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domenica 17 novembre 2013

"IL LIBERALISMO E' UN PECCATO" di Don Félix Sardà y Salvany, (Capitolo 26°)...

Continuiamo la publicazione del  LIBRO "IL LIBERALISMO E' UN PECCATO" DI Don Félix Sardà y Salvany. 

«La parte dottrinale di cotesto libro, la quale riguarda il liberalismo, è eccellente, conforme ai documenti di Pio IX e di Leone XIII, e giudicata dalla Sacra Congregazione dell'Indice dottrina sana.» La Civiltà Cattolica, anno XXXIX, vol. IX della serie XIII, Roma 1888, pag. 346. 
 
 http://www.seldelaterre.fr/I-Grande-12040-le-liberalisme-est-un-peche-nouvelle-edition.net.jpg

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Capitolo 26: continuazione della bella e schiacciante citazione della "Civiltà Cattolica"
il famoso articolo della Civiltà Cattolica e la nostra molto opportuna citazione continuano in questi termini:
"Se i liberali ci domandano la vera carità che conviene loro, la sola che noi possiamo e dobbiamo accordar loro come redattori della Civiltà Cattolica, noi siamo così lontani dal volergliela rifiutare, da credere perfino di avergliela già abbondantemente offerta fino ad oggi, certo nella misura della loro indigenza e delle nostre risorse.
I liberali commettono un'intollerabile abuso d'espressione dicendo che noi non esercitiamo carità verso di loro.
La Carità, una nel suo principio, è molteplice e varia nelle sue opere.
Spesso il padre che percuote rudemente suo figlio, scusa verso di lui tanta carità quanta quello che lo copre di baci. Anzi si può dire che la carità del padre che bacia e i suo figlio sia spesso inferiore a quella del padre che lo punisce.
Noi percuotiamo i liberali, è innegabile, e noi li percuotiamo spesso (con delle semplici parole, naturalmente), ma chi potrà concludere da questo fatto che noi non li amiamo affatto, che noi non abbiamo per essi alcuna carità ? Questo rimprovero riguarderebbe più giustamente quelli che, malgrado le prescrizioni della carità, interpretano male le intenzioni del prossimo. In ciò che ci concerne, tutto ciò che i liberali potranno dire, è che la nostra carità verso di loro non è quella carità che desiderano, ma non per questo non è carità, e perfino una grande carità.
D'altronde sono loro che ci domandano della Carità; siamo noi che la doniamo loro gratis, essi farebbero dunque molto bene a ricordarsi questo antico proverbio: "con caval donato, non si bada se la briglia è dorata ".
La carità che essi vorrebbero da noi, sarebbe quella di lodarli, di ammirarli, di appoggiarli, o almeno di lasciarli agire a loro piacimento.
Noi, al contrario, non vogliamo far loro che la carità di interpellarli, di rimproverarli, di incitarli in mille maniere a uscire dalla loro via malvagia.
Quando dicono una menzogna, seminano una calunnia o saccheggiano i beni altrui, i liberali vorrebbero vederci nascondere questi piccoli peccati veniali e ben altri, sotto il mantello della carità.

