sacerdoti destinati ad udire le confessioni ed i sacri predicatori prima che sia loro accordata la facoltà di esercitare tali funzioni.
III. - I Parroci, i Canonici, i Beneficiari prima di prendere possesso del loro beneficio.
IV - Gli ufficiali delle Curie episcopali e dei Tribunali ecclesiastici, ivi compresi il Vicario generale ed i giudici.
V. - I predicatori della Quaresima.
VI. - Tutti gli ufficiali delle Congregazioni romane e dei Tribunali ecclesiastici di Roma, in presenza del Cardinal Prefetto o del Segretario della Congregazione o del Tribunale.
VII. - I superiori ed i docenti delle famiglie e delle Congregazioni religiose prima di assumere l'incarico.
Gli atti autentici delle dette professioni di fede e dei giuramenti prestati saranno conservati in registri appositi nelle Curie episcopali e negli uffici delle Congregazioni romane. Se qualcuno, Dio non voglia, osasse violare tale giuramento, sia deferito immediatamente al tribunale del Santo Uffizio.

FORMULA DEL GIURAMENTO

«Io... accetto e ricevo fermamente tutte e ciascuna le verità che la Chiesa, col suo magistero infallibile, ha definito, affermato e dichiarato, principalmente quei capi di dottrina che sono direttamente diretti contro gli errori del tempo presente.
E per prima cosa professo che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto e perciò anche dimostrato con certezza col lume naturale della ragione per mezzo delle cose che sono state fatte, cioè per mezzo delle opere visibili della creazione, come la causa per mezzo dell'effetto.
In secondo luogo: ammetto e riconosco gli argomenti esterni della rivelazione, cioè i fatti divini, tra i quali in primo luogo i miracoli e le profezie, come segni certissimi dell'origine divina della religione cristiana; e questi stessi argomenti io li ritengo perfettamente proporzionati all'intelligenza di tutti i tempi e di tutti gli uomini, anche del tempo presente.
In terzo luogo: credo anche con fede ferma che la Chiesa, custode e maestra della parola rivelata, è stata istituita immediatamente e direttamente da Cristo stesso, vero e storico, durante la sua vita tra noi, e credo che questa Chiesa è fondata su Pietro capo della gerarchia apostolica, e sui suoi successori attraverso i secoli.
In quarto luogo: accolgo sinceramente la dottrina della Fede trasmessa fino a noi dagli Apostoli per mezzo dei Padri ortodossi, sempre nello stesso senso e nella stessa sentenza, e rigetto assolutamente la supposizione eretica dell'evoluzione dei dogmi, secondo cui tali dogmi cambierebbero di senso e ne riceverebbero uno differente da quello che ha dato loro dall'inizio la Chiesa; e similmente riprovo ogni errore che pretende di sostituire al deposito divino, tramandato alla Sposa di Cristo perchè fedelmente lo custodisse, una finzione filosofica o una creazione della cosienza umana la quale, formata poco a poco per lo sforzo degli uomini, sarebbe suscettibile nell'avvenire di un progresso indefinito. 

In quinto luogo: ritengo in tutta certezza e professo sinceramente che la Fede non è un sentimento religioso cieco che erompe dalle latebre della subcoscienza per impulso del cuore ed inclinazione della volontà moralmente informata; ma che invece essa è un vero e proprio assenso dell'intelletto alla verità acquisita estrinsecamente per mezzo dell'insegnamento ricevuto ex auditu; assenso per il quale noi crediamo vero, a causa dell'autorità di Dio la cui veracità è assoluta, tutto ciò che è stato detto, attestato e rivelato dal Dio personale, creatore e Signore nostro.
Mi sottometto anche, con tutto il necessario rispetto, ed aderisco di tutto il cuore a tutte le condanne, dichiarazioni e prescrizioni contenute nell'Enciclica Pascendi e nel Decreto Lamentabili, specialmente per ciò che concerne la cosiddetta storia dei dogmi.
Così pure riprovo l'errore di coloro che pretendono che la fede proposta dalla Chiesa possa essere in contraddizione con la storia, e che i dogmi cattolici, nel senso in cui oggi sono intesi, sono incompatibili con le origini più autentiche della religione cristiana.
Condanno pure e rigetto l'opinione di coloro che affermano che il cristiano erudito si riveste di una duplice personalità, quella del credente e quella dello storico, come se allo storico fosse lecito sostenere ciò che contraddice la fede, o porre delle premesse da cui conseguisse che i dogmi sono falsi o dubbi, così che essi non siano negati direttamente.
Riprovo allo stesso modo quel metodo di studio e d'interpretazione della Sacra Scrittura che, mettendo da parte la Tradizione della Chiesa, l'analogia della Fede e le regole della Sede apostolica s'ispira ai metodi di lavoro dei razionalisti e, con altrettanta audacia quanta temerità, accetta come suprema ed unica regola solo la critica testuale. 

