mercoledì 16 dicembre 2015
PAPA EUGENIO IV - CANTATE DOMINO
PAPA EUGENIO IV
4 febbraio 1442
CONCILIO DI FIRENZE (17° ECUMENICO)
26 febbraio 1439 - agosto 1445
SESSIONE XI
[Bolla di unione dei Copti]
Eugenio vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria.
Cantate inni al Signore, perché ha fatto cose grandiose, ciò sia
noto in tutta la terra. Gridate giulivi ed esultate, abitanti di Sion,
perché grande in mezzo a voi è il santo di Israele (Is 12,5-6). È
davvero giusto che la chiesa di Dio canti e esulti nel Signore per
questa splendida glorificazione del suo nome, che Dio clementissimo si è
degnato di compiere oggi. Dobbiamo, infatti, lodare e benedire con
tutto il cuore il Salvatore nostro, che ogni giorno dilata la sua santa
chiesa.
Benché i suoi benefici verso il popolo cristiano siano sempre molti e
grandi, tali da mostrarci chiaramente la sua immensa carità verso di
noi, tuttavia, se consideriamo più attentamente quali e quanti di tali
favori in questi ultimissimi tempi si è degnato operare con divina
clemenza, potremo certamente costatare che i doni del suo amore sono
stati più numerosi e più grandi in questo nostro tempo che in molte età
precedenti.
Ecco, infatti, che in meno di tre anni il signore nostro Gesù Cristo
con la sua inesauribile pietà ha realizzato in questo santo sinodo
ecumenico, la salvifica unione di tre grandi nazioni a comune e perenne
gioia di tutta la cristianità. Così è accaduto che quasi tutto
l'oriente, che adora il glorioso nome di Cristo, e non piccola parte del
settentrione, dopo lunghi dissidi, siano ormai riuniti nello stesso
vincolo di fede e di carità con la santa chiesa romana. Prima infatti si
sono uniti alla sede apostolica i Greci e le molte genti e nazioni di
lingue diverse soggette alle quattro sedi patriarcali, poi gli Armeni,
popolazione formata da molti popoli, e oggi i Giacobiti, grandi popoli
d'Egitto.
E poiché niente potrebbe essere più gradito al nostro Salvatore e
signore Gesù Cristo della mutua carità tra gli uomini, e niente più
glorioso per il suo nome e più utile per la chiesa dell'unione dei
cristiani, nella purezza della stessa fede, eliminata ogni loro
divisione, giustamente noi tutti dobbiamo cantare per la gioia e
esultare nel Signore, perché la divina misericordia ci ha fatto degni di
vedere ai nostri, giorni una fede cristiana così splendente.
Annunziamo dunque con prontezza queste meraviglie in tutto il mondo
cristiano, perché, come noi siamo stati colmati da ineffabile gioia per
questa glorificazione di Dio e esaltazione della chiesa, così anche gli
altri partecipino di tanta letizia e tutti, con una sola voce, rendiamo
gloria a Dio (Rm 15,6) e ogni giorno ringraziamo la sua maestà per tanti
e così mirabili benefici concessi in questo tempo alla sua santa
chiesa.
Inoltre chi compie con zelo l'opera di Dio non solo attende il
compenso e la retribuzione nei cieli, ma anche davanti agli uomini
merita gloria e lode in abbondanza. Per questo crediamo di dover
meritatamente lodare insieme con tutta la chiesa il nostro venerabile
fratello Giovanni, patriarca dei Giacobiti, ansioso di questa santa
unione, e indicarlo, con tutta la sua gente, al plauso di tutti i
cristiani. Egli infatui sollecitato per mezzo di un nostro inviato
[Alberto di Sarteano] e di nostre lettere, perché mandasse a noi e a
questo sacro concilio una legazione e si unisse con la sua gente alla
Sede romana nella stessa fede, ha destinato a noi e al concilio il
diletto figlio Andrea, egiziano, di grande pietà e onestà, abate del
monastero di s. Antonio in Egitto, nel quale si dice sia vissuto e morto
lo stesso Antonio. Egli, dal patriarca pieno di zelo, ricevette
l'ordine e il compito, di accettare con venerazione, a nome del medesimo
e dei suoi Giacobiti, la formulazione della fede professata e predicata
dalla santa romana chiesa e di portarla, poi, allo stesso patriarca e
ai Giacobiti, perché potessero conoscerla, approvarla e predicarla nelle
loro terre.
