Mons. Marcel Lefebvre e Mons. Antonio de Castro Mayer :"Le Autorità romane voltano le spalle ai loro predecessori e rompono con la Chiesa Cattolica, esse si mettono al servizio dei distruttori della Cristianità e del Regno Sociale di Nostro Signore Gesù Cristo".
Dichiarazione di
Mons. Marcel Lefebvre
e di
Mons. Antonio de Castro Mayer
in seguito alla visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga
e al congresso delle religioni ad Assisi
Buons Aires, 2 dicembre 1986
Roma ci ha fatto chiedere se abbiamo l’intenzione di proclamare la nostra rottura con il Vaticano in occasione del congresso di Assisi.
A noi sembra piuttosto che la domanda dovrebbe essere la seguente:
Credete e avete l’intenzione di proclamare che il Congresso di Assisi consumi la rottura delle Autorità romane con la Chiesa Cattolica?
Perché è proprio questo che preoccupa coloro che sono ancora cattolici.
In effetti, è ben evidente che a partire dal Concilio Vaticano II il Papa e gli Episcopati si allontanano sempre più nettamente dai loro predecessori.
Tutto ciò che è stato messo in opera dalla Chiesa nei secoli passati per difendere la fede, e tutto ciò che è stato compiuto dai missionari per diffonderla, fino al martirio, è ormai considerato come un errore di cui la Chiesa dovrebbe scusarsi e per il quale dovrebbe farsi perdonare.
L’attitudine degli undici papi che dal 1789 al 1985 hanno condannato la rivoluzione liberale, con documenti ufficiali, è considerata come «una mancanza di comprensione del soffio cristiano che ha ispirato la Rivoluzione».
Da qui il voltafaccia completo di Roma a partire dal Vaticano II, che ci ha fatto ripetere le parole rivolte da Nostro Signore a coloro che stavano per arrestarlo: Haec est hora vestra et potestas tenebrarum (Questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre) (Lc XXII 52-53).
Adottando la religione liberale del protestantesimo e della Rivoluzione, i princípi naturalisti di J. J Rousseau, le libertà atee della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, il principio della dignità umana senza più alcun rapporto con la verità e la dignità morale, le Autorità romane voltano le spalle ai loro predecessori e rompono con la Chiesa Cattolica, esse si mettono al servizio dei distruttori della Cristianità e del Regno Sociale di Nostro Signore Gesù Cristo.
Gli atti attuali di Giovanni Paolo II e degli Episcopati nazionali illustrano di anno in anno questo cambiamento radicale della concezione della fede, della Chiesa, del sacerdozio, del mondo, della salvezza che si ottiene con la grazia. Eccone un esempio:
Eccone un altro, approvazione della setta eretica Neocatecumenale dell'attuale Pontefice:
Infine omelia del Santo Padre Giovanni Paolo II durante la celebrazione , per l´invio di 100 Famiglie della setta eretica del cammino Neocatecumenale.Porto S. Giorgio 29/12/1988:
Il colmo di questa rottura con il magistero anteriore della Chiesa si è raggiunto ad Assisi, dopo la visita alla sinagoga.
Il peccato pubblico contro l’unicità di Dio,
contro il Verbo Incarnato e la Sua Chiesa,
fa fremere d’orrore:
Giovanni Paolo II che incoraggia le false religioni a pregare i loro falsi dei: scandalo incommensurabile e senza precedenti.
Noi, che restiamo in modo indefettibile attaccati alla Chiesa Cattolica Romana di sempre, siamo obbligati a constatare che questa religione modernista e liberale della Roma moderna e conciliare si allontana sempre più da noi che professiamo la fede cattolica degli undici papi che hanno condannato questa falsa religione. La rottura non viene dunque da noi, ma da Paolo VI e da Giovanni Paolo II, che rompono con i loro predecessori.
Ulteriore video della setta eretica neocatecumenale, da osservare le loro blasfeme celebrazioni, naturalmente tutto cio' è avvallato dalla Gerarchia modernista della Chiesa attuale:
Documentario del cammino neocatecumenale sulla Domus Galilaeae e sulla missione (regia di Yaky Yosha).
Questo rinnegamento di tutto il passato della Chiesa attuato da questi due papi e dai vescovi che li imitano è un’empietà inconcepibile ed una umiliazione insostenibile per coloro che restano cattolici nella fedeltà a venti secoli di professione della stessa fede.
Noi consideriamo, dunque, come nullo tutto ciò che è stato ispirato da questo spirito di rinnegamento: tutte le riforme postconciliari e tutti gli atti di Roma che sono compiuti con questa empietà.
Noi contiamo nella grazia di Dio e nel suffragio della Vergine fedele, di tutti i martiri, di tutti i papi fino al Concilio, di tutti i Santi e le Sante fondatori e fondatrici degli ordini contemplativi e missionari, perché ci vengano in aiuto nella rinascita della Chiesa con la fedeltà integrale alla Tradizione.
Buenos Aires, 2 dicembre 1986.
