martedì 25 febbraio 2014
"La Chiesa, depositaria de' Sacramenti da Cristo istituiti e della legge da lui proclamata, deve esserne sempre custode e vindice, nè può mai contraddirvi. Nessuno dunque s'aspetti che la Chiesa sia per chinare il capo mai dinanzi alla prepotenza de' settarii e rassegnarsi a soffrire in silenzio la nuova offesa che si minaccia alla religione".
Settimo è il sacramento del matrimonio, simbolo dell'unione di Cristo e della chiesa, secondo l'apostolo, che dice: Questo sacramento è grande; lo dico in riferimento al Cristo e alla chiesa (84). Causa efficiente del sacramento è regolarmente il mutuo consenso, espresso verbalmente di persona. Triplice è lo scopo del matrimonio: primo, ricevere la prole ed educarla al culto di Dio; secondo, la fedeltà, che un coniuge deve conservare verso l'altro; terzo, la indissolubilità del matrimonio, perché essa significa la unione indissolubile di Cristo e della chiesa. E quantunque a causa della infedeltà sia permesso separarsi, non è lecito, però, contrarre un altro matrimonio, poiché il vincolo del matrimonio legittimamente contratto è eterno.
(CONCILIO DI FIRENZE)
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Le gravi cagioni di amarezze più volte deplorate dal Santo
Padre, non che attenuarsi, si estendono anzi e si moltiplicano ogni
giorno più a danno di tutto il gregge cristiano, particolarmente
della nostra Italia, dove il Divin Redentore si degnò stabilire
la sede del suo Regno.
Qui si ripetono tuttodì da sètte anticristiane le
offese a quelle divine credenze che sono la più bella gloria del
nostro paese; qui si oltraggia impunemente la morale cattolica nei suoi
Dottori; qui si combatte la Chiesa ne' suoi diritti e nelle opere da
lei volute e promosse; qui si assoggettano i sacri pastori a continue
ed odiose vessazioni; qui soprattutto si osteggia il Vicario di Cristo,
impugnando persino gli atti stessi della sua spirituale giurisdizione.
Non accade ricercare da quale spirito muova questa guerra indegna.
Oramai è noto a tutti che è lo spirito anticristiano il
quale, nemico implacabile di Cristo e della Chiesa, tenta tutte le vie,
usa tutte le arti, si prevale di tutti i mezzi per distruggere, se
fosse possibile, l'immortale opera di Dio ch'è la Chiesa e
ridurre i popoli redenti col Divin sangue alle divisioni, alle
corruttela, alle vergogne del paganesimo.
L'intento della setta, come il Santo Padre ebbe più volte
occasione di dichiarare, è quello di tutto laicizzare, che val quanto dire
cancellare da ogni cosa l'impronta cristiana, e sostituire al
cristianesimo il naturalismo, al culto della fede il culto della
ragione, la morale così detta indipendente alla morale
cattolica, al progresso dello spirito quello della materia.
A questo mira una nuova e grave offesa che oggi si prepara alla fede
e alla morale degli italiani. Consapevoli di ciò che fanno, i
settarii intendono troppo bene che non verrebbero a capo di stabilire
daddovero in Italia il naturalismo sociale, qualora non attentassero al
santuario stesso dello Stato. Per la qual cosa, avendo prese le mosse
dal così detto matrimonio civile, già si accingono con un
disegno di legge sul divorzio a compiere di fatto tra noi la totale
dissacrazione del connubio cristiano.
Tale è il pericolo, contro il quale S. S. Leone XIII, nella
Allocuzione precedentemente riferita [Allocuzione concistoriale del 16 dicembre 1901 N.d.R.], ha levato la sua paterna ed
autorevole voce, altamente protestando che gli italiani sono stati
già troppo colpiti da sciagure, nè in verun modo debbono
subire anche questa, tendente alla rovina della famiglia. Singulare quoddam in conspectu est fidei
et morum discrimen, quod nulla ratione debet Nobis silentibus
maturescere. [Ci
sta di fronte un certo particolare pericolo minacciante fede e costume
... che non possiamo per verun conto lasciar giungere al colmo senza
alzare la voce. N.d.R.] Importa assai che gli italiani intendano la
gravità di questo pericolo e si rendano conto, non solo della
offesa che si minaccia alla loro religione, ma eziandio delle
conseguenze fatali alla famiglia e al civile consorzio, che ne
seguirebbero, se la funesta legge fosse approvata. Ciò,
ripetiamo, importa assai, poichè, siccome avverte il Santo
Padre, il pericolo che ora sovrasta riguarda appunto gli italiani e li
tocca da vicino: esso è intestinum
et domesticum. [del tutto interno e domestico, N.d.R.]