Noi, quindi, incaricati dalla parola del Signore di pascere le pecore
del Cristo (Gv 21,17), abbiamo fatto esaminare con ogni cura l'abate
Andrea da alcuni insigni membri di questo sacro concilio sugli articoli
di fede, i sacramenti della chiesa e tutto ciò che riguarda la salvezza;
alla fine, dopo aver esposta allo stesso abate, nella misura che sembrò
necessaria, la fede cattolica della santa chiesa romana, e dopo che è
stata da lui umilmente accettata, oggi, in questa solenne sessione, con
l'approvazione del sacro concilio ecumenico fiorentino, gli abbiamo
consegnato, nel nome del Signore, la dottrina vera e necessaria, nella
seguente formulazione.
In primo luogo, dunque, la sacrosanta chiesa romana, fondata dalla
parola del nostro Signore e Salvatore, crede fermamente, professa e
predica un solo, vero Dio, onnipotente, immutabile e eterno, Padre,
Figlio e Spirito santo; uno nell'essenza, trino nelle persone, Padre non
generato, Figlio generato dal Padre, Spirito santo procedente dal Padre
e dal Figlio; crede che il Padre non è il Figlio o lo Spirito santo,
che il Figlio non è il Padre o lo Spirito santo, che lo Spirito santo
non è il Padre o il Figlio; ma che il Padre è soltanto Padre, il Figlio è
soltanto Figlio, lo Spirito santo è soltanto Spirito santo. Solo il
Padre ha generato il Figlio dalla sua sostanza. Solo il Figlio è stato
generato dal solo Padre. Solo lo Spirito santo procede nello stesso
tempo dal Padre e dal Figlio. Queste tre persone sono un solo Dio, non
tre dei, poiché dei tre una sola è la sostanza, una l'essenza, una la
natura, una la divinità, una l'immensità, una l'eternità, e tutte le
cose sono una cosa sola, dove non si opponga la relazione. Per questa
unità il Padre è tutto nel Figlio, tutto nello Spirito santo; il Figlio
tutto nel Padre, tutto nello Spirito santo; lo Spirito santo è tutto nel
Padre, tutto nel Figlio. Nessuno precede l'altro per eternità, o lo
sorpassa in grandezza, o lo supera per potenza. E eterno, infatti, e
senza principio che il Figlio ha origine dal Padre, e eterno e senza
principio che lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio. Tutto
quello che il Padre è o ha, non lo ha da un altro, ma da se stesso ed è
principio senza principio. Tutto ciò che il Figlio è o ha, lo ha dal
Padre; ed è principio da principio. Tutto ciò che lo Spirito santo è o
ha, lo ha dal Padre e dal Figlio insieme. Ma il Padre e il Figlio non
sono due princìpi dello Spirito santo, ma un solo principio, come il
Padre, il Figlio e lo Spirito santo non sono tre princìpi della
creazione, ma un solo principio. Essa condanna, perciò, riprova e
colpisce con anatema tutti quelli che credono cose diverse e contrarie e
li dichiara separati dal corpo di Cristo, che è la chiesa. Condanna
quindi Sabellio che confonde le persone e elimina completamente la
distinzione reale delle stesse, condanna gli ariani, gli eunomiani, i
macedoniani, secondo i quali solo il Padre è vero Dio, collocando il
Figlio e lo Spirito santo nell'ordine delle creature. Condanna anche
chiunque altro introduca gradi o diseguaglianza nella Trinità.