S. Ecc. Mons. Marcel Lefebvre, Arcivescovo emerito di Tulle S. Ecc. Mons. Antonio de Castro Mayer, Vescovo emerito di Campos, in perfetto accordo con la presente Dichiarazione
Mgr Lefebvre:
« Rome a perdu la foi, mes chers amis. Rome est dans l'apostasie. Ce ne sont pas des paroles, ce ne sont pas des mots en l'air que je vous dis. C'est la vérité. Rome est dans l'apostasie. On ne peut plus avoir confiance dans ce monde-là, Il a quitté l'Église, Ils ont quitté l'Église, Ils quittent l'Église. C'est sûr, sûr, sûr » ()
Je lai résumé au cardinal Ratzinger : « Éminence, voyez, même si vous nous accordez un évêque, () nous ne pouvons pas collaborer, c'est impossible, impossible, () Pour nous, le Christ c'est tout ; notre Seigneur Jésus Christ c'est tout, c'est notre vie. Et vous, vous faites le contraire . ()Voilà. On ne peut s'entendre. Et c'est cela, je vous assure, c'est le résumé. On ne peut suivre ces gens là. () C'est inconcevable, inconcevable () Cet incroyable, incroyable ! Alors, comment voulez-vous que l'on puisse se fier à des gens comme cela ? Ce nest plus possible »
Le 4 octobre 1987, Mgr Marcel Lefebvre
La Fraternità San Pio X e Roma Le tappe di una battaglia Conferenza di S. Ecc. Mons. Marcel Lefebvre Fondatore della Fraternità San Pio X.
Nell’atto della scomunica del 1988, GPII parlò di «disobbedienza al Romano Pontefice in materia gravissima e di capitale importanza per l'unità della Chiesa» e di «atto scismatico» dovuto ad un'«incompleta e contraddittoria nozione di Tradizione». Mi chiedo quale concetto avesse GPII di Tradizione… Patrizia
DESACRALIZZAZIONE DELL'IMMAGINE - DESACRALIZZAZIONE DELLA LITURGIA 1 parte
L'immagine nella liturgia è un tema complesso e interessante. Investe senza dubbio l'arte e quanto la riguarda. Queste righe non vogliono essere esaustive e, tanto meno, definitive. Vorrei semplicemente dare uno stimolo di riflessione a partire da una mia intuizione. Ovviamente tale stimolo può essere seguito da altre riflessioni personali che lo possono integrare o, forse, correggere.
A scanso di equivoci per "sacro" intendo tutto quanto, in qualche maniera, ci offre la sensazione del divino, un mondo che si pone oltre al mondo umano e naturale. Anche se il "sacro" permea il mondo naturale si pone sempre oltre, lo trascende. Per poter essere espresso dall'uomo, ha sempre avuto bisogno di forme e modalità sue proprie, modalità che definiamo "simboliche". L'iconografia cristiana, sviluppata nell'area mediterranea orientale, è, perciò, prettamente simbolica, ha un suo modo particolare di rappresentarsi perché non è tesa a mostrare, nei colori e nelle linee, il mondo fisico, quanto quello spirituale nel quale brilla la luce della presenza divina. Essa è, perciò, una rappresentazione del cosiddetto "sacro". Nel mondo bizantino, l'iconografia, ben presto, è divenuta parte integrante della liturgia e, quindi, si può rinvenire una coerenza simbolica tra l'icona e la prassi cultuale. In altre parole, il modo in cui in un'icona si rappresenta il corpo, i suoi gesti ed espressioni, possono avere delle analogie con il modo in cui si veste un corpo, lo si muove e lo si esprime all'interno della liturgia orientale.
Quest'unità icona-culto è tipica, per la verità, solo di questo mondo poiché assai presto, in Occidente, l'arte grafica si è distaccata dalla liturgia divenendone sfondo e decorazione. E' consuetudine dell'Occidente cristiano non tributare una grande attenzione liturgica alle opere pittoriche di una chiesa, per quanto splendide ed interessanti esse siano. Tutto ciò non è una critica ma la constatazione di un percorso storico differente determinato, soprattutto, dall'atteggiamento di Carlo Magno verso il secondo concilio di Nicea (787) che condannò l'iconoclastia in Oriente. Tutto l'Occidente, di seguito, non prese le parti degli iconoclasti, che volevano distruggere ogni immagine in una chiesa, ma neppure quella degli iconoduli, che volevano tributare una particolare venerazione alle icone. Questa posizione mediana sembrerebbe condivisa da Gregorio Magno quando, tempo prima, suggeriva che le immagini sono una sorta d'istruzione catechetica per il popolo. Invece, come si sa, per l'Oriente bizantino l'immagine è molto di più, poiché vuole rendere vivo e spiritualmente presente il soggetto rappresentato.
La differente posizione occidentale rese agevole un'evoluzione negli stili e nelle scuole pittoriche. Il quadro religioso rinascimentale, perciò, divenne qualcosa di molto diverso e distante dall'iconografia romanica, ancora tutta intrisa di ieraticità e simbolicità spirituale. L'arte naturalistica cinquecentesca, è stato detto, è un allontanamento dall'arte puramente spirituale e, quindi, sacra. La magnifica rappresentazione dell'Assunta del Tiziano, nella basilica dei Frari di Venezia, più che un mistero divino ci rappresenta la straordinaria capacità di un pittore e la bellezza carnale di una splendida donna.
Frequentemente gli artisti, approfittando della committenza ecclesiastica, realizzeranno atteggiamenti sempre più mondani nei quadri a tematica religiosa. In questo modo abbiamo realizzazioni magari elevatissime, dal punto di vista artistico, ma sempre più distanti dalla simbolicità sacrale, tipica del contesto liturgico tradizionale di una chiesa. La distanza che intercorre tra un quadro religioso e la liturgia tradizionale crea un fatto singolare in Occidente: entrambe, oramai, si esprimono con un linguaggio differente. Il naturalismo, anche se ha un soggetto religioso, fa entrare inconsapevolmente la modalità mondana all'interno del tempio, spazio che, di suo, è investito di un carattere sacro, diverso se non opposto al cosiddetto carattere mondano.
Nonostante ciò, la liturgia cattolica, fintanto che ha potuto, si è attenuta alle regole ieratiche della tradizione perpetuando quella modalità d'espressione tipica del "sacro". L’ha paradossalmente salvata proprio il “divorzio” esistente tra l’arte religiosa e la liturgia. Il modo moderato in cui il celebrante incensava un altare, si muoveva nel presbiterio, sollevava le mani in preghiera, manteneva lo sguardo; il modo antico con cui chiunque vestiva il suo corpo all'interno del tempio, rimandava ancora alle composte immagini romaniche, tutte asceticamente tese a far percepire l'uranicità. Gli stessi testi della liturgia latina, per quanto molto sintetici, puntavano efficacemente in questa direzione.
La prassi liturgica cattolica odierna, invece, pare essere sempre più staccata da questi riferimenti. Pare inseguire, in modo forse inconscio, lo stesso percorso fatto dall'arte pittorica all'interno delle chiese occidentali. Come l'arte si è naturalizzata, sostituendo pian piano la rappresentazione della luce ultraterrena e la ieraticità alla realizzazione grafica di una bellezza corporea, così la liturgia diviene sempre più forma spettacolare mondana. I cosiddetti abusi liturgici, lamentati a volte dal papa attuale, non sono creazioni bizzarre, estemporanee e casuali, esattamente come non furono casuali certe opere pittoriche religiose che, oramai, nel XV secolo si distanziavano dal severo romanico, creando forse disorientamento e stupore agli uomini del tempo. Sono il frutto di un albero che, a parer mio, è oramai mutato geneticamente. Non possiamo pensare di "correggere" gli abusi semplicemente come se, ad un melo, levassimo le mele nella speranza di ottenere albicocche. E' il melo la causa di tali frutti. Nel nostro caso, è tutto un nuovo clima d'insegnamento, di azione, di riflessione che genera questa nuova creatura, la liturgia moderna, la quale segue lo stesso crollo naturalistico che conobbe, alcune centinaia d'anni fa, l'arte pittorica religiosa. Non è dunque strano che il modo di muovere il corpo, di vestirlo, di pregare, di parlare, di osservare sia di fatto sempre più distante da quello esistente solo cinquant'anni fa. Credo che tali cose non siano dei puri accidenti ininfluenti sulla sostanza. Tutto contribuisce a creare un'atmosfera differente e ce ne accorgiamo perché l'impatto psicologico è di tutt'altro genere. Anche le definizioni, in tal senso, sono mutate: il sacerdote è l' "attore della partecipazione attiva dei fedeli", un'attività che si esprime, a volte, in modo ben clamoroso. E' questo che sta al cuore dei liturgisti attuali, non che il sacerdote sia "un ministro sacro", ossia in grado d'introdurre in un mondo spirituale attraverso composti gesti liturgici. Così, oggi, entrando in una chiesa cattolica, possiamo ancora e sempre dire, come nel passato, "haec est domus Domini et porta coeli"? E' una domanda che, in tutta onestà, ci dobbiamo porre.
Pienamente d'accordo con l'analisi di Paradosi.Da anni avevo notato che vi fosse un distacco tra la ieraticità della religione in sè e le rappresentazioni pittoriche/scultoree delle chiese, proprio a partire da quel rinascimento che ebbe gran parte nel modificare la mentalità dell'uomo medievale.Spesso mi sono ritrovato a riflettere sulle immagini di Madonne ben lontane dall'effondere quell'atmosfera di sacro e di puro come avrebbero dovuto essere! Ecco quindi un'analisi sitematicaqe logica che da' il necessario risalto ad un'evoluzione che dall'arte religiosa si è spostata nei secoli fino a travolgere la religiosità stessa a beneficio dell'arte e dell'umanizzazione della religione.Rimane il solo fatto dei papi che hanno commissionato quelle opere ed hanno reso l'arte religiosa universale ed universalizzante...Già, ma fu veramente un bene?
