Dopo l'incontro del Papa in Germania con i rappresentanti ebrei, proponiamo un discorso di don Curzio Nitoglia che smaschera il cambio dottrinale sul rapporto Chiesa ebrei avvenuto durante il modernista Concilio Vaticano II... INCONTRO CON I RAPPRESENTANTI DELLA COMUNITÀ EBRAICA DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI Reichstag di Berlin Giovedì, 22 settembre 2011 Illustri Signore e Signori, cari amici! Sono sinceramente contento di questo incontro con Voi qui a Berlino. Ringrazio di cuore il Signor Presidente, Dr. Dieter Graumann, per le gentili parole, che fanno anche riflettere. Esse mi manifestano quanto sia cresciuta la fiducia tra il Popolo ebraico e la Chiesa cattolica, che hanno in comune una parte non irrilevante delle loro tradizioni fondamentali, come Lei ha sottolineato. Al tempo stesso, tutti noi sappiamo bene che una comunione amorevole e comprensiva tra Israele e la Chiesa, nel rispetto reciproco per l’essere dell’altro, deve ulteriormente crescere ed è da includere in modo profondo nell’annuncio della fede. Durante la mia visita nella Sinagoga di Colonia sei anni fa, il rabbino Teitelbaum parlò della memoria come di una delle colonne, di cui si ha bisogno per fondare su di esse un futuro pacifico. E oggi mi trovo in un luogo centrale della memoria, di una memoria spaventosa: da qui fu progettata ed organizzata la Shoah, l’eliminazione dei concittadini ebrei in Europa. Prima del terrore nazista in Germania viveva circa mezzo milione di ebrei, che costituivano una componente stabile della società tedesca. Dopo la seconda guerra mondiale, la Germania fu considerata come il “Paese della Shoah” in cui, in fondo, come ebreo, non si poteva più vivere. All’inizio quasi non c’era più alcun sforzo per rifondare le antiche comunità ebraiche, anche se dall’Est arrivavano continuamente persone singole e famiglie di ebrei. Molti di loro volevano emigrare e costruirsi una nuova esistenza, soprattutto negli Stati Uniti o in Israele. In questo luogo bisogna anche richiamare alla memoria il pogrom della “notte dei cristalli” dal 9 al 10 novembre 1938. Pochi percepirono tutta la portata di tale atto di umano disprezzo come lo percepì il prevosto del Duomo di Berlino, Bernhard Lichtenberg, che, dal pulpito della cattedrale di Sant’Edvige, gridò: “Fuori il Tempio è in fiamme – è anch’esso una casa di Dio”. Il regime di terrore del nazionalsocialismo si fondava su un mito razzista, di cui faceva parte il rifiuto del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, del Dio di Gesù Cristo e delle persone credenti in Lui. L’“onnipotente” Adolf Hitler, era questo un idolo pagano, che voleva porsi come sostituto del Dio biblico, Creatore e Padre di tutti gli uomini. Con il rifiuto del rispetto per questo Dio unico si perde sempre anche il rispetto per la dignità dell’uomo. Di che cosa sia capace l’uomo che rifiuta Dio e quale volto possa assumere un popolo nel “no” a tale Dio, l’hanno rivelato le orribili immagini provenienti dai campi di concentramento alla fine della guerra. Di fronte a questa memoria vi è da constatare, con gratitudine, che da qualche decennio si manifesta un nuovo sviluppo circa il quale si può addirittura parlare di una rifioritura della vita ebraica in Germania. È da sottolineare che in questo tempo la comunità ebraica si è resa benemerita in modo particolare nell’opera di integrazione di immigrati esteuropei. Con gratitudine vorrei accennare anche al dialogo tra la Chiesa cattolica e l’Ebraismo, un dialogo che si sta approfondendo. La Chiesa sente una grande vicinanza al Popolo ebraico. Con la Dichiarazione Nostra aetatedel Concilio Vaticano II si è cominciato a “percorrere un cammino irrevocabile di dialogo, di fraternità e di