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martedì 25 febbraio 2014

"La Chiesa, depositaria de' Sacramenti da Cristo istituiti e della legge da lui proclamata, deve esserne sempre custode e vindice, nè può mai contraddirvi. Nessuno dunque s'aspetti che la Chiesa sia per chinare il capo mai dinanzi alla prepotenza de' settarii e rassegnarsi a soffrire in silenzio la nuova offesa che si minaccia alla religione".

  Can 2356. Bigami, idest qui, obstante coniugali vinculo, aliud matrimonium, etsi tantum civile, ut aiunt, attentaverint, sunt ipso facto infames; et si, spreta Ordinarii monitione, in illicito contubernio persistant, pro diversa reatus gravitate excommunicentur vel personali interdicto plectantur.
 
  Settimo è il sacramento del matrimonio, simbolo dell'unione di Cristo e della chiesa, secondo l'apostolo, che dice: Questo sacramento è grande; lo dico in riferimento al Cristo e alla chiesa (84). Causa efficiente del sacramento è regolarmente il mutuo consenso, espresso verbalmente di persona. Triplice è lo scopo del matrimonio: primo, ricevere la prole ed educarla al culto di Dio; secondo, la fedeltà, che un coniuge deve conservare verso l'altro; terzo, la indissolubilità del matrimonio, perché essa significa la unione indissolubile di Cristo e della chiesa. E quantunque a causa della infedeltà sia permesso separarsi, non è lecito, però, contrarre un altro matrimonio, poiché il vincolo del matrimonio legittimamente contratto è eterno.
(CONCILIO DI FIRENZE) 
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Se anche gli apostati occupanti la Santa Sede dovessero decidere di dare i sacramenti ai divorziati risposati questi ultimi devono sapere che la vera dottrina della Chiesa non permette loro questo, di fatto sono scomunicati in quanto hanno distrutto il Sacramento per andare appresso a non si sà quale voglia di emancipazione, quando gli apostati della Chiesa diabolica conciliare dicono che queste persone fanno parte della Chiesa mentono sapendo di mentire, la verità e che chiunque si trovi nello stato di divorziato risposato non può accedere alla Comunione e neanche alla Confessione, (chiaramente solo sino a quando queste persono rimangono pertinaciamente nella loro falsa famiglia non secondo Dio). In questo articolo non si tratta di giudiucare queste sventurate persone che vivono in questo stato ma si tratta di avvisarle di non dare retta agli apostati e falsi gerarchi che oggi occupano a sbaffo le Sacre mura del Vaticano, se dovesero dare retta agli apostati modernisti mangerebbero la loro condanna compiendo un terribile sacrilegio...
Fonte: Progetto Barruel...
La Civiltà Cattolica anno LIII, serie XVIII, vol. V (fasc. 1237, 23 dic. 1901), Roma 1902 pag. 8-22.

R.P. Salvatore M. Brandi d.C.d.G.

IL DIVORZIO NELLA DOTTRINA CATTOLICA

http://www.santuariomadonnaiuto.it/images/matrimonio.jpg

I.