IL RINASCIMENTO fu una vera rivoluzione culturale nel senso che, le energie incanalate nello spirituale lungo i secoli medioevali, si sono trovate, complice un'economia fiorente, ad esplodere nel mondo con una produzione incredibilmente varia nelle arti visive, musicali, letterarie, ecc. Gli intellettuali rinascimentiali, però, non erano uomini spiritualizzati ma ebbri per la scoperta della bellezza materiale del mondo. Quest'ubriacatura la si constata osservando l'ecltatante bellezza delle statue rinascimentali di Firenze.
La stessa organizzazione del tempio, fu totalmente rivisitata: fu abolito il tendaggio medioevale che separava il santuario dai fedeli, in modo che l'occhio potesse correre liberamente ovunque. In qualche modo, fu qui che s'iniziò ad attentare al "mistero" della liturgia. Qui, quanto meno si trovano i germi. La Chiesa, però, aveva un concetto di tradizione ancora troppo forte, tanto che resistette pure a Lutero, il quale portò a compimento certi presupposti rinascimentali. Oggi, purtroppo, non è più così e si consuma il matrimonio con il "mondo". Come si vede, la "caduta" non è questione di soli cinquant'anni. La tendenza a mondanizzare la Chiesa da tempo bussa alla porta e solo oggi trova spiriti consenzienti. La condannata pedofilia clericale, così eccessivamente incidente, in fondo, non è che un misero corollario di tutto un universo deflagrato.
I papi commissionarono opere d'arte naturalistiche (ad esempio il Giudizio Universale della cappella sistina), perché non le legavano direttamente e in modo forte alla liturgia che sentivano come una cosa "a parte". In fondo esse erano uno sfondo, un "tappeto" sul quale appoggiare i loro piedi. Ma così facendo, non si avvedettero che il mondo (o la visione mondana dell'artista attraverso il quadro) iniziò ad entrare nel tempio. La variazione della religione non è cosa che può avvenire velocemente, soprattutto in quei tempi. Certamente ha bisogno di lunghi tempi di preparazione. Attraverso questa "formula", l'arte naturalistica, si stabilì, intanto un'attitudine, un modo di fare.
Verso la musica la Chiesa fu più severa, è vero, tanto che Palestrina faticò e non poco per mostrare l'utilità sacra della polifonia. Ma già nel XIX secolo la situazione tornò a degenerare: sembrava che il virtuosismo dell'artista fosse il centro, non il mistero liturgico che si celebrava. Pio X cercò di riportare le cose al loro posto. Il movimento liturgico, ai suoi inizi, era ottimo: nasceva nei monasteri e aveva fini spirituali ed elevanti. Poi deviò la sua marcia, nel momento in cui i fini da spirituali divennero "pastorali" dentro la cui parola si mise effettivamente di tutto, sociologismo buonista incluso. Oggi gran parte della liturgia cattolica è come quella statua di Giovanni Paolo II dinnanzi alla stazione Termini di Roma (che la dice lunga su quello stesso papa): un gran colosso ma vuoto dentro!
MARNUDOLBO ha detto: "Spesso mi sono ritrovato a riflettere sulle immagini di Madonne ben lontane dall'effondere quell'atmosfera di sacro e di puro come avrebbero dovuto essere!"
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Osserva ad esempio la "Madonna del cardellino" di Raffaello. Quadro importantissimo, senza dubbio. Tuttavia qui è l' "impero" del naturalismo. Non si avverte alcuna percezione soprannaturale e la calma di questa Madonna, alla fine, è inquietante. Le liturgie cattoliche odierne ricreano atmosfere identiche. Sono rappacificanti, evitano condanne, contrasti. Scelgono modi simpatici, umanamante accoglienti. Dietro l'umana simpatia però non si cela più quella pregnante sensazione verticale che distingueva la Messa di un tempo. E non è certo una questione di solo latino.....
"Credo che tali cose non siano dei puri accidenti ininfluenti sulla sostanza".
Ma quando una cosa cambia la sua natura cambia anche l'essere questo però non è possibile nella Chiesa dobbiamo credere che siano proprio accidenti altrimenti è come se le porte dell'inferno avrebbero prevalso sulla Chiesa. CVCRCI
Caro Stettino, un corpo può ammalarsi e morire, fa parte della biologia. La Chiesa, nel suo lato umano, può corrompersi, laddove non è più sostenuta dalla grazia e divenire ramo secco, come dice Cristo. A quel punto, la linfa vitale non arriva più. Il ramo secco può anche avere il sembiante di un ramo vivo, in tutto e per tutto, ma sta di fatto che non nutre. La Chiesa sussiste, allora, in quelle realtà in cui questa linfa scorre ancora. In questo senso "le porte non prevarranno". C'è una bellissima lezione che offre san Massimo il Confessore, in questo senso. Oramai la confusione sta arrivando fino in cima, anzi c'è già. Questa confusione fa in modo, in altri luoghi, da permettere a qualche prete assolutamente senza cultura (ma con due dottorati pontifici), persona assolutamente immatura e non degna d'essere candidato all'episcopato. E lo faranno! C'è realmente una forza oscura che si sta impossessando della Chiesa e la sta totalmente rovinando. Aspettiamo di vedere come andrà a finire....