amicizia” (cfr Discorso nella Sinagoga di Roma, 17 gennaio 2010). Ciò vale per l’intera Chiesa cattolica, nella quale il beato Papa Giovanni Paolo II si è impegnato in modo particolarmente intenso a favore di questo nuovo cammino. Ciò vale ovviamente anche per la Chiesa cattolica in Germania che è ben consapevole della sua responsabilità particolare in questa materia. Nell’ambito pubblico si nota soprattutto la “Settimana della fraternità” che viene organizzata ogni anno nella prima settimana di marzo dalle associazioni locali per la collaborazione cristiano-ebraica. Da parte cattolica ci sono inoltre incontri annuali tra Vescovi e Rabbini, come anche colloqui strutturati con il Consiglio centrale degli ebrei. Già negli anni Settanta, il Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi (ZdK) si è distinto con la fondazione di un forum “Ebrei e Cristiani”, che nel corso degli anni ha prodotto, in modo competente, molti documenti utili. E non vorrei neppure trascurare poi lo storico incontro per il dialogo ebreo-cristiano [tenuto in Germania] del marzo 2006, con la partecipazione del Cardinale Walter Kasper. Questa collaborazione porta frutto. Accanto a queste importanti iniziative mi sembra che noi cristiani dobbiamo anche renderci sempre più conto della nostra affinità interiore con l’Ebraismo, di cui Lei ha parlato. Per i cristiani non può esserci una frattura nell’evento salvifico. La salvezza viene, appunto, dai Giudei (cfr Gv 4,22). Laddove il conflitto di Gesù con il Giudaismo del suo tempo è visto in modo superficiale, come un distacco dall’Antica Alleanza, si finisce per ridurlo a un’idea di liberazione che interpreta in modo erroneo la Torà, soltanto come osservanza servile di riti e prescrizioni esteriori. Di fatto, però, il Discorso della montagna non abolisce la Legge mosaica, ma svela le sue possibilità nascoste e fa emergere nuove esigenze; ci rimanda al fondamento più profondo dell’agire umano, al cuore, dove l’uomo sceglie tra il puro e l’impuro, dove si sviluppano fede, speranza e amore. Il messaggio di speranza, che i libri della Bibbia ebraica e dell’Antico Testamento cristiano trasmettono, è stato assimilato e sviluppato da giudei e da cristiani in modo diverso. “Dopo secoli di contrapposizione, riconosciamo come nostro compito il far sì che questi due modi della nuova lettura degli scritti biblici – quella cristiana e quella giudaica – entrino in dialogo tra loro, per comprendere rettamente la volontà e la parola di Dio” (Gesù di Nazaret. Seconda Parte: Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, p. 45). In una società sempre più secolarizzata, questo dialogo deve rinforzare la comune speranza in Dio. Senza tale speranza la società perde la sua umanità. Tutto sommato possiamo constatare che lo scambio tra la Chiesa cattolica e l’Ebraismo in Germania ha già portato frutti promettenti. Sono cresciuti rapporti durevoli e fiduciosi. Certamente ebrei e cristiani hanno una responsabilità comune per lo sviluppo della società, la quale possiede sempre anche una dimensione religiosa. Possano tutti gli interessati continuare insieme questo cammino. Per questo l’Unico e l’Onnipotente – Ha Kadosch Baruch Hu – doni la sua Benedizione. Vi ringrazio. © Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana d. CURZIO NITOGLIA 24 settembre 2011 |