Con questo intento il Santo Padre, con parola solenne e scultoria,
ha mirabilmente riassunti nella sua Allocuzione i principali
insegnamenti, da lui stesso dati altra volta sul medesimo argomento,
sia nelle Lettere encicliche Arcanum
divinae sapientiae del 10 febbraio 1880, sia in quelle
più recenti, dell'8 febbraio 1893, all'Episcopato della
Provincia veneta.
Ben sappiamo che non mancano, la Dio mercè, uomini di buona
volontà; che non pochi altri, se vivono ingannati, pure non sono
in mala fede. E però vogliamo sperare che Iddio, ravvalorando la
parola del suo Vicario, faccia sì ch'essa illumini le loro
menti, e gli induca, quando non sia possibile riparare immediatamente i
torti già recati alla Chiesa con indebite ingerenze nel
matrimonio dei fedeli, almeno a cessare da nuovi e peggiori oltraggi.
L'appello che loro rivolge l'augusto Vegliardo del Vaticano non
potrebbe essere, nè più nobile, nè più
commovente: Si qua est auctoritas
senectuti, si iustum inest in apostolica voce momentum, si quicquam
denique valet paterna in communem patriam voluntas, eos omnes, quorum
in deliberatione versatur rogata lex de divortiis, non monemus
tantummodo, sed plane obtestamur, per sibi quidquid est carum et
sacrum, desistere coepto velint. [Se
qualche autorità ha la vecchiaia, se qualche peso la voce
apostolica, se qualcosa vale il paterno affetto verso la patria comune,
Noi non solo ammoniamo, ma scongiuriamo, per quanto hanno di più
caro e di più sacro, tutti coloro dalla cui deliberazione
dipende il disegno di legge sul divorzio, che desistano dall'impresa.
N.d.R.]
Così parla Leone XIII, Italiano per eccellenza e vero Padre
della patria. Sebbene nel suo cuore di Pontefice, egli abbracci tutto
il genere umano, pure nutre per l'Italia un amore speciale, l'amore di
patria, nobilitato dalla eccelsa dignità dell'indefettibile
trono di Pietro.
Nella sua Allocuzione il Santo Padre ricorda anzitutto, che la santità, l'unità e la
perpetuità del vincolo coniugale non sono di diritto umano,
sì bene di diritto divino: sanctum, individuum, perpetuum est iure
divino maritale vinculum christianorum. [è santo, indissolubile, perpetuo per diritto divino il coniugale vincolo de' cristiani N.d.R.] Il matrimonio infatti fu
da principio stabilito, non per volontà degli uomini, ma per
autorità e volere di Dio. Egli medesimo, con azione positiva,
l'istituì; ordinollo nelle interne sue leggi di unità e
perpetuità; il manifestò ad Adamo ispirandogli nel tempo
stesso l'intelligenza de' suoi intenti divini. E il padre del genere
umano li comprese pienamente: Dixitque
Adam: Hoc nunc os ex ossibus meis et caro de carne mea: haec vocabitur
virago quoniam de viro sumpta est. Quamobrem relinquet homo patrem suum
et matrem et adhaerebit uxori suae et erunt duo in carne una [1]. Ecco proclamata l'unione di un
uomo solo con una sola donna, fatta con lui come un sol corpo e una
cosa sola, cotalchè lo scindersi è morte. Tale è
il tipo della società maritale, alla quale benedisse Iddio e
nella quale santificò tutta quanta l'umana società, in
essa come in germe racchiusa: Benedixitque illis Deus, et ait: Crescite et multiplicamini, et replete
terram et subiicite eam [2].
Donde appare che il matrimonio, in forza della istituzione e
consecrazione fattane da Dio, è veramente cosa sacra. Destinato,
non solo allo scambievole consorzio e aiuto dei coniugi: Faciamus homini adiutorium simile sibi
[3], ma eziandio e principalmente alla procreazione ed alla
educazione della prole, esso è una vera continuazione
dell'opera creatrice e conservatrice di Dio. Dio infatti vi concorre,
non solo con l'operazione divina che dà e conserva l'efficacia
alle forze naturali, ma eziandio con l'atto onnipotente che trae dal
nulla l'anima spirituale della nuova creatura. Sicchè le nozze, nei disegni di Dio, sono
ordinate a produrre non un essere vivente qualunque sia, ma un essere
razionale ed immortale; esse sono ordinate a propagare il genere umano,
a dare cittadini allo Stato e, quel che più monta, a
moltiplicare gli adoratori di Dio sulla terra, che lo glorificheranno
in cielo, fatti concittadini de' Santi, eredi di una beatitudine eterna
da conseguire con la virtù e la santità della vita.
Or bene, da tale idea del matrimonio, che
non può mutare per volgere di secoli nè per umane leggi,
è del tutto difforme quella che è presupposta nel disegno
di legge sul divorzio, presentato di questi giorni al Parlamento
italiano. In esso il matrimonio è considerato quasi un semplice
contratto di temporali impegni ed interessi, simile alla vendita o
compra di un campo, soggetto perciò al dominio della legge
civile.
