martedì 13 ottobre 2015
LO STATO MISERABILE DEI RECIDIVI NEL PECCATO...
Dello stato miserabile dei recidivi.
Nolite expavescere: Iesum quaeritis Nazarenum, crucifixum: surrexit, non est hic. (Marc. 16. 6.)
Spero, cristiani miei, che siccome è risorto Cristo, così anche
tutti voi in questa santa Pasqua vi siate confessati e siate risorti. Ma
avvertite quel che dice s. Girolamo, che molti cominciano bene, ma
pochi son quelli che perseverano: Incipere multorum est, perseverare paucorum.
All’incontro dice lo Spirito santo che non è salvo chi comincia a viver
bene, ma chi persevera nel ben vivere sino alla morte: Qui autem perseveraverit usque in finem, hic salvus erit.
La corona del paradiso, dice s. Bernardo, è sol promessa a coloro che
cominciano, ma non è data poi, se non a coloro che perseverano: Inchoantibus praemium promittitur, perseverantibus datur3. Giacché dunque, fratello mio, hai risoluto di darti a Dio, senti quel che ti dice lo Spirito santo: Fili, accedens ad servitutem Dei, praepara animam tuam ad tentationem4.
Non credere che sieno finite per te le tentazioni. Ora apparecchiati a
combattere, e guardati di ricadere nei peccati che ti hai confessati,
perché se torni a perdere la grazia di Dio, sarà difficile che la
ricuperi. E questo è quello che voglio dimostrarti in questo giorno, lo
stato miserabile de’ recidivi, cioè di coloro che miseramente dopo la
confessione ricadono negli stessi peccati di prima.
Giacché dunque ti sei confessato, cristiano mio, Gesù Cristo ti dice quel che disse al paralitico: Ecce sanus factus es: iam noli peccare, ne deterius tibi aliquid contingat1.
Colla confessione fatta già l’anima tua è sanata; è sanata ma non è
ancora salva, perché se torni a peccare, la tornerai a perdere, e il
danno della ricaduta sarà molto peggiore delle tue prime cadute: Audis, dice s. Bernardo, recidere, quam incidere, esse deterius.
Chi patisce un’infermità mortale, e da quella guarisce, se poi ricade
nello stesso male perderà talmente le forze naturali, che gli sarà
impossibile il ristabilirsi. Ciò appunto accade a’ recidivi nel peccato,
ritornando essi al vomito, cioè ripigliando i peccati vomitati nella
confessione, resteranno così deboli, che diventeranno trastulli del
demonio. Dice s. Anselmo che il nemico sopra de’ recidivi acquista un
certo dominio, che li fa cadere e ricadere, come vuole, onde i miseri
diventano simili a quegli uccelli, che servono di giuoco ai fanciulli, i
quali permettono loro che si alzino di quando in quando da terra, ma
perché li tengono legati, tornano a farli cadere quando vogliono. Così
fa il demonio coi recidivi: Sed quia ab hoste tenentur, volantes in eadem vitia deiiciuntur.
Scrive s. Paolo che noi abbiamo a combattere, non già contro gli
uomini come noi di carne e sangue, ma contro i principi dell’inferno: Non est nobis colluctatio adversus carnem et sanguinem, sed adversus principes et potestates2.
E con ciò vuole avvertirci che noi non abbiamo forze di resistere alle
potenze infernali; per resistere ci è assolutamente necessario l’aiuto
divino, altrimenti resteremo sempre vinti. All’incontro, quando Iddio ci
aiuta potremo tutto e vinceremo, dicendo col medesimo apostolo: Omnia possum in eo qui me confortat3. Ma questo aiuto Iddio non lo concede, se non a coloro che l’impetrano coll’orazione: Petite ed dabitur vobis, quaerite et invenietis4.
E chi non lo domanda non l’ottiene. Per tanto non ci fidiamo de’ nostri
propositi: se mettiamo in questi la nostra confidenza, resteremo
perduti; quando siamo tentati a ricadere, tutta la nostra confidenza
dobbiamo riporla nel soccorso di Dio il quale certamente esaudisce chi
lo prega.