Crede fermissimamente, professa e predica, che un solo, vero Dio,
Padre, Figlio e Spirito santo, è il creatore di tutte le cose visibili e
invisibili, il quale, quando volle, creò per sua bontà tutte le
creature spirituali e corporali, buone, naturalmente, perché hanno
origine dal sommo bene, ma mutevoli, perché fatte dal nulla; afferma che
non vi è natura cattiva in se stessa, perché ogni natura, in quanto
tale, è buona.
La chiesa confessa un solo, identico Dio come autore dell'antico e
del nuovo Testamento, cioè della legge e dei profeti, nonché del
Vangelo, perché i santi dell'uno e dell'altro Testamento hanno parlato
sotto l'ispirazione del medesimo Spirito santo. Di questi accetta e
venera i libri compresi sotto i seguenti titoli: I cinque libri di Mosè,
cioè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; i libri di Giosuè,
dei Giudici, di Rut, i quattro dei Re, i due dei Paralipomeni, Esdra,
Neemia, Tobia, Giuditta, Ester, Giobbe, i Salmi di David, i Proverbi,
l’Ecclesiaste, il Cantico dei Cantici, la Sapienza, l’Ecclesiastico,
Isaia, Geremia, Baruc, Ezechiele, Daniele, dei dodici Profeti minori,
cioè: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia,
Aggeo, Zaccaria, Malachia; i due dei Maccabei, quattro Evangeli di
Matteo, Marco, Luca e Giovanni; le quattordici lettere di s. Paolo: ai
Romani, due ai Corinzi, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, due ai
Tessalonicesi, ai Colossesi, due a Timoteo, a Tito, a Filemone, agli
Ebrei; le due lettere di Pietro, le tre di Giovanni, una di Giacomo; una
di Giuda; gli Atti degli Apostoli; e l'Apocalisse di Giovanni.
La chiesa condanna con anatema la demenza dei manichei, che
ammettevano due princìpi primi, uno delle cose visibili, l'altro di
quelle invisibili e dicevano che altro è il Dio del nuovo Testamento,
altro quello dell'antico. Essa crede fermamente, professa e predica che
una delle persone della Trinità, vero Dio figlio di Dio, generato dal
Padre, consostanziale e coeterno col Padre, nella pienezza dei tempi
stabilita dalla inscrutabile profondità del divino consiglio, ha assunto
la vera e integra natura umana dall'utero immacolato della vergine
Maria per la salvezza del genere umano e l'ha congiunta a sé nell'unità
della persona, con tale vincolo di unità che tutto quello che ivi è di
Dio non è separato dall'uomo, e quello che ivi è dell'uomo non è diviso
dalla divinità; ed è un solo essere e indiviso, rimanendo l'una e
l'altra natura con le sue proprietà, Dio e uomo, figlio di Dio e figlio
dell'uomo, uguale al Padre secondo la divinità, minore del Padre secondo l'umanità, immortale ed eterno per la natura divina, soggetto alla sofferenza e al tempo per la condizione umana che ha assunto.
La chiesa crede fermamente, professa e predica che il Figlio di Dio
nell'umanità che ha assunto è veramente nato dalla Vergine, ha veramente
sofferto, è veramente morto ed è stato sepolto, è veramente risorto dai
morti, è asceso al cielo, siede alla destra del Padre, e verrà alla
fine dei secoli a giudicare i vivi e i morti.
Essa colpisce con l'anatema, maledice e condanna ogni eresia che
professi dottrine contrarie. E, in primo luogo, condanna Ebione,
Cerinto, Marcione, Paolo di Samosata, Forino e tutti quelli che
proferiscono simili bestemmie, i quali, incapaci di comprendere l'unione
personale dell'umanità col Verbo, hanno negato che Gesù Cristo, nostro
Signore, sia vero Dio, riconoscendo lo stesso come semplice uomo; egli
sarebbe detto uomo divino per una maggior partecipazione alla grazia
divina ricevuta per merito di una vita più santa.
