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sabato 6 dicembre 2014

IL MODERNISMO CREATURA DOTTRINARIA SATANICA A SERVIZIO DEI LIBERALI CONCILIARI…

Fonte: Progetto Barruel…

 

Bergoglio “Pontefice” ecumenico della falsa chiesa conciliare…
La Civiltà Cattolica anno XXXIV, serie XII, vol. IV (fasc. 803, 23 nov. 1883), Firenze 1883 pag. 539-548.

R.P. Matteo Liberatore d.C.d.G.

IL MODERNISMO[1] A RISPETTO DELLA CHIESA.

I.

Appena la Chiesa di Cristo comparve nel mondo, l'antico Paganesimo la combattè ad oltranza, cercando di soffocarla nel sangue. Il nuovo Paganesimo, che appellasi Modernismo, e più comunemente Liberalismo o Rivoluzione, anch'egli combatte la Chiesa; perchè, come strumento anche di Satana, è informato dal medesimo spirito, l'odio a Cristo, ed è mosso dal medesimo fine, quello cioè d'impedire ne' popoli il benefizio della redenzione. Se non che a conseguire questo medesimo fine, egli non può usare i medesimi mezzi. La ragione si è, perchè dove per l'antico Paganesimo trattavasi d'impedire che la nuova Potenza s'insignorisse del mondo, per lui si tratta di spogliare questa Potenza della signoria già conquistata. Esso quindi è costretto di seguire contro la Chiesa, più che la violenza, l'astuzia, imitando il contegno che Faraone si prefisse contro il popolo ebreo: Fortius nobis est. Venite sapienter opprimamus eum [2]. [«È più potente di noi, suvvia, vediam d'opprimerlo con arte.» Cfr. Es. I, 9-10. N.d.R.]

La Chiesa, uscita vincitrice dalla prima lotta, era giunta gradatamente ad assoggettare a Cristo le nazioni. L'idea, annunziata dall'Apostolo, di ristorare in Cristo ogni cosa, instaurare omnia in Christo[3], per opera della Chiesa era attuata. L'uomo da servo della colpa tramutato in figliuolo adottivo di Dio, santificate le nozze colla grazia del Sacramento, abolita la schiavitù, elevato il povero a rappresentante di Cristo, chiusa ne' giusti limiti l'autorità paterna, mitigato secondo le norme di giustizia il diritto di guerra, convertito il potere civile da dominazione in ufficio ministeriale, nobilitati tutti gli atti della vita umana col richiamare sopra di essi l'ordinazione alla vita avvenire:Non habemus hic manentem civitatem, sed futuram inquirimus [4]. Sive manducatis, sive bibitis, sive aliud quid facitis omnia in gloriam Dei facite [5]. [«Non abbiam qui ferma città, ma andiam cercando la futura.» — «O mangiate, o beviate, o facciate altra cosa: tutto fate a gloria di Dio.» Ad Cor. X, 31. N.d.R.]

Contro questo stato di cose adunque convien rivolgere le mire, prima di assaltare la Chiesa in sè stessa. Non la sua esistenza, come già da principio, ma la sua azione, l'influenza da lei esercitata su i popoli, convien che sia l'oggetto immediato e diretto della guerra; l'assalto all'esistenza verrà da ultimo. E così di fatto veggiamo adoperarsi dal Modernismo. Tutti i suoi sforzi sono volti per ora a ritogliere alla Chiesa l'acquistato dominio, a sbandirla dall'ordine sociale, a stremarla d'ogni efficacia, a tornare gradatamente pagani i costumi dei popoli. È questa la guerra mossa oggidì contro la Chiesa, e scaltramente incalzata.