Qui existimat stare, videat ne cadat5. Chi si
ritrova in grazia di Dio, come dice qui s. Paolo, dee stare attento a
non cadere in peccato: specialmente se prima è caduto in altri peccati
mortali, poiché la ricaduta di colui che prima è stato peccatore, porta
seco una maggior ruina: Et fiunt novissima hominis illius peiora prioribus6.
Dicesi nella scrittura che il nemico, sacrificabit (totum) reti tuo… et cibus eius electus7.
Spiega s. Girolamo che il demonio cerca di prendere nella sua rete
tutti gli uomini per sacrificarli alla divina giustizia colla loro
dannazione; e però a quei peccatori che sono già nella sua rete, procura
di aggiugnere nuove catene con tentarli a nuovi peccati; ma cibus eius electus,
il cibo più gustoso al nemico sono quelli che si ritrovano amici di
Dio; a costoro tende insidie più forti per renderli suoi schiavi, e far
loro perdere tutto il bene che hanno acquistato. Scrive Dionisio
Cartusiano: Quanto quis fortius nititur Deo servire, tanto acrius contra eum saevit adversarius.
Quanto più taluno si unisce con Dio e si sforza di servirlo, tanto più
il nemico si arma di rabbia, e cerca di rientrare nella di lui anima,
ond’è stato discacciato; e dice, come si legge in s. Luca: Cum immundus spiritus exierit de homine, quaerens requiem: et non inveniens dicit: Revertar in domum meam unde exivi1.
E se gli riesce di rientrarvi, non v’entra solo, ma porta compagni, per
maggiormente fortificarsi in quell’anima riacquistata, e così la
seconda rovina di quella misera sarà più grande della prima: Tunc vadit, et assumit septem alios spiritus nequiores se, et ingressi habitant ibi, et fiunt novissima peiora prioribus2.
All’incontro molto dispiace a Dio la ricaduta d’un ingrato, che con
tanto amore è stato da lui chiamato e perdonato, vedendo che scordato
delle misericordie che gli ha usate, di nuovo gli volta le spalle, e
rinunzia alla sua grazia: Si inimicus meus maledixisset mihi,
sustinuissem utique… tu vero, homo unanimis, dux meus et notus meus, qui
simul mecum dulces capiebas cibos3. Dice Dio, se mi
avesse offeso un mio nemico l’avrei sofferto con minor mio rammarico; ma
il vedere che tu ti sei ribellato da me, dopo che ti ho restituita la
mia amicizia, e dopo che ti ho fatto sedere alla mia mensa a cibarti
delle mie stesse carni, ciò troppo mi rincresce e mi muove a castigarti.
Povero colui che dallo stato d’amico di Dio, dopo molte grazie da esso
ricevute passa a voler essergli nemico: troverà l’infelice pronta la
spada della vendetta divina: Et qui transgreditur a iustitia ad peccatum, Deus paravit eum ad romphaeam4. Romphaea significa spada lunga.
Dice taluno: ma se ricado presto mi rialzerò, mentre penso di subito
confessarmene. A chi parla così avverrà quel che avvenne a Sansone, che
essendosi fatto ingannare da Dalila, la quale mentre Sansone dormiva gli
fece tagliare i capelli, in cui egli tenea la sua forza, quando poi si
svegliò, disse: Egrediar sicut ante feci, et me excutiam: nesciens, soggiunge la Scrittura, quod recessisset ab eo Dominus5.
Pensava egli di liberarsi dalle mani dei Filistei, come avea fatto per
lo passato; ma essendogli mancata la forza, restò fatto schiavo de’
medesimi, i quali prima gli cavarono gli occhi, e poi cinto di catene lo
chiusero in una carcere. Il peccatore dopo che è ricaduto perde la
forza di resistere alle tentazioni, poiché recedit ab eo Dominus,
il Signore l’abbandona, privandolo del suo aiuto efficace, necessario a
resistere; e così resta il misero accecato, abbandonato nella sua
colpa.