Sotto questo rispetto, il nuovo disegno di legge è
sostanzialmente viziato da un errore che il Santo Padre, nella sua
Allocuzione, giustamente chiama grande e pernicioso: Adscribere christianas nuptias iis velle
rebus quae contrahuntur, distrahuntur, iure civili, magnus et
perniciosus est error. [Il
voler mettere le nozze cristiane tra quelle cose che per diritto civile
si contraggono e si disciolgono, è un errore grave e pernicioso. N.d.R.]
Ed in verità, il matrimonio, prescindendo anche dalla ragione
di Sacramento di cui discorreremo più innanzi, è
bensì un contratto, in quanto si forma per azione libera di due
persone che consentono in quella scambievole congiunzione e liberamente
ne assumono i diritti e i doveri, ma in tutto il resto, siccome fu
dimostrato pienamente altrove [4],
è un contratto singolare, radicalmente differente dagli altri.
Esso è un contratto naturale,
perchè diretto a compiere un ufficio voluto dalla natura;
perchè fondato sopra un diritto largito dalla natura;
perchè immediatamente connesso con la natura; perchè
determinato di sua natura nel fine, ne' mezzi, nelle attitudini
presupposte, ne' doveri e diritti che importa. Dove gli altri contratti
trassero la loro origine concreta o dalla società civile, o da
un atto libero dell'individuo che volle donare o permutare ciò
di cui aveva pieno dominio; il matrimonio dispone di cosa, sopra cui
l'uomo di per sè non ha padronanza, e prima di ogni esistenza di
società, innanzi che l'individuo ne concepisse pure il sospetto,
venne immediatamente e positivamente istituito dall'Autore della natura.
Appare quindi evidente il «grande e pernicioso errore»
in cui cadono i difensori del divorzio, affermando che quando si
riuscisse a stabilire che il matrimonio è un contratto, la
questione del divorzio sarebbe trionfalmente risolta. No! essa non
sarebbe punto risolta; poichè, giova ripeterlo, il matrimonio
non è un contratto qualsiasi, ma tale contratto, un contratto
cioè sui generis,
uscente fuori dalla volgare schiera de' patti generalmente intesi e
disponibili a talento de' contraenti.
La quale verità fu apertamente riconosciuta anche dal
Ministro Guardasigilli Pisanelli. Presentando nel 1865 al Senato del
Regno il disegno del primo libro del Codice civile, egli così
parlò: «Si è detto che il matrimonio sia un
contratto; e se con questa proposizione si è voluto dire che nel
matrimonio vi siano alcune condizioni,
le quali si verificano pure in altri contratti, si è detto il
vero; ma si cade in errore quando con quella proposizione si voglia
intendere che il matrimonio non sia altra cosa che un contratto. Nella coscienza di tutti gli uomini sono
stati e saranno essenzialmente distinti questi due fatti, la vendita di
un podere e il matrimonio» [5].
E donde mai nasce questa «coscienza universale»? Lo
dicemmo già altra volta [6]:
Nasce dalla notizia intima che ha ogni anima naturalmente onesta e
cristiana di quel che il matrimonio di natura sua è e deve
essere. Il matrimonio fu rettamente definito dal diritto romano: Coniunctio viri et uxoris, individuam
vitae consuetudinem retinens. Esso mescola in certa guisa e
combina due personalità, sicchè ne risulti una intera e
perfetta, la quale sia atta a moltiplicare e formare gli individui
della specie umana, e risponda acconciamente a' vicendevoli bisogni
delle due parti.
Ora non può darsi vera unità morale di due persone,
che si considerano come viventi di una stessa vita e partecipi
totalmente della stessa sorte, retinentes
individuam vitae consuetudinem, se non s'intenda la loro unione
essere dotata di perennità e costanza. Il solo pensiero a
sospetto che uno de' coniugi possa rescindere il vincolo coniugale
grandemente affievolirebbe in loro quel puro e sincero amore che
strettamente deve unirli e che è il fondamento del loro
consorzio ed il sostegno reciproco nel compimento de' doveri proprii
dello stato coniugale.
Non altrimenti
giudicò la Commissione senatoria del 1865, ammettendo
l'indissolubilità del matrimonio anche nell'ordine naturale.
«La natura umana, disse
il relatore, vuole stabili e
costanti le unioni dell'uomo e della donna per la procreazione
della specie e per l'educazione de' figli. Essa che pose nel cuore
dell'uomo l'istinto della famiglia e della società, non è
certamente favorevole al divorzio, il
quale gravemente pregiudica la formazione e lo sviluppo della famiglia»
[7].