Inoltre rigetto l'opinione di coloro i quali ritengono che, nell'esposizione delle questioni storiche e teologiche, l'insegnante o chiunque si occupi di tali materie debba anzitutto sbarazzarsi di ogni idea preconcetta sia riguardo all'origine soprannaturale della Tradizione cattolica sia riguardo all'assistenza divinamente promessa per la conservazione perpetua di ogni punto di verità rivelata, per interpretare poi gli scritti di ciascuno dei Padri al di fuori di ogni autorità sacra, secondo i meri principii della scienza e con quell'indipendenza di giudizio che si usa nello studio di un qualunque documento profano.
Infine in maniera generale professo di essere completamente indenne da quell'errore dei modernisti che pretende che non vi sia, nella sacra Tradizione, nulla di divino o, ciò che è ben peggio, che ammette ciò che vi è di divino in senso panteista; così che non rimane nulla di più del fatto puro e semplice, assimilabile ai fatti ordinarii della storia: e cioè che degli uomini, col loro lavoro, la loro abilità, il loro talento, continuano attraverso le età posteriori la scuola inaugurata da Cristo ed i suoi Apostoli. Per concludere, mantengo con  la più grande fermezza, e manterrò fino al mio ultimo respiro, la fede dei Padri nel carisma certo di verità che è, è stato e sarà sempre nell'episcopato trasmesso con la successione Apostolica [16]: non in modo che sia mantenuto quello solo che può sembrare migliore e più adatto al grado di cultura proprio di ciascuna epoca, ma in modo che la verità assoluta ed immutabile, predicata in origine dagli Apostoli, non sia mai creduta ed intesa in un altro senso [17].
Mi impegno ad osservare tutte queste cose  fedelmente, integralmente e sinceramente, a custodirle inviolabilmente e a non allontanarmene sia nell'insegnamento sia in una qualunque maniera con le mie parole ed i miei scritti. Così prometto, così giuro, così mi aiuti Dio ecc.»

DELLA SACRA PREDICAZIONE

Poichè inoltre per una lunga esperienza ci è noto, che alla cura impiegata dai Vescovi perchè sia annunziata la parola di Dio non corrispondono adeguati risultati, e ciò non tanto a causa dell'inerzia degli uditori quanto della vanagloria dei predicatori, che fanno udire piuttosto la parola dell'uomo che quella di Dio; così abbiamo ritenuto opportuno di far tradurre in latino, di diffondere e di raccomandare agli Ordinari il documento indirizzato, per ordine di Leone XIII, Nostro predecessore di felice memoria, dalla Congregazione dei Vescovi e dei Regolari il 31 luglio 1894 agli Ordinari d'Italia ed ai superiori delle famiglie e delle Congregazioni religiose.

1. E primamente, per ciò che appartiene alle qualità del sacro predicatore, avvertano [gli Ordinari e i Superiori delle famiglie religiose] di non mai affidare un ministero sì santo a chi non sia fornito di vera pietà cristiana e compreso di grande amore a N. S. Gesù Cristo, senza del quale non sarebbe mai altro che aes sonans et cymbalum tinniens [18]; nè mai potrebbe avere quel vero zelo della gloria di Dio e della salute delle anime, che deve essere il solo movente e il solo fine dell'evangelica predicazione. E questa pietà cristiana, sì necessaria ai sacri banditori, uopo è che risplenda anche nella loro condotta esteriore, la quale non deve mai trovarsi in contraddizione coi loro insegnamenti, nè aver nulla di secolaresco e di mondano, ma sempre esser tale che li mostri veramente ministros Christi et dispensatores mysteriorum Dei [19]; altrimenti, come osserva l'angelico S. Tommaso, si doctrina est bona et praedicator malus, ipse est occasio blasphemiae doctrinae Dei [20].
Colla pietà poi e colla virtù cristiana vuole andare congiunta anche la scienza, essendo manifesto e dalla esperienza continua comprovato, che una predicazione veramente soda, ordinata e fruttuosa vano è aspettarla da coloro, che non sono nutriti di buoni studii, principalmente sacri, e che fidenti in certa lor naturale loquacità, temerariamente salgono il pulpito con poca o nessuna preparazione. Costoro, per ordinario, non fanno altro che batter l'aria, e alla divina parola, senza avvedersene, accattare dispregio e derisione; quindi loro va detto recisamente: Quia tu scientiam repulisti, ego repellam te ne sacerdotio fungaris mihi [21]

2. Dopo dunque, e non prima, che il sacerdote si sarà procacciato il corredo delle accennate doti, allora soltanto i Reverendissimi Vescovi e Capi degli Ordini Regolari gli potranno affidare il gran ministero della parola divina; invigilando però che fedelmente si attenga a quelle materie, che sono veramente proprie della sacra predicazione.
Or tali materie sono indicate dal divin Redentore là dove dice: Praedicate evangelium [22].... Docentes eos servare omnia quaecumque mandavi vobis  [23]. Conformemente alle quali parole scrisse l'Angelico: Praedicatores debent illuminare in credendis, dirigere in operandis, vitanda manifestare, et modo comminando, modo exhortando, hominibus praedicare [24]. E il sacrosanto Concilio di Trento: Annunciantes eis vitia, quae eos declinare, et virtutes quas sectari oportet, ut poenam aeternam evadere et coelestem gloriam consequi valeant [25]. Ma più ampiamente ancora fu ciò spiegato dal Sommo Pontefice Pio IX di s. m. colle seguenti parole: «Non semetipsos, sed Christum crucifixum praedicantes, sanctissima religionis nostrae dogmata et praecepta, iuxta catholicae Ecclesiae et Patrum doctrinam, gravi ac splendido orationis genere, populo clare aperteque annuncient; peculiaria singulorum officia accurate explicent, omnesque a flagitiis deterreant, ad pietatem inflamment, quo fideles, Dei verbo salubriter refecti, vitia omnia declinent, virtutes sectentur, atque ita aeternas poenas evadere et coelestem gloriam consequi valeant [26]
Donde chiaramente apparisce che il simbolo e il decalogo, i precetti della Chiesa e i Sacramenti, le virtù ed i vizii, i doveri proprii delle diverse classi di persone, i novissimi dell'uomo ed altre simili verità eterne debbono formare la materia ordinaria della sacra predicazione. 

3. Ma questi gravissimi argomenti sono oggi indegnamente trascurati da molti predicatori, i quali, quaerentes quae sua sunt, non quae Iesu Christi, [27] e ben conoscendo non esser queste le materie più acconce ad acquistar loro quell'aura popolare che ambiscono, le lasciano interamente da parte, massime nelle Quaresime e in altre occasioni solenni; e insieme colle cose mutando i nomi, alle antiche prediche sostituiscono un genere mal inteso di conferenze, rivolte ad adescare la mente e la fantasia, non mai a muovere la volontà e a riformare i costumi. E non riflettono costoro che le prediche morali giovano a tutti, le conferenze d'ordinario sono per pochi; e che questi pochi medesimi, se fossero meglio curati nei costumi, cioè meglio aiutati ad essere più casti, più umili, più obbedienti all'autorità della Chiesa, con ciò solo avrebbero la mente sgombrata da mille pregiudizii contro la fede, e più disposta a ricevere la luce della verità; perchè gli errori religiosi, massime tra i popoli cattolici, hanno generalmente radice più nelle passioni del cuore, che nelle aberrazioni della mente, secondo quello che è scritto: De corde exeunt cogitationes malae.... blasphemiae [28]. Perciò su quel del Salmista: Dixit insipiens in corde suo: non est Deus [29], saviamente riflette S.Agostino: In corde suo, non in mente sua.
 
4. Nè già con questo vuol condannarsi in modo assoluto l'uso delle conferenze, le quali anzi, quando siano ben condotte, possono anch'esse in certi casi tornare utilissime e necessarie, in mezzo a tanti errori che spargonsi contro la religione. Ma ben si vogliono onninamente sbandire dal pulpito quelle pompose dicerie, che trattano argomenti più speculativi che pratici, più civili che religiosi, più di comparsa che di frutto, i quali perciò saranno forse adattati alla palestra giornalistica e alle aule accademiche, ma col luogo santo certamente non si confanno.
Quanto poi a quelle conferenze, che mirano a difendere la religione dalle impugnazioni de' suoi nemici, sono bensì a quando a quando necessarie, ma questo non è peso da tutti gli omeri, sì veramente dai più robusti. Ed anche i valorosi oratori debbono usare in ciò grande cautela; che tali apologie convien farle soltanto in quei luoghi, in quei tempi e a quelle udienze, che ne abbiano un vero bisogno, e da cui possa sperarsene un vero profitto; della qual cosa i giudici più competenti è manifesto non essere che gli Ordinarii: convien farle in maniera che la dimostrazione abbia la sua base profonda nella dottrina sacra assai più che negli argomenti umani e naturali: convien farle con tale solidità e chiarezza, da evitare il pericolo che in certe menti restino impressi
più gli errori che le verità opposte, e più facciano breccia le obbiezioni che le risposte.
Soprattutto poi è da por mente che l'uso soverchio delle conferenze non faccia cadere in disistima e in disuso le prediche morali, come se queste fossero cose di second'ordine e di minore importanza che le polemiche, e però da lasciarsi al volgo dei predicatori e degli uditori; mentre il vero si è che la predicazione morale è la più necessaria alla università dei fedeli, non è meno nobile della polemica, e quindi anche i più valenti e celebrati oratori, e dinanzi a qualsivoglia più eletta e numerosa udienza, dovrebbero, almeno di quando in quando, trattarla con vivo zelo. Se ciò non facciasi, queste grandi udienze saranno condannate a sentirsi sempre parlare d'errori che spesso non sono nei più dei membri che le compongono, e non mai de' vizii e delle colpe, che in siffatte adunanze sogliono abbondare più che in altre di minor conto. 

5. Ma se molti abusi si notano nella scelta dei temi, altri non meno gravi sono a deplorarsi nella forma della trattazione, intorno alla quale insegna egregiamente l'Aquinate che, per essere veramente lux mundi, tria debet habere praedicator verbi divini: primum est stabilitas, ut non deviet a veritate; secundum est claritas, ut non doceat cum obscuritate; tertium est utilitas, ut quaerat Dei laudem et non suam [30]. Ma per mala ventura la forma di molti odierni sermoni, non solo è lontana da quella chiarezza e semplicità evangelica che dovrebbe caratterizzarla, ma tutta si avvolge in ambagi nebulose e in materie astruse superiori alla comune capacità del popolo, e fa tornare sul labbro quel pietoso lamento: Parvuli petierunt panem, et non erat qui frangeret eis [31]. Il peggio si è poi che vi manca spesso quella sacra impronta, quell'alito di pietà cristiana e quella unzione dello Spirito Santo, per la quale il banditore evangelico dovrebbe sempre poter dire di sè: Sermo meus et praedicatio mea, non in persuasibilibus humanae sapientiae verbis, sed in ostensione spiritus et virtutis [32]. Costoro invece fondandosi quasi unicamente in persuasibilibus humanae sapientiae verbis, poco o nulla si curano della parola divina, della Sacra Scrittura, che pure dev'essere il primo fonte della sacra eloquenza, come insegnava testè il Sommo Pontefice felicemente regnante, con parole gravissime che crediamo opportuno di riferire.
«Haec propria et singularis Scripturarum virtus, a divino afflatu Spiritus Sancti profecta, ea est quae oratori sacro auctoritatem addit, apostolicam praebet dicendi libertatem, nervosam victricemque tribuit eloquentiam. Quisquis enim divini verbi spiritum et robur eloquendo refert, ille non loquitur in sermone tantum, sed et in virtute, et Spiritu Sancto et in plenitudine multa [33]. Quamobrem ii dicendi sunt praepostere improvideque facere, qui ita conciones de religione habent, et praecepta divina enunciant, nihil ut fere afferant nisi humanae scientiae et prudentiae verba, suis magis argumentis quam divinis innixi. Istorum scilicet orationem, quantumvis nitentem luminibus, languescere et frigere necesse est utpote quae igne careat sermonis Dei, eamdemque longe abesse ab illa qua divinus sermo pollet virtute: Vivus est enim sermo Dei et efficax, et penetrabilior omni gladio ancipiti, et pertingens usque ad divisionem animae ac spiritus. [34]Quamquam hoc etiam prudentioribus assentiendum est, inesse in sacris Litteris mire variam et uberem magnisque dignam rebus eloquentiam: id quod Augustinus pervidit diserteque arguit [35], atque res ipsa confirmat praestantissimorum in oratoribus sacris, qui nomen suum assiduae Bibliorum consuetudini piaeque meditationi se praecipue debere, grati Deo, affirmarunt [36].» 

6. Ecco dunque la fonte principalissima della sacra eloquenza, la Bibbia. Ma questi predicatori ammodernati, in cambio d'attingere la loro eloquenza al fonte dell'acqua viva, con intollerabile abuso si volgono alle cisterne dissipate della sapienza umana: invece di recare in mezzo i testi divinamente inspirati, o quelli dei Santi Padri e dei Concilii, citano a sazietà autori profani, autori moderni ed anche viventi, autori e parole che si prestano ben sovente ad interpretazioni molto equivoche e molto pericolose. «È anche un grande abuso della eloquenza sacra trattare i temi religiosi unicamente nell'interesse di questa vita, e non parlare della futura: noverare i vantaggi recati alla società dalla religione cristiana, e dissimulare i doveri: dipingere il Redentore divino tutto carità, e tacere della giustizia. Indi il poco frutto di cotesta predicazione, dalla quale un uomo di mondo esce persuaso che, senza mutare i suoi costumi, purchè dica: Io credo in Gesù Cristo, sarà un buon cristiano [37]
Ma che importa a costoro del frutto? Non è questo che cercano principalmente: cercano di lusingare gli uditori prurientes auribus e pur che veggano le chiese piene, punto non curano che le anime si rimangano vuote. Per questo non parlano mai del peccato, mai dei novissimi; mai di altre verità gravissime che potrebbero contristare a salute, ma parlano solo verba placentia; e questo pure lo fanno con una eloquenza più tribunizia che apostolica, più profana che sacra, la quale attira loro battimani ed applausi, già condannati da S. Girolamo quando scriveva: Docente in ecclesia te, non clamor populi, sed gemitus suscitetur: auditorum lacrymae laudes tuae sint [38]. Di qui e che tutta la loro predicazione apparisce come circondata, tanto in chiesa, quanto fuori di essa, da una certa aura teatrale, che ogni sacra impronta ne toglie ed ogni sovrumana efficacia. Di qui ancora nel popolo, e diciamo pur anche in una parte del clero, la depravazione del gusto della divina parola, lo scandalo di tutti i buoni, e il poco o niun profitto dei traviati o miscredenti; i quali, benché talvolta accorrano in calca ad ascoltare simili verba placentia massimamente se attirativi dalle risonanti parole di progresso, di patria, di scienza moderna, dopo applaudito clamorosamente all'oratore che conosce il vero modo di predicare, escono di chiesa quali vi erano entrati: mirabantur, sed non convertebantur [39]

7. Volendo pertanto questa S. Congregazione, in adempimento dei venerati comandi di Sua Santità, porre un riparo a tanti e sì
detestabili abusi, si rivolge a tutti i Reverendissimi Vescovi e Superiori Generali degli Ordini Regolari e pii Istituti Ecclesiastici affinchè contro di quelli insorgano con apostolica fermezza e con ogni sforzo ne curino l'estirpazione. Ricordevoli dunque che, secondo la prescrizione del Sacrosanto Tridentino Concilio, viros idoneos ad huiusmodi praedicationis officium assumere tenentur [40] usino in questo negozio la massima diligenza e cautela. Se si tratta di Sacerdoti della loro diocesi, sieno fermi nel non affidar loro un ministero sì augusto senza averli prima provati, o per via d'esame o in altra maniera opportuna: nisi prius de vita et scientia et moribus probati fuerint [41]. Se si tratta di sacerdoti d'altre diocesi, non accettino nessuno a predicare nella loro, massime nelle occasioni più solenni, se non presenti lettere del proprio Vescovo o del proprio Superiore Regolare, le quali dieno dei suoi costumi e della sua idoneità a tale uffizio buona testimonianza.
I Superiori poi dei Religiosi di qualsivoglia Ordine, Società o Congregazione, a nessuno dei loro sudditi permettano di predicare, e molto meno lo presentino agli Ordinarii con proprie lettere testimoniali, se prima non si sono assicurati assai bene e della sua morale condotta e della sua retta maniera d'annunziare la divina parola.
Che se gli Ordinarii, dopo accettato qualche predicatore per le buone commendatizie che presentava, lo vedessero poi nell'esercizio pratico del ministero deviare dalle norme e dai moniti dati in questa Lettera, dessi con opportuna correzione lorichiamino prontamente al dovere; ma se questa non basta, lo rimuovano a dirittura da tale uffizio, usando anche le pene canoniche, se la natura del caso lo richiedesse.»
Colpiti dalla gravità del male, che cresce di giorno in giorno, ed al quale non si può più tardare ad opporsi senza il più grande pericolo, abbiamo ritenuto di prescrivere ovvero rammentare ciò, e di ordinare che siano religiosamente osservate. Ormai di fatto non abbiamo più da lottare, come all'inizio, con dei sofisti che avanzano in vesti d'agnello, ma con nemici dichiarati e crudeli, enemici dall'interno che, avendo fatto un patto coi peggiori nemici della Chiesa, si propongono la distruzione della fede. Parliamo di coloro che, ogni giorno, si elevano audacemente contro la sapienza che ci viene dal cielo, si arrogano il diritto di riformarla come se fosse stata corrotta; pretendono di rinnovarla, come se il tempo l'avesse messa fuori uso; vogliono aumentarne lo sviluppo ed adattarla ai capricci, al progresso ed alle comodità del secolo, come se fosse opposta non alla leggerezza di alcuni, ma al bene stesso della società.
A questi attentati contro la dottrina del Vangelo e contro la Tradizione della Chiesa, non sarà mai opposta sufficiente vigilanza o severità da parte di coloro a cui è stata confidata la custodia fedele di questo sacro deposito.
Così gli avvisi e gli ordini salutari che con questo Motu proprio e con scienza certa abbiamo prescritti, Noi vogliamo che siano osservati scrupolosossimamente da tutti gli Ordinari e Superiori generali degli Ordini regolari e degli Istituti ecclesiastici di tutto l'universo cattolico. Noi vogliamo ed ordiniamo che tali prescrizioni siano riconosciute e godano di tutta la loro forza, nonostante qualsiasi disposizione contraria.
Dato a Roma presso San Pietro il 1° settembre 1910, anno ottavo del nostro pontificato.
Pio X Papa.
[Traduzione: C.S.A.B., eccetto i punti 1°-7° Della sacra predicazione, tratti dal documento originale in italianoLitterae Encyclicae ex S. Congregatione Episcoporum et Regularium negotiis dignoscendis praeposita, Leonis Papae XIII iussu super sacra Praedicatione, ad omnes Italiae Episcopos, atque ad omnes Ordinum coetuumque religiosorum Praesules datae. Da A.S.S. vol. XXVII, Romae 1894-95 pag. 162-176. Ci pareva estremamente assurdo ritradurre in italiano dal latino un brano di un documento scritto originariamente in lingua italiana. Rammentiamo inoltre che il brano racchiuso tra le virgolette e che comprende i punti da I. a VII. è tratto dall'Enciclica Pascendi

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