Nemo mittens manum suam ad aratrum, et respiciens retro, aptus est regno Dei6. Ecco descritto il peccatore che ricade. Si noti la parola nemo:
niuno, disse Gesù Cristo, che si mette a servirmi, e poi si rivolta in
dietro, è atto ad entrare in paradiso. Scrisse Origene che l’aggiungere
un nuovo peccato al peccato commesso, è lo stesso che aggiungere ad una
ferita una nuova ferita: Cum peccatum peccato adiicitur, sicut vulnus vulneri7.
Se taluno riceve una ferita in un membro, certamente quel membro perde
il primo vigore; ma se poi riceve la seconda, quello perderà ogni forza,
ogni moto, senza speranza di riaverlo. Questo è il gran danno che
apporta il ricadere in peccato, resta l’anima così debole, che poco
potrà più resistere alle tentazioni; poiché dice san Tommaso: Remissa culpa remanent dispositiones ex praecedentibus actis causatae1.
Ogni peccato, benché perdonato, lascia sempre la ferita fatta della
colpa antecedente, aggiungendosi poi alla ferita antica la nuova, questa
rende l’anima talmente debilitata, che senza una grazia speciale e
straordinaria del Signore l’è impossibile il superare le tentazioni.
Tremiamo dunque, fratelli miei, di ricadere in peccato, né ci valiamo
della misericordia di Dio per seguitare ad offenderlo. Dice s.
Agostino: Qui poenitenti veniam promisit, nulli poenitentiam promisit.
Iddio ha promesso bensì il perdono a chi si pente del suo peccato, ma
non ha promesso ad alcuno la grazia di pentirsi del peccato commesso. Il
dolore de’ peccati è un mero dono di Dio, se egli te lo nega, come ti
pentirai? E senza pentirti, come puoi esser perdonato? Eh che il Signore
non si fa burlare: Nolite errare, Deus non irridetur2. Dice s. Isidoro chi replica il peccato che prima ha detestato, non è già penitente, ma irrisore di Dio: Irrisor, et non poenitens est qui adhuc agit, quod poenitet3. Oltreché ben dicea Tertulliano, che dove non si vede emenda, è segno che il pentimento non è stato vero: Ubi emendatio nulla, poenitentia vana4.
Predicava s. Pietro: Poenitemini, et convertimini, ut deleantur peccata vestra5.
Molti si pentono, ma non si convertono: hanno un certo rincrescimento
della loro vita sconcertata, ma non si convertono davvero a Dio; si
confessano, si battono il petto, promettono di emendarsi, ma non fanno
una ferma risoluzione di mutar vita: chi fermamente risolve di mutar
vita, persevera, almeno si mantiene per lungo tempo in grazia di Dio. Ma
quei che dopo la confessione presto ricadono, fan vedere, come dice s.
Pietro, che si son pentiti, ma non convertiti, e questi finalmente
faranno una mala morte. Scrive s. Gregorio: Plerumque mali sic compunguntur ad iustitiam, sicut plerumque boni tentantur ad culpam6.
E vuol dire che siccome i giusti molte volte hanno certe spinte al
male, ma in queste non peccano, perché le abborriscono colla volontà;
così i peccatori hanno certe spinte al bene, ma queste non bastano loro a
fare una vera conversione. Avverte il Savio, che non riceverà la
misericordia di Dio chi solamente confessa i suoi peccati, ma chi li
confessa e li lascia: Qui autem confessus fuerit (scelera sua), et reliquerit ea, misericordiam consequetur7.
Chi dunque non lascia di peccare dopo la confessione, ma ritorna a
peccare, non conseguirà la divina misericordia, e morrà vittima della
giustizia divina: come avvenne ad un certo giovane in Inghilterra,
secondo si narra nell’istoria anglicana. Era egli recidivo nel vizio
disonesto, si confessava e sempre ricadeva: venne finalmente a morte, si
confessò di nuovo, e parve che morisse con segni di salute; ma mentre
un santo sacerdote celebrava o stava per celebrare, a fine di dargli
suffragio, gli apparve il misero giovane, e gli disse ch’era dannato;
gli disse di più che in morte, essendo stato tentato con un mal
pensiero, si sentì quasi forzato a darvi il consenso, e come avea fatto
per lo passato, vi consentì, e così erasi perduto.