Che se il genuino concetto del matrimonio, quale fu istituito da Dio
e quale è voluto dalla natura, si corruppe più tardi
presso i gentili e si oscurò persino presso gli ebrei, ci
attesta la storia che ciò non avvenne senza che ne seguitasse
nella famiglia e nella società una moltitudine di danni
incalcolabili. A' quali Iddio, che non voleva che l'opera sua fosse
obbliterata per umana nequizia, arrecò il rimedio.
Volendo pertanto, siccome avverte S. Paolo, «far noto a noi il
mistero della sua volontà, secondo il beneplacito, che aveva
egli seco stabilito di rinnovare, nella ordinata pienezza de' tempi, in
Cristo tutte le cose, e quelle che sono ne' cieli e quelle che sono in
terra» [8], benignamente
dispose che in Cristo e per Cristo fosse pure restaurato e rinnovato il
matrimonio, che è come anello tra il cielo e la terra ed
è arca di salute pe' costumi de' popoli.
Ecco dunque Gesù Cristo,
humanae redemptor et restitutor naturae, il quale, come dice il
Santo Padre nella sua Allocuzione, consuetudine
deleta repudii, ad vim rationemque antiquam Deo ipso auctore ab initio
constitutam, revocavit matrimonium; auctumque dignitate et virtute
sacramenti, e negotiorum genere communium imperioque potestatis
civilis, imo etiam ecclesiasticae exemit. [Il
Redentore e Ristoratore dell'umana natura, Gesù Cristo Figlio di
Dio, abolita l'usanza del ripudio, richiamò il matrimonio alla
saldezza e all'indole sua antica, stabilita ab initio da
Dio medesimo; e avendolo innalzato alla dignità e al carattere
di sacramento, lo cavò dalla classe dei negozii comuni, e lo
sottrasse al dominio della podestà civile, ed anche
dell'ecclesiastica. N.d.R.]
Il Divin Redentore infatti cominciò la sua missione col
richiamare il matrimonio alla nobiltà della nativa sua
perfezione. Egli proclamò che il matrimonio, per la medesima
istituzione fattane dal Creatore, doveva essere fra due solamente; che
di due si forma come un corpo solo; e che il vincolo nuziale è
sì intimamente e fortemente unito che niuno fra gli uomini
può romperlo o disciorlo: Quod
Deus coniunxit, homo non separet [9].
Ed a chi gli obbiettò che Mosè aveva permesso di dare
alla donna il libello del ripudio, replicò risolutamente: Quoniam Moyses ad duritiam cordis vestri
permisit vobis dimittere uxores vestras: ab initio autem non fuit sic
[10].
Ben sapendo inoltre, che gli ebrei per cause anche di poco momento
separavansi dalla moglie, intimò loro di non separarsene
altrimenti che per adulterio da lei commesso; ma nel tempo medesimo
tornò ad ammonirli e ricordare loro quello che aveva già
detto in uno de' suoi primi discorsi [11],
che anche la separazione per adulterio non era rottura del vincolo
coniugale, e perciò chi si fosse unito alla moglie separata
avrebbe commesso adulterio: Dico
autem vobis, quia quicumque dimiserit uxorem suam, nisi ob
fornicationem, et aliam duxerit, moechatur; et qui dimissam duxerit
moechatur [12].
Che tale fosse la mente di Cristo Signor nostro, ne fa perentoria
testimonianza l'Apostolo delle Genti, quando scrivendo a' Corinti
approva le nozze, ne stabilisce le regole e dichiara assolutamente
indissolubile, per ordine di Cristo, il loro nodo: Iis qui matrimonio iuncti sunt, praecipio
non ego, sed Dominus uxorem a viro non discedere; quod si discesserit,
manere innuptam aut viro suo reconciliari [13]. Poscia ripete il medesimo concetto ed
espressamente afferma, che il matrimonio non si scioglie se non con la
morte: Mulier alligata est legi
quanto tempore vir eius vivit; quod si dormierit vir eius, liberata
est, cui vult nubat, tantum in Domino [14]. E con solennità anco maggiore nella sua
Lettera a' Romani soggiunge: Quae
sub viro est mulier, vivente viro, alligata est legi; si autem mortuus
fuerit vir eius, soluta est a lege viri. Igitur, vivente viro,
vocabitur adultera si fuerit cum alio viro; si autem mortuus fuerit vir
eius, liberata est a lege viri: ut non sit adultera, si fuerit cum alio
viro [15].
Le quali chiarissime parole dell'Apostolo, come nota Sant'Agostino,
sono piene di verità e di vita. La donna, secondo la divina
legge raffermata da Cristo, non può diventar moglie di nessun
altro uomo, avanti ch'ella cessi di essere moglie del primo marito. E
non cessa di esser tale se non per la costui morte, e per nessun'altra
cagione: Haec verba Apostoli toties
repetita, toties inculcata vera sunt, viva sunt, sana sunt. Nullius
viri posterioris mulier uxor esse incipit, nisi prioris esse desierit.