● Il nuovo rapporto tra giudaismo e cristianesimo, secondo Nathan Ben Horim (Nuovi orizzonti tra ebrei e cristiani, Padova, Messaggero, 2011), ex ministro all’Ambasciata d’Israele in Italia incaricato dei rapporti con la S. Sede dal 1980 al 1986, è dovuto «a tre eventi: la shoah[1], la nascita dello Stato d’Israele e il concilio Vaticano II» (ibidem, p. 11). Infatti la shoah impone riflessioni storiche, politiche e morali di enorme portata, alle quali nessuno – nemmeno la Chiesa – può sottrarsi. Dalla shoah (1942-45) è nato lo Stato d’Israele (1948), che ha soprattutto un significato etnico ed anche normativo-religioso per l’ebraismo. Da queste riflessioni storiche, morali, politiche, etnico-religiose (dacché il giudaismo è un popolo o stirpe che si riconosce in una certa pratica etica o religiosità[2]) è nato il concilio Vaticano II (1962-65), che «segna una svolta epocale nella storia della Chiesa cattolica[3]. […] Uno dei mutamenti più significativi del Concilio ha riguardato il rapporto con gli ebrei, […] “che rimangono ancora carissimi a Dio”» (ivi). ● Il diplomatico israeliano ammette che «il cambiamento, nella visione cristiana degli ebrei, non sarebbe mai avvenuto se non ci fossero state la shoah e la nascita dello Stato d’Israele» (ibidem, p. 12). Egli definisce il giudaismo col trinomio “Torah, Popolo, Terra” (ib., p. 107). Poi cita il maître à penser di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Martin Buber: “Terra e Popolo, predestinati l’una all’altro per realizzare assieme il regno del Signore in questo mondo” (ib., p. 108). Il diplomatico israeliano ci spiega che i maestri del Talmud cercarono subito dopo la distruzione del Tempio di salvare Israele affermando che “la residenza in Terra d’Israele equivale all’osservanza di tutti i comandamenti della Torah: chi vi risiede ha parte al mondo futuro [che non è l’aldilà, ma questo mondo nell’avvenire], chi la lascia somiglia a chi non ha Dio” (ib., p. 111). ● Il problema del Concilio è sostanzialmente legato alla giudaizzazione del cristianesimo (Nostra aetate, 28 ottobre 1965) ed è indissolubilmente legato a quello della shoah e del sionismo. Chi non vuole ammetterlo o è incapace di vedere la realtà o non vuole ammetterla, poiché non gli fa comodo. Dopo Nostra aetate sono venuti altri Documenti post-conciliari sui rapporti ebraismo-cristianesimo. Il primo è Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione della Dichiarazione ‘Nostra aetate’ n. 4 (1° dicembre 1974). Esso è assai significativo ed esplicita la Dichiarazione Nostra aetate. Infatti gli Orientamenti esortano a studiare l’ebraismo post-biblico a partire da come gli ebrei odierni si auto-definiscono, ossia secondo la letteratura talmudica e post-biblica (ibid., p. 14). Inoltre gli Orientamenti esplicitano, dopo circa 8 anni, l’affermazione conciliare - ancora molto sfumata ed imprecisa - secondo cui l’Alleanza tra Dio e popolo ebraico “permane” (ivi) e da essa i Sussidi per una corretta presentazione degli ebrei e dell’ebraismo (26 giugno 1985), dopo altri 10 anni, esplicitano la portata non solamente spirituale o religiosa dell’ebraismo attuale, ma soprattutto “etnico-religioso-culturale, con una sua storia legata ad una Terra precisa” (ib., p. 15) ossia “la questione della Terra e dello Stato d’Israele” (ib., p. 44), la quale ha portato, 8 anni dopo, al Concordato della S. Sede con Israele (30 dicembre 1993, iniziato formalmente e giuridicamente il 29 luglio 1992[4]), che “era la conclusione logica del cammino cominciato circa trent’anni prima con Nostra aetate, n. 4” (ib., p. 44). In breve l’ebraismo attuale è l’appartenenza etnica ad un popolo, schiatta o “razza”, che può o meno comportare una certa religiosità o meglio moralità o pratica spirituale, ma che ha come elemento principale ed essenziale il legame di sangue tra ebrei e storico-geografico con la Terra Santa, poi Palestina ed oggi Stato d’Israele. Questo è l’ebraismo odierno e post-biblico. Per cui non si può parlare di esso riferendosi solo all’aspetto religioso, che è del tutto contingente nel giudaismo (può esservi o no, non modifica essenzialmente, ma solo