Non intendiamo dire con ciò che per addietro la Chiesa godesse pace. Attesa la sua qualità di militante quaggiù, essa in ogni tempo fu osteggiata, or con la forza or con la frode. Anche dopo la conversione di Costantino, l'idea pagana non depose mai del tutto le armi. Ne sono prova evidente le antiche lotte degli Imperatori di Bisanzio, e poscia dei Cesari di Occidente. Sopra tutto, dopo la grande ribellione protestantica, essa crebbe di ardire e moltiplicò gli assalti per riacquistare lo scettro. Basti ricordare, se non fosse altro, il Gallicanismo o Regalismo, che voglia dirsi, esplicatosi in forma più ampia nel Giuseppismo e Leopoldismo de' tempi a noi più vicini. Se non che quelle erano rapine diciam così spicciolate; le quali danneggiando la Chiesa, tuttavia le lasciavano qualche possesso. Lo spogliamento totale d'ogni suo diritto par che sia proposito de' giorni nostri. Oggidì non si parla più d'invadere tale o tal altra appartenenza della Chiesa, di rimuoverla da tale o tal altra istituzione civile, ma si proclama altamente che bisogna espellerla universalmente da tutte le istituzioni e relazioni sociali. Solo le si lascia per ora un invisibile asilo nella coscienza individuale, sperando di poterla poi cacciare anche di là, in virtù del libero pensiero.

II.

A mostrare l'arte fina, onde in questa perfida impresa il Modernismo procede, ristringeremo il discorso all'Italia; dove esso trovò dall'una parte più accaniti fautori, e dall'altra maggiore ostacolo per l'universalità della fede cattolica ne' cittadini. Quindi gli fu mestieri procedere per gradi e con sottilissimo accorgimento. Esso dunque dichiarò da prima di non voler altro, se non la emancipazione scambievole de' due poteri, quello della Chiesa e quello dello Stato, con piena libertà di azione in entrambi: Libera Chiesa in Libero Stato. Ambidue questi poteri, si disse, sono sovrani; ma il loro fine è diverso. L'uno mira al cielo, l'altro alla terra. L'esperienza ha mostrato non esser possibile la loro unione, senza che l'uno soverchi l'altro. Dunque stiano separati; e l'uno governi la società de' fedeli, l'altro quella de' cittadini, entrambi a senno proprio: idea non attuabile in guisa alcuna, per la medesima ragione che si reca a persuaderla, cioè la diversità di fine nei due poteri. Essendo il fedele identico al cittadino, il volerlo sottoporre a due indirizzi, non coordinati tra loro, ti dà sembianza di chi commettesse a due coloni, aventi scopo diverso, la coltura d'un medesimo campo, senza che l'uno sia subordinato all'altro o s'intenda coll'altro.

Facil trapasso da cotesta separazione si era che lo Stato, il quale ha in mano la forza, si prendesse il tutto, dichiarando sè solo sovrano nell'ordine esterno dell'umano consorzio. Così di fatto avvenne. E così veramente si voleva; perocchè quella formula: Libera Chiesa in libero Stato si proclamava per gettare polvere negli occhi, e aprirsi l'adito a procedere innanzi. Era un'insidia, non uno scopo. Lo scopo era l'esclusione della Chiesa dal governo de' popoli e il suo assoggettamento allo Stato.

Quindi si disse che la Chiesa non era un potere, ma solo un'autorità; quasichè potere e autorità non sonasse lo stesso, e non solessimo egualmente dire potere politico o autorità politica, potere paterno o autorità paterna. Ma nel gergo liberalesco l'inventata distinzione voleva significare, che la Chiesa non ha diritti proprii di società pubblica e indipendente, anzi non è neppure società giuridica. I suoi capi non esercitano vera giurisdizione sulla congregazione de' fedeli dettando leggi; nè i suoi precetti producono vera obbligazione e doveri giuridici. Che dunque è la Chiesa a senno del Modernismo? Non altro che una libera associazione, liberamente accettata e liberamente obbedita da chi ne fa parte, la quale in faccia allo Stato non ha altra natura se non quella di qualsiasi altra associazione che in lui sorgesse tra' cittadini. La Chiesa insomma è dal Modernismo ridotta a condizione di semplice società privata o Collegio, non differente da quello che si formasse nel civile consorzio per uno scopo letterario o industriale. Dinanzi allo Stato non esistono che cittadini; i quali come per qualsivoglia loro interesse materiale, così possono anche associarsi per interesse religioso, e nella stessa forma e cogli stessi diritti. La Chiesa dunque che ne risulta non gode altra libertà, se non quella che la legge consente per qualsiasi associazione. Essa non potrà fare se non quel solo, che le permette lo Stato; e però è soggetta allo Stato, il quale la governa col diritto comune, e ne riconosce e giudica gli atti che si manifestano esternamente.