Esse autem desinet uxor prioris, si moriatur vir eius, non si
fornicetur. Licite itaque dimittitur coniux ob causam fornicationis;
sed manet vinculum pudoris, propter quod fit reus adulterii, qui
dimissam duxerit etiam ob hanc causam fornicationis [16].
Abbiamo voluto qui ricordare gli insegnamenti di Cristo e le
testimonianze del suo Apostolo, perchè apparisse chiaro che la
legge, la quale sancisce il divorzio, non solo prescinde dalla
rivelazione cristiana, ma è ad essa formalmente opposta. Sotto
questo rispetto adunque, non v'ha dubbio di sorta alcuna, che la
proposta stessa, che oggi si fa in Italia di tale legge, costituisce
già da sè sola una grave offesa alla religione cristiana,
e però è tale che nessun cristiano può dispensarsi
dal condannarla e ripudiarla.
Senonchè il Redentore del genere umano non si contentò
di restaurare il matrimonio, richiamandolo alla sua primiera e genuina
perfezione; egli volle inoltre rinnovarlo,
elevandolo per i cristiani alla dignità di Sacramento. In tal
guisa i coniugi, rivestiti e fortificati dalla grazia di Cristo,
ottengono nello stesso coniugio la santità; ed in esso,
conformato all'esempio del suo mistico connubio con la Chiesa, si
perfeziona l'amore naturale e si stringe più fortemente col
vincolo della carità divina l'unione del marito con la moglie [17].
Che il matrimonio de' cristiani sia stato, come afferma il Santo
Padre nella sua Allocuzione, auctum
dignitate et virtute sacramenti [innalzato alla dignità e al carattere di sacramento N.d.R.] è un domma cattolico. Non
può quindi pertinacemente impugnarsi o negarsi senza formale
eresia e colpa mortale [18].
Questa dignità poi di Sacramento, secondo la dottrina
cattolica più volte dichiarata dal medesimo Santo Padre [19], non è qualità
accidentale aggiunta al contratto matrimoniale, ma è a questo
essenziale. Sicchè il mutuo consenso de' coniugi, senza nulla
perdere della sua natura di vero contratto naturale, è
nobilitato intrinsecamente di nuova e più sublime perfezione.
Non c'è dunque, nè può esservi per i cristiani
che un solo legittimo matrimonio, quello cioè che è ad un
tempo contratto e Sacramento. In vano quindi i fautori della designata
legge sul divorzio insistono sulla distinzione tra il contratto e il
Sacramento, tra il matrimonio civile e il matrimonio religioso, per
inferirne, che fra cristiani possa darsi contratto matrimoniale
legittimo che non sia Sacramento, o che l'autorità politica,
senza toccare il matrimonio religioso, possa sciogliere il matrimonio
civile.
I cristiani, i quali si uniscono col solo rito civile, giova
ripeterlo, non vivono in legittimo matrimonio. Essi quindi non potranno
mai accettare quel rito se non come una disposizione legislativa,
introdotta dal diritto civile al fine di regolare gli effetti civili
che derivano dal matrimonio nella convivenza sociale: effetti
ch'è manifesto non potere altrimenti derivare, se non ne esista
la vera causa, cioè dire il vincolo nuziale. Il potere civile
disponga dunque de' civili effetti del matrimonio, ma non ne tocchi la
sostanza o le proprietà: Quae
nuptias consequuntur in rerum genere civilium, così il
Santo Padre nella sua Allocuzione, de
iis statuat potestas reipublicae: ultro progredi, Dei nutu prohibetur. [Quanto
agli effetti civili del matrimonio, ne disponga pure l'autorità
dello Stato; ma il passar oltre le e vietato da Dio. N.d.R.]
Sollevato il contratto stesso all'essere e alla perfezione di
Sacramento, il vincolo eziandio ne torna più perfetto e
più forte; così forte da annientare tutti i cavilli che
l'inferma ragione potrebbe far valere in qualche caso particolare,
lasciandosi ingannare dal sentimentalismo o anche fondandosi sul mero
ordine di natura. Il matrimonio infatti, come fu già detto,
è Sacramento in quanto è determinato da Cristo a
significare la sua unione con la Chiesa: Sacramentum hoc magnum est; ego autem dico
in Christo et in Ecclesia[20].
Esso dunque, per volontà divina, deve consistere in una unione
non possibile a sciogliersi in alcun caso, nè per alcun pretesto.