La chiesa colpisce con l'anatema anche Manicheo e i suoi seguaci, i
quali vaneggiando che il Figlio di Dio non ha assunto un corpo vero, ma
solo apparente annullarono del tutto la verità dell'umanità nel Cristo.
Inoltre condanna Valentino, il quale afferma che il Figlio di Dio non ha
ricevuto nulla dalla Vergine Madre, ma che ha assunto un corpo celeste
ed è passato attraverso l'utero della Vergine, proprio come l'acqua
scorre attraverso un acquedotto. Anche Ario il quale, asserendo che il
corpo assunto dalla Vergine mancava dell'anima, pretese che al suo posto
vi fosse la divinità. Così pure condanna Apollinare, il quale, ben
comprendendo che negando che l'anima informa il corpo non vi sarebbe più
vera umanità nel Cristo, gli attribuì solo l'anima sensitiva, mentre la
natura divina del Verbo sostituirebbe l'anima razionale. Essa colpisce
con l'anatema anche Teodoro di Mopsuestia e Nestorio, i quali affermano
che l'umanità è unita al Figlio di Dio per mezzo della grazia, e perciò
in Cristo vi sono due persone, come ammettono esservi due nature; non
riuscendo a comprendere che l'unione dell'umanità col Verbo è
ipostatica, negarono che essa abbia ricevuto la sussistenza del Verbo.
Secondo questa affermazione blasfema, il Verbo non si è fatto carne, ma
per mezzo della grazia il Verbo ha abitato nella carne, cioè non il
Figlio di Dio si è fatto uomo ma, piuttosto, il Figlio di Dio ha abitato
nell’uomo. Colpisce con l'anatema, maledice e condanna l'archimandrita
Eutiche. Questi comprese che secondo l'eresia di Nestorio veniva
annullata la verità dell'incarnazione e che, quindi, era necessario che
l’umanità fosse unita al Verbo di Dio in modo che vi fosse una sola e
medesima persona per la divinità e l'umanità; ma non potendo capire,
data la pluralità delle nature, l'unità della persona, come ammise in
Gesù Cristo una sola persona per la divinità e l'umanità, così affermò
esservi una sola natura, volendo che prima dell'unione vi fosse una
dualità di nature, trasformata in unità nel momento dell'assunzione,
ammettendo con somma empietà che, o l'umanità si era trasformata nella
divinità, o la divinità nell'umanità. Colpisce con l'anatema, maledice e
condanna Macario di Antiochia e tutti quelli che seguono dottrine
simili: Questi nonostante una giusta dottrina delle due nature e
dell'unità della persona, errò enormemente circa le operazioni del
Cristo, dicendo che nel Cristo una sola era l'operazione e una sola la
volontà di entrambe le nature. La sacrosanta chiesa romana condanna
tutti questi con le loro eresie, affermando che nel Cristo due sono le
volontà e due le operazioni.
Crede fermamente, professa e insegna che mai uno concepito da uomo e
da donna è stato liberato dal dominio del demonio, se non per la fede
nel mediatore tra Dio e gli uomini Gesù Cristo (1 Tm 2,5) nostro
Signore. Questi, concepito, nato e morto senza peccato, ha vinto da solo
con la sua morte il nemico del genere umano, cancellando i nostri
peccati, ed ha riaperto le porte del regno celeste, che il primo uomo a
causa del suo peccato aveva perso con tutta la sua discendenza, questo
di cui tutti i santi sacrifici, i sacramenti e le cerimonie dell'antico
testamento prefigurarono il ritorno.
La chiesa crede fermamente, professa e insegna che le prescrizioni
legali dell'antico Testamento, cioè della legge mosaica, che si dividono
in cerimonie, sacrifici sacri e sacramenti, proprio perché istituite
per significare qualche cosa di futuro, benché adeguate al culto divino
in quell'epoca, dal momento che è venuto il nostro signore Gesù Cristo,
da esse prefigurato, sono cessate e sono cominciati i sacramenti della
nuova alleanza. Essa insegna che pecca mortalmente chiunque ripone,
anche dopo la passione, la propria speranza in quelle prescrizioni
legali e le osserva quasi fossero necessarie alla salvezza, e la fede
nel Cristo non potesse salvare senza di esse. La chiesa non nega
tuttavia che nel tempo che intercorre tra la passione del Cristo e, la
promulgazione dell'Evangelo, esse potessero osservarsi, anche se non
fossero ritenute necessarie alla salvezza. Ma dopo l'annuncio del
Vangelo non possono più essere osservate, pena la perdita della salvezza
eterna. Essa, quindi, denuncia come separati dalla fede del Cristo e
esclusi dalla vita eterna, salvo che si pentano dei loro errori, tutti
quelli che, dopo quel tempo, osservano la circoncisione, il sabato e le
altre prescrizioni legali. Comanda dunque, senza eccezione, a tutti
quelli che si gloriano del nome di cristiani di non praticare la
circoncisione sia prima che dopo il battesimo perché, anche se uno non
vi ripone alcuna speranza, non può in alcun modo essere praticata senza
perdere la salvezza eterna.
Quanto ai bambini, dato il pericolo di morte spesso incombente,
poiché non possono essere aiutati se non col sacramento del battesimo,
che li libera dal dominio del demonio e li rende figli adottivi di Dio,
la chiesa ammonisce che il battesimo non sia differito per quaranta o
ottanta giorni, secondo certe usanze, ma sia amministrato il più presto
possibile, avendo cura che, in imminente pericolo di morte, siano
battezzati subito senza alcun ritardo, anche da un laico o da una donna,
in mancanza del sacerdote, nella forma prevista dalla chiesa, come è
indicato in modo completo nel decreto per gli Armeni.
La chiesa crede fermamente, confessa e annuncia che tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da scartarsi, quando lo si prende con rendimento di grazie (1 Tm 4,4); poiché, secondo l'espressione del Signore non quello che entra nella bocca rende l'uomo impuro (Mt 15,11) e
afferma che quella differenza della legge mosaica tra cibi puri e
impuri riguarda le prescrizioni per le cerimonie, superate e annullate
con l'annuncio del Vangelo. Anche il comando degli apostoli di astenersi
dalle carni offerte agli idoli, dal sangue e dagli animali soffocati (Atti 15,29) era
adatta a quel tempo in cui dai giudei e dai gentili, che prima vivevano
secondo riti e costumi diversi, sorgeva una sola chiesa. Conveniva
perciò che i giudei e i gentili avessero osservanze in comune e
l'occasione di trovarsi d'accordo in un solo culto e in una sola fede in
Dio, eliminando la materia di dissenso, in quanto ai giudei per antica
tradizione il sangue e gli animali soffocati sembravano cose abominevoli
e potevano pensare che i gentili tornassero all'idolatria col mangiare
cose immolate. Ma quando la religione cristiana si fu così diffusa da
non esservi più in essa alcun Giudeo secondo la carne, ma anzi col
passaggio alla chiesa, tutti condividevano gli stessi riti proposti dal
Vangelo, persuasi che tutto è puro per i puri (Tt 1,15), essendo
cessata la ragione di quella proibizione, ne cessò anche l'effetto. La
chiesa dichiara, quindi, che nessuno dei cibi in uso tra gli uomini deve
essere condannato, e che nessuno, uomo o donna che sia, deve far
differenza tra gli animali, in qualunque modo uccisi; tuttavia per la
salute del corpo, l'esercizio della virtù, per la disciplina imposta
dalla regola e dalle norme ecclesiastiche, molte cose, anche se non
vietate, possono o debbono essere tralasciate. Secondo l'Apostolo,
infatti, tutto è lecito! Ma non tutto è utile (1 Cor 6,12; 10, 22).
La chiesa crede fermamente, confessa e annuncia che nessuno di quelli
che sono fuori della chiesa cattolica, non solo i pagani, ma anche i
giudei o gli eretici e gli scismatici, potranno raggiungere la vita
eterna, ma andranno nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli
(Mt 25,41), se prima della morte non saranno stati ad essa riuniti;
crede tanto importante l'unità del corpo della chiesa che, solo a quelli
che in essa perseverano, i sacramenti della chiesa procureranno la
salvezza, e i digiuni, le altre opere di pietà e gli esercizi della
milizia cristiana ottengono il premio eterno: nessuno, per quante
elemosine abbia fatto e persino se avesse versato il sangue per il nome
di Cristo può essere salvo, se non rimane nel grembo e nell'unità della
chiesa cattolica.
Essa abbraccia, approva e accetta il santo concilio di Nicea dei
trecentodiciotto padri, riunito ai tempi del beatissimo Silvestro,
nostro predecessore, e di Costantino il grande, principe piissimo, nel
quale fu condannata l'empia eresia ariana assieme al suo autore, e fu
definito che il Figlio è consustanziale e coeterno al Padre.
Abbraccia anche approva e accetta il santo concilio di
Costantinopoli, dei centocinquanta padri convocato al tempo del
beatissimo Damaso, nostro predecessore, e di Teodosio il vecchio, che
colpì con l'anatema l'errore di Macedonio, il quale asseriva che lo
Spirito santo non è Dio, ma una creatura. La chiesa condanna
coloro che i concili condannano e approva quelli che essi approvano e
vuole che tutte le loro definizioni rimangano intatte ed inviolate in
ogni parte.
Abbraccia, approva e accetta il santo primo concilio di Efeso, dei
duecento padri, terzo nella serie dei concili universali, convocato
sotto il beatissimo nostro predecessore Celestino e sotto Teodosio il
giovane. In esso fu condannata l'eresia dell'empio Nestorio e fu
definito che è una sola la persona del signore nostro Gesù Cristo, vero
Dio e vero uomo e che la beata Maria sempre vergine deve essere
proclamata da tutta la chiesa non solo madre del Cristo, ma anche di
Dio.
La chiesa invece condanna, colpisce con anatema e rifiuta l'empio
secondo concilio di Efeso, riunito sotto il beato Leone, nostro
predecessore, e il suddetto principe, in cui Dioscoro, patriarca di
Alessandria, difensore dell'eresiarca Eutiche e empio persecutore di s.
Flaviano, vescovo di Costantinopoli, con astuzia e con minacce, portò
quel sinodo esecrando ad approvare l'empietà eutichiana.
Essa abbraccia anche, approva e accetta il santo concilio di
Calcedonia, quarto nella serie dei sinodi universali, dei seicentotrenta
padri, celebrato ai tempo del predetto predecessore nostro Leone e
dell'imperatore Marciano, nel quale fu condannata l'eresia eutichiana
col suo autore Eutiche e con Dioscoro, suo difensore, e fu definito che
Gesù Cristo, nostro signore, è vero Dio e vero uomo e che in una stessa
identica persona la natura divina e la natura umana sono rimaste
integre, intatte, incorrotte, inconfuse e indistinte, poiché l’umanità
opera quello che è proprio dell’uomo e la divinità, quello che è proprio
di Dio. Quelli che esso condanna, la chiesa li condanna, quelli che
approva, li approva anch’essa.
Abbraccia pure, approva e accetta il santo quinto concilio, il
secondo celebrato a Costantinopoli al tempo del beato Virgilio, nostro
predecessore, e dell'imperatore Giustiniano, nel quale fu confermata la
definizione del concilio di Calcedonia sulle due nature e l'unica
persona del Cristo e furono respinti e condannati molti errori di
Origene dei suoi seguaci, specie quelli riguardanti la penitenza e la
liberazione dei demoni e degli altri dannati. Essa inoltre abbraccia,
approva e accetta il santo, terzo concilio di Costantinopoli, dei
centocinquanta padri, sesto nella serie dei concili universali,
celebrato al tempo del beato predecessore nostro Agatone e
dell'imperatore Costantino IV, nel quale fu condannata l'eresia di
Macario antiocheno, e fu definito che in Gesù Cristo, nostro signore, vi
sono due nature perfette ed integre, due operazioni, e anche due
volontà, ma una sola e identica persona, a cui competono le azioni
dell'una e dell'altra natura poiché la divinità compie ciò che è proprio
di Dio, l'umanità ciò che è proprio dell'uomo.
Abbraccia, approva e accetta anche tutti gli altri concili
universali, legittimamente convocati, celebrati e confermati
dall'autorità del romano pontefice, e specialmente questo santo concilio
fiorentino, nel quale, tra le altre cose, è stata realizzata la
santissima unione con i Greci e con gli Armeni, e sono state promulgate
molte definizioni portatrici di salvezza riguardanti l'una e l'altra
unione, riportate estesamente nei decreti promulgati su questi
argomenti, che seguono in questa forma: Laetentur coeli … Exultate Deo …
Ma poiché nel decreto per gli Armeni, riportato sopra, non si parla
della formula che la santa chiesa romana, confermata dalla dottrina e
dall'autorità degli apostoli Pietro e Paolo, ha sempre usato nella
consacrazione del corpo e del sangue del Signore, abbiamo deciso di
inserirla qui. Ecco la formula usata nella consacrazione del corpo del
Signore: Questo è il mio corpo. In quella del sangue, invece: Questo
è il calice del mio sangue, per la nuova e eterna alleanza, mistero
della fede, versato per voi e per molti in remissione dei peccati (Mt 26,28; Mc 14,18; Lc 22,20; 1 Cor 11,25).
Quanto al pane di frumento, che serve per il sacramento, è del tutto
indifferente che sia cotto quel giorno o prima; purché infatti, rimanga
la sostanza del pane, non vi è alcun dubbio che esso si transustanzi
subito nel vero corpo di Cristo dopo le parole della consacrazione,
pronunciate dal sacerdote con l'intenzione di fare ciò.
Si dice che alcuni non ammettano le quarte nozze ritenendole
condannate; ma poiché non si deve considerare peccato ciò che non lo è
ricordando che, secondo l'Apostolo, per la morte del marito, la donna è
libera e può sposare chi vuole, purché ciò avvenga nel Signore (Rm 7,3; 1
Cor 7,39) né fa distinzione tra la morte del primo, del secondo o del
terzo marito, dichiariamo che in assenza di impedimenti canonici, si
possono lecitamente contrarre non solo seconde e terze nozze, ma anche
quarte e oltre. Riteniamo tuttavia più lodevole rimanere nella casata,
astenendosi da altre nozze, perché come la castità è da preferirsi alla
vedovanza, così una casta vedovanza è da preferirsi alle nozze, per lode
e merito.
Dopo che furono esposte tutte queste cose, il predetto abate Andrea, a
nome del ricordato patriarca e suo proprio e di tutti i Giacobiti,
riceve e accetta con ogni devozione e venerazione questo decreto
sinodale portatore di salvezza con tutte le sue prescrizioni,
dichiarazioni, definizioni, insegnamenti, precetti, decisioni e ogni
dottrina enunciata in esso, nonché tutto quello che crede e insegna la
santa sede apostolica e la chiesa romana. E accoglie con venerazione i
dottori e santi padri approvati dalla chiesa romana; considera invece
come riprovate e condannate tutte le persone e dottrine che la stessa
chiesa romana riprova e condanna, promettendo come vero figlio
obbediente, a nome di quelli che rappresenta, di obbedire con fedeltà e
costanza alle disposizioni e ai comandi della Sede apostolica.
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