accidentalmente, l’ebraismo), ma bisogna mettere in luce l’unità etnica o razziale e il legame che tale popolo pretende di avere ancora oggi dopo 2000 anni con la Terra dei propri padri, la Terra Santa, la Giudea, poi Syria-Palestina ed oggi Stato d’Israele. «Trattandosi di ebraismo è praticamente impossibile tracciare una separazione netta e assoluta fra il livello interreligioso e quello dei rapporti politici con lo Stato d’Israele» (ib., p. 43). ● Chiedere il “beneficio di un ragionevole dubbio” sul piano di sterminio di sei milioni di ebrei europei tramite camere a gas e forni crematori da parte del III Reich germanico, chiedere delle prove chimico-fisiche, archivistiche su di esso (senza negarlo aprioristicamente), significa ipso facto bestemmiare, mettere in discussione la realtà dello Stato di Israele ed il cambiamento rivoluzionario della teologia sull’ebraismo come è stata esposta da Nostra aetate. Il “caso Williamson” è incomprensibile se non si conosce l’ebraismo post-cristiano o post-biblico nella sua interezza: un popolo che ha una Terra datagli da Dio in perpetuo. È incomprensibile se non lo si legge alla luce del “caso Krah” (v. articolo su Krah apparso in questo sito), analogo a quello tentato da Jules Isaac con Bea e Roncalli prima dell’inizio del Vaticano II. Quindi il popolo ebraico è il solo e legittimo padrone della Palestina, è ancora in “Alleanza “ con Dio, non è stato sostituito dal cristianesimo. Se per 2000 anni ha abbandonato la Palestina, tuttavia ha mantenuto il diritto di proprietà su di essa, datogli in eredità perpetua e inalienabile da Dio e l’avvenimento che gli ha fatto prendere coscienza di ciò è stata la shoah, la quale ha mutato anche la mentalità dei cristiani ed ha portato a Nostra aetate, che verrebbe meno qualora cadesse il mito dell’olocausto e dello Stato d’Israele come regno perpetuo del popolo ebraico. ● Accettare il Concilio (alla luce della Tradizione o meno, purché lo si accetti, è in fondo una questione pratico-pratica, ultimamente priva di spessore dottrinale[5]), tuttavia equivale ad accettare l’Alleanza permanente tra Dio e l’ebraismo odierno, l’unicità etnico-razziale del popolo ebraico (per cui si è ebreo solo se si è figli di madre ebrea e nipoti di nonna materna ebrea[6] e non se si pratica la religiosità ebraica), lo Stato d’Israele (che implicitamente vorrebbe smentire la profezia di Cristo sulla distruzione del Regno d’Israele[7]) ed accettare l’evento che ha fatto prendere coscienza di tutto ciò sia agli ebrei, che si stavano assimilando nel XVIII secolo coll’Illuminismo al mondo cristiano o laico europeo, sia ai cristiani che si erano separati dalla “Sinagoga di satana” (Apoc., II, 9) coll’insegnamento del Nuovo Testamento, interpretato unanimemente dai Padri ecclesiastici e dal Magistero costante della Chiesa sino a Pio XII[8]. L’ebraismo, attuale “Padrone di questo mondo” domanda a tutti di riconoscere la shoah, la permanenza della sua Alleanza con Dio e il diritto di dominio sulla Terra Santa (1900 a. C. con Abramo sino alla distruzione del Tempio 70 d. C.), poi (dal 70 al 1948) Syria-Palestina, che oggi (dal 15 maggio 1948) viene ingiustamente chiamata Stato d’Israele. ● L’ambasciatore Ben Horim racchiude in un sillogismo l’inconciliabilità tra dottrina cattolica tradizionale e quella pastorale del Vaticano II. «L’esilio dopo la distruzione di Gerusalemme era stato interpretato dal cristianesimo come il castigo e la prova del rigetto. Il ritorno a Sion costituiva […] una provocazione per la teologia cristiana […]. Ora, Nostra aetate, cancellando l’accusa di deicidio e affermando la validità perenne delle promesse di Dio [Antica Alleanza] con le sue implicazioni, dovrebbe avere rimosso definitivamente l’ostacolo