Donde segue altresì che lo sciogliere il vincolo del
matrimonio rato e consumato tra cristiani non è in
facoltà di veruno. Il legislatore quindi che presumesse
ciò fare, compirebbe un atto nullo e sarebbe reo di sacrilega
usurpazione; come sarebbero rei di manifesto adulterio quei coniugi, i
quali, profittando della iniqua legge, attentassero di stringere nuovo
vincolo, innanzi che per morte resti disciolto il primo: Omnis ergo lex, quae rata esse divortia
iubeat, iubet contra fas... propterea, soggiunge il Santo Padre
nella Allocuzione, caussam dare
adulterino foederi potest, coniugio iusto non potest. [Ogni
legge dunque che ratifichi il divorzio, è legge iniqua, e fa
aperta ingiuria a Dio creatore e sommo legislatore; e per conseguenza
ben può dar luogo ad unioni adulterine, a matrimonio legittimo
non mai. N.d.R.]
Tale è oggi ed è stata sempre fin da' principii del
cristianesimo la fede universalmente e fermamente professata dalla
Chiesa in riguardo alla assoluta indissolubilità del matrimonio
cristiano rato e consumato. Ne indicammo già le prove nel nostro
precedente studio giuridico sul Divorzio [21], pigliandole dalla Enciclica Arcanum divinae sapientiae di S. S.
Leone XIII, dove esse, con la maggior diligenza e pienezza, si trovano
bellamente raccolte.
Dalle quali prove si fa altresì manifesto che coloro, i quali oggi,
nella loro difesa della malaugurata legge, pretendono sostenere che le
tradizioni della Chiesa cattolica non sono affatto aliene dal divorzio,
non intendono il vero senso di quelle tradizioni ovvero deliberatamente
lo pervertono.
La Chiesa, depositaria de' Sacramenti da
Cristo istituiti e della legge da lui proclamata, deve esserne sempre
custode e vindice, nè può mai contraddirvi. Nessuno
dunque s'aspetti che la Chiesa sia per chinare il capo mai dinanzi alla
prepotenza de' settarii e rassegnarsi a soffrire in silenzio la nuova
offesa che si minaccia alla religione.
La dichiarazione che a questo proposito si legge nella Allocuzione
pontificia è perentoria e risponde anche alla difficoltà
tolta dall'esempio di altri paesi dove vige la facoltà del
divorzio: Perperam vero,
così il Santo Padre, suffragium
petitur ab exemplis peregrinis, in re non dubie nefaria: minuatne aut
excuset peccata cuiusquam, multitudo similia peccantium? Eo vel maxime
quod nusquam recepta legibus facultas divortiorum, quin reclamarit
vehementer opposituque auctoritatis suae restiterit, ubicumque potuit,
custos et vindex divini iuris Ecclesia. Nec audeat sperare quisquam,
minus memorem officii hodie futuram, quam antea fuerit. Non connivebit
ullo modo, non acquiescet, non feret remisse Deo sibique factam iniuriam. [Invano
poi si cerca appoggio di esempii stranieri, in cosa incontrastabilmente
rea. Scema forse o scusa i peccati di alcuno la moltitudine di coloro
che similmente peccano? Tanto più che in niuna terra mai
s'introdusse legalmente il divorzio, senza che la Chiesa, custode e
vindice del diritto divino, resistesse vigorosamente, e vi facesse
opposizione, ove poteva, con tutta l'autorità sua. Niuno ardisca
lusingarsi che essa sia per divenire meno fedele al dover suo oggi di
quel che fu per lo addietro. Non si porgerà connivente in verun
modo, non tacerà, non si acconcerà rimessamente alla
ingiuria fatta a Dio e a se stessa. N.d.R.]
La Chiesa non tacerà, nè si
rassegnerà mai. Trattandosi di cosa spettante al diritto divino,
che passa la sua potestà, ella non potrà mai ritenere
come sciolto quel che Dio vuole indissolubile, nè potrà
mai tollerare che altri impunemente permetta quel che Dio divieta.
Con la divisata legge pertanto, non solo si contraddice apertamente
al domma cattolico e sacrilegamente si viola il diritto divino e quello
della Chiesa, ma si ferisce profondamente anche il sentimento religioso
della grandissima maggioranza della nazione; la quale per singolar
privilegio circondando più da vicino il centro
dell'unità, più vivo sente l'oltraggio alle sue
tradizioni cristiane, alla sua fede, al suo onore.
Legge sì empia renderebbe ancor più acuto il dissidio
tra la Chiesa e lo Stato, dissidio che indebolisce lo Stato stesso e lo
priva di un validissimo soccorso, tanto più necessario in questo
tempo, quanto più l'autorità politica, nella comune
opinione, è resa debole, e lo stesso ordinamento sociale corre
pericolo di essere travolto in quella lotta e scompiglio di tutte le
cose, a cui da gran tempo anelano le sètte sovversive de'
massoni e de' socialisti, che son pure della proposta legge i
principali autori e sostenitori [22].