Dunque per chi ricade non v’è rimedio alla sua salute? Io non dico
ciò, ma dico quel che dicono i medici, secondo la loro massima: In magnis morbis a magnis initium medendi sumere oportet.
Nelle grandi infermità vi bisognano grandi rimedj. Il recidivo per
salvarsi dee farsi una gran forza per indi mettersi nella via della
salute: Regnum coelorum vim patitur, et violenti rapiunt illud1.
E specialmente nel principio della sua nuova vita dee farsi violenza il
recidivo, per estirpare gli abiti cattivi contratti ed acquistare i
buoni; giacché fatto poi il buon abito, gli sarà facile, anzi gli
diventerà dolce l’osservanza de’ divini precetti. Disse il Signore a s.
Brigida che a coloro i quali con fortezza soffrono le prime punture
delle spine che si sentono negli assalti di senso, e nel dover fuggire
le male occasioni, in separarsi dalle conversazioni pericolose, dipoi
col tempo quelle spine diventano rose.
Ma per mettere ciò in esecuzione e fare una vita ordinata bisogna
prendere i mezzi, altrimenti non si farà niente. Nella mattina in
levarsi facciansi gli atti cristiani di ringraziamento, di amore a Dio, e
di offerta delle opere di quel giorno: e precisamente si rinnovi il
proposito di non offendere Dio, con pregare Gesù Cristo e la sua santa
Madre, che ci preservino in quel giorno da’ peccati. Indi si faccia la
meditazione, ed appresso si ascolti la messa. Nel giorno poi si faccia
la lezione spirituale e la visita al ss. sacramento. Nella sera infine
si reciti il rosario e si faccia l’esame di coscienza. Si frequenti la
santa comunione, almeno ogni settimana, o più spesso secondo il
consiglio del direttore, che stabilmente dee tenersi. È ancora cosa
molto utile fare ogni anno gli esercizj spirituali in qualche casa
religiosa. Si onori ogni giorno la Madre di Dio con qualche ossequio
particolare e col digiuno nel sabato; Maria santissima si chiama la
Madre della perseveranza, ed ella la promette a chi la serve: Qui operantur in me, non peccabunt2.
Soprattutto bisogna sin dalla mattina domandare a Dio ed alla beata
Vergine la perseveranza, specialmente in tempo di tentazioni, invocando
allora i nomi di Gesù e di Maria, finché la tentazione persiste. Beato
chi seguirà a far così, e così facendo sarà trovato da Gesù Cristo,
quando egli verrà a giudicarlo: Beatus ille servus, quem, cum venerit Dominus eius, invenerit sic facientem3.
(Sant’Alfonso Maria de Liguori)
2 Matth. 24. 13.
3 Serm. 6. de modo bene viv.
4 Eccl. 2. 1.
1 Ioan. 5. 14.
2 Ephes. 6. 12.
3 Phil. 4. 13.
4 Matth. 7. 7.
5 1. Cor. 10. 12.
6 Luc. 11. 26.
7 Habac. 1. 16.
1 Luc. 11. 24.
2 Luc. 11. 26.
3 Psal. 54. 13. ad 16.
4 Eccl. 26. 27.
5 Iudic. 16. 20.
6 Luc. 9. 62.
7 Orig. Hom. 1. in psal.
1 1. p. qu. 86. a. 5.
2 Galat. 6. 7.
3 De summo bono.
4 Tertull. de poenit.
5 Act. 3. 19.
6 Pastor. p. 3. Admon. 31.
7 Prov. 28. 13.
1 Matth. 11. 12.
2 Eccl. 24. 30.
3 Matth. 24. 46
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