Le gravi cagioni di amarezze più volte deplorate dal Santo Padre, non che attenuarsi, si estendono anzi e si moltiplicano ogni giorno più a danno di tutto il gregge cristiano, particolarmente della nostra Italia, dove il Divin Redentore si degnò stabilire la sede del suo Regno.
Qui si ripetono tuttodì da sètte anticristiane le offese a quelle divine credenze che sono la più bella gloria del nostro paese; qui si oltraggia impunemente la morale cattolica nei suoi Dottori; qui si combatte la Chiesa ne' suoi diritti e nelle opere da lei volute e promosse; qui si assoggettano i sacri pastori a continue ed odiose vessazioni; qui soprattutto si osteggia il Vicario di Cristo, impugnando persino gli atti stessi della sua spirituale giurisdizione.
Non accade ricercare da quale spirito muova questa guerra indegna. Oramai è noto a tutti che è lo spirito anticristiano il quale, nemico implacabile di Cristo e della Chiesa, tenta tutte le vie, usa tutte le arti, si prevale di tutti i mezzi per distruggere, se fosse possibile, l'immortale opera di Dio ch'è la Chiesa e ridurre i popoli redenti col Divin sangue alle divisioni, alle corruttela, alle vergogne del paganesimo.
L'intento della setta, come il Santo Padre ebbe più volte occasione di dichiarare, è quello di tutto laicizzare, che val quanto dire cancellare da ogni cosa l'impronta cristiana, e sostituire al cristianesimo il naturalismo, al culto della fede il culto della ragione, la morale così detta indipendente alla morale cattolica, al progresso dello spirito quello della materia.
A questo mira una nuova e grave offesa che oggi si prepara alla fede e alla morale degli italiani. Consapevoli di ciò che fanno, i settarii intendono troppo bene che non verrebbero a capo di stabilire daddovero in Italia il naturalismo sociale, qualora non attentassero al santuario stesso dello Stato. Per la qual cosa, avendo prese le mosse dal così detto matrimonio civile, già si accingono con un disegno di legge sul divorzio a compiere di fatto tra noi la totale dissacrazione del connubio cristiano.
Tale è il pericolo, contro il quale S. S. Leone XIII, nella Allocuzione precedentemente riferita [Allocuzione concistoriale del 16 dicembre 1901 N.d.R.], ha levato la sua paterna ed autorevole voce, altamente protestando che gli italiani sono stati già troppo colpiti da sciagure, nè in verun modo debbono subire anche questa, tendente alla rovina della famiglia. Singulare quoddam in conspectu est fidei et morum discrimen, quod nulla ratione debet Nobis silentibus maturescere. [Ci sta di fronte un certo particolare pericolo minacciante fede e costume ... che non possiamo per verun conto lasciar giungere al colmo senza alzare la voce. N.d.R.] Importa assai che gli italiani intendano la gravità di questo pericolo e si rendano conto, non solo della offesa che si minaccia alla loro religione, ma eziandio delle conseguenze fatali alla famiglia e al civile consorzio, che ne seguirebbero, se la funesta legge fosse approvata. Ciò, ripetiamo, importa assai, poichè, siccome avverte il Santo Padre, il pericolo che ora sovrasta riguarda appunto gli italiani e li tocca da vicino: esso è intestinum et domesticum. [del tutto interno e domestico, N.d.R.]
Con questo intento il Santo Padre, con parola solenne e scultoria, ha mirabilmente riassunti nella sua Allocuzione i principali insegnamenti, da lui stesso dati altra volta sul medesimo argomento, sia nelle Lettere encicliche Arcanum divinae sapientiae del 10 febbraio 1880, sia in quelle più recenti, dell'8 febbraio 1893, all'Episcopato della Provincia veneta.
Ben sappiamo che non mancano, la Dio mercè, uomini di buona volontà; che non pochi altri, se vivono ingannati, pure non sono in mala fede. E però vogliamo sperare che Iddio, ravvalorando la parola del suo Vicario, faccia sì ch'essa illumini le loro menti, e gli induca, quando non sia possibile riparare immediatamente i torti già recati alla Chiesa con indebite ingerenze nel matrimonio dei fedeli, almeno a cessare da nuovi e peggiori oltraggi. L'appello che loro rivolge l'augusto Vegliardo del Vaticano non potrebbe essere, nè più nobile, nè più commovente: Si qua est auctoritas senectuti, si iustum inest in apostolica voce momentum, si quicquam denique valet paterna in communem patriam voluntas, eos omnes, quorum in deliberatione versatur rogata lex de divortiis, non monemus tantummodo, sed plane obtestamur, per sibi quidquid est carum et sacrum, desistere coepto velint. [Se qualche autorità ha la vecchiaia, se qualche peso la voce apostolica, se qualcosa vale il paterno affetto verso la patria comune, Noi non solo ammoniamo, ma scongiuriamo, per quanto hanno di più caro e di più sacro, tutti coloro dalla cui deliberazione dipende il disegno di legge sul divorzio, che desistano dall'impresa. N.d.R.]
Così parla Leone XIII, Italiano per eccellenza e vero Padre della patria. Sebbene nel suo cuore di Pontefice, egli abbracci tutto il genere umano, pure nutre per l'Italia un amore speciale, l'amore di patria, nobilitato dalla eccelsa dignità dell'indefettibile trono di Pietro.

II.

Nella sua Allocuzione il Santo Padre ricorda anzitutto, che la santità, l'unità e la perpetuità del vincolo coniugale non sono di diritto umano, sì bene di diritto divino: sanctum, individuum, perpetuum est iure divino maritale vinculum christianorum. [è santo, indissolubile, perpetuo per diritto divino il coniugale vincolo de' cristiani N.d.R.] Il matrimonio infatti fu da principio stabilito, non per volontà degli uomini, ma per autorità e volere di Dio. Egli medesimo, con azione positiva, l'istituì; ordinollo nelle interne sue leggi di unità e perpetuità; il manifestò ad Adamo ispirandogli nel tempo stesso l'intelligenza de' suoi intenti divini. E il padre del genere umano li comprese pienamente: Dixitque Adam: Hoc nunc os ex ossibus meis et caro de carne mea: haec vocabitur virago quoniam de viro sumpta est. Quamobrem relinquet homo patrem suum et matrem et adhaerebit uxori suae et erunt duo in carne una [1]. Ecco proclamata l'unione di un uomo solo con una sola donna, fatta con lui come un sol corpo e una cosa sola, cotalchè lo scindersi è morte. Tale è il tipo della società maritale, alla quale benedisse Iddio e nella quale santificò tutta quanta l'umana società, in essa come in germe racchiusa: Benedixitque illis Deus, et ait: Crescite et multiplicamini, et replete terram et subiicite eam [2].
Donde appare che il matrimonio, in forza della istituzione e consecrazione fattane da Dio, è veramente cosa sacra. Destinato, non solo allo scambievole consorzio e aiuto dei coniugi: Faciamus homini adiutorium simile sibi [3], ma eziandio e principalmente alla procreazione ed alla educazione della prole, esso è una vera continuazione dell'opera creatrice e conservatrice di Dio. Dio infatti vi concorre, non solo con l'operazione divina che dà e conserva l'efficacia alle forze naturali, ma eziandio con l'atto onnipotente che trae dal nulla l'anima spirituale della nuova creatura. Sicchè le nozze, nei disegni di Dio, sono ordinate a produrre non un essere vivente qualunque sia, ma un essere razionale ed immortale; esse sono ordinate a propagare il genere umano, a dare cittadini allo Stato e, quel che più monta, a moltiplicare gli adoratori di Dio sulla terra, che lo glorificheranno in cielo, fatti concittadini de' Santi, eredi di una beatitudine eterna da conseguire con la virtù e la santità della vita.