Piaccia a Dio d'illuminare le menti a intendere quello che Leone
XIII, con tanta forza ed eloquenza, afferma nella sua Allocuzione, che
cioè la Chiesa cattolica interdicendo e combattendo
l'istituzione del divorzio in Italia, non solo compie un suo sacrosanto
dovere, ma si rende altresì sommamente benemerita della
società domestica e della società civile. Niuna cosa
infatti è più infesta alla pace, all'ordine e al morale
progresso dell'una e dell'altra, che la corruttela del pubblico e
privato costume. Ora è fuor d'ogni dubbio che i divorzii, i
quali nascono sempre da depravate consuetudini, sono stati e sono di
siffatta corruttela una cagione precipua ed un fomite potente. Essi,
con immenso danno della famiglia, rendono frivoli e mutabili i
maritaggi; sminuiscono la mutua benevolenza dei coniugi; offrono
perniciosi eccitamenti alla infedeltà, moltiplicano tra loro le
querele e gli odii; arrecano grave pregiudizio al benessere e alla
educazione de' figli; porgono occasione ad inconsulte separazioni;
diffondono i semi della discordia tra le diverse famiglie; impediscono
il necessario accrescimento delle popolazioni; scemano la
dignità della donna, la quale, dopo aver servito alle passioni
dell'uomo, corre rischio di rimaner derelitta, senza appoggio, senza
benevolenza, senza onore, non vergine, non moglie, non vedova, non
madre.
Nè si creda che a questi ed altri mali, che purtroppo si
lamentano ne' paesi dove già vige la facoltà del
divorzio, e che sono riconosciuti da uomini di opinioni disparatissime
e persino da parecchi pubblicisti liberi pensatori ed eterodossi,
potrà rimediare in Italia qualche provvedimento della proposta
legge, il quale limiti tal facoltà ad alcuni casi speciali e per
cause determinate. Poichè, come sapientemente avverte il S.
Padre, continere divortia intra
provisos terminos, tam difficile factu est, quam sistere in medio cursu
acerrimarum flammas cupiditatum. [il
contenere i divorzii entro termini stabiliti, torna difficile in
pratica quanto l'arrestare a mezzo il loro corso le fiamme di passioni
sopra modo violente. N.d.R.] Disconosciuta la santità
del matrimonio e aperta una volta la breccia nella saldezza del
vincolo, entra il principio della dissoluzione, e si ferisce, si
distrugge anzi l'unico principio conservatore della stabilità e
della moralità della famiglia. È grande la forza degli
esempii, maggiore quella della logica sobillata dalle passioni. Per
tali eccitamenti avverrà certo che la voglia de' divorzii
serpeggiando ogni dì più largamente, invada l'animo di
moltissimi a guisa di morbo che si sparga per contagio o come torrente
che, rotti i ripari, trabocchi.
Se tutto il mondo, fattosi civile e cristiano, accolse per tanti
secoli l'indissolubilità assoluta del matrimonio quale legge,
non che utile, ma necessaria, bisogna indubitatamente conchiudere, che
a giudizio dell'uman genere non è possibile attentarvi anche
menomamente senza regresso e senza tutto sconvolgere da capo a fondo il
civile consorzio. Come opportunamente osservò di questi giorni
uno scrittore assai noto: «Dal punto di vista sociale il divorzio
è un regresso. La evoluzione sociale va chiaramente dall'unione
poligama alla unione monogama. Progresso è quindi tutto
ciò che rende più effettiva, più stretta,
più stabile la unione monogama. Ora il divorzio è in
certo modo un larvato ritorno verso la poligamia, una reazione degli
istinti poligami [23].»
Quando dunque ogni altra ragione mancasse, questa sola dovrebbe
bastare. Perocchè la società ha il diritto assoluto che
non si permetta ciò che ne impedisce il vero progresso e la
conduce a irreparabile rovina. Unde
liquet, conchiudiamo ancor noi col Santo Padre, quam absonum et absurdum sit publicam
salutem a divortiis expectare, quae potius in certam societatis
perniciem sunt evasura [24]. [Dal
che si rende palese, esser vanità e follia l'aspettare la
salvezza pubblica dai divorzii, i quali anzi dovran condurre a certa
ruina la società. N.d.R.]
Contraria alla religione e al vero bene de' popoli, la legge
condannata da Leone XIII è doppiamente biasimevole. Essa
è rea non meno di umanità offesa che di offesa
divinità.
[1] Gen. II, 23-24. [«E
Adamo disse: Questo adesso osso delle mie ossa, e carne della mia
carne, ella dall'uomo avrà il nome, perocchè è
stata tratta dall'uomo. Per la qual cosa l'uomo lascerà il padre
suo e la madre, e starà unito alla sua moglie, e i due saranno
sol una carne.» Traduz. Mons. A. Martini. N.d.R.]
[2] Ibid. I, 28. [«Crescete, e moltiplicate, e riempite la terra, e assoggettatela.» N.d.R.]