Noialtri, invece, li chiamiamo apertamente ladri, impostori, calunniatori, e così esercitiamo verso di loro la più eccellente di tutte le carità, quella che consiste nel non adulare né ingannare coloro a cui si vuole bene.
Quando sfugge loro qualche distrazione grammaticale, ortografica, sintattica, o semplicemente logica, essi si pregano di chiudere gli occhi su ciò; essi si lamentano se noi li mettiamo in guardia in pubblico, lagnandosi della nostra mancanza di carità.
Noi invece facciamo verso di loro un'opera buona, obbligandoli a toccare con le loro proprie mani una cosa che non dovrebbero ignorare, cioè: che non solamente non sono dei maestri, come loro si immaginano, ma che anzi sono a malapena dei mediocri allievi.
Con ciò noi contribuiamo, nella misura delle nostre forze, alla cultura delle belle arti in Italia, e all'esercizio dell'umiltà cristiana nel cuore dei liberali che ne hanno, come si sa, un grandissimo bisogno.
I signori liberali vorrebbero soprattutto essere sempre prese molto sul serio, stimati, riveriti, corteggiati e trattati come dei personaggi importanti. Essi accetterebbero delle confutazioni, ma a patto che ciò avvenga facendo tanto di cappello, con la schiena curva, la testa umilmente e rispettosamente inclinata. Da ciò derivano i loro piagnistei, quando talvolta li si canzona, cioè quando ci si prende gioco di loro.
Di loro ! I padri della patria, i veri italiani, l'Italia stessa ! Come hanno l'abitudine di chiamarsi in breve! Di chi è la colpa, se queste pretese sono talmente ridicole che farebbero ridere a crepapelle perfino Eraclito ?
Ebbene ! Francamente, sarebbe giusto per piacer loro che noi passassimo la nostra vita a soffocare una naturalissima voglia di ridere ? Lasciateci ridere, quando ci è impossibile fare altrimenti, è anche questa un'opera di misericordia, che i liberali dovrebbero farci di buon grado, dato che non gli costa nulla. Il primo venuto comprenderà senza difficoltà che ridere onestamente a spese del vizio e dell'uomo vizioso è una cosa molto buona in sé, almeno se si crede nel detto CASTIGAT RIDENDO MORES oppure ancora RIDENDO DICERE VERUM, QUID VETAT ?
Allo stesso modo far ridere qualche volta i nostri lettori a spese dei liberali, è, verso gli stessi lettori, una vera opera di misericordia e di carità. Essi non possono restare sempre seri e avere lo spirito teso leggendo la loro rivista.
Infine tenendo conto di tutto, i liberali stessi guadagnano molto ad essere per gli altri un oggetto di riso: in questa maniera il pubblico finisce per comprendere che non tutti loro atti sono così orribile spaventosi come possono sembrare, visto che il ridere è ordinariamente provocato da difformità inoffensive.
Non ci saranno mai grati dell'aria innocente sotto cui noi ci sforziamo di presentare qualcuna delle loro furberie ? Come mai non si accorgono che nessun mezzo di correggerli è migliore di questo riso e di questi scherzi ?
Grazie al loro concorso tutti quelli ai quali noi presentiamo le suddette sciocchezze o furberie, sotto la loro vera luce, subito le riconoscono col loro nome proprio.
Come mai non comprendono che non hanno in questo caso alcun diritto di rimproverarci di mancare verso di loro, per quanto poco sia, ai precetti della Carità ?
Se avessero letto la vita del loro grande Vittorio Alfieri, scritta da lui stesso, essi saprebbero che, durante la sua infanzia, sua madre desiderosa di allevarlo bene, aveva l'abitudine, quando lui sbagliava, di mandarlo a messa con la sua cuffia da notte.
Questa punizione, che si limitava a renderlo un po' ridicolo, lo afflisse talmente una volta, che per tre mesi egli si comportò nel modo più irreprensibile.
"Dopo questa correzione", disse, " al primo sintomo di capriccio, alla prima sciocchezza, mia madre mi minacciava con l'aborrito berretto da notte, e immediatamente io rientravo tremando nella linea del dovere. Più tardi, essendo caduto in giorno in un piccolo sbaglio, per scusarlo, io dissi a mia madre un enorme menzogna, e io fui di nuovo condannato a portare in pubblico la cuffia da notte. L'ora arrivò; la mia testa fu coperta dal detto berretto, io piansi, gridai invano. Il mio precettore mi prese fra le braccia, un domestico spinse da dietro, e bisognò uscire."
Egli ebbe un bel gridare, piangere, implorare la carità di sua madre: sua madre che, voleva il suo bene, restò inesorabile. Quale fu il risultato ? Alfieri continua: "accadde che per molto tempo non osai pronunciare la minima menzogna, e chissà se non è per questo benedetto berretto da notte che io sia divenuto uno degli uomini più nemici di questo vizio ?". In queste ultime parole trapela il fariseo, che si crede sempre migliore degli altri uomini.
Ma noi, che dobbiamo supporre che tutti i liberali tengano in alta stima i nobili sentimenti del loro grande Alfieri, perché non proviamo a correggerli del vizio vergognoso di dir menzogne, o perlomeno di stamparne mandandoli con la cuffia da notte, malgrado le loro grida, il loro scalpitare e i loro appelli alla carità… non alla messa , la qual cosa è impossibile, ma in giro per l'Italia. E ciò, non tutte le volte che sfugge loro una menzogna, sarebbe davvero troppo spesso, ma almeno, quando ne stampano un migliaio in un sol colpo ?