Conseguenza inevitabile di ciò si è che tutti i diritti della Chiesa sono alla mercè dello Stato. E veramente che è diritto? Facoltà inviolabile di fare od esigere alcuna cosa. Ora, a rispetto della Chiesa, cotesta facoltà è tra i limiti che lo Stato determina e sopra cui esercita il suo sindacato. Egli come può allargarne la cerchia, così può ristringerla a volontà. Anzi, in virtù delle sue leggi, regolatrici generalmente di tutte le associazioni da lui permesse, può toccare la stessa interna costituzione della Chiesa, variandone per mezzi almeno indiretti la disciplina e l'organismo. Così per altra via, che non sia la manifesta violenza, gli sarà dato di giungere, se fosse possibile, alla distruzione della Chiesa.

Ecco pertanto i passi onde procede il Modernismo nella sua lotta contro la Chiesa di Gesù Cristo. Primo: separazione dello Stato da lei, con ipocrita promessa di libertà. Secondo: non riconoscimento di lei, come società pubblica e indipendente. Terzo: suo assoggettamento allo Stato. Quarto: manomissione de' suoi diritti. In fine: attentato alla sua stessa esistenza per guasto dell'interno suo organismo.

III.

Che queste cose non sieno nostre fisime o invenzioni ognuno può vederlo da ciò che il Modernismo va presso di noi operando a mano a mano, da che prese il possesso della cosa pubblica. Più ancora può vedersi da quanto ne dicono e ne scrivono i suoi gerofanti, cominciando dai più triviali articoli della stampa giornalistica fino ai grossi volumi imbellettati di erudizione e di scienza. Ma forse nessuno le ha espresse con più chiarezza ed ordine, che il Minghetti nella sua opera Stato e Chiesa. Ivi l'illustre pubblicista prende appunto le mosse dal propugnare la formula del Cavour:Libera Chiesa in libero Stato, qual unica soluzione razionale dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato, e qual baluardo sicuro della loro scambievole libertà. Quindi procede a togliere alla Chiesa il carattere di autorità giuridica nell'ordine pubblico. «Non si può dire che vi sono due potestà; perchè 1a proposizione implicherebbe due Stati coesistenti di tempo e di luogo, e quindi conflitto fra loro [6].» Il pericolo di conflitto è tolto agevolmente: lo Stato si prenda tutto. Egli sia l'unico Sovrano. E qual conflitto potrà più sorgere, quando non si ha competitore? «La sovranità risiede nello Stato... non vi è potestà fuori di esso [7].» Che dunque sarà la Chiesa? «L'associazione dei cittadini in una fede e in un culto forma la Chiesa, i cui capi non hanno potestà o impero, ma un'autorità tutta morale e spontaneamente ricevuta. E ciò posto, dinanzi allo Stato non può esservi differenza fra il chierico ed il laico, inquantochè questa distinzione è estranea allo scopo dello Stato, e non risulta che da accordo spontaneo, da volontaria convinzione, sia essa tacita o espressa; tanto che può dirsi che il Concordato non è più fra la Chiesa e lo Stato, ma fra la Chiesa e i suoi fedeli [8].» Quindi egli si compiace che finalmente nel 1869 sia stata vinta la legge che assoggetta gli ecclesiastici al servizio militare [9], e che lo Stato abbia fatto suoi gli atti più essenziali della vita del cittadino, i quali erano altra volta in mano della Chiesa, dico quelli che riguardano la nascita, il matrimonio, la morte [10].

Assoggettati allo Stato come ad unico sovrano tutti gli atti della vita esterna e giuridica de' cittadini, disconosciuta la natura sociale della Chiesa, l'invasione de' diritti di questa da parte di quello riesce la cosa più facile del mondo. Il Minghetti di fatto non ne lascia intatto pur uno. Diamone un saggio.