Bene, appunto questo volevo affermare che la Chiesa come soggetto sta mutando ma non nell'oggetto che rimane Santo. Una cortesia potrebbe dirmi quale testo di Massimo il confessore perchè mi interessa molto questo argomento. CVCRCI
Ci si riferisce ad una lettera di Massimo il Confessore (Epistula ad Anastasium monachum discipulum. Testo edito da F. Combefis, PG 90, 132A-133A) per cui “La Chiesa cattolica è la retta e salvifica confessione della fede nel Dio dell’universo”. Per fare desistere il santo dalla sua convinzione di fede riguardo le due volontà in Cristo (l'oggetto del contendere era, infatti, l'eresia monotelita) gli viene detto che anche Roma oramai professava il monotelitismo ( = in Cristo esiste solo una volontà). Se è vero che Roma professa con tutte le altre Chiese una fede eterodossa, allora, per Massimo, nessuna delle Chiese, tra i cinque patriarcati, può pretendere d’appartenere alla Chiesa cattolica e apostolica, identificarsi a lei ed essere veramente la Chiesa. Dunque, la Chiesa sulla terra non è presente che nella coscienza dei fedeli che professano ancora la fede ortodossa. Vediamo, qui, che, per Massimo, non solo una Chiesa è la vera Chiesa perché confessa la fede ortodossa, ma ancora, come l’ha più volte affermato, che la vera comunione tra le Chiese, che fonda profondamente la loro unione e fa che siano tutte la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, non può essere fondata che sulla base della comune confessione della fede ortodossa. È confessando questa medesima fede, che non professa più alcuna Chiesa, ma che assicura se stesso come i suoi fedeli compagni sulla continuità dell’esistenza della Chiesa, che Massimo, dopo essere stato giudicato una seconda volta, nel maggio-giugno 662 da un sinodo riunito a Costantinopoli , è condannato alla flagellazione e all’amputazione della lingua e della mano destra. In seguito verrà deportato nel paese di Lazes ed internato nella fortezza di Schemaris, su uno dei monti caucasici. Qi egli morì martire il sabato del 13 agosto 662.
Grazie Davvero interessante io ho il libro di S. Massimo (ancora non letto) sull'umanità e divinità di Cristo potrebbe trovarsi lì? (Testo collana Patristica) CVCRCI
No, purtroppo in queste cose non si trovano i testi pronti. Bisogna cercare la traduzione (se ce n'è una) in lingua italiana dell'Epistola al discepolo Anastasio, di Massimo il Confessore. L'autore è, appunto, interessante perché al suo tempo resisteva solo la Chiesa di Roma all'innovazione eretica monotelita. Quando i bizantini cercano di convincere Massimo, in carcere, che pure il papa ha ceduto, lui all'inizio non ci crede. Poi immediatamente fa riferimento al concetto sopra espresso ossia, anche se tutto il mondo pare caduto, rimane pur sempre un piccolo resto. In quel piccolo resto si riconosce la Chiesa autentica. Oramai nei nostri tempi sarà sempre più così, purtroppo!
Nell’atto della scomunica del 1988, GPII parlò di «disobbedienza al Romano Pontefice in materia gravissima e di capitale importanza per l'unità della Chiesa» e di «atto scismatico» dovuto ad un'«incompleta e contraddittoria nozione di Tradizione». Mi chiedo quale concetto avesse GPII di Tradizione…
RispondiEliminaPatrizia
DESACRALIZZAZIONE DELL'IMMAGINE - DESACRALIZZAZIONE DELLA LITURGIA 1 parte
RispondiEliminaL'immagine nella liturgia è un tema complesso e interessante. Investe senza dubbio l'arte e quanto la riguarda. Queste righe non vogliono essere esaustive e, tanto meno, definitive. Vorrei semplicemente dare uno stimolo di riflessione a partire da una mia intuizione. Ovviamente tale stimolo può essere seguito da altre riflessioni personali che lo possono integrare o, forse, correggere.
A scanso di equivoci per "sacro" intendo tutto quanto, in qualche maniera, ci offre la sensazione del divino, un mondo che si pone oltre al mondo umano e naturale. Anche se il "sacro" permea il mondo naturale si pone sempre oltre, lo trascende. Per poter essere espresso dall'uomo, ha sempre avuto bisogno di forme e modalità sue proprie, modalità che definiamo "simboliche".
L'iconografia cristiana, sviluppata nell'area mediterranea orientale, è, perciò, prettamente simbolica, ha un suo modo particolare di rappresentarsi perché non è tesa a mostrare, nei colori e nelle linee, il mondo fisico, quanto quello spirituale nel quale brilla la luce della presenza divina. Essa è, perciò, una rappresentazione del cosiddetto "sacro". Nel mondo bizantino, l'iconografia, ben presto, è divenuta parte integrante della liturgia e, quindi, si può rinvenire una coerenza simbolica tra l'icona e la prassi cultuale. In altre parole, il modo in cui in un'icona si rappresenta il corpo, i suoi gesti ed espressioni, possono avere delle analogie con il modo in cui si veste un corpo, lo si muove e lo si esprime all'interno della liturgia orientale.
2a parte
RispondiEliminaQuest'unità icona-culto è tipica, per la verità, solo di questo mondo poiché assai presto, in Occidente, l'arte grafica si è distaccata dalla liturgia divenendone sfondo e decorazione.
