[Meditazione tratta da "Apparecchio alla morte", di Sant'Alfonso Maria de Liguori].
domenica 15 maggio 2016
"Oimé che questi pazzi amano in vita la loro pazzia, ma in morte poi aprono gli occhi e confessano di essere stati pazzi"...
Dagli scritti di Sant'Alfonso Maria de Liguori, Vescovo e Dottore della Chiesa.
Sentimenti d'un moribondo trascurato, che poco ha pensato alla morte.
Dispone domui tuae, quia morieris, et non vives (Isa 38,1)
PUNTO I
Figuratevi di trovarvi presente ad un
infermo, a cui non restano che poche ore di vita. Povero infermo, mirate
come sta oppresso da' dolori, dagli svenimenti, suffogazioni di petto,
mancanza di respiro, sudor freddo, colla testa svanita a tal segno che
poco sente, poco capisce e poco può parlare. Tra le sue miserie la
maggiore è quella ch'egli già sta vicino a morire, ed in vece di pensare
all'anima e ad apparecchiar i conti per l'eternità, non pensa che a'
medici, a' rimedi, per liberarsi dall'infermità e da' dolori che lo
vanno uccidendo. "Nihil aliud quam de se cogitare sufficiunt", dice S.
Lorenzo Giustiniani, parlando di tali moribondi. Almeno i parenti, gli
amici l'avvertissero dello stato pericoloso in cui si trova; no, non
v'ha fra tutt'i suoi parenti ed amici chi abbia l'animo di dargli la
nuova della morte e di avvisargli che prenda i Sagramenti; ognuno ricusa
di dircelo per non dargli disgusto.
(O mio Dio, da ora io vi ringrazio che
in morte mi farete assistere da' miei cari Fratelli della mia
Congregazione, i quali non avranno altro interesse allora che della mia
eterna salute, e tutti mi aiuteranno a ben morire).
Ma frattanto, benché non si dà l'avviso
della morte, nulladimeno l'infermo vedendo la famiglia in rivolta, i
collegi de' medici che si replicano, i rimedi moltiplicati, spessi e
violenti che si adoprano; il povero moribondo sta in confusione e
spavento tra gli assalti de' timori, de' rimorsi e delle diffidenze,
dicendo tra sé: Oimé chi sa, se già è arrivata la fine degli anni miei?
Or quale sarà poi il sentimento dell'infermo, quando già riceve la nuova
della sua morte? "Dispone domui tuae, quia morieris, et non vives". Che
pena avrà in sentirsi dire: Signor tale, la vostra infermità è mortale,
bisogna che prendiate i Sagramenti, vi uniate con Dio e vi andiate
licenziando dal mondo. Licenziando dal mondo? Come? si ha da licenziar
da tutto? da quella casa, da quella villa, da quei parenti, amici,
conversazioni, giuochi, spassi? Sì, da tutto. Già è venuto il notaio e
scrive questa licenziata: "Lascio, lascio". E con sé che si porta? non
altro che un misero straccio, che tra poco dovrà infracidarsi insieme
con lui dentro la fossa.
Oh che malinconia e turbamento
apporterà al moribondo allora il veder le lagrime de' domestici e 'l
silenzio degli amici, che in sua presenza tacciono e non hanno animo di
parlare! Ma le maggiori pene saran per lui i rimorsi della coscienza,
che in quella tempesta si faran più sentire, per la vita disordinata
fatta sino ad allora, dopo tante chiamate e lumi divini, dopo tanti
avvisi de' padri spirituali, e dopo tante risoluzioni fatte, ma o non
eseguite mai, o appresso trascurate. Dirà egli allora: Oh povero me, ho
avuto tanti lumi da Dio, tanto tempo da aggiustare la mia coscienza, e
non l'ho fatto; ed ecco che ora già sono arrivato alla morte! Che mi
costava il fuggir quell'occasione, lo staccarmi da quell'amicizia, il
confessarmi ogni settimana? E benché avesse avuta a costarmi assai, io
dovea far tutto per salvarmi l'anima, che importava tutto. Oh se avessi
posta in esecuzione quella buona risoluzione da me fatta; se avessi
seguitato, come allora cominciai, ora quanto me ne troverei contento? ma
non l'ho fatto, ed ora non v'è più tempo di farlo. I sentimenti di tali
moribondi, che sono stati in vita trascurati di coscienza, son simili a
quelli de' dannati, che nell'inferno anche si dolgono de' loro peccati,
come causa della loro pena, ma senza frutto e senza rimedio.
PUNTO II
Oh come in punto di morte si fan
conoscere le verità della fede, ma per maggior tormento di quel
moribondo, ch'è vivuto male; e specialmente s'era persona consagrata a
Dio, sì che abbia ella avuto più comodo di servirlo, più tempo, più
esempi e più ispirazioni. Oh Dio che pena avrà in pensare e dire: Io ho
ammoniti gli altri, e poi ho fatto peggio di loro! Ho lasciato il mondo,
e poi son vivuto attaccato ai diletti, alle vanità ed agli amori del
mondo! Qual rimorso le sarà il pensare che coi lumi, ch'ella ha ricevuti
da Dio, si sarebbe fatto santo anche un pagano! Qual pena avrà in
ricordarsi di aver disprezzate in altri le pratiche di pietà, come
debolezze di spirito, e di aver lodato certe massime di mondo, di stima
propria, o d'amor proprio, cioè di non farsi mettere il piede avanti, di
non farsi patire, e di prendersi tutti gli spassi che si presentano!
"Desiderium peccatorum peribit" (Ps
111,10). In morte quanto sarà desiderato quel tempo, che ora si perde!