Gli enti morali ecclesiastici vengono da lui sottoposti alla polizia e volontà dello Stato, non solo per ciò che riguarda i loro possessi e i loro rapporti esteriori, ma ancora quanto ai loro regolamenti interni. «Può dunque esistere una legge sull'associazione così ecclesiastica come di altra natura, ed il Governo ha diritto di conoscerne precisamente lo scopo, i membri che la compongono, gli Statuti che la reggono, i luoghi e i periodi di sua riunione [11].» E più sotto venendo a determinare le fattezze, com'egli le chiama, principali della legge civile, che deve regolare le associazioni religiose, ne enumera quattro. In prima «la legge prefigge il numero dei privati cittadini che occorrono per fondare l'ente morale. E quand'anche la proprietà sia donata da un solo, nondimeno richiede che l'amministrazione di essa sia collettiva ed elettiva. In secondo luogo «la legge dispone che debba l'ente morale reggersi secondo uno Statuto, formato da coloro che lo compongono, e mutabile ancora secondo le deliberazioni loro avvenire, che però debbono sempre essere notificate, pubblicate e regolarmente registrate... In terzo luogo la legge prescrive che l'ente giuridico debba conformarsi allo scopo che si propone e agli Statuti che lo reggono, dipartendosi dai quali perde la sua ragione di essere. In quarto luogo «se si tratti di opere pie o d'istituti d'istruzione e di educazione, li sottopone a quelle discipline che sono comuni alle opere ed istituti di tal genere che non abbiano carattere religioso. La legge riserva sempre al Governo il diritto di visita e d'ispezione, in guisa che non possa l'ente sottrarre la sua amministrazione e le relazioni fra i suoi membri alla vigilanza che allo Stato appartiene nell'interesse generale della società civile [12]

Dà allo Stato il diritto di sopprimere o trasformare i beneficii ecclesiastici. «Non esitiamo a manifestare l'idea che il benefizio debba essere abolito, o debba sostituirvisi un ente giuridico, sia vescovado o parrocchia o altro istituto che abbia sua forma e sua amministrazione peculiare [13]

Vuole che i preti sieno sottoposti all'esame e sindacato governativo. «Lo Stato non permette l'esercizio di alcune professioni pubbliche, se non se con date cautele e riguardi; esso vuole assicurare ai cittadini che colui che le esercita abbia percorso certi studii e fatte certe prove. Ora si chiede se simiglianti cautele possano esigersi anche da quei cittadini che vogliono assumere nelle associazioni religiose riconosciute, l'ufficio di ministri del culto e di pastori di anime. E rispondo di sì, perchè anche quella è una professione pubblica e di grande importanza [14]

Mentre a parole lascia libera la Chiesa intorno ai suoi Statuti e alle sue deliberazioni, nel fatto sottopone i primi alla limitazione dello Stato e le seconde al giudizio de' tribunali laici. «Lo Stato, secondo l'opinione nostra, lascia alla Chiesa di deliberare i suoi Statuti, di fare le sue decisioni, secondo certe forme e regole generali che la legge avrà determinato; ed oltre a ciò vi pone per condizione che non contraddicano alle leggi, nè ai diritti de' privati. L'azione dello Stato comincia solo quando da quegli Statuti, da quella decisione si vuol far scaturire un diritto civile rispetto a persona o proprietà, diritto civile che abbia la sua effettuazione materiale e la sua sanzione. Or bene lo Stato aspetta quell'ora e lascia che il Tribunale non solo giudichi la quistione di diritto che rampolla dall'atto canonico, ma eziandio e preliminarmente se l'autorità che lo ha emanato era legittima e se nel suo atto si trovi cosa alcuna contraria alle leggi comuni [15]