E' consuetudine dell'Occidente cristiano non tributare una grande attenzione liturgica alle opere pittoriche di una chiesa, per quanto splendide ed interessanti esse siano. Tutto ciò non è una critica ma la constatazione di un percorso storico differente determinato, soprattutto, dall'atteggiamento di Carlo Magno verso il secondo concilio di Nicea (787) che condannò l'iconoclastia in Oriente.
Tutto l'Occidente, di seguito, non prese le parti degli iconoclasti, che volevano distruggere ogni immagine in una chiesa, ma neppure quella degli iconoduli, che volevano tributare una particolare venerazione alle icone.
Questa posizione mediana sembrerebbe condivisa da Gregorio Magno quando, tempo prima, suggeriva che le immagini sono una sorta d'istruzione catechetica per il popolo. Invece, come si sa, per l'Oriente bizantino l'immagine è molto di più, poiché vuole rendere vivo e spiritualmente presente il soggetto rappresentato.
La differente posizione occidentale rese agevole un'evoluzione negli stili e nelle scuole pittoriche. Il quadro religioso rinascimentale, perciò, divenne qualcosa di molto diverso e distante dall'iconografia romanica, ancora tutta intrisa di ieraticità e simbolicità spirituale.
L'arte naturalistica cinquecentesca, è stato detto, è un allontanamento dall'arte puramente spirituale e, quindi, sacra. La magnifica rappresentazione dell'Assunta del Tiziano, nella basilica dei Frari di Venezia, più che un mistero divino ci rappresenta la straordinaria capacità di un pittore e la bellezza carnale di una splendida donna.
3a parte
RispondiEliminaFrequentemente gli artisti, approfittando della committenza ecclesiastica, realizzeranno atteggiamenti sempre più mondani nei quadri a tematica religiosa. In questo modo abbiamo realizzazioni magari elevatissime, dal punto di vista artistico, ma sempre più distanti dalla simbolicità sacrale, tipica del contesto liturgico tradizionale di una chiesa. La distanza che intercorre tra un quadro religioso e la liturgia tradizionale crea un fatto singolare in Occidente: entrambe, oramai, si esprimono con un linguaggio differente. Il naturalismo, anche se ha un soggetto religioso, fa entrare inconsapevolmente la modalità mondana all'interno del tempio, spazio che, di suo, è investito di un carattere sacro, diverso se non opposto al cosiddetto carattere mondano.
Nonostante ciò, la liturgia cattolica, fintanto che ha potuto, si è attenuta alle regole ieratiche della tradizione perpetuando quella modalità d'espressione tipica del "sacro". L’ha paradossalmente salvata proprio il “divorzio” esistente tra l’arte religiosa e la liturgia. Il modo moderato in cui il celebrante incensava un altare, si muoveva nel presbiterio, sollevava le mani in preghiera, manteneva lo sguardo; il modo antico con cui chiunque vestiva il suo corpo all'interno del tempio, rimandava ancora alle composte immagini romaniche, tutte asceticamente tese a far percepire l'uranicità. Gli stessi testi della liturgia latina, per quanto molto sintetici, puntavano efficacemente in questa direzione.
4a e ultima parte
RispondiEliminaLa prassi liturgica cattolica odierna, invece, pare essere sempre più staccata da questi riferimenti. Pare inseguire, in modo forse inconscio, lo stesso percorso fatto dall'arte pittorica all'interno delle chiese occidentali. Come l'arte si è naturalizzata, sostituendo pian piano la rappresentazione della luce ultraterrena e la ieraticità alla realizzazione grafica di una bellezza corporea, così la liturgia diviene sempre più forma spettacolare mondana. I cosiddetti abusi liturgici, lamentati a volte dal papa attuale, non sono creazioni bizzarre, estemporanee e casuali, esattamente come non furono casuali certe opere pittoriche religiose che, oramai, nel XV secolo si distanziavano dal severo romanico, creando forse disorientamento e stupore agli uomini del tempo.
Sono il frutto di un albero che, a parer mio, è oramai mutato geneticamente. Non possiamo pensare di "correggere" gli abusi semplicemente come se, ad un melo, levassimo le mele nella speranza di ottenere albicocche. E' il melo la causa di tali frutti. Nel nostro caso, è tutto un nuovo clima d'insegnamento, di azione, di riflessione che genera questa nuova creatura, la liturgia moderna, la quale segue lo stesso crollo naturalistico che conobbe, alcune centinaia d'anni fa, l'arte pittorica religiosa. Non è dunque strano che il modo di muovere il corpo, di vestirlo, di pregare, di parlare, di osservare sia di fatto sempre più distante da quello esistente solo cinquant'anni fa. Credo che tali cose non siano dei puri accidenti ininfluenti sulla sostanza. Tutto contribuisce a creare un'atmosfera differente e ce ne accorgiamo perché l'impatto psicologico è di tutt'altro genere. Anche le definizioni, in tal senso, sono mutate: il sacerdote è l' "attore della partecipazione attiva dei fedeli", un'attività che si esprime, a volte, in modo ben clamoroso. E' questo che sta al cuore dei liturgisti attuali, non che il sacerdote sia "un ministro sacro", ossia in grado d'introdurre in un mondo spirituale attraverso composti gesti liturgici.