I liberali cessino dunque di lamentarsi della nostra mancanza di carità ! Che essi dicano piuttosto, se ci tengono, come la carità di cui noi li gratifichiamo, non trovi presso di loro una buona accoglienza. Noi già lo sapevamo, ma ciò proverebbe semplicemente, visto il loro gusto depravato, quanto essi abbiano bisogno di essere trattati con la saggia carità che usano i chirurghi verso i loro ammalati, gli psichiatri verso i loro clienti, o ancor più le buone madri verso i loro figli bugiardi.
Ma allorquando fosse anche vero che noi non trattassimo i liberali con carità, non avrebbero ugualmente alcun diritto di lamentarsi di noi.
Non si può fare la carità a tutti ! Le nostre risorse sono molto limitate; noi facciamo la carità secondo i nostri mezzi, preferendo, come è nostro dovere, esercitarla verso quelli ai quali la legge di carità ben ordinata ci ordina di accordare la preferenza.
Noi diciamo, noi (che lo si comprenda bene ), che facciamo ai liberali tutta la carità che ci è possibile e che crediamo di averlo dimostrato. Ma, se fosse altrimenti, noi lo ripetiamo con insistenza, i liberali non dovrebbero stancarci con le loro lamentele.
Ecco un paragone che fa esattamente al nostro caso.
Un assassino sceglie un povero innocente, e gli punta il pugnale di cui è armato alla gola. Per caso passa qualcuno che tiene in mano un solido bastone; costui colpisce sulla testa l'assassino con un forte colpo, lo stordisce, lo cattura, lo consegna alla giustizia, strappa così, grazie alla sua buona stella, un uomo innocente alla morte e consegna alla giustizia un malfattore.
Questo terzo individuo ha mancato in qualcosa alla carità ? Sì, affermerà l'assassino, che risente ancora del colpo ricevuto. Egli dirà forse che, contrariamente a ciò che si definisce NORMA INCULPATAE TUTELAE, il colpo ha ecceduto, con la sua violenza, le regole di una legittima difesa, e se fosse stato meno forte sarebbe stato sufficiente.
Ma, a eccezione dell'assassino, tutti loderanno il passante, e diranno che ha fatto non solamente un atto di coraggio ma anche di carità. Non affatto in favore dell'assassino, beninteso, ma della sua vittima. Se per salvare questa persona, il passante ha aperto il cranio di quel malfattore, senza prendere il tempo di misurare scrupolosamente la forza del colpo, ciò non è stato certamente per mancanza di carità; il caso era così pressante che era impossibile usare carità verso il primo senza dare all'altro una bella lezione. Aveva forse il tempo di fermarsi a considerare le sottigliezze sul più o meno d’ Inculpatae Tutelae ?
Applichiamo la parabola:
si pubblica, per esempio, un opuscolo calunniatore, oltraggiante, scandaloso, contro la Chiesa, contro il papa, contro il clero, contro una cosa buona, qualunque sia.
Molti si persuadono che quest'opuscolo contenga la pura verità, visto che il suo autore, a parte tutto il resto, è ritenuto uno scrittore "celebre, distinto, onorevole". Allora, se si leva qualcuno per difendere i calunniati e sottrarre l'ingenuo lettore all'errore, dando qualche “percossa verbale” allo sfrontato autore: avrà costui, per questo fatto, mancato alla carità ?
E ora i liberali, non potranno negarlo, giocano molto più spesso il ruolo di brigante piuttosto che quello di vittima. Niente di straordinario dunque che essi prendano botte, e niente di strano che si lamentino per la mancanza di carità ai loro riguardi. Tuttavia si sforzino di essere meno chiassosi, meno spavaldi e meno spacconi; che essi si dispongano a rispettare l'onore e i beni altrui, a non diffondere menzogne, a non vomitare calunnie e dunque riflettano un poco prima di esprimere le loro opinioni su certi argomenti.
Essi facciano più attenzione alle leggi della logica e della grammatica, soprattutto che essi siano onesti come loro consigliava ultimamente il barone Ricasoli, senza gran speranza di successo, nonostante la sua autorità e il suo esempio.
Allora, essi potranno lamentarsi con qualche ragione se non li si tratta con rispetto, di cui, come riguardo alla libertà, pretendono di avere il monopolio.
Ma, poiché le loro azioni sono tanto malvagie quanto i loro scritti, dato che affondano senza interruzione il loro pugnale nella gola della Verità e dell'Innocenza, assassini dell'una e dell'altra con le loro dottrine e con i loro libri, abbiano pazienza, allora, con il male che gliene deriva.
Infatti, ci è impossibile pur di dar loro nei nostri giornali altra carità che quella un po' dura, che ci pare essere, malgrado il loro parere, la più indicata a trattarli e ad avvantaggiare la causa delle persone perbene.”

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