Che più? Minaccia la stessa interna costituzione della Chiesa; consigliando che si procacci d'introdurvi l'elemento democratico, per mezzo degli stessi fedeli, ai quali concede facoltà di mutare gli stessi statuti della Chiesa. «Dappoichè lo Stato non deve ingerirsi nelle materie chiesastiche, perchè incompetente, uopo è che ci sia nel seno di ogni Chiesa la possibilità di modificare il patto, e quindi i diritti e gli obblighi giuridici a seconda delle circostanze e dei bisogni del tempo. Nè giova il dire che in talune società religiose questa facoltà di modificare gli Statuti e i canoni esiste ed appartiene al corpo sacerdotale, e che ciò è voluto o almeno sommessamente accettato dagli stessi fedeli. Ma questo non può essere ordinamento buono perpetuamente ed assolutamente. La partecipazione dei fedeli al governo della Chiesa come fu la forma originaria e benefica di tutte le religioni, così è indispensabile mezzo a mantenere loro vita e vigore. Il principio rappresentativo è l'aroma che le preserva dalla corruzione, nè senza di esso può esservi possibilità di riforma efficace e spontaneamente accettata [16].» Nè dice ciò come semplice idea, ma come cosa che lo Stato debba esigere dalla Chiesa. «A nostro avviso lo Stato non sa nè può determinare la riforma dell'associazione religiosa. Ciò solo che egli può fare si è che riconoscendo quest'associazione, sciogliendola da pastoie delle quali lungamente si è querelata, dandole ogni ragionevole libertà, esiga questo da essa: che una minoranza non possa a lungo soperchiare la maggioranza dei fedeli contro sua voglia, che i reclami di questa si facciano udire all'associazione intera, e che possano i fedeli, ma essi soli i fedeli, qualora lo credano, promuovere quelle riforme che stimano meglio confacenti al sentimento loro religioso e al fine pel quale sono congregati [17].» Vedete se la formula: Libera Chiesa in libero Stato nelle mani del Modernismo non riesce feconda di bellissime conseguenze!

Per aprire poi cotesta via ai laici, il Minghetti propone la formazione di congregazioni elettive, «le quali amministrino i beni ecclesiastici al fine di provvedere ai ministri del culto (nel modo onde ora si sta provvedendo alle monache), agli edifizii, alle cose sacre [18].» Con ciò sarebbe fatto il becco all'oca, e il trapasso del laicato nel governo della Chiesa, affine di riformarla, verrebbe da sè. «È evidente che introdotto il principio elettivo nelle Congregazioni, dove i laici avrebbero la massima parte, e affidata loro l'amministrazione e la responsabilità, il germe della riforma è gittato; è aperta cioè la via al laicato cattolico ed al clero minore di conseguire non solo nell'ordine temporale della Chiesa ma altresì nell'ordine spirituale quelle mutazioni che rispondono al bisogno della coscienza loro ed alla necessità de' tempi. Ma per ciò fa d'uopo che nell'uno e nell'altro vi sia vitalità, energia, perseveranza di azione [19].» Lo Stato non può infondere loro coteste doti; ma dee colle sue leggi porli in grado di acquistarle, ed esercitarle. «L'ufficio dello Stato in questa materia, per giudizio nostro, finisce, quando esso abbia posto legislativamente il laicato cattolico e il clero minore in tali condizioni da poter rivendicare i loro diritti [20].» Il che, in altri termini, vuol dire che lo Stato colle sue leggi deve promuovere una rivoluzione nell'interno stesso della Chiesa; e così il nuovo Paganesimo sarà giunto, senza effusione di sangue, a distruggere la Chiesa di Gesù Cristo, il che l'antico non potè conseguire colle feroci e cruente sue persecuzioni.

IV.

Da quanto abbiamo finora esposto apparisce evidente la suprema necessità che è pei cattolici di opporsi validamente ai perfidi conati del Modernismo. Esso a rendere accettabili i suoi disegni contro la Chiesa si sforza di pervertire l'intelletto dei popoli valendosi a tal uopo della parola parlata e scritta, val quanto dire dell'insegnamento e della stampa. Coll'uno e coll'altra egualmente debbono i cattolici opporgli resistenza e chiarire le menti colla luce della verità, intorno alla natura sociale della Chiesa secondo la istituzione fattane da Cristo, ed ai sacrosanti diritti che ne derivano.
In altro scritto noi lodammo grandemente l'essersi in Roma alle cattedre di diritto canonico aggiunta quella di diritto pubblico ecclesiastico; e vorremmo che un tale esempio fosse imitato da tutte le altre Diocesi. Oggidì è sommamente necessario addestrare il giovane clero intorno ai diritti che competono alla Chiesa come persona morale e come società pubblica, a fronte massimamente dello Stato. Ciò appunto si ottiene coll'insegnamento del diritto pubblico ecclesiastico.