III.

Or bene, da tale idea del matrimonio, che non può mutare per volgere di secoli nè per umane leggi, è del tutto difforme quella che è presupposta nel disegno di legge sul divorzio, presentato di questi giorni al Parlamento italiano. In esso il matrimonio è considerato quasi un semplice contratto di temporali impegni ed interessi, simile alla vendita o compra di un campo, soggetto perciò al dominio della legge civile.
Sotto questo rispetto, il nuovo disegno di legge è sostanzialmente viziato da un errore che il Santo Padre, nella sua Allocuzione, giustamente chiama grande e pernicioso: Adscribere christianas nuptias iis velle rebus quae contrahuntur, distrahuntur, iure civili, magnus et perniciosus est error. [Il voler mettere le nozze cristiane tra quelle cose che per diritto civile si contraggono e si disciolgono, è un errore grave e pernicioso. N.d.R.]
Ed in verità, il matrimonio, prescindendo anche dalla ragione di Sacramento di cui discorreremo più innanzi, è bensì un contratto, in quanto si forma per azione libera di due persone che consentono in quella scambievole congiunzione e liberamente ne assumono i diritti e i doveri, ma in tutto il resto, siccome fu dimostrato pienamente altrove [4], è un contratto singolare, radicalmente differente dagli altri. Esso è un contratto naturale, perchè diretto a compiere un ufficio voluto dalla natura; perchè fondato sopra un diritto largito dalla natura; perchè immediatamente connesso con la natura; perchè determinato di sua natura nel fine, ne' mezzi, nelle attitudini presupposte, ne' doveri e diritti che importa. Dove gli altri contratti trassero la loro origine concreta o dalla società civile, o da un atto libero dell'individuo che volle donare o permutare ciò di cui aveva pieno dominio; il matrimonio dispone di cosa, sopra cui l'uomo di per sè non ha padronanza, e prima di ogni esistenza di società, innanzi che l'individuo ne concepisse pure il sospetto, venne immediatamente e positivamente istituito dall'Autore della natura.
Appare quindi evidente il «grande e pernicioso errore» in cui cadono i difensori del divorzio, affermando che quando si riuscisse a stabilire che il matrimonio è un contratto, la questione del divorzio sarebbe trionfalmente risolta. No! essa non sarebbe punto risolta; poichè, giova ripeterlo, il matrimonio non è un contratto qualsiasi, ma tale contratto, un contratto cioè sui generis, uscente fuori dalla volgare schiera de' patti generalmente intesi e disponibili a talento de' contraenti.
La quale verità fu apertamente riconosciuta anche dal Ministro Guardasigilli Pisanelli. Presentando nel 1865 al Senato del Regno il disegno del primo libro del Codice civile, egli così parlò: «Si è detto che il matrimonio sia un contratto; e se con questa proposizione si è voluto dire che nel matrimonio vi siano alcune condizioni, le quali si verificano pure in altri contratti, si è detto il vero; ma si cade in errore quando con quella proposizione si voglia intendere che il matrimonio non sia altra cosa che un contratto. Nella coscienza di tutti gli uomini sono stati e saranno essenzialmente distinti questi due fatti, la vendita di un podere e il matrimonio» [5].
E donde mai nasce questa «coscienza universale»? Lo dicemmo già altra volta [6]: Nasce dalla notizia intima che ha ogni anima naturalmente onesta e cristiana di quel che il matrimonio di natura sua è e deve essere. Il matrimonio fu rettamente definito dal diritto romano: Coniunctio viri et uxoris, individuam vitae consuetudinem retinens. Esso mescola in certa guisa e combina due personalità, sicchè ne risulti una intera e perfetta, la quale sia atta a moltiplicare e formare gli individui della specie umana, e risponda acconciamente a' vicendevoli bisogni delle due parti.
Ora non può darsi vera unità morale di due persone, che si considerano come viventi di una stessa vita e partecipi totalmente della stessa sorte, retinentes individuam vitae consuetudinem, se non s'intenda la loro unione essere dotata di perennità e costanza. Il solo pensiero a sospetto che uno de' coniugi possa rescindere il vincolo coniugale grandemente affievolirebbe in loro quel puro e sincero amore che strettamente deve unirli e che è il fondamento del loro consorzio ed il sostegno reciproco nel compimento de' doveri proprii dello stato coniugale.
Non altrimenti giudicò la Commissione senatoria del 1865, ammettendo l'indissolubilità del matrimonio anche nell'ordine naturale. «La natura umana, disse il relatore, vuole stabili e costanti le unioni dell'uomo e della donna per la procreazione della specie e per l'educazione de' figli. Essa che pose nel cuore dell'uomo l'istinto della famiglia e della società, non è certamente favorevole al divorzio, il quale gravemente pregiudica la formazione e lo sviluppo della famiglia» [7].