[3] Ibid. II, 18. [«Facciamogli un ajuto, che a lui rassomigli.»] N.d.R.
[4] Vedi Brandi S., Il Divorzio in Italia. Studio giuridico,
ne' quaderni 1219-1221, pubblicato a parte dalla tipografia Befani,
Roma 1901. [Civiltà
Cattolica serie XVIII vol. II (fasc. 1219, 1220, 1221) pag.
23-36, 159-171, 278-291, Roma 1901. N.d.R.]
[5] Raccolta di lavori parlamentari.
Vol. I, pag. 8.
[6] Nello Studio cit., pag. 11.
[7] Così il Senatore Vigliani nella citata
Relazione. Cf. Il Contenzioso
ecclesiastico nel num. del 25 genn. 1901, pag. 17 e nel Numero unico del settembre 1901,
dove magistralmente è trattata la controversia riguardante il
Divorzio.
[8] Agli Efesini, I, 9.
[9] Matt. XIX, 3-6. [«Non divida pertanto l'uomo quel, che Dio ha congiunto.» N.d.R.]
[10] Ibid., 8. [«A
motivo della durezza del vostro cuore permise a voi Mosè di
ripudiare le vostre mogli: per altro da principio non fu
così.» N.d.R.]
[11] Ibid., V, 32. [«Ma
io vi dico, che chiunque rimanda la sua moglie eccetto per ragion di
adulterio, la fa divenire adultera: e chi sposa la donna ripudiata,
commette adulterio.» N.d.R.]
[12] Ibid., XIX. 9; Marc. X, 11-12. [«Io
però vi dico, che, chiunque rimanderà la propria moglie,
fuori che per causa d'adulterio, e ne piglierà un'altra,
commette adulterio: e chiunque sposerà la ripudiata commette
adulterio.» Mons. Antonio Martini commenta: «I Farisei
avean domandato, se per qualsivoglia ragione potesse il marito
rimandare la moglie. Cristo risponde, che il solo adulterio dà
titolo legittimo di separazione: ma questa separazione scioglie ella il
vincolo del matrimonio? No certamente. Quindi se il marito, il quale
per ragion di adulterio si è separato dalla moglie, ne prende
un'altra, ei commette adulterio, come adulterio commette chiunque sposi
colei, che fu ripudiata. Vedi I. Cor. VII. 10. 11.» N.d.R.] Per l'esegesi
di questo testo si vegga il Palmieri,
Tractatus de Matrimonio christiano,
Thesis XX. Romae 1897, pp. 182 e segg.; Knabenbauer, Cursus Scripturae sacrae, Comm. in Evang.
S. Matthaei, I-2. Parigi 1893, pp. 142 e segg.
[13] I. A' Corinti, VII, 10-11. [«Ai
coniugati poi ordino, non io, ma il Signore, che la moglie non si
separi dal marito; e ove siasi separata, si resti senza rimaritarsi, o
si riunisca col suo marito. E l'uomo non ripudii la moglie.»
N.d.R.]
[14] Ibid., 39. [«La
moglie è legata alla legge tutto il tempo, che vive il marito:
che se muore il marito, ella è in libertà: sposi chi
vuole: purchè secondo il Signore.» N.d.R.]
[15] A' Romani, VII, 2-3. [«La
donna soggetta ad un marito è legata per legge al marito
vivente: che se questi venga a morire, è sciolta dalla legge del
marito. Per la qual cosa, vivente il marito, sarà chiamata
adultera, se stia con altro uomo: morto poi il marito, è sciolta
dalla legge del marito: onde non sia adultera, se stia con altro
uomo.» N.d.R.]
[16] De adulterinis coniugiis, lib. II,
n. 4. [«Queste
parole dell'Apostolo tante volte ripetute, tante volte inculcate, sono
vere, sono vive, sono sane. La donna non comincia a essere moglie di
nessun altro uomo, se non ha cessato di esserlo del precedente. Ma
cessa di essere moglie del primo, se il marito muore, e non se commette
adulterio. Perciò ripudiare il coniuge per causa di fornicazione
è lecito, ma rimane da rispettare quel vincolo del pudore, per
il quale diviene reo di adulterio chi sposa una donna ripudiata, sia
pure per causa di fornicazione.» N.d.R.]
[17] Agli Efesini, V, 25 e seg.
[18] Conc. Trid. Sess. XXIV, can. 1.
[19] Nella citata Enciclica Arcanum.
[20] Agli Efesini, V, 32. [«Questo sacramento è grande, io però parlo riguardo a Cristo ed alla Chiesa.» N.d.R.]
[21] Il Divorzio in Italia, l. c., pp.
40-41.
[22] Cf. la citata Enciclica Arcanum.
[23] Così il Fogazzaro nel Giornale d'Italia, num. del 13 dec.
1901.
[24] Nell'Enciclica cit. Arcanum.
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