teologico. Quindi, la promessa della Terra [d’Israele] e il ricongiungimento del popolo [ebraico] con essa non dovrebbero essere escluse» (ib., p. 67). ● È per questo che parlando di ebraismo bisogna tenere presente l’elemento etnico, di “sangue e suolo”, di un popolo che possiede in perpetuo una Terra, che è in perpetua Alleanza con “Dio” (anche se non ci crede, infatti il sionismo è un movimento laicista ed agnostico o a-religioso se non addirittura ateo). I cristiani hanno ribaltato la loro visione pre-conciliare dell’ebraismo, che aveva rifiutato Cristo Messia e Dio e che era stato abbandonato da Dio, il quale aveva eretto una Nuova ed Eterna Alleanza con tutti (pagani ed ebrei fedeli a Cristo). Per cui il giudaismo era stato scacciato dalla sua Patria, distrutta nel 70 e rasa totalmente al suolo nel 135 da Roma. Questa rivoluzione per diamentrum dei rapporti ebraico-cristiani è stata iniziata dal concilio Vaticano II con Nostra aetate (28 ottobre 1965) ed è approdata 28 anni dopo al riconoscimento dello Stato d’Israele da parte di papa Giovanni Paolo II (30 dicembre 1993), alla luce della shoah (1943-45). Shoah, Alleanza permanente di Dio col popolo d’Israele e Stato ebraico formano un tutt’uno, se si toglie uno solo di questi tre tasselli si nega tutto l’ebraismo attuale, nel suo desiderio di dominio del mondo, quale popolo eletto, “regale e sacerdotale”, “olocaustizzato”, ma “risorto” e “padrone di questo mondo” assieme alla sua creatura: l’americanismo[9], che gli ha dato la potenza bellica per terrorizzare chiunque osi “dubitare”. ● L’ebraismo si auto-presenta in primo luogo come popolo, poi come Stato e tutto ciò alla luce della shoah, che gli ha fatto ritrovare la sua identità, la quale stava per essere smarrita con l’assimilazione durante l’Illuminismo. Il Vaticano II e il post-concilio (Orientamenti, 1° dicembre 1974; Sussidi, 26 giugno 1985; Concordato tra S. Sede e Israele, 30 dicembre 1993) hanno recepito la lezione del rabbinismo farisaico e scomunicano chiunque metta in forse anche uno solo di questi tre “dogmi laici” (v. “caso Williamson”, che non è stato capito in tutta la sua potenziale gravità e pericolosità religiosa, politica, sociale e “terroristico-penale”). Quindi accettare il concilio Vaticano II (anche alla luce della Tradizione, che non è quella apostolica, la quale lo condanna, ma quella falsa, spuria ed infera di Lucifero e del serpente dell’Eden), significa accettare il giudaismo talmudico, che è la contraddizione del cristianesimo fondato da Gesù su Pietro (unità e Trinità di Dio, divinità di Cristo, Nuova ed eterna Alleanza con tutti i popoli che credono in Gesù vero Dio e vero uomo e nella SS. Trinità, che ha rimpiazzato la Vecchia Alleanza perfezionandola nel Sangue di Cristo). ● Horim stesso riporta la convinzione che quasi tutti i cristiani hanno, ma che nessuno osa dire, mentre è espressa esplicitamente dai “Fratelli maggiori”: «La dottrina tradizionale [è un dogma di Fede] extra Ecclesiam nulla salus è in contrasto con il discorso del papa [Giovanni Paolo II] agli ‘esperti cattolici per l’ebraismo’, nel quale parlava della possibilità per ebrei e cristiani di raggiungere per vie diverse, ma finalmente convergenti [le “convergenze parallele” di Aldo Moro], una vera fraternità della riconciliazione» (ib., p. 59). Ecco qui smentita autorevolmente l’ermeneutica della continuità dai nostri “Fratelli maggiori nella Fede” (Giovanni Paolo II, 1986) o “Padri nella Fede” (Benedetto XVI, 2011). Egli poi cita la frase di Giovanni Paolo II a Magonza nel 1980 sull’«Antica Alleanza mai revocata» e conclude che “tali parole implicherebbero la coesistenza di due Alleanze valide” (ib., p. 60). Ma allora il Figlio a che pro si è Incarnato ed è morