Le scienze
ecclesiastiche che egli aveva voluto rinnovare mediante il tomismo, si
incamminavano per vie opposte; l'azione sociale dei cattolici che egli
aveva definito con chiarezza veniva, poco alla volta, sostituita da una
falsa democrazia liberale; il laicismo invadeva ogni campo e minacciava
di oscurare completamente negli spiriti i principi che reggono le
società e stabiliscono i loro rapporti con la Chiesa.
Instaurare omnia in Christo.
A Leone XIII mancò il tempo per smascherare e abbattere il modernismo,
questa idra dalle molteplici teste, in ognuna delle quali riviveva una
antica eresia; a Leone XIII mancò il tempo di riorganizzare le
istituzioni ecclesiastiche in modo che potessero esercitare, con più
ampiezza, più armonia e più efficacia, le funzioni essenziali del
magistero e del governo che esse traggono dall'Autorità suprema della
Sede Apostolica. Iddio, però, suscitò il successore che egli desiderava.
San Pio X era stato uno dei suoi più fedeli discepoli, si era formato
sulla dottrina delle sue grandi encicliche ed aveva egli pure la chiara
intuizione dei gravi pericoli che minacciavano la Chiesa; in più, la
profonda esperienza nel governo delle anime che egli aveva acquisita
come parroco, come vescovo e come Patriarca, unita a non comuni doni
naturali e ad una profonda santità, ne facevano l'uomo adatto per
compiere l'opera di universale rinnovamento nella Chiesa. All'inizio del
suo pontificato, Pio X stabilì le linee fondamentali del suo programma
attraverso le parole con le quali san Paolo aveva parlato del piano di
Dio che salva il mondo: "Instaurare omnia in Christo": opera che aveva
avuto il suo termine con la vita terrena del Redentore, ma la cui
realizzazione continua a compiersi nel tempo col concorso degli uomini.
Con questo suo motto, Pio X faceva capire che le circostanze del tempo
non affidavano al Papa una particolare vigilanza su certi problemi
soltanto ma che tutto, omnia, abbisognava d'una energica presa di
posizione, perché nulla sfuggisse al Cristo e alla sua Redenzione.
La vita liturgica.
È significativo che il suo primo atto, in vista di questa sua
universale riforma, abbia toccato un particolare che molti allora
giudicarono insignificante: con Motu proprio di appena qualche mese dopo
la sua elezione, egli realizzò la prima tappa di una riforma completa
della liturgia, mediante certe prescrizioni sul canto sacro. In questo
atto, Pio X si mostra nel suo carattere più vero e più profondo: forte
uomo di azione, Pio X fu innanzitutto uomo di preghiera. La preghiera
che egli raccomanda è, innanzitutto, la preghiera pubblica e solenne
della Chiesa che racchiude, in un comune linguaggio, una comune
adorazione ed un unico sacrificio, tutte le anime battezzate: essa è
un'anticipazione della preghiera dell'eternità. Pio X volle che i fedeli
ritrovassero il senso di questa grande preghiera liturgica, racchiusa
nella preghiera che il Cristo indirizza al Padre, ispirata dallo Spirito
Santo presente nella Chiesa, che deve essere la sorgente, l'ispirazione
delle preghiere personali che ogni fedele deve recitare, in più, ogni
giorno.
La preghiera sarà la leva dell'azione di Pio X; e questo
rinnovamento del canto gregoriano è appena l'inizio d'una serie di
riforme e di iniziative di ordine liturgico che orienteranno, per vie
nuove e al tempo stesso tradizionali, la vita spirituale dei fedeli.
Riforma del breviario, che proporziona e armonizza la distribuzione dei
salmi e che ridona alla domenica quel posto d'onore che il culto dei
santi le aveva strappato nel Medio Evo; sviluppo del culto eucaristico;
invito alla comunione frequente e quotidiana a cominciare dall'età della
ragione; riaffermazione dell'ideale del sacerdozio. La fiamma
dell'amore di questo santo Papa, ignis ardens, trabocca dai suoi
insegnamenti e dalle sue prescrizioni. Così, poco alla volta, prende
vita nella Chiesa un profondo rinnovamento di vita spirituale,
nell'unione più intima delle anime, tra di loro, e in Cristo. E si viene
così a determinare una duplice crescita, da una parte delle forze che
resistono agli attacchi del nemico, dall'altra dell'omaggio reso a Dio
con forma più piena, più alta, più pura.
Organizzatore e legislatore.
Fu non a caso che il Papa santo ricordò ai fedeli l'importanza
fondamentale, non soltanto della preghiera (fatto che non si era mai
avverato, del resto), ma particolarmente della preghiera liturgica:
essa, infatti, è la preghiera stessa della Chiesa. Volendo riordinare
ogni cosa in Cristo, è appunto nella Chiesa e mediante la Chiesa che si
riconducono gli uomini a Lui. La Chiesa è la via che porta a Cristo ed è
Cristo stesso comunicato alle anime, è il Suo Corpo mistico. Tale corpo
visibile, Pio X volle renderlo sempre più bello e accogliente. Non
volle che la Chiesa sembrasse una sorpassata società religiosa, una
sopravvivenza medioevale, la bella testimonianza d'un passato ormai
morto, senza rapporto col presente e senza influenza su di esso: si
faceva indispensabile un sano riavvicinamento alla società moderna. Già
Leone XIII se ne era convinto, ma quelle idee, allora ancora poco
conosciute, e la mancanza di tempo, gli avevano impedito di giungere
alla riorganizzazione del governo e dell'amministrazione ecclesiastica.
Pio X affronta la riforma della Curia e degli Uffici delle Congregazioni
romane. Era necessario ridare vita a certe abitudini fossilizzate da
secoli. Le resistenze furono vive, ma il papa dimostrò di possedere, sia
la forza e la tenacia, quanto la dolcezza e la pazienza. In pochi anni,
la riforma venne portata a termine, alcune congregazioni scomparvero,
altre vennero fuse tra loro, ognuna ricevette incarichi ben precisi.
Sarebbe bastata questa sola riforma per rendere glorioso un pontificato:
Pio X vi aggiunse ancora la completa riorganizzazione del Diritto
Canonico. Quando il Papa morì, il Codice non era terminato e fu il suo
successore, Benedetto XV, che lo promulgò dicendo che tale riforma
poneva Pio X tra i più grandi studiosi di diritto canonico di tutta la
storia.
Difensore della fede.
Ma tale opera di
riordinamento non avrebbe portato eccessivi frutti se la fede,
fondamento dell'unità della Chiesa, fosse rimasta in balìa dell'eresia.
Lo spirito di ordine e di giustizia, già vivo nelle riforme fino ad
allora effettuate, aiutò il Papa a portare a compimento gli insegnamenti
di Leone XIII e a far risplendere, in tutto il suo splendore, la
dottrina cristiana. Per questo, egli entrò in lotta contro l'eresia
insidiosa che tentava di distruggere le fondamenta della fede: si può
dire che gli undici anni di pontificato di Pio X siano stati una potente
e vigorosa affermazione di fede cattolica. Sotto il suo insegnamento
furono riaffermate le verità dei dogmi fondamentali: Dio trascendente e
presente nelle creature; l'ordine soprannaturale e i suoi rapporti con
la ragione e con la scienza; Cristo, Dio e Uomo; l'essenza della Chiesa,
Corpo mistico di Cristo, società soprannaturale, fondata su Pietro;
diversità tra la Chiesa docente e la chiesa che impara, valore assoluto
delle definizioni dogmatiche; la soprannaturale efficacia dei sacramenti
che oltrepassa il puro significato del simbolo; i canoni della
interpretazione biblica; il senso della storia; le relazioni tra la
Chiesa e lo Stato; le condizioni della salvezza. Furono ripresi pure,
con meravigliosa chiarezza, gli elementi della nostra vocazione al fine
soprannaturale, accessibile soltanto mediante la Grazia portata da
Cristo. Il grande desiderio di Papa Pio X, di instaurare ogni cosa in
Cristo, si manifesta soprattutto in questa preoccupazione di ridare alla
fede della Chiesa tutto il suo splendore. A questo proposito, la sua
delicatezza di coscienza fu esemplare, ma per smascherare e condannare
ogni più piccolo germe di eresia diede esempio di fermezza e di
inflessibile giustizia.
Il Santo.
Nel discorso della
canonizzazione, descrivendo la sua forte personalità, Pio XII disse che
Papa Sarto fu una figura gigantesca e dolce. Questo, appunto, è il
carattere della sua santità: essa unisce, meglio e più che negli altri
santi, a una grandezza sovrumana, l'umiltà, la bontà, la semplicità,
qualità che attiravano le anime verso di lui. Realizzò, innanzitutto in
se stesso, il programma al quale aveva richiamato gli uomini: Cristo
viveva, Signore, nel suo cuore, nella sua intelligenza, nella sua
volontà. Le brevi notizie che Pio XII ha inserito nel martirologio, in
occasione della festa di questo santo, mostrano la pienezza dei doni e
delle virtù soprannaturali che ornavano la sua anima e fecondavano le
sue opere. Non sappiamo se si deve ammirare di più l'ardente carità o lo
spirito di preghiera, il suo senso d'ordine e di giustizia o la sua
profonda umiltà, l'integrità della fede o la fermezza delle sue
direttive. Egli realizzò in sé l'ideale del cristiano, del prete, del
pontefice. In ogni occasione, ha avuto l'intuizione realistica dei
bisogni, delle aspirazioni, delle energie del suo tempo. È il giudice e
il dottore della nostra società, il modello di santità adatto all'uomo
del nostro tempo.
Vogliano rivolgersi a Lui le nostre società
scristianizzate, ascoltare il suo messaggio, sollecitare le sue
preghiere: sotto il pacifico giogo di Cristo Re, esse troveranno quella
salvezza che nessuna altra potenza di questo mondo ha saputo loro dare.
VITA - Giuseppe Sarto nacque a Riese (diocesi di Treviso) il 2 giugno
1835; i suoi genitori erano poveri ma di molta onestà e profonda virtù.
Venne battezzato il giorno seguente la nascita, ricevette la Cresima il
1° settembre del 1845, ricevette per la prima volta la santa Comunione
il 6 aprile 1847. Nel 1850 entrò nel Seminario di Padova e venne
ordinato sacerdote il 17 settembre 1858. Fu dapprima parroco di Salzano,
poi segretario del Vescovo e Direttore Spirituale del Seminario di
Treviso, Vescovo di Mantova nel 1884, Cardinale e Patriarca di Venezia
nel 1893.
Il 4 agosto del 1903 venne eletto Sommo Pontefice,
carica che accettò suo malgrado col nome di Pio X. I disastri della
guerra che aveva tentato di impedire senza riuscirvi, lo portarono alla
tomba il 4 agosto 1914.
Il popolo cristiano lo considerò già da
allora un santo e, in seguito a numerose grazie e miracoli ottenuti
mediante la sua intercessione, Pio XII lo beatificò il 3 giugno 1951 e
lo dichiarò santo il 29 maggio 1954.
Preghiera di Pio XII.
O beato Pontefice, fedele servo del tuo signore, umile e fido discepolo
del Divin Maestro, nel dolore e nella gioia, nei travagli e nelle
sollecitudini sperimentato Pastore del gregge di Cristo, volgi il tuo
sguardo su di noi che siamo prostrati dinanzi alle tue verginee spoglie.
Ardui sono i tempi in cui viviamo; dure le fatiche che essi esigono da
noi. La sposa di Cristo, affidata già alle tue cure, si trova di nuovo
in gravi angustie. I suoi figli sono minacciati da innumerevoli pericoli
nell'anima e nel corpo. Lo spirito del mondo, come leone ruggente, va
attorno cercando chi possa divorare. Non pochi cadono sue vittime. Hanno
occhi e non vedono; hanno orecchi e non odono. Chiudono lo sguardo alla
luce della eterna verità; ascoltano le voci di sirene insinuanti
ingannevoli messaggi. Tu, che fosti quaggiù grande suscitatore e guida
del popolo di Dio, sii ausilio e intercessore nostro e di tutti coloro
che si professano seguaci di Cristo [1].
Sì o san Pio X, gloria
del sacerdozio, splendore e decoro del popolo cristiano. Tu, in cui
l'umiltà parve affratellarsi con la grandezza, l'austerità con la
mansuetudine, la semplice pietà con la profonda dottrina; Tu, pontefice
della Eucarestia e del catechismo della fede integra e della fermezza
impavida; volgi il tuo sguardo verso la Chiesa santa, che tu tanto
amasti e alla quale dedicasti il meglio dei tesori che, con mano
prodiga, la divina Bontà aveva deposto nell'animo tuo; ottienile la
incolumità e la costanza, in mezzo alle difficoltà e alle persecuzioni
dei nostri tempi; sorreggi questa povera umanità, i cui dolori così
profondamente Ti afflissero, che arrestarono alla fine i palpiti del Tuo
gran cuore; fa' che in questo mondo agitato trionfi quella pace, che
deve essere armonia fra le nazioni, accorda fraterna e sincera
collaborazione tra le classi sociali, amore e carità tra gli uomini,
affinché in tal guisa quelle ansie, che consumarono la Tua vita
apostolica, divengano, grazie alla Tua intercessione, una felice realtà,
a gloria del Signore nostro Gesù Cristo, che col Padre e lo Spirito
Santo vive e regna nei secoli dei secoli. Così sia! [2].
[1] Nel giorno della beatificazione. Atti e Discorsi di S. S. Pio XII, vol. XIII, p. 157 s., Ed. Paoline, Roma.
[2] Nel giorno della Canonizzazione. Atti e Discorsi di S. S. Pio XII, vol. XVI, p. 133, Ed. Paoline Roma.
da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e
dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba,
1959, p. 1047-1052
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San Pio X
Motu proprio
Sacrorum Antistitum
(1° settembre 1910)
col quale si stabiliscono le norme atte a respingere il
pericolo del modernismo.
Nessuno tra i Vescovi ignora, riteniamo, che una genia
perniciosissima di persone, i modernisti, anche dopo che con
l'Enciclica Pascendi dominici gregis
[1] fu tolta loro la maschera
di cui si coprivano, non hanno abbandonato i loro piani di turbare la
pace della Chiesa. Difatti non hanno cessato di ricercare nuovi adepti
raggruppandoli in una società segreta, e per mezzo di costoro
inoculare
il veleno delle loro opinioni nelle vene della società cristiana
con la
pubblicazione di libri e scritti anonimi o sotto falso nome. Se, dopo
aver riletto la detta Nostra Lettera Enciclica, si considera
attentamente tale culmine d'audacia che Ci ha causato tanto dolore,
ci si convincerà facilmente che queste persone non sono diverse
da come
ivi Noi le abbiamo descritte, avversari tanto più da temersi,
quanto
più
ci sono vicini; i quali abusano del loro ministero per prendere
all'amo con esca avvelenata gli incauti che abboccano, spargendo
attorno a sè un'apparenza di dottrina che contiene la somma di
tutti
gli errori.
Poichè questa pestilenza va propagandosi
considerevolmente per
quella parte del campo del Signore, da cui sarebbero stati da
attendersi frutti migliori, è dovere dei Vescovi lavorare alla
difesa
della fede cattolica e vegliare con somma diligenza affinchè
l'integrità del divino deposito non soffra un qualche
detrimento,
mentre a Noi compete massimamente di eseguire l'ordine di Cristo
Salvatore che disse a Pietro, dal quale abbiamo ereditato, sebbene
indegnamente, il principato: Conferma
i
tuoi fratelli. Proprio per
questo motivo, cioè per rafforzare l'animo dei buoni nella
presente
lotta, abbiamo ritenuto utile ricordare i seguenti insegnamenti e
prescrizioni del succitato documento:
«Vi preghiamo e vi scongiuriamo di non tollerare che, in
una
questione sì grave, la vostra vigilanza, la vostra diligenza e
la
vostra fortezza lascino minimamente a desiderare. E ciò
che vi
domandiamo e che Ci aspettiamo da voi lo domandiamo anche e ce lo
aspettiamo da tutti gli altri pastori d'anime, da tutti gli educatori e
maestri del giovane clero, e particolarmente dai Superiori maggiori
degli Istituti religiosi.
I. Per ciò che riguarda gli studi, vogliamo ed
ordiniamo che
la filosofia scolastica sia posta a fondamento delle sacre scienze.
—
Certamente, se nei dottori
scolastici qualcosa è trattato con eccessiva
sottigliezza o insegnato superficialmente, se qualcosa non
concorda con dottrine successivamente comprovate o non è in
nessun modo
ammissibile, è ben lungi dal nostra intenzione che ciò
oggi sia
proposto
ad imitazione. [2] — E
quando
prescriviamo la filosofia scolastica, con ciò intendiamo, e
questo è
fondamentale, la filosofia tramandataci da san Tommaso d'Aquino; noi
vogliamo perciò che tutto ciò che a questo riguardo
è stato ordinato
dal Nostro Predecessore resti pienamente in vigore e, se necessario, lo
ripetiamo e confermiamo, e comandiamo che sia strettamente osservato da
tutti. Se in qualche luogo nei Seminari queste cose fossero state
trascurate, sarà compito de Vescovi imporne ed esigerne
l'osservanza da
ora in avanti. Lo stesso comandiamo ai Superiori degli Ordini
religiosi. Ammoniamo pure i professori di ben persuadersi che
abbandonare minimamente l'Aquinate, specialmente in ciò che
attiene
alla metafisica, non si fa senza gran danno. Un piccolo errore nei principî,
per dirla con lo stesso Aquinate, diviene
un grande errore nelle sue ultime conseguenze [3].
Una volta posto questo fondamento filosofico, si elevi
solidamente l'edifizio teologico. — Promuovete lo studio della
teologia
più che potete, Venerabili Fratelli, in modo che i chierici
uscendo dai
Seminari siano ripieni di una stima profonda e di un profondo amore
per esso e lo considerino una delle occupazioni più gradite. Nessuno
ignora infatti che, tra la gran moltitudine di scienze così
differenti
che si offrono allo spirito avido di verità il primo posto
spetta di
diritto alla teologia, al punto che fu una massima dell'antica
sapienza che il dovere delle altre scienze, come pure delle arti,
è di
esserle soggette e sottomesse alla maniera di serve [4]. — Aggiungiamo che Ci paiono degni di lode
coloro i
quali, pienamente rispettosi della Tradizione dei santi Padri e del
magistero ecclesiastico, misurati nel loro giudizio e facendosi guidare
dalle norme cattoliche (cosa che non sempre da tutti si osserva) si
prefiggono di
fare maggior luce nella teologia positiva proiettandovi la luce della
vera
storia. Certamente bisogna dare maggior importanza che in passato alla
teologia positiva, ma ciò si faccia senza che la teologia
scolastica ne
abbia il minimo detrimento, e sono da reprimersi come fiancheggiatori
dei modernisti coloro che esaltano la teologia positiva in modo tale
che sembrano denigrare nello stesso tempo la scolastica.
Quanto agli studi profani, sarà sufficiente ricordare
ciò che
assai saggiamente ha detto il Nostro Predecessore: Applicatevi con ardore allo studio delle
scienze naturali: le geniali scoperte e le utili applicazioni fatte al
giorno d'oggi in questo campo, come a giusto titolo sono ammirate dai
contemporanei, così saranno per i posteri motivo di ammirazione
e di
lode. [5] Ma le scienze sacre
non ne devono subir danno; riguardo a ciò lo stesso nostro
Predecessore
dà il seguente grave ammonimento: Se
si ricerca con cura la causa di questi errori, la si troverà
soprattutto in questo: che quanto più s'è accresciuto
l'ardore per le
scienze naturali, tanto più le scienze elevate, le scienze
severe sono
andate in declino; ve ne sono alcune che languono nell'oblio, altre
sono trattate debolmente ed alla leggera e, quel che è
più indegno, perduto
lo splendore
della primitiva dignità, le
si infetta ancora con dottrine perverse ed opinioni dalla spaventevole
mostruosità. [6] Noi
ordiniamo che lo studio delle scienze naturali nei Seminari sia
regolato su questa norma.
II. Si dovrà tener conto di queste prescrizioni, quelle
del
Nostro Predecessore e le Nostre, ogni qual volta sarà questione
della
scelta dei direttori e dei professori nei Seminari e nelle
Università
cattoliche. Coloro che in una maniera o nell'altra si mostreranno
infetti di modernismo saranno esclusi senza riguardo dalla carica di
direttore o professore; coloro che già la occupassero, ne siano
rimossi; così pure coloro che favoriscono il modernismo, sia
lodando i
modernisti sia scusando la loro colpevole condotta sia criticando la
scolastica, i santi Padri, il magistero della Chiesa, sia rifiutando
l'obbedienza all'autorità ecclesiastica da chiunque esercitata;
ed
anche coloro che, nella storia, nell'archeologia, nell'esegesi biblica,
coltivano le novità; come pure coloro che trascurano le scienze
sacre o
fanno mostra di preferir loro le profane.
In tutta questa questione, Venerabili Fratelli, e specialmente
nella scelta dei professori, la vigilanza e la costanza non saranno mai
abbastanza: infatti gli
allievi si formano sul modello dei maestri. In una tale
situazione perciò, forti della coscienza del vostro dovere,
agite
prudentemente ma con fortezza.
Con pari vigilanza e severità occorre procedere
all'esame ed
alla scelta dei candidati ai sacri Ordini. Lungi, lungi dal
sacerdozio lo spirito di novità: Dio aborre i superbi ed i
testardi!
La laurea in teologia ed in diritto canonico non sia
più
conferita a chi non abbia precedentemente seguito il corso regolare di
filosofia scolastica, e se conferita, sia nulla.
Ciò che la S. Congr. dei Vescovi e Regolari ha ordinato
nell'anno 1896 al clero secolare e regolare d'Italia riguardo alla
frequenza alle Università, decretiamo che da ora in poi sia
esteso a
tutte le nazioni.
Chierici e Sacerdoti iscritti ad un Istituto o ad una
Università cattolica non
potranno seguire nelle Università civili quei corsi, di cui vi
siano
cattedre negli Istituti cattolici ai quali essi appartengono. Se
ciò è
stato permesso in qualche luogo,
Noi lo proibiamo per l'avvenire.
I vescovi che presiedono alla direzione di queste
Università
ed Istituti veglino con somma diligenza affinchè ciò che
abbiamo or ora
ordinato vi sia fedelmente eseguito.
III. È pure dovere dei vescovi l'impedire la
pubblicazione degli scritti dei modernisti e di quelli infetti di
modernismo o che lo propagano; se nonostante ciò siano stati
pubblicati, ne
proibiscano la lettura.
Tutti i libri, i giornali, le riviste di questo genere
dovranno essere interdetti agli allievi dei Seminari ed agli studenti
delle Università: non sono infatti meno perniciosi degli scritti
contrari ai buoni costumi, anzi lo sono perfino di più,
perchè
avvelenano alla fonte la vita cristiana.
Nè altrimenti si deve giudicare delle opere di certi
cattolici, uomini del resto di non malvagie intenzioni ma che,
sprovvisti di
conoscenze teologiche ed imbevuti di filosofia moderna, si sforzano di
conciliare quest'ultima con la fede ed a utilizzarla, come dicono, a
profitto della fede. Queste opere, in quanto sono lette senza timore in
ragione del nome e della buona fama dei loro autori, sono più
pericolose poichè fanno inclinare insensibilmente verso il
modernismo.
In linea generale ordiniamo, Venerabili Fratelli, di fronte ad
una tanto grave questione, che vi adoperiate con forza per eliminare
tutti i libri dannosi a leggersi che si trovano nelle vostre rispettive
diocesi, anche ricorrendo a solenni condanne. Sebbene infatti la
Sede Apostolica faccia di tutto per togliere di mezzo simili scritti,
tuttavia a tal segno crescono di numero, che a censurarli a stento
bastano le forze. Ne consegue che il rimedio arriva troppo tardi,
quando il male ha già fatto i suoi danni. Vogliamo dunque che i
vescovi, disprezzando ogni timore, e messa da parte la prudenza della
carne, senza riguardo ai clamori dei malvagi, soavemente senza dubbio
ma con forza facciano la loro parte; memori di ciò che Leone
XIII
prescrisse nella Costituzione apostolica Officiorum ac munerum [7]: Gli Ordinari,
anche in quanto Delegati della Sede Apostolica, si adoperino a
proscrivere i libri e gli altri scritti nocivi pubblicati o diffusi
nelle loro diocesi e di toglierli dalle mani dei fedeli. Con
queste parole è conferito sì un diritto, ma è
anche imposto un dovere.
E
che nessuno pensi di aver corrisposto agli obblighi del proprio
incarico se Ci ha deferito uno o due libri ed ha lasciato che molti
altri si diffondessero e circolassero.
Non vi trattenga, Venerabili Fratelli, il fatto che per caso
l'autore di un qualche libro abbia ottenuto altrove quel permesso detto
volgarmente Imprimatur: esso
può essere apocrifo, o dato con negligenza o con eccessiva
benignità ed
eccessiva fiducia nell'autore, ciò che forse talvolta succede
negli
Ordini religiosi. Accade che, come uno stesso cibo non è
conveniente a
tutti, così i libri, che in un luogo sono innocenti, in un altro
a causa delle circostanze possono essere nocivi. Se dunque il vescovo,
dopo aver udito il parere di uomini prudenti, giudicasse necessario
censurare nella propria diocesi qualche libro di questo genere, lo
faccia, Noi glie ne diamo assai volentieri la facoltà, e perfino
glie
ne facciamo un obbligo. Naturalmente la cosa dev'esser fatta con
prudenza, restringendo la proibizione, se ciò basta, al clero;
restando
integro l'obbligo per i librai cattolici di non porre assolutamente in
vendita i libri condannati dal Vescovo.
E poichè si tratta di librai, vigilino i Vescovi a che
la
cupidigia non li trascini a trafficare opere malvagie: certamente in
alcuni cataloghi sono proposti, e con grandi lodi, molti libri dei
modernisti. Se i librai rifiutassero di obbedire, i Vescovi, dopo
averli ammoniti, non esitino a privarli del titolo di librai cattolici;
lo stesso, e a maggior ragione, se avessero il titolo di librai
episcopali: e coloro che si fregiassero del titolo di librai
pontifici, li deferiscano alla Sede Apostolica.
A tutti infine ricordiamo l'articolo XXVI della Costituzione Officiorum: Coloro che hanno ottenuto la
facoltà di
leggere e ritenere i libri proibiti, non per questo hanno il diritto di
leggere e ritenere quei libri o giornali, quali che siano, proibiti
dall'Ordinario del luogo, a meno che nell'Indulto apostolico sia stata
accordata
espressa facoltà di leggere e ritenere i libri condannati da
qualsiasi
autorità.
IV. Non è tuttavia sufficiente proibire la lettura e la
vendita dei
libri cattivi, bisogna anche impedirne la pubblicazione. Che i vescovi
facciano uso della più grande severità nell'accordare il
permesso di
pubblicare.
Ma, siccome è grande il numero delle opere che, secondo
la
Costituzione Officiorum
richiedono il permesso dell'Ordinario per poter essere pubblicate, e
siccome, d'altra parte, il Vescovo non le può esaminare tutte di
persona, in talune diocesi sono stati istituiti dei censori d'ufficio
in numero sufficiente per procedere ad esaminarle. Noi lodiamo
fortemente quest'istituzione: e non solo esortiamo ad estenderla a
tutte le diocesi ma certamente lo comandiamo. Vi siano in tutte le
curie episcopali dei censori d'ufficio incaricati di esaminare le opere
da pubblicare: essi saranno scelti tra i sacerdoti del clero tanto
regolare che secolare, raccomandabili per età, scienza e
prudenza e
che, riguardo alle dottrine da approvarsi o da condannarsi, si tengano
in un giusto mezzo. Ad essi sarà affidato l'esame di tutti gli
scritti
che, secondo gli articoli XLI e XLII della suddetta Costituzione,
devono essere sottoposti ad un esame previo. Il censore emetterà
il suo
giudizio per iscritto. Se questo giudizio è favorevole, il
Vescovo
concederà il permesso di pubblicazione con la parola Imprimatur, che sarà
tuttavia
preceduta dalla formula Nihil obstat
con al di sotto il nome del censore.
Nella Curia romana, così come nelle altre, saranno
istituiti
dei censori d'ufficio, che saranno nominati, sentito prima il Cardinal
Vicario del Pontefice romano e con l'assenso e l'approvazione dello
stesso Sovrano Pontefice, dal Maestro del Sacro Palazzo, che
dovrà
designare il censore incaricato di esaminare i singoli scritti. Sempre
dal Maestro sarà concesso il permesso di pubblicazione, come
pure dal
Cardinal Vicario del Pontefice o dal Vescovo suo vice gerente, che
sarà
preceduto, come detto sopra, dalla formula di approvazione con sotto il
nome del censore.
Solo in casi eccezionali e rarissimi, a prudente giudizio del
vescovo, potrà essere omessa la menzione del censore.
Il nome del censore sarà tenuto segreto agli autori
prima che
abbia emesso parere favorevole, perchè egli non sia molestato o
mentre
esamina gli scritti, o qualora non ne approvasse la pubblicazione.
Non saranno scelti censori appartenenti ad Istituti religiosi
se non si sarà sentito previamente in segreto il Superiore
provinciale,
il quale attesterà in coscienza della virtù, della
scienza e
dell'integrità dottrinale del candidato.
Avvisiamo i Superiori religiosi del grave loro dovere di non
consentire che sia pubblicato alcunchè, senza il loro permesso e
quello
dell'Ordinario.
Stabiliamo e dichiariamo infine che il titolo di censore non
ha alcun valore per confermare le opinioni private di colui che se ne
fregia.
Ciò detto in linea generale, ordiniamo in particolare
che si
osservi con somma diligenza quanto espresso nell'articolo XLII della
Costituzione Officiorum: È fatta proibizione ai membri del
clero
secolare di assumere la direzione di giornali o riviste senza il
permesso dell'Ordinario. E qualora ne abusino, previa monizione,
il permesso sarà loro ritirato.
Riguardo ai sacerdoti corrispondenti
o collaboratori come son
detti volgarmente, siccome accade di frequente che pubblichino in
giornali o riviste articoli infettati dalla sozzura modernista; i
Vecovi veglino che costoro non travalichino i limiti del consentito e,
se necessario, ritirino l'autorizzazione. Parimenti ammoniamo
severissimamente i Superiori religiosi affinchè adempiano
a
questo compito; chè se agissero negligentemente, provvedano i
vescovi
come delegati del Sommo Pontefice.
A ogni giornale e rivista scritti da cattolici, per quanto
possibile, sia assegnato un censore, che avrà l'incarico di
leggere
integralmente ed attentamente i numeri o i fascicoli, dopo la loro
pubblicazione: se ciò che vi è espresso fosse pericoloso,
si ingiunga
una ritrattazione nel successivo numero o fascicolo. Inoltre questo
stesso diritto lo abbiano i vescovi, anche se per avventura il censore
fosse stato di parere favorevole.
V. Abbiamo già ricordato i congressi e le pubbliche
assemblee
come luoghi in cui i modernisti difendono apertamente e si studiano di
propalare le loro opinioni.
I Vescovi non consentano più, se non assai di rado,
congressi
di sacerdoti. Nel caso, li permettano con questa regola, che
cioè non
vi si tratti di questioni che competono ai Vescovi od alla Sede
Apostolica; che non vi sia proposto o auspicato nulla che vada a
detrimento della sacra autorità, che non vi si proferirà
discorso
alcuno che sappia di modernismo, di presbiterianismo o di laicismo.
A questo tipo di congressi che potranno tenersi solo dietro
autorizzazione scritta, accordata volta per volta, non potranno
assistere i
sacerdoti di altra diocesi senza un permesso scritto del proprio
Vescovo.
Di più ancora, nessun sacerdote dimentichi la grave
raccomandazione di Leone XIII: Sacra
sia ai sacerdoti l'autorità dei proprii pastori: tengano per
certo che
il ministero sacerdotale, se non sia esercitato subordinatamente al
magistero dei Vescovi, non potrà essere nè santo,
nè fruttuoso, nè
onesto [8].
VI. E tuttavia, Venerabili fratelli, a che servirebbero i
Nostri ordini e precetti, se non fossero osservati puntualmente e
fedelmente? Affinchè ciò felicemente si compia come
desiderato, Ci è
parso opportuno estendere a tutte le diocesi ciò che con somma
prudenza
hanno decretato i
Vescovi dell'Umbria [9] alcuni anni
or sono per le loro. Allo scopo di
proscrivere gli errori già diffusi, così essi, e di impedirne una ulteriore diffusione, e
di eliminare i dottori di menzogna per i quali si perpetuano gli
effetti perniciosi provocati da tale diffusione, questa sacra Assemblea
ha decretato, sulle orme di San Carlo Borromeo, di istituire in
ciascuna diocesi un Consiglio formato da uomini probi scelti tra
entrambi i cleri, che abbia il compito di sorvegliare se serpeggino e
siano disseminati errori e con quali artificii, e d'informarne il
Vescovo affinchè questi, opportunamente consigliato,
prenda le
misure più opportune a soffocare il male su nascere ed a
impedire che
si diffonda sempre più a rovina delle anime e, ciò che
sarebbe
peggio, che si rafforzi e cresca.
Decretiamo dunque che in ogni diocesi sia istituito quanto
prima un tale consiglio, che Ci piace denominare Consiglio di
vigilanza.
Coloro che saranno chiamati a farne parte saranno scelti più o
meno
come è stato detto a proposito dei censori; si riuniranno con il
Vescovo
ogni due mesi
in un determinato giorno, e saranno tenuti al
segreto riguardo agli argomenti ed alle deliberazioni. Il loro ruolo
sarà il seguente: sorveglieranno vigilando con massima
attenzione gli
indizi e le tracce di modernismo sia nelle pubblicazioni sia
nell'insegnamento, ed allo scopo di preservarne il clero e la
gioventù
prenderanno misure prudenti sì ma pronte ed efficaci.
Facciano attenzione in particolare
ai vocaboli di nuovo conio, ed a questo proposito rammentino
l'avvertimento di Leone XIII: Non si
può approvare, negli scritti dei
cattolici, un linguaggio che, ispirandosi ad uno spirito di
novità
condannabile, sembra ridicolizzare la pietà dei fedeli e parla
di un
nuovo ordine di vita cristiana, di nuove dottrine della Chiesa, di
nuovi bisogni dell'anima cristiana, di nuova vocazione sociale del
clero, di nuova umanità cristiana, ed altre cose dello stesso
genere [10]. Non tollerino
tali cose
nè nelle pubblicazioni nè nei corsi dei
professori.
Sorveglino parimenti le opere in cui si tratta di pie
tradizioni locali
e di sacre Reliquie. Non permettano che sui
giornali o nelle riviste destinate a nutrire la pietà tali
questioni
siano dibattute irrispettosamente o con disprezzo, nè con la
pretesa di
giudizi
senza appello, soprattutto se ciò che si afferma, come spesso
accade,
non
sorpassa i limiti della probabilità e si basa solo su
opinioni preconcette.
A proposito delle sacre Reliquie, ci si regoli come
segue: se i
Vescovi, unici competenti in tale materia, vengono a sapere con
certezza che una reliquia non è autentica, questa dev'essere
ritirata
dal culto dei fedeli; se il documento che testimonia
dell'autenticità
di una
reliquia è andato distrutto in qualche rivolgimento civile o in
altra
maniera, tale reliquia dovrà essere esposta alla pubblica
venerazione
solo dopo una accurata ricognizione da parte del Vescovo. L'argomento
di
prescrizione o di fondata presunzione avrà valore solamente se
il culto
è commendevole per la sua antichità secondo il seguente
decreto portato
nel
1896 dalla S. Congr. delle Indulgenze e sacre Reliquie: Le reliquie antiche
devono essere mantenute nella venerazione in cui sono state fino ad
oggi, a
meno che, in qualche caso particolare, si abbiano ragioni certe per
ritenerle false ed inautentiche.
Per quanto riguarda il giudizio sulle pie tradizioni, ecco
ciò
che
bisogna ricordare: la Chiesa usa di tale prudenza in questa materia che
non permette che si raccontino tali tradizioni in pubblici scritti, se
ciò non vien fatto con grande precauzione e dopo aver premesso
la
dichiarazione imposta da Urbano VIII; ed anche in tal caso non si fa
garante della verità del fatto, ma semplicemente non impedisce
di
credere
cose che non mancano di argomenti di fede umana. Così ha
decretato,
trent'anni or sono, la S. Congr. dei Riti: Tali apparizioni o
rivelazioni non sono state nè approvate nè condannate
dalla Santa Sede,
che ha semplicemente permesso che fossero credute con fede puramente
umana basandosi sulle tradizioni che le riferiscono corroborate da
testimonianze e monumenti degni di fede [11]. Chi mantiene tale
dottrina non ha nulla da temere, perchè la devozione che ha per
oggetto
qualcuna di queste apparizioni, per quel che riguarda il fatto stesso,
implica sempre come condizione la
verità del fatto, e allora si dice relativa;
in quanto assoluta, non
può
mai basarsi se non
sulla verità, dato che s'indirizza alla persona stessa dei Santi
che si
desiderano onorare. Lo stesso per quanto riguarda le Reliquie.
Raccomandiamo infine al Consiglio di vigilanza di fare
attenzione
costantemente e diligentemente alle istituzioni sociali e a tutti gli
scritti che trattano di questioni sociali, affinchè non vi si
introduca nulla del modernismo ma che tutto vi corrisponda alle
prescrizioni
dei Romani Pontefici.
VII. E nel timore che tali prescrizioni cadano in oblio, Noi
vogliamo
ed ordiniamo che tutti gli Ordinari delle diocesi, un anno dopo la
pubblicazione delle presenti Lettere, e poi ogni tre anni, inviino alla
Santa
Sede una relazione fedele e giurata sull'esecuzione di tutte le
ordinanze contenute in questa Nostra Lettera, come pure sulle dottrine
che hanno corso fra il clero, e soprattutto nei Seminarii e nelle altre
istituzioni cattoliche, compresi coloro che sono esenti dalla
giurisdizione dell'Ordinario. Lo stesso ordiniamo ai
Superiori generali degli Ordini religiosi per ciò che riguarda i
loro
sudditi.»
A queste prescrizioni che Noi confermiamo pienamente nella
loro
integrità, con l'intenzione di obbligare in coscienza coloro che
le
infrangessero, aggiungiamo qualche misura speciale per i seminaristi ed
i novizi degli istituti religiosi.
Per
formare un sacerdote che sia degno di questo nome è necessario
che nei
Seminari tutti gli insegnamenti convergano; non è lecito
ritenere
che tali strutture siano aperte per i soli studii oppure per la sola
pietà.
La formazione completa comporta entrambi questi elementi, ed i Seminari
sono come palestre in cui si prepara lungamente la milizia sacra di
Cristo. Perchè dunque ne esca un'armata perfettamente formata,
due cose
sono assolutamente necessarie: la dottrina per la formazione dello
spirito [mens, N.d.T.],
la virtù per la perfezione
dell'anima. L'una
richiede che i giovani alunni seminaristi siano anzitutto istruiti
nelle
scienze più strettamente legate con gli studii teologici,
l'altra esige
che essi eccellano particolarmente per costanza e per
virtù. Coloro che sono incaricati della disciplina e della
pietà
osservino
quali speranze offra ogni allievo, esaminino il carattere di ciascuno
chiedendosi se assecondi le proprie inclinazioni più corrette, o
sembri accessibile ai sentimenti profani, se sia pronto all'obbedienza,
incline alla pietà, se non abbia troppa stima di se stesso, se
sia
indisciplinato,
se si avvii alla dignità sacerdotale proponendosi un retto fine
o se
sia mosso da motivi umani, se infine si distingua per la santità
e la
dottrina che convengono a questa vita o almeno se, in mancanza dell'una
o
dell'altra di queste qualità, si sforzi con sincera e pronta
volontà di
acquisirla. Tale ricerca non presenta un'eccessiva difficoltà:
infatti
l'assenza delle
virtù di cui abbiamo detto si tradisce ben presto per il fatto
che gli
esercizi di pietà sono compiuti senza sincerità e che la
disciplina è
osservata per timore e non per obbedire alla voce della coscienza.
Colui che si mantiene nella disciplina per timore servile, o che
l'infrange per leggerezza di spirito o disprezzo, è assai
lontano
dall'offrire speranza di un sacerdozio esercitato santamente. È
di
fatto poco
probabile che uno spregiatore della disciplina domestica non
venga meno, più avanti, alle regole
pubbliche della Chiesa. Se un superiore incaricato dei giovani chierici
individuasse una
tale disposizione di spirito in un allievo e se, dopo parecchi
ammonimenti ed
un anno di prova, si rendesse conto che il chierico non modifica per
nulla
la propria condotta, lo espella, in maniera che non possa
più esser ricevuto nè da lui nè da qualunque altro
Vescovo.
Due condizioni sono necessariamente richieste per la
promozione dei
chierici: l'innocenza della vita unita alla sana dottrina. E
non bisogna dimenticare che le prescrizioni e gli avvertimenti che il
Vescovo dà ai nuovi ordinandi s'indirizzano anche ai candidati,
poichè
è detto: «Si provveda acciocchè coloro che sono
scelti per questo ministero siano illustri per sapienza celeste, per
costumi integerrimi
e per la costante osservanza della giustizia... Siano onesti e maturi
sia nella
scienza che nelle opere... Splenda in essi la giustizia in tutti i suoi
aspetti.»
E per quanto riguarda l'onestà della vita, ne avremmo
parlato
già a
sufficienza, se si potesse separarla dalla dottrina e dalle opinioni
che ciascuno fa sue e difende. Ma, come si legge
nel libro dei Proverbi: Colla sua
dottrina si farà conoscere l'uomo [12], e come insegna l'Apostolo: Chi non persevera nella dottrina di
Cristo non possiede Dio [13].
Quanto invero debba essere l'impegno da impiegare nell'acquisire
conoscenze numerose e varie, anche la situazione stessa dei nostri
tempi ce lo rivela:
nulla vi è esaltato quanto la luce del progresso
dell'umanità.
Così dunque tutti i chierici che vogliono esercitare le loro
funzioni
come conviene ai nostri tempi, esortare
fruttuosamente nella
sana dottrina e
rimproverare i suoi detrattori [14]
e che hanno a cuore di consacrare al
bene della Chiesa le risorse del loro spirito, costoro dovranno
acquisire conoscenze superiori a quelle del comune degli uomini ed
aspirare più degli altri all'ecellenza della dottrina. Dobbiamo
in
effetti lottare contro abili nemici che uniscono un'alto livello di
studii ad una scienza spesso artificiosa, le cui frasi speciose e
vibranti sono proposte con grande flusso e fracasso di parole da
cui pare zampillare qualcosa d'esotico. Perciò le armi devono
essere
opportunamente predisposte, si deve cioè preparare un'abbondante
messe
di dottrina per tutti coloro che, nella calma di una vita nascosta, si
preparano ad esercitare santissime e difficilissime funzioni.
Tuttavia, poichè la vita umana è limitata da
tali confini, che
dalla
ricchissima fonte di conoscenze che ci si offrono a mala pena ci
è
concesso di coglierne qualcuna, è necessario moderare l'ardore
nell'apprendimento e ricordarsi di queste parole di san Paolo: non occorre sapere più di
ciò che
conviene, ma sapere con moderazione [15]. Perciò, siccome i chierici sono
già sottoposti a
numerosi e gravi studii, siano essi in relazione alle Sacre Lettere, ai
dogmi della Fede,
alla morale, alla scienza della pietà e del culto detta ascetica, o ancora
alla storia della Chiesa, al diritto canonico, all'eloquenza sacra;
è
importante che i giovani non sprechino il loro tempo in altre questioni
e non siano distratti dai loro studii principali, Noi
proibiamo loro la lettura di tutti i periodici o riviste, per quanto
possano essere ecellenti, obbligando in coscienza i superiori che non
avranno vegliato con cura scrupolosa ad impedirlo.
Ed al fine di togliere al modernismo ogni possibilità
di
intrudersi
dissimulatamente, non solo Noi vogliamo che sia osservato ciò
che è
stato prescritto più sopra al numero II, ma ordiniamo anche che
tutti i
professori, prima di iniziare i loro singoli insegnanti, all'inizio
dell'anno accademico,
presentino ai loro superiori il testo che si propongono
d'insegnare o le questioni e le tesi
che si propongono di
trattare; inoltre vogliamo che, nel corso dell'anno, il loro metodo
d'insegnamento sia esaminato: e se pare allontanarsi
dalla sana dottrina, sarà il caso di rimuovere immediatamente
quell'insegnante. Infine ordiniamo che oltre alla professione di fede,
ogni insegnante presti giuramento tra le mani del proprio Vescovo,
secondo
la formula allegata più oltre, e che vi apponga la propria
firma.
Questo guramento, dopo la professione di fede secondo la
formula prescritta da Pio
IV, Nostro predecessore di santa memoria, con l'aggiunta delle
definizioni del Concilio Vaticano, lo presteranno inoltre al proprio
Vescovo:
I. - I chierici che stanno per essere promossi agli ordini
maggiori; si
dovrà consegnar loro in precedenza una copia tanto della
professione di
fede quanto della formula del giuramento da pronunciare,
affinchè ne
siano accuratamente informati, compresa la sanzione prevista in caso
d'infrazione, come sarà detto più avanti.
II. - I sacerdoti destinati ad udire le confessioni ed i sacri
predicatori
prima che sia loro accordata la facoltà di esercitare tali
funzioni.
III. - I Parroci, i Canonici, i Beneficiari prima di prendere
possesso
del loro beneficio.
IV - Gli ufficiali delle Curie episcopali e dei Tribunali
ecclesiastici, ivi compresi il Vicario generale ed i giudici.
V. - I predicatori della Quaresima.
VI. - Tutti gli ufficiali delle Congregazioni romane e dei
Tribunali
ecclesiastici di Roma, in presenza del Cardinal Prefetto o del
Segretario della Congregazione o del Tribunale.
VII. - I superiori ed i docenti delle famiglie e delle
Congregazioni
religiose prima di assumere l'incarico.
Gli atti autentici delle dette professioni di fede e dei
giuramenti prestati saranno
conservati in registri appositi nelle Curie episcopali e negli uffici
delle Congregazioni romane. Se qualcuno, Dio non voglia, osasse violare
tale giuramento, sia deferito immediatamente al tribunale del
Santo Uffizio.
FORMULA DEL GIURAMENTO
«Io... accetto e ricevo fermamente tutte e ciascuna le
verità
che la
Chiesa, col suo magistero infallibile, ha definito, affermato e
dichiarato, principalmente quei capi di dottrina che sono direttamente
diretti contro gli errori del tempo presente.
E per prima cosa professo che Dio, principio e fine di tutte
le cose,
può essere conosciuto e perciò anche dimostrato con
certezza col
lume naturale della ragione per mezzo delle cose che sono state fatte,
cioè per mezzo delle opere visibili
della creazione, come la causa
per mezzo dell'effetto.
In secondo luogo: ammetto e riconosco gli argomenti esterni
della
rivelazione, cioè i fatti divini, tra i quali in primo luogo i
miracoli
e le profezie, come segni certissimi dell'origine divina della
religione cristiana; e questi stessi argomenti io li ritengo
perfettamente proporzionati all'intelligenza di tutti i tempi e di
tutti gli uomini, anche del tempo presente.
In terzo luogo: credo anche con fede ferma che la Chiesa,
custode
e maestra della parola rivelata, è stata istituita
immediatamente
e direttamente da Cristo stesso, vero e storico, durante la sua vita
tra
noi, e credo che questa Chiesa è fondata su Pietro capo della
gerarchia apostolica, e sui suoi successori attraverso i secoli.
In quarto luogo: accolgo sinceramente la dottrina della Fede
trasmessa
fino a noi dagli Apostoli per mezzo dei Padri ortodossi, sempre nello
stesso senso e nella stessa sentenza, e rigetto assolutamente la
supposizione eretica dell'evoluzione dei dogmi, secondo cui tali
dogmi cambierebbero di senso e ne riceverebbero uno differente da
quello che ha dato loro dall'inizio la Chiesa; e similmente riprovo
ogni errore che pretende di sostituire al deposito divino, tramandato
alla Sposa di Cristo perchè fedelmente lo custodisse, una
finzione
filosofica o una creazione della cosienza umana la quale, formata poco
a poco per lo sforzo degli uomini, sarebbe suscettibile nell'avvenire
di un progresso indefinito.
In quinto luogo: ritengo in tutta certezza e professo
sinceramente che
la Fede non è un sentimento religioso cieco che erompe dalle
latebre
della subcoscienza per
impulso
del cuore ed inclinazione della volontà moralmente informata; ma
che
invece essa è un vero e
proprio assenso dell'intelletto alla verità acquisita
estrinsecamente
per mezzo dell'insegnamento ricevuto ex
auditu; assenso per il quale
noi crediamo vero, a causa dell'autorità di Dio la cui
veracità è
assoluta, tutto ciò che è stato detto, attestato e
rivelato dal Dio
personale, creatore e Signore nostro.
Mi sottometto anche, con tutto il necessario rispetto, ed
aderisco di tutto il cuore a tutte le condanne, dichiarazioni e
prescrizioni contenute nell'Enciclica Pascendi
e nel Decreto Lamentabili,
specialmente per ciò che concerne la cosiddetta
storia dei dogmi.
Così pure riprovo l'errore di coloro che pretendono che
la
fede
proposta dalla Chiesa possa essere in contraddizione con la storia, e
che i dogmi cattolici, nel senso in cui oggi sono intesi, sono
incompatibili con le origini più autentiche della religione
cristiana.
Condanno pure e rigetto l'opinione di coloro che affermano
che il cristiano erudito si riveste di una duplice personalità,
quella
del credente e
quella dello storico, come se allo storico fosse lecito sostenere
ciò
che contraddice la fede, o porre delle premesse da cui conseguisse
che i dogmi sono falsi o dubbi, così che essi non siano negati
direttamente.
Riprovo allo stesso modo quel metodo di studio e
d'interpretazione
della Sacra Scrittura che, mettendo da parte la Tradizione della
Chiesa, l'analogia della Fede e le regole della Sede apostolica
s'ispira ai metodi di lavoro dei razionalisti e, con altrettanta
audacia quanta temerità, accetta come suprema ed unica regola
solo la
critica testuale.
Inoltre rigetto l'opinione di coloro i quali ritengono che,
nell'esposizione delle questioni storiche e teologiche, l'insegnante o
chiunque si occupi di tali materie debba anzitutto sbarazzarsi di ogni
idea preconcetta sia riguardo all'origine soprannaturale della
Tradizione cattolica sia riguardo all'assistenza divinamente promessa
per la conservazione perpetua di ogni punto di verità rivelata,
per
interpretare poi gli scritti di ciascuno dei Padri al di fuori di ogni
autorità sacra, secondo i meri principii della scienza e con
quell'indipendenza di giudizio che si usa nello studio di un qualunque
documento profano.
Infine in maniera generale professo di essere completamente
indenne
da quell'errore dei modernisti
che pretende che non vi sia, nella sacra
Tradizione, nulla di divino o, ciò che è ben peggio, che
ammette ciò
che vi è di divino in senso panteista; così che non
rimane nulla di più
del fatto puro e semplice, assimilabile ai fatti ordinarii della
storia: e cioè che degli uomini, col loro lavoro, la loro
abilità, il
loro talento, continuano attraverso le età posteriori la scuola
inaugurata da Cristo ed i suoi Apostoli. Per concludere, mantengo
con la più grande fermezza, e manterrò fino al mio
ultimo
respiro, la fede dei Padri nel carisma certo di verità che
è, è
stato e sarà sempre nell'episcopato
trasmesso con la successione Apostolica [16]: non in modo che sia mantenuto quello solo che
può
sembrare migliore e più adatto al grado di cultura proprio di
ciascuna
epoca, ma in modo che la verità assoluta ed immutabile,
predicata in
origine dagli Apostoli, non sia mai creduta ed intesa in un altro senso
[17].
Mi impegno ad osservare tutte queste cose fedelmente,
integralmente e sinceramente, a custodirle inviolabilmente e a non
allontanarmene sia nell'insegnamento sia in una qualunque maniera con
le mie parole ed i miei scritti. Così prometto, così
giuro, così mi
aiuti Dio ecc.»
DELLA SACRA PREDICAZIONE
Poichè inoltre per una lunga esperienza ci è
noto, che alla
cura impiegata dai Vescovi perchè sia annunziata la parola di
Dio non
corrispondono adeguati risultati, e ciò non tanto a causa
dell'inerzia
degli uditori quanto della vanagloria dei predicatori, che fanno udire
piuttosto la parola dell'uomo che quella di Dio; così abbiamo
ritenuto
opportuno di far tradurre in latino, di diffondere e di raccomandare
agli Ordinari il documento indirizzato, per ordine di Leone XIII,
Nostro predecessore di felice memoria, dalla Congregazione dei Vescovi
e dei Regolari il 31 luglio 1894 agli Ordinari d'Italia ed ai superiori
delle famiglie e delle Congregazioni religiose.