La nozione di diritto pubblico fu primamente espressa da Ulpiano in quella nota sentenza, riportata ne' Digesti e ripetuta nelle Istituzioni di Giustiniano: Huius studii (cioè del diritto) duae sunt positiones (cioè parti): publicum et privatum. Publicum ius est quod ad Statum rei Romanae spectat (vale a dire alla Repubblica considerata in sè stessa come corpo morale indipendente); privatum quod ad singulorum utilitatem. Sunt enim quaedam publice utilia, quaedam privatim [21]. Un tal concetto trasferito alla Chiesa vi dà il diritto pubblico ecclesiastico, val quanto dire la scienza del diritto chead Statum rei Christianae spectat; in altri termini, del diritto che riguarda la Chiesa in quanto società perfetta, ossia società formata diciam così in sè stessa, e però non ordinata come parte o come mezzo ad altra società superiore, da cui per conseguenza dipenda. Quindi ragiona i diritti che a lei competono per conservarsi nel proprio essere ed operare intorno ai fedeli, secondo il fine, a cui Cristo la ordinò nel fondarla. Ognun vede quanto giovi siffatta scienza per frangere ed annullare gli audaci sforzi del Modernismo.

Se non che non basta proporre i dettati di cotesta scienza nel solo insegnamento; convien divulgarli eziandio colla stampa. E, poichè le prave teoriche del Modernismo, intorno ai diritti della Chiesa e ai suoi rapporti collo Stato, non si ristringono nel recinto delle scuole o dei libri, ma scendono fin nelle piazze sulle effemeridi, per corrompere la mente dei popoli e conquistare la pubblica opinione; conviene inseguirle anche colà sullo stesso terreno, per quanto esso possa sembrare disadatto a scientifiche discussioni. Nella maniera dunque che la qualità dell'agone il consente, è mestieri adoperarsi a rendere accessibili anche all'intelligenze volgari le verità, riguardanti questa materia sì rilevante con articoletti giornalistici. Ciò massimamente possono fare i periodici, la cui natura, sebben non si porga a una piena e profonda trattazione, propria de' grossi volumi, consente almeno che essa si penetri e si maneggi tanto, quanto basti ad abbattere l'errore, senza obbligare il lettore a un'applicazione intempestivamente studiosa. Per questa ragione ci siamo deliberati di scendere anche noi in cotesta arena, e dar luogo per breve tempo nei nostri quaderni alla trattazione di siffatto argomento.

Ratzinger e Bergoglio Flick e Flock liberali conciliari…
R.P. Matteo Liberatore d.C.d.G.
Il Modernismo

Il Modernismo ossia la Rivoluzione

Il Modernismo a rispetto della libertà

Il Modernismo a rispetto della Chiesa

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NOTE:

[1] Vedi quad. 799, pagg. 42 a 50 del pres. vol.

[2] Exodi, I, 10.

[3] Ad Ephes. I, 10.

[4] Ad Hebraeos, XIII, 14.

[5] Ad Cor. X, 31.

[6] Stato e Chiesa, cap. III. pag. 77.

[7] Ivi, pag. 79.

[8] Pag. 78.

[9] Pag. 82.

[10] Pag. 73.

[11] Pag. 123.

[12] Pag. 125.

[13] Pag. 120.

[14] Pag. 154.

[15] Pag. 172.

[16] Pag. 141.

[17] Pag. 181.

[18] Pag. 215.

[19] Pag. 216.

[20] Ivi.

[21] Digestorum seu Pandectarum, Lib. I, tit. I, § 2.

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