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IV.

Che se il genuino concetto del matrimonio, quale fu istituito da Dio e quale è voluto dalla natura, si corruppe più tardi presso i gentili e si oscurò persino presso gli ebrei, ci attesta la storia che ciò non avvenne senza che ne seguitasse nella famiglia e nella società una moltitudine di danni incalcolabili. A' quali Iddio, che non voleva che l'opera sua fosse obbliterata per umana nequizia, arrecò il rimedio.

Volendo pertanto, siccome avverte S. Paolo, «far noto a noi il mistero della sua volontà, secondo il beneplacito, che aveva egli seco stabilito di rinnovare, nella ordinata pienezza de' tempi, in Cristo tutte le cose, e quelle che sono ne' cieli e quelle che sono in terra» [8], benignamente dispose che in Cristo e per Cristo fosse pure restaurato e rinnovato il matrimonio, che è come anello tra il cielo e la terra ed è arca di salute pe' costumi de' popoli.
Ecco dunque Gesù Cristo, humanae redemptor et restitutor naturae, il quale, come dice il Santo Padre nella sua Allocuzione, consuetudine deleta repudii, ad vim rationemque antiquam Deo ipso auctore ab initio constitutam, revocavit matrimonium; auctumque dignitate et virtute sacramenti, e negotiorum genere communium imperioque potestatis civilis, imo etiam ecclesiasticae exemit. [Il Redentore e Ristoratore dell'umana natura, Gesù Cristo Figlio di Dio, abolita l'usanza del ripudio, richiamò il matrimonio alla saldezza e all'indole sua antica, stabilita ab initio da Dio medesimo; e avendolo innalzato alla dignità e al carattere di sacramento, lo cavò dalla classe dei negozii comuni, e lo sottrasse al dominio della podestà civile, ed anche dell'ecclesiastica. N.d.R.]
Il Divin Redentore infatti cominciò la sua missione col richiamare il matrimonio alla nobiltà della nativa sua perfezione. Egli proclamò che il matrimonio, per la medesima istituzione fattane dal Creatore, doveva essere fra due solamente; che di due si forma come un corpo solo; e che il vincolo nuziale è sì intimamente e fortemente unito che niuno fra gli uomini può romperlo o disciorlo: Quod Deus coniunxit, homo non separet [9]. Ed a chi gli obbiettò che Mosè aveva permesso di dare alla donna il libello del ripudio, replicò risolutamente: Quoniam Moyses ad duritiam cordis vestri permisit vobis dimittere uxores vestras: ab initio autem non fuit sic [10].
Ben sapendo inoltre, che gli ebrei per cause anche di poco momento separavansi dalla moglie, intimò loro di non separarsene altrimenti che per adulterio da lei commesso; ma nel tempo medesimo tornò ad ammonirli e ricordare loro quello che aveva già detto in uno de' suoi primi discorsi [11], che anche la separazione per adulterio non era rottura del vincolo coniugale, e perciò chi si fosse unito alla moglie separata avrebbe commesso adulterio: Dico autem vobis, quia quicumque dimiserit uxorem suam, nisi ob fornicationem, et aliam duxerit, moechatur; et qui dimissam duxerit moechatur [12].

V.