Così, oggi, entrando in una chiesa cattolica, possiamo ancora e sempre dire, come nel passato, "haec est domus Domini et porta coeli"? E' una domanda che, in tutta onestà, ci dobbiamo porre.
Parados
IL VATICANO HA PERSO LA FEDE:
RispondiEliminahttp://www.youtube.com/watch?v=oTFvDmt-PCM&NR=1
Pienamente d'accordo con l'analisi di Paradosi.Da anni avevo notato che vi fosse un distacco tra la ieraticità della religione in sè e le rappresentazioni pittoriche/scultoree delle chiese, proprio a partire da quel rinascimento che ebbe gran parte nel modificare la mentalità dell'uomo medievale.Spesso mi sono ritrovato a riflettere sulle immagini di Madonne ben lontane dall'effondere quell'atmosfera di sacro e di puro come avrebbero dovuto essere! Ecco quindi un'analisi sitematicaqe logica che da' il necessario risalto ad un'evoluzione che dall'arte religiosa si è spostata nei secoli fino a travolgere la religiosità stessa a beneficio dell'arte e dell'umanizzazione della religione.Rimane il solo fatto dei papi che hanno commissionato quelle opere ed hanno reso l'arte religiosa universale ed universalizzante...Già, ma fu veramente un bene?
RispondiEliminaIL RINASCIMENTO fu una vera rivoluzione culturale nel senso che, le energie incanalate nello spirituale lungo i secoli medioevali, si sono trovate, complice un'economia fiorente, ad esplodere nel mondo con una produzione incredibilmente varia nelle arti visive, musicali, letterarie, ecc.
RispondiEliminaGli intellettuali rinascimentiali, però, non erano uomini spiritualizzati ma ebbri per la scoperta della bellezza materiale del mondo. Quest'ubriacatura la si constata osservando l'ecltatante bellezza delle statue rinascimentali di Firenze.
La stessa organizzazione del tempio, fu totalmente rivisitata: fu abolito il tendaggio medioevale che separava il santuario dai fedeli, in modo che l'occhio potesse correre liberamente ovunque. In qualche modo, fu qui che s'iniziò ad attentare al "mistero" della liturgia. Qui, quanto meno si trovano i germi. La Chiesa, però, aveva un concetto di tradizione ancora troppo forte, tanto che resistette pure a Lutero, il quale portò a compimento certi presupposti rinascimentali.
Oggi, purtroppo, non è più così e si consuma il matrimonio con il "mondo". Come si vede, la "caduta" non è questione di soli cinquant'anni. La tendenza a mondanizzare la Chiesa da tempo bussa alla porta e solo oggi trova spiriti consenzienti. La condannata pedofilia clericale, così eccessivamente incidente, in fondo, non è che un misero corollario di tutto un universo deflagrato.
Paradosi
I papi commissionarono opere d'arte naturalistiche (ad esempio il Giudizio Universale della cappella sistina), perché non le legavano direttamente e in modo forte alla liturgia che sentivano come una cosa "a parte". In fondo esse erano uno sfondo, un "tappeto" sul quale appoggiare i loro piedi. Ma così facendo, non si avvedettero che il mondo (o la visione mondana dell'artista attraverso il quadro) iniziò ad entrare nel tempio. La variazione della religione non è cosa che può avvenire velocemente, soprattutto in quei tempi. Certamente ha bisogno di lunghi tempi di preparazione. Attraverso questa "formula", l'arte naturalistica, si stabilì, intanto un'attitudine, un modo di fare.
RispondiEliminaVerso la musica la Chiesa fu più severa, è vero, tanto che Palestrina faticò e non poco per mostrare l'utilità sacra della polifonia. Ma già nel XIX secolo la situazione tornò a degenerare: sembrava che il virtuosismo dell'artista fosse il centro, non il mistero liturgico che si celebrava. Pio X cercò di riportare le cose al loro posto. Il movimento liturgico, ai suoi inizi, era ottimo: nasceva nei monasteri e aveva fini spirituali ed elevanti. Poi deviò la sua marcia, nel momento in cui i fini da spirituali divennero "pastorali" dentro la cui parola si mise effettivamente di tutto, sociologismo buonista incluso. Oggi gran parte della liturgia cattolica è come quella statua di Giovanni Paolo II dinnanzi alla stazione Termini di Roma (che la dice lunga su quello stesso papa): un gran colosso ma vuoto dentro!
Paradosi
MARNUDOLBO ha detto: "Spesso mi sono ritrovato a riflettere sulle immagini di Madonne ben lontane dall'effondere quell'atmosfera di sacro e di puro come avrebbero dovuto essere!"
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Osserva ad esempio la "Madonna del cardellino" di Raffaello. Quadro importantissimo, senza dubbio. Tuttavia qui è l' "impero" del naturalismo. Non si avverte alcuna percezione soprannaturale e la calma di questa Madonna, alla fine, è inquietante.