1.
E primamente, per ciò che appartiene alle qualità del
sacro
predicatore, avvertano [gli Ordinari e i Superiori delle famiglie
religiose] di non mai affidare un ministero sì santo a chi non
sia
fornito di vera pietà cristiana e compreso di grande amore a N.
S. Gesù Cristo, senza del quale non sarebbe mai altro che aes sonans et cymbalum tinniens [18]; nè mai potrebbe avere
quel vero
zelo della gloria di Dio e della salute delle anime, che deve essere il
solo movente e il solo fine dell'evangelica predicazione. E questa
pietà cristiana, sì necessaria ai sacri banditori, uopo
è che risplenda
anche nella loro condotta esteriore, la quale non deve mai trovarsi in
contraddizione coi loro insegnamenti, nè aver nulla di
secolaresco e di
mondano, ma sempre esser tale che li mostri veramente ministros Christi et dispensatores
mysteriorum Dei [19];
altrimenti, come osserva l'angelico S. Tommaso, si doctrina est bona et
praedicator malus, ipse est occasio blasphemiae doctrinae Dei [20].
Colla pietà poi e colla virtù cristiana vuole
andare congiunta
anche la scienza, essendo manifesto e dalla esperienza continua
comprovato, che una predicazione veramente soda, ordinata e fruttuosa
vano è aspettarla da coloro, che non sono nutriti di buoni
studii,
principalmente sacri, e che fidenti in certa lor naturale
loquacità,
temerariamente salgono il pulpito con poca o nessuna preparazione.
Costoro, per ordinario, non fanno altro che batter l'aria, e alla
divina parola, senza avvedersene, accattare dispregio e derisione;
quindi loro
va detto recisamente: Quia tu
scientiam repulisti, ego repellam te ne sacerdotio fungaris mihi
[21].
2. Dopo dunque, e non prima, che il sacerdote si sarà
procacciato il corredo delle accennate doti, allora soltanto i
Reverendissimi Vescovi e Capi degli Ordini Regolari gli potranno
affidare il gran ministero della parola divina; invigilando però
che
fedelmente si attenga a quelle materie, che sono veramente proprie
della sacra predicazione.
Or tali materie sono indicate dal divin Redentore là
dove
dice: Praedicate evangelium [22].... Docentes eos servare omnia quaecumque
mandavi vobis [23].
Conformemente alle
quali parole scrisse l'Angelico: Praedicatores
debent illuminare in credendis, dirigere in operandis, vitanda
manifestare, et modo comminando, modo exhortando, hominibus praedicare
[24]. E il sacrosanto
Concilio di Trento: Annunciantes eis
vitia, quae eos declinare, et virtutes quas sectari oportet, ut poenam
aeternam evadere et coelestem gloriam consequi valeant [25]. Ma più ampiamente ancora
fu ciò
spiegato dal Sommo Pontefice Pio IX di s. m. colle seguenti parole:
«Non semetipsos, sed Christum
crucifixum
praedicantes, sanctissima religionis nostrae dogmata et praecepta,
iuxta catholicae Ecclesiae et Patrum doctrinam, gravi ac splendido
orationis genere, populo clare aperteque annuncient; peculiaria
singulorum officia accurate explicent, omnesque a flagitiis deterreant,
ad pietatem inflamment, quo fideles, Dei verbo salubriter refecti,
vitia omnia declinent, virtutes sectentur, atque ita aeternas poenas
evadere et coelestem gloriam consequi valeant [26].»
Donde chiaramente apparisce che il simbolo e il decalogo, i
precetti della Chiesa e i Sacramenti, le virtù ed i vizii, i
doveri
proprii delle diverse classi di persone, i novissimi dell'uomo ed altre
simili verità eterne debbono formare la materia ordinaria della
sacra
predicazione.
3. Ma questi gravissimi argomenti sono oggi indegnamente
trascurati da molti predicatori, i quali, quaerentes quae sua sunt, non quae Iesu Christi,
[27] e ben conoscendo non
esser queste le materie più acconce ad acquistar loro quell'aura
popolare che ambiscono, le lasciano interamente da parte, massime nelle
Quaresime e in altre occasioni solenni; e insieme colle cose mutando i
nomi, alle antiche prediche sostituiscono un genere mal inteso di conferenze, rivolte ad adescare la
mente e la fantasia, non mai a muovere la volontà e a riformare
i
costumi. E non riflettono costoro che le prediche morali giovano a
tutti, le conferenze d'ordinario sono per pochi; e che questi pochi
medesimi, se fossero meglio curati nei costumi, cioè meglio
aiutati ad
essere più casti, più umili, più obbedienti
all'autorità della Chiesa,
con ciò solo avrebbero la mente sgombrata da mille pregiudizii
contro
la fede, e più disposta a ricevere la luce della verità;
perchè gli
errori religiosi, massime tra i popoli cattolici, hanno generalmente
radice più nelle passioni del cuore, che nelle aberrazioni della
mente,
secondo quello che è scritto: De corde exeunt cogitationes
malae....
blasphemiae [28]. Perciò su
quel
del Salmista: Dixit insipiens in corde suo: non est Deus [29], saviamente riflette S.Agostino: In corde suo, non in mente sua.
4. Nè già con questo vuol condannarsi in modo
assoluto l'uso
delle conferenze, le quali anzi, quando siano ben condotte, possono
anch'esse in certi casi tornare utilissime e necessarie, in mezzo a
tanti errori che spargonsi contro la religione. Ma ben si vogliono
onninamente sbandire dal pulpito quelle pompose dicerie, che trattano
argomenti più speculativi che pratici, più civili che
religiosi, più di
comparsa che di frutto, i quali perciò saranno forse adattati
alla
palestra giornalistica e alle aule accademiche, ma col luogo santo
certamente non si confanno.
Quanto poi a quelle conferenze,
che mirano a difendere la religione dalle impugnazioni de' suoi nemici,
sono bensì a quando a quando necessarie, ma questo non è
peso da tutti
gli omeri, sì veramente dai più robusti. Ed anche i
valorosi oratori
debbono usare in ciò grande cautela; che tali apologie convien
farle
soltanto in quei luoghi, in quei tempi e a quelle udienze, che ne
abbiano un vero bisogno, e da cui possa sperarsene un vero profitto;
della qual cosa i giudici più competenti è manifesto non
essere che gli
Ordinarii: convien farle in maniera che la dimostrazione abbia la sua
base profonda nella dottrina sacra assai più che negli argomenti
umani
e naturali: convien farle con tale solidità e chiarezza, da
evitare il
pericolo che in certe menti restino impressi
più gli errori che le verità opposte, e più
facciano breccia le
obbiezioni che le risposte.
Soprattutto poi è da por mente che l'uso soverchio
delle
conferenze non faccia cadere in disistima e in disuso le prediche
morali, come se queste fossero cose di second'ordine e di minore
importanza che le polemiche, e però da lasciarsi al volgo dei
predicatori e degli uditori; mentre il vero si è che la
predicazione
morale è la più necessaria alla università dei
fedeli, non è meno
nobile della polemica, e quindi anche i più valenti e celebrati
oratori, e dinanzi a qualsivoglia più eletta e numerosa udienza,
dovrebbero, almeno di quando in quando, trattarla con vivo zelo. Se
ciò
non facciasi, queste grandi udienze saranno condannate a sentirsi
sempre parlare d'errori che
spesso non sono nei più dei membri che le compongono, e non mai
de'
vizii e delle colpe, che in siffatte adunanze sogliono abbondare
più
che in altre di minor conto.
5. Ma se molti abusi si notano nella scelta dei temi, altri
non meno gravi sono a deplorarsi nella forma della trattazione, intorno
alla quale insegna egregiamente l'Aquinate che, per essere veramente
lux mundi, tria debet habere praedicator verbi divini: primum est
stabilitas, ut non deviet a veritate; secundum est claritas, ut non
doceat cum obscuritate; tertium est utilitas, ut quaerat Dei laudem et
non suam [30]. Ma per mala ventura
la forma di molti odierni sermoni, non solo è lontana da quella
chiarezza e semplicità evangelica che dovrebbe caratterizzarla,
ma
tutta si avvolge in ambagi nebulose e in materie astruse superiori alla
comune capacità del popolo, e fa tornare sul labbro quel pietoso
lamento: Parvuli petierunt panem, et
non erat qui frangeret eis [31].
Il peggio si è poi che vi manca spesso quella sacra impronta,
quell'alito di pietà cristiana e quella unzione dello Spirito
Santo,
per la quale il
banditore evangelico dovrebbe sempre poter dire di sè: Sermo meus et praedicatio mea, non in
persuasibilibus humanae sapientiae verbis, sed in ostensione spiritus
et virtutis [32]. Costoro
invece fondandosi quasi unicamente in
persuasibilibus humanae sapientiae verbis, poco o nulla si
curano della parola divina, della Sacra Scrittura, che pure dev'essere
il primo fonte della sacra eloquenza, come insegnava testè il
Sommo
Pontefice felicemente regnante, con parole gravissime che crediamo
opportuno di riferire.
«Haec propria et singularis Scripturarum virtus,
a divino afflatu Spiritus Sancti profecta, ea est quae oratori sacro
auctoritatem addit, apostolicam praebet dicendi libertatem, nervosam
victricemque tribuit eloquentiam. Quisquis enim divini verbi spiritum
et robur eloquendo refert, ille non loquitur in sermone tantum, sed et in virtute, et
Spiritu Sancto et in plenitudine multa [33]. Quamobrem ii dicendi sunt praepostere
improvideque facere, qui ita conciones de religione habent, et
praecepta divina enunciant, nihil ut fere afferant nisi humanae
scientiae et prudentiae verba, suis magis argumentis quam divinis
innixi. Istorum scilicet orationem, quantumvis nitentem luminibus,
languescere et frigere necesse est utpote quae igne careat sermonis
Dei, eamdemque longe abesse ab illa qua divinus sermo pollet virtute: Vivus est enim sermo Dei et efficax, et
penetrabilior omni gladio ancipiti, et pertingens usque ad divisionem
animae ac spiritus. [34]Quamquam
hoc etiam prudentioribus assentiendum est, inesse in sacris Litteris
mire variam et uberem magnisque dignam rebus eloquentiam: id quod
Augustinus pervidit
diserteque arguit [35], atque res
ipsa confirmat praestantissimorum in oratoribus sacris, qui nomen suum
assiduae Bibliorum consuetudini piaeque meditationi se praecipue
debere, grati Deo, affirmarunt [36].»
6. Ecco dunque la fonte principalissima della sacra eloquenza,
la Bibbia. Ma questi predicatori ammodernati, in cambio d'attingere la
loro eloquenza al fonte dell'acqua viva, con intollerabile abuso si
volgono alle cisterne dissipate della sapienza umana: invece di recare
in mezzo i testi divinamente inspirati, o quelli dei Santi Padri e dei
Concilii, citano a sazietà autori profani, autori moderni ed
anche
viventi, autori e parole che si prestano ben sovente ad interpretazioni
molto equivoche e molto pericolose. «È anche un grande
abuso della
eloquenza sacra trattare i temi religiosi unicamente nell'interesse di
questa vita, e non parlare della futura: noverare i vantaggi recati
alla società dalla religione cristiana, e dissimulare i doveri:
dipingere il Redentore divino tutto carità, e tacere della
giustizia.
Indi il poco frutto di cotesta predicazione, dalla quale un uomo di
mondo esce persuaso che, senza mutare i suoi costumi, purchè
dica: Io
credo in Gesù Cristo, sarà un buon cristiano [37].»
Ma che importa a costoro del frutto? Non è questo che
cercano
principalmente: cercano di lusingare gli uditori prurientes auribus e pur che
veggano le chiese piene, punto non curano che le anime si rimangano
vuote. Per questo non parlano mai del peccato, mai dei novissimi; mai
di altre verità gravissime che potrebbero contristare a salute,
ma
parlano solo verba placentia;
e questo pure lo fanno con una eloquenza più tribunizia che
apostolica,
più profana che sacra, la quale attira loro battimani ed
applausi, già
condannati da S. Girolamo quando scriveva: Docente in ecclesia te, non
clamor populi, sed gemitus suscitetur: auditorum lacrymae laudes tuae
sint [38]. Di qui e che tutta la
loro predicazione apparisce come circondata, tanto in chiesa, quanto
fuori di essa, da una certa aura teatrale, che ogni sacra impronta ne
toglie ed ogni sovrumana efficacia. Di qui ancora nel popolo, e diciamo
pur anche in una parte del clero, la depravazione del gusto della
divina parola, lo scandalo di tutti i buoni, e il poco o niun profitto
dei traviati o miscredenti; i quali, benché talvolta accorrano
in calca
ad ascoltare simili verba placentia
massimamente se attirativi dalle risonanti parole di progresso, di
patria, di scienza moderna, dopo applaudito clamorosamente all'oratore
che conosce il vero modo di predicare, escono di chiesa quali vi erano
entrati: mirabantur, sed non
convertebantur [39].
7. Volendo pertanto questa S. Congregazione, in adempimento
dei
venerati comandi di Sua Santità, porre un riparo a tanti e
sì
detestabili abusi, si rivolge a tutti i Reverendissimi Vescovi e
Superiori Generali degli Ordini Regolari e pii Istituti Ecclesiastici
affinchè contro di quelli insorgano con apostolica fermezza e
con ogni
sforzo ne curino l'estirpazione. Ricordevoli dunque che, secondo la
prescrizione del Sacrosanto Tridentino Concilio, viros idoneos ad huiusmodi praedicationis
officium assumere tenentur [40]
usino in questo negozio la massima diligenza e cautela. Se si tratta di
Sacerdoti della loro diocesi, sieno fermi nel non affidar loro un
ministero sì augusto senza averli prima provati, o per via
d'esame o in
altra maniera opportuna: nisi prius
de vita et scientia et moribus probati fuerint [41]. Se si tratta di sacerdoti d'altre diocesi, non
accettino nessuno a predicare nella loro, massime nelle occasioni
più
solenni, se non presenti lettere del proprio Vescovo o del proprio
Superiore Regolare, le quali dieno dei suoi costumi e della sua
idoneità a tale uffizio buona testimonianza.
I Superiori poi dei Religiosi di qualsivoglia Ordine,
Società
o Congregazione, a nessuno dei loro sudditi permettano di predicare, e
molto meno lo presentino agli Ordinarii con proprie lettere
testimoniali, se prima non si sono assicurati assai bene e della sua
morale condotta e della sua retta maniera d'annunziare la divina
parola.
Che se gli Ordinarii, dopo accettato qualche predicatore per
le buone commendatizie che presentava, lo vedessero poi nell'esercizio
pratico del ministero deviare dalle norme e dai moniti dati in questa
Lettera, dessi con opportuna correzione lorichiamino prontamente al
dovere; ma se questa non basta, lo rimuovano
a dirittura da tale uffizio, usando anche le pene canoniche, se la
natura del caso lo richiedesse.»
Colpiti dalla gravità del male, che cresce di giorno in
giorno, ed al quale non si può più tardare ad opporsi
senza il più
grande pericolo, abbiamo ritenuto di prescrivere ovvero rammentare
ciò,
e di ordinare che siano religiosamente osservate. Ormai di fatto non
abbiamo più da lottare, come all'inizio, con dei sofisti che
avanzano
in vesti d'agnello, ma con nemici dichiarati e crudeli, enemici
dall'interno che, avendo fatto un patto coi peggiori nemici della
Chiesa, si propongono la distruzione della fede. Parliamo di coloro
che, ogni giorno, si elevano audacemente contro la sapienza che ci
viene dal cielo, si arrogano il diritto di riformarla come se fosse
stata corrotta; pretendono di rinnovarla, come se il tempo l'avesse
messa fuori uso; vogliono aumentarne lo sviluppo ed adattarla ai
capricci, al progresso ed alle comodità del secolo, come se
fosse
opposta non alla leggerezza di alcuni, ma al bene stesso della
società.
A questi attentati contro la dottrina del Vangelo e contro la
Tradizione della Chiesa, non sarà mai opposta sufficiente
vigilanza o
severità da parte di coloro a cui è stata confidata la
custodia fedele
di questo sacro deposito.
Così gli avvisi e gli ordini salutari che con questo Motu proprio e con scienza certa
abbiamo prescritti, Noi vogliamo che siano osservati
scrupolosossimamente da tutti gli Ordinari e Superiori generali degli
Ordini regolari e degli Istituti ecclesiastici di tutto l'universo
cattolico. Noi vogliamo ed ordiniamo che tali prescrizioni siano
riconosciute e godano di tutta la loro forza, nonostante qualsiasi
disposizione contraria.
Dato a Roma presso San Pietro il 1° settembre 1910, anno ottavo del
nostro pontificato.
Pio X Papa.
[Traduzione: C.S.A.B., eccetto i punti 1°-7° Della sacra predicazione,
tratti dal documento
originale in italianoLitterae
Encyclicae ex S. Congregatione Episcoporum et Regularium negotiis
dignoscendis praeposita, Leonis Papae XIII iussu super sacra
Praedicatione, ad omnes Italiae Episcopos, atque ad omnes Ordinum
coetuumque religiosorum Praesules datae. Da A.S.S. vol. XXVII, Romae 1894-95
pag. 162-176.
Ci pareva estremamente assurdo ritradurre in italiano dal latino un
brano di un documento scritto originariamente in lingua italiana.
Rammentiamo inoltre che il brano racchiuso tra le virgolette e che
comprende i punti da I. a VII. è tratto dall'Enciclica Pascendi
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