Che tale fosse la mente di Cristo Signor nostro, ne fa perentoria testimonianza l'Apostolo delle Genti, quando scrivendo a' Corinti approva le nozze, ne stabilisce le regole e dichiara assolutamente indissolubile, per ordine di Cristo, il loro nodo: Iis qui matrimonio iuncti sunt, praecipio non ego, sed Dominus uxorem a viro non discedere; quod si discesserit, manere innuptam aut viro suo reconciliari [13]. Poscia ripete il medesimo concetto ed espressamente afferma, che il matrimonio non si scioglie se non con la morte: Mulier alligata est legi quanto tempore vir eius vivit; quod si dormierit vir eius, liberata est, cui vult nubat, tantum in Domino [14]. E con solennità anco maggiore nella sua Lettera a' Romani soggiunge: Quae sub viro est mulier, vivente viro, alligata est legi; si autem mortuus fuerit vir eius, soluta est a lege viri. Igitur, vivente viro, vocabitur adultera si fuerit cum alio viro; si autem mortuus fuerit vir eius, liberata est a lege viri: ut non sit adultera, si fuerit cum alio viro [15].
Le quali chiarissime parole dell'Apostolo, come nota Sant'Agostino, sono piene di verità e di vita. La donna, secondo la divina legge raffermata da Cristo, non può diventar moglie di nessun altro uomo, avanti ch'ella cessi di essere moglie del primo marito. E non cessa di esser tale se non per la costui morte, e per nessun'altra cagione: Haec verba Apostoli toties repetita, toties inculcata vera sunt, viva sunt, sana sunt. Nullius viri posterioris mulier uxor esse incipit, nisi prioris esse desierit. Esse autem desinet uxor prioris, si moriatur vir eius, non si fornicetur. Licite itaque dimittitur coniux ob causam fornicationis; sed manet vinculum pudoris, propter quod fit reus adulterii, qui dimissam duxerit etiam ob hanc causam fornicationis [16].
Abbiamo voluto qui ricordare gli insegnamenti di Cristo e le testimonianze del suo Apostolo, perchè apparisse chiaro che la legge, la quale sancisce il divorzio, non solo prescinde dalla rivelazione cristiana, ma è ad essa formalmente opposta. Sotto questo rispetto adunque, non v'ha dubbio di sorta alcuna, che la proposta stessa, che oggi si fa in Italia di tale legge, costituisce già da sè sola una grave offesa alla religione cristiana, e però è tale che nessun cristiano può dispensarsi dal condannarla e ripudiarla.

VI.

Senonchè il Redentore del genere umano non si contentò di restaurare il matrimonio, richiamandolo alla sua primiera e genuina perfezione; egli volle inoltre rinnovarlo, elevandolo per i cristiani alla dignità di Sacramento. In tal guisa i coniugi, rivestiti e fortificati dalla grazia di Cristo, ottengono nello stesso coniugio la santità; ed in esso, conformato all'esempio del suo mistico connubio con la Chiesa, si perfeziona l'amore naturale e si stringe più fortemente col vincolo della carità divina l'unione del marito con la moglie [17].
Che il matrimonio de' cristiani sia stato, come afferma il Santo Padre nella sua Allocuzione, auctum dignitate et virtute sacramenti [innalzato alla dignità e al carattere di sacramento N.d.R.] è un domma cattolico. Non può quindi pertinacemente impugnarsi o negarsi senza formale eresia e colpa mortale [18].
Questa dignità poi di Sacramento, secondo la dottrina cattolica più volte dichiarata dal medesimo Santo Padre [19], non è qualità accidentale aggiunta al contratto matrimoniale, ma è a questo essenziale. Sicchè il mutuo consenso de' coniugi, senza nulla perdere della sua natura di vero contratto naturale, è nobilitato intrinsecamente di nuova e più sublime perfezione.
Non c'è dunque, nè può esservi per i cristiani che un solo legittimo matrimonio, quello cioè che è ad un tempo contratto e Sacramento. In vano quindi i fautori della designata legge sul divorzio insistono sulla distinzione tra il contratto e il Sacramento, tra il matrimonio civile e il matrimonio religioso, per inferirne, che fra cristiani possa darsi contratto matrimoniale legittimo che non sia Sacramento, o che l'autorità politica, senza toccare il matrimonio religioso, possa sciogliere il matrimonio civile.
I cristiani, i quali si uniscono col solo rito civile, giova ripeterlo, non vivono in legittimo matrimonio. Essi quindi non potranno mai accettare quel rito se non come una disposizione legislativa, introdotta dal diritto civile al fine di regolare gli effetti civili che derivano dal matrimonio nella convivenza sociale: effetti ch'è manifesto non potere altrimenti derivare, se non ne esista la vera causa, cioè dire il vincolo nuziale. Il potere civile disponga dunque de' civili effetti del matrimonio, ma non ne tocchi la sostanza o le proprietà: Quae nuptias consequuntur in rerum genere civilium, così il Santo Padre nella sua Allocuzione, de iis statuat potestas reipublicae: ultro progredi, Dei nutu prohibetur. [Quanto agli effetti civili del matrimonio, ne disponga pure l'autorità dello Stato; ma il passar oltre le e vietato da Dio. N.d.R.]
Sollevato il contratto stesso all'essere e alla perfezione di Sacramento, il vincolo eziandio ne torna più perfetto e più forte; così forte da annientare tutti i cavilli che l'inferma ragione potrebbe far valere in qualche caso particolare, lasciandosi ingannare dal sentimentalismo o anche fondandosi sul mero ordine di natura. Il matrimonio infatti, come fu già detto, è Sacramento in quanto è determinato da Cristo a significare la sua unione con la Chiesa: Sacramentum hoc magnum est; ego autem dico in Christo et in Ecclesia[20]. Esso dunque, per volontà divina, deve consistere in una unione non possibile a sciogliersi in alcun caso, nè per alcun pretesto.
Donde segue altresì che lo sciogliere il vincolo del matrimonio rato e consumato tra cristiani non è in facoltà di veruno. Il legislatore quindi che presumesse ciò fare, compirebbe un atto nullo e sarebbe reo di sacrilega usurpazione; come sarebbero rei di manifesto adulterio quei coniugi, i quali, profittando della iniqua legge, attentassero di stringere nuovo vincolo, innanzi che per morte resti disciolto il primo: Omnis ergo lex, quae rata esse divortia iubeat, iubet contra fas... propterea, soggiunge il Santo Padre nella Allocuzione, caussam dare adulterino foederi potest, coniugio iusto non potest. [Ogni legge dunque che ratifichi il divorzio, è legge iniqua, e fa aperta ingiuria a Dio creatore e sommo legislatore; e per conseguenza ben può dar luogo ad unioni adulterine, a matrimonio legittimo non mai. N.d.R.]