Narra S. Gregorio ne' suoi Dialoghi che vi fu un certo Crisanzio, uomo
ricco, ma di mali costumi, il quale ridotto in morte gridava contro i
demonii, che visibilmente gli apparvero per prenderselo: "Datemi tempo,
datemi tempo sino a domani". E quelli rispondevano: O pazzo, ora cerchi
tempo? tu ne hai avuto tanto e l'hai perduto, e l'hai speso a peccare;
ed ora cerchi tempo? Ora non ci è più tempo. Il misero seguiva a gridare
ed a cercare aiuto. Si ritrovava ivi un suo figlio monaco, chiamato
Massimo, e 'l moribondo al figlio diceva: "Figlio mio, aiutami; Massimo
mio, aiutami". E frattanto colla faccia fatta di fuoco si sbalzava
furiosamente dall'una e dall'altra parte del letto, e così agitandosi e
gridando da disperato spirò infelicemente l'anima.
Oimé che questi pazzi amano in vita la
loro pazzia, ma in morte poi aprono gli occhi e confessano di essere
stati pazzi, ma allora ciò non serve che ad accrescere la diffidenza di
rimediare al mal fatto; e morendo così, lasciano molta incertezza della
loro salute.
Fratello mio, or che leggete questo
punto, penso che voi anche dite: Così è. Ma se così è, sarebbe assai più
grande la vostra pazzia e disgrazia, se conoscendo già queste verità in
vita, non vi rimediaste a tempo. Questo stesso, che avete letto,
sarebbe una spada di dolore per voi in morte.
Via su dunque, giacché siete a tempo di
evitare una morte così spaventosa, rimediate presto; non aspettate quel
tempo, che non sarà più tempo opportuno a rimediare. Non aspettate né
l'altro mese, né l'altra settimana. Chi sa, se questa luce, che ora Dio
vi dà per sua misericordia, sia l'ultima luce e l'ultima chiamata per
voi. È sciocchezza il non voler pensare alla morte, la quale è certa, e
da cui dipende l'eternità; ma è maggiore sciocchezza il pensarvi e non
apparecchiarsi alla morte. Fate ora quelle riflessioni e risoluzioni che
fareste allora: ora con frutto, allora senza frutto: ora con confidenza
di salvarvi, allora con gran diffidenza della vostra salute.
Licenziandosi un gentiluomo dalla corte di Carlo V per vivere solamente a
Dio, gli domandò l'imperatore perché lasciava la corte? Rispose: È
necessario per salvarsi che tra la vita disordinata e la morte
v'interceda qualche spazio di penitenza.
PUNTO III
Al moribondo che in vita è stato
trascurato circa il bene dell'anima sua, tutte le cose che gli si
presenteranno, gli saranno spine: spina la memoria degli spassi presi,
de' puntigli superati e delle pompe fatte: spine gli amici che verranno a
visitarlo con ogni cosa che gli ricorderanno: spine i padri spirituali,
che a vicenda gli assisteranno: spine i Sagramenti che dovrà prendere
della confessione, della comunione ed estrema unzione: spina gli
diventerà anche il Crocifisso, che gli sarà posto accanto, leggendo in
quella immagine la mala corrispondenza usata all'amore di un Dio morto
per salvarlo.
Oh pazzo che sono stato, dirà allora il
povero infermo! Poteva farmi santo con tanti lumi e comodità che Dio
m'ha date; potea fare una vita felice in grazia di Dio, ed ora che mi
trovo in tanti anni che ho avuti, se non tormenti, diffidenze, timori,
rimorsi di coscienza e conti da rendere a Dio? e difficilmente mi
salverò. E quando ciò lo dirà? quando già sta per finire l'olio alla
lampa, e chiudersi per lui la scena di questo mondo, ed egli si trova
già a vista delle due eternità, felice ed infelice; e già s'accosta a
quell'ultima aperta di bocca, da cui dipende l'esser beato o disperato
per sempre, mentre Dio sarà Dio. Quanto egli pagherebbe allora per avere
un altro anno o mese o almeno un'altra settimana di tempo, colla testa
sana; perché stando allora con quello stordimento di capo, affanno di
petto e mancanza di respiro, non può far niente, non può riflettere, non
può attuar la mente a far un atto buono: si ritrova come chiuso in una
fossa oscura di confusione, dove non concepisce altro che una gran
rovina che gli sovrasta, a cui si vede inabile di rimediare. Onde
vorrebbe tempo, ma gli sarà detto: "Proficiscere"; presto, aggiusta i
conti fra questo breve spazio, come meglio puoi, e parti; non lo sai che
la morte non aspetta, né porta rispetto ad alcuno?
Oh che spavento gli sarà allora il
pensare e dire: Stamattina son vivo, stasera facilmente sarò morto! oggi
sto in questa camera, domani starò in una fossa! e l'anima mia dove
starà? Che spavento, quando vedrà apparecchiarsi la candela! quando
vedrà comparire il sudor freddo della morte! quando udirà ordinarsi a'
parenti che si partano dalla stanza e non v'entrino più! quando
comincerà a perder la vista, oscurandosi gli occhi! Che spavento
finalmente, quando già s'allumerà la candela, perché la morte è già
vicina! O candela, candela, quante verità che allora scoprirai! o come
farai allora vedere le cose differenti da quelle che ora compariscono!
come farai conoscere che tutt'i beni di questo mondo son vanità, pazzie
ed inganni! Ma che servirà intendere queste verità, quand'è finito il
tempo di potervi rimediare?
[Meditazione tratta da "Apparecchio alla morte", di Sant'Alfonso Maria de Liguori].
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