Le liturgie cattoliche odierne ricreano atmosfere identiche. Sono rappacificanti, evitano condanne, contrasti. Scelgono modi simpatici, umanamante accoglienti. Dietro l'umana simpatia però non si cela più quella pregnante sensazione verticale che distingueva la Messa di un tempo. E non è certo una questione di solo latino.....
Beh che dire sono d'accordo,
RispondiElimina"Credo che tali cose non siano dei puri accidenti ininfluenti sulla sostanza".
Ma quando una cosa cambia la sua natura cambia anche l'essere questo però non è possibile nella Chiesa dobbiamo credere che siano proprio accidenti altrimenti è come se le porte dell'inferno avrebbero prevalso sulla Chiesa.
CVCRCI
Caro Stettino,
RispondiEliminaun corpo può ammalarsi e morire, fa parte della biologia. La Chiesa, nel suo lato umano, può corrompersi, laddove non è più sostenuta dalla grazia e divenire ramo secco, come dice Cristo. A quel punto, la linfa vitale non arriva più. Il ramo secco può anche avere il sembiante di un ramo vivo, in tutto e per tutto, ma sta di fatto che non nutre.
La Chiesa sussiste, allora, in quelle realtà in cui questa linfa scorre ancora. In questo senso "le porte non prevarranno".
C'è una bellissima lezione che offre san Massimo il Confessore, in questo senso.
Oramai la confusione sta arrivando fino in cima, anzi c'è già.
Questa confusione fa in modo, in altri luoghi, da permettere a qualche prete assolutamente senza cultura (ma con due dottorati pontifici), persona assolutamente immatura e non degna d'essere candidato all'episcopato. E lo faranno!
C'è realmente una forza oscura che si sta impossessando della Chiesa e la sta totalmente rovinando. Aspettiamo di vedere come andrà a finire....
Bene, appunto questo volevo affermare che la Chiesa come soggetto sta mutando ma non nell'oggetto che rimane Santo.
RispondiEliminaUna cortesia potrebbe dirmi quale testo di Massimo il confessore perchè mi interessa molto questo argomento.
CVCRCI
Ci si riferisce ad una lettera di Massimo il Confessore (Epistula ad Anastasium monachum discipulum. Testo edito da F. Combefis, PG 90, 132A-133A) per cui “La Chiesa cattolica è la retta e salvifica confessione della fede nel Dio dell’universo”. Per fare desistere il santo dalla sua convinzione di fede riguardo le due volontà in Cristo (l'oggetto del contendere era, infatti, l'eresia monotelita) gli viene detto che anche Roma oramai professava il monotelitismo ( = in Cristo esiste solo una volontà).
RispondiEliminaSe è vero che Roma professa con tutte le altre Chiese una fede eterodossa, allora, per Massimo, nessuna delle Chiese, tra i cinque patriarcati, può pretendere d’appartenere alla Chiesa cattolica e apostolica, identificarsi a lei ed essere veramente la Chiesa. Dunque, la Chiesa sulla terra non è presente che nella coscienza dei fedeli che professano ancora la fede ortodossa.
Vediamo, qui, che, per Massimo, non solo una Chiesa è la vera Chiesa perché confessa la fede ortodossa, ma ancora, come l’ha più volte affermato, che la vera comunione tra le Chiese, che fonda profondamente la loro unione e fa che siano tutte la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, non può essere fondata che sulla base della comune confessione della fede ortodossa.
È confessando questa medesima fede, che non professa più alcuna Chiesa, ma che assicura se stesso come i suoi fedeli compagni sulla continuità dell’esistenza della Chiesa, che Massimo, dopo essere stato giudicato una seconda volta, nel maggio-giugno 662 da un sinodo riunito a Costantinopoli , è condannato alla flagellazione e all’amputazione della lingua e della mano destra. In seguito verrà deportato nel paese di Lazes ed internato nella fortezza di Schemaris, su uno dei monti caucasici. Qi egli morì martire il sabato del 13 agosto 662.
PARADOSI
Grazie Davvero interessante io ho il libro di S. Massimo (ancora non letto) sull'umanità e divinità di Cristo potrebbe trovarsi lì?
RispondiElimina(Testo collana Patristica)
CVCRCI
No, purtroppo in queste cose non si trovano i testi pronti. Bisogna cercare la traduzione (se ce n'è una) in lingua italiana dell'Epistola al discepolo Anastasio, di Massimo il Confessore.
RispondiEliminaL'autore è, appunto, interessante perché al suo tempo resisteva solo la Chiesa di Roma all'innovazione eretica monotelita. Quando i bizantini cercano di convincere Massimo, in carcere, che pure il papa ha ceduto, lui all'inizio non ci crede. Poi immediatamente fa riferimento al concetto sopra espresso ossia, anche se tutto il mondo pare caduto, rimane pur sempre un piccolo resto. In quel piccolo resto si riconosce la Chiesa autentica. Oramai nei nostri tempi sarà sempre più così, purtroppo!
Paradosi
Evviva S.Massimo confessore! Onore e memoria a lui e grazie a chi l'ha evocato (Paradosi)
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