VII.

Tale è oggi ed è stata sempre fin da' principii del cristianesimo la fede universalmente e fermamente professata dalla Chiesa in riguardo alla assoluta indissolubilità del matrimonio cristiano rato e consumato. Ne indicammo già le prove nel nostro precedente studio giuridico sul Divorzio [21], pigliandole dalla Enciclica Arcanum divinae sapientiae di S. S. Leone XIII, dove esse, con la maggior diligenza e pienezza, si trovano bellamente raccolte.
Dalle quali prove si fa altresì manifesto che coloro, i quali oggi, nella loro difesa della malaugurata legge, pretendono sostenere che le tradizioni della Chiesa cattolica non sono affatto aliene dal divorzio, non intendono il vero senso di quelle tradizioni ovvero deliberatamente lo pervertono.
La Chiesa, depositaria de' Sacramenti da Cristo istituiti e della legge da lui proclamata, deve esserne sempre custode e vindice, nè può mai contraddirvi. Nessuno dunque s'aspetti che la Chiesa sia per chinare il capo mai dinanzi alla prepotenza de' settarii e rassegnarsi a soffrire in silenzio la nuova offesa che si minaccia alla religione.
La dichiarazione che a questo proposito si legge nella Allocuzione pontificia è perentoria e risponde anche alla difficoltà tolta dall'esempio di altri paesi dove vige la facoltà del divorzio: Perperam vero, così il Santo Padre, suffragium petitur ab exemplis peregrinis, in re non dubie nefaria: minuatne aut excuset peccata cuiusquam, multitudo similia peccantium? Eo vel maxime quod nusquam recepta legibus facultas divortiorum, quin reclamarit vehementer opposituque auctoritatis suae restiterit, ubicumque potuit, custos et vindex divini iuris Ecclesia. Nec audeat sperare quisquam, minus memorem officii hodie futuram, quam antea fuerit. Non connivebit ullo modo, non acquiescet, non feret remisse Deo sibique factam iniuriam. [Invano poi si cerca appoggio di esempii stranieri, in cosa incontrastabilmente rea. Scema forse o scusa i peccati di alcuno la moltitudine di coloro che similmente peccano? Tanto più che in niuna terra mai s'introdusse legalmente il divorzio, senza che la Chiesa, custode e vindice del diritto divino, resistesse vigorosamente, e vi facesse opposizione, ove poteva, con tutta l'autorità sua. Niuno ardisca lusingarsi che essa sia per divenire meno fedele al dover suo oggi di quel che fu per lo addietro. Non si porgerà connivente in verun modo, non tacerà, non si acconcerà rimessamente alla ingiuria fatta a Dio e a se stessa. N.d.R.]
La Chiesa non tacerà, nè si rassegnerà mai. Trattandosi di cosa spettante al diritto divino, che passa la sua potestà, ella non potrà mai ritenere come sciolto quel che Dio vuole indissolubile, nè potrà mai tollerare che altri impunemente permetta quel che Dio divieta.
Con la divisata legge pertanto, non solo si contraddice apertamente al domma cattolico e sacrilegamente si viola il diritto divino e quello della Chiesa, ma si ferisce profondamente anche il sentimento religioso della grandissima maggioranza della nazione; la quale per singolar privilegio circondando più da vicino il centro dell'unità, più vivo sente l'oltraggio alle sue tradizioni cristiane, alla sua fede, al suo onore.
Legge sì empia renderebbe ancor più acuto il dissidio tra la Chiesa e lo Stato, dissidio che indebolisce lo Stato stesso e lo priva di un validissimo soccorso, tanto più necessario in questo tempo, quanto più l'autorità politica, nella comune opinione, è resa debole, e lo stesso ordinamento sociale corre pericolo di essere travolto in quella lotta e scompiglio di tutte le cose, a cui da gran tempo anelano le sètte sovversive de' massoni e de' socialisti, che son pure della proposta legge i principali autori e sostenitori [22].

VIII.

Piaccia a Dio d'illuminare le menti a intendere quello che Leone XIII, con tanta forza ed eloquenza, afferma nella sua Allocuzione, che cioè la Chiesa cattolica interdicendo e combattendo l'istituzione del divorzio in Italia, non solo compie un suo sacrosanto dovere, ma si rende altresì sommamente benemerita della società domestica e della società civile. Niuna cosa infatti è più infesta alla pace, all'ordine e al morale progresso dell'una e dell'altra, che la corruttela del pubblico e privato costume. Ora è fuor d'ogni dubbio che i divorzii, i quali nascono sempre da depravate consuetudini, sono stati e sono di siffatta corruttela una cagione precipua ed un fomite potente. Essi, con immenso danno della famiglia, rendono frivoli e mutabili i maritaggi; sminuiscono la mutua benevolenza dei coniugi; offrono perniciosi eccitamenti alla infedeltà, moltiplicano tra loro le querele e gli odii; arrecano grave pregiudizio al benessere e alla educazione de' figli; porgono occasione ad inconsulte separazioni; diffondono i semi della discordia tra le diverse famiglie; impediscono il necessario accrescimento delle popolazioni; scemano la dignità della donna, la quale, dopo aver servito alle passioni dell'uomo, corre rischio di rimaner derelitta, senza appoggio, senza benevolenza, senza onore, non vergine, non moglie, non vedova, non madre.
Nè si creda che a questi ed altri mali, che purtroppo si lamentano ne' paesi dove già vige la facoltà del divorzio, e che sono riconosciuti da uomini di opinioni disparatissime e persino da parecchi pubblicisti liberi pensatori ed eterodossi, potrà rimediare in Italia qualche provvedimento della proposta legge, il quale limiti tal facoltà ad alcuni casi speciali e per cause determinate. Poichè, come sapientemente avverte il S. Padre, continere divortia intra provisos terminos, tam difficile factu est, quam sistere in medio cursu acerrimarum flammas cupiditatum. [il contenere i divorzii entro termini stabiliti, torna difficile in pratica quanto l'arrestare a mezzo il loro corso le fiamme di passioni sopra modo violente. N.d.R.] Disconosciuta la santità del matrimonio e aperta una volta la breccia nella saldezza del vincolo, entra il principio della dissoluzione, e si ferisce, si distrugge anzi l'unico principio conservatore della stabilità e della moralità della famiglia. È grande la forza degli esempii, maggiore quella della logica sobillata dalle passioni. Per tali eccitamenti avverrà certo che la voglia de' divorzii serpeggiando ogni dì più largamente, invada l'animo di moltissimi a guisa di morbo che si sparga per contagio o come torrente che, rotti i ripari, trabocchi.
Se tutto il mondo, fattosi civile e cristiano, accolse per tanti secoli l'indissolubilità assoluta del matrimonio quale legge, non che utile, ma necessaria, bisogna indubitatamente conchiudere, che a giudizio dell'uman genere non è possibile attentarvi anche menomamente senza regresso e senza tutto sconvolgere da capo a fondo il civile consorzio. Come opportunamente osservò di questi giorni uno scrittore assai noto: «Dal punto di vista sociale il divorzio è un regresso. La evoluzione sociale va chiaramente dall'unione poligama alla unione monogama. Progresso è quindi tutto ciò che rende più effettiva, più stretta, più stabile la unione monogama. Ora il divorzio è in certo modo un larvato ritorno verso la poligamia, una reazione degli istinti poligami [23]
Quando dunque ogni altra ragione mancasse, questa sola dovrebbe bastare. Perocchè la società ha il diritto assoluto che non si permetta ciò che ne impedisce il vero progresso e la conduce a irreparabile rovina. Unde liquet, conchiudiamo ancor noi col Santo Padre, quam absonum et absurdum sit publicam salutem a divortiis expectare, quae potius in certam societatis perniciem sunt evasura [24]. [Dal che si rende palese, esser vanità e follia l'aspettare la salvezza pubblica dai divorzii, i quali anzi dovran condurre a certa ruina la società. N.d.R.]
Contraria alla religione e al vero bene de' popoli, la legge condannata da Leone XIII è doppiamente biasimevole. Essa è rea non meno di umanità offesa che di offesa divinità.

NOTE:

[1] Gen. II, 23-24. [«E Adamo disse: Questo adesso osso delle mie ossa, e carne della mia carne, ella dall'uomo avrà il nome, perocchè è stata tratta dall'uomo. Per la qual cosa l'uomo lascerà il padre suo e la madre, e starà unito alla sua moglie, e i due saranno sol una carne.» Traduz. Mons. A. Martini. N.d.R.]
[2] Ibid. I, 28. [«Crescete, e moltiplicate, e riempite la terra, e assoggettatela.» N.d.R.]
[3] Ibid. II, 18. [«Facciamogli un ajuto, che a lui rassomigli.»] N.d.R.
[4] Vedi Brandi S., Il Divorzio in Italia. Studio giuridico, ne' quaderni 1219-1221, pubblicato a parte dalla tipografia Befani, Roma 1901. [Civiltà Cattolica serie XVIII vol. II (fasc. 1219, 1220, 1221) pag. 23-36, 159-171,  278-291, Roma 1901. N.d.R.]
[5] Raccolta di lavori parlamentari. Vol. I, pag. 8.
[6] Nello Studio cit., pag. 11.
[7] Così il Senatore Vigliani nella citata Relazione. Cf. Il Contenzioso ecclesiastico nel num. del 25 genn. 1901, pag. 17 e nel Numero unico del settembre 1901, dove magistralmente è trattata la controversia riguardante il Divorzio.
[8] Agli Efesini, I, 9.
[9] Matt. XIX, 3-6. [«Non divida pertanto l'uomo quel, che Dio ha congiunto.» N.d.R.]
[10] Ibid., 8. [«A motivo della durezza del vostro cuore permise a voi Mosè di ripudiare le vostre mogli: per altro da principio non fu così.» N.d.R.]
[11] Ibid., V, 32. [«Ma io vi dico, che chiunque rimanda la sua moglie eccetto per ragion di adulterio, la fa divenire adultera: e chi sposa la donna ripudiata, commette adulterio.» N.d.R.]
[12] Ibid., XIX. 9; Marc. X, 11-12. [«Io però vi dico, che, chiunque rimanderà la propria moglie, fuori che per causa d'adulterio, e ne piglierà un'altra, commette adulterio: e chiunque sposerà la ripudiata commette adulterio.» Mons. Antonio Martini commenta: «I Farisei avean domandato, se per qualsivoglia ragione potesse il marito rimandare la moglie. Cristo risponde, che il solo adulterio dà titolo legittimo di separazione: ma questa separazione scioglie ella il vincolo del matrimonio? No certamente. Quindi se il marito, il quale per ragion di adulterio si è separato dalla moglie, ne prende un'altra, ei commette adulterio, come adulterio commette chiunque sposi colei, che fu ripudiata. Vedi I. Cor. VII. 10. 11.» N.d.R.] Per l'esegesi di questo testo si vegga il Palmieri, Tractatus de Matrimonio christiano, Thesis XX. Romae 1897, pp. 182 e segg.; Knabenbauer, Cursus Scripturae sacrae, Comm. in Evang. S. Matthaei, I-2. Parigi 1893, pp. 142 e segg.
[13] I. A' Corinti, VII, 10-11. [«Ai coniugati poi ordino, non io, ma il Signore, che la moglie non si separi dal marito; e ove siasi separata, si resti senza rimaritarsi, o si riunisca col suo marito. E l'uomo non ripudii la moglie.» N.d.R.]
[14] Ibid., 39. [«La moglie è legata alla legge tutto il tempo, che vive il marito: che se muore il marito, ella è in libertà: sposi chi vuole: purchè secondo il Signore.» N.d.R.]
[15] A' Romani, VII, 2-3. [«La donna soggetta ad un marito è legata per legge al marito vivente: che se questi venga a morire, è sciolta dalla legge del marito. Per la qual cosa, vivente il marito, sarà chiamata adultera, se stia con altro uomo: morto poi il marito, è sciolta dalla legge del marito: onde non sia adultera, se stia con altro uomo.» N.d.R.]
[16] De adulterinis coniugiis, lib. II, n. 4. [«Queste parole dell'Apostolo tante volte ripetute, tante volte inculcate, sono vere, sono vive, sono sane. La donna non comincia a essere moglie di nessun altro uomo, se non ha cessato di esserlo del precedente. Ma cessa di essere moglie del primo, se il marito muore, e non se commette adulterio. Perciò ripudiare il coniuge per causa di fornicazione è lecito, ma rimane da rispettare quel vincolo del pudore, per il quale diviene reo di adulterio chi sposa una donna ripudiata, sia pure per causa di fornicazione.» N.d.R.]
[17] Agli Efesini, V, 25 e seg.
[18] Conc. Trid. Sess. XXIV, can. 1.
[19] Nella citata Enciclica Arcanum.
[20] Agli Efesini, V, 32. [«Questo sacramento è grande, io però parlo riguardo a Cristo ed alla Chiesa.» N.d.R.]
[21] Il Divorzio in Italia, l. c., pp. 40-41.
[22] Cf. la citata Enciclica Arcanum.
[23] Così il Fogazzaro nel Giornale d'Italia, num. del 13 dec. 1901.
[24] Nell'Enciclica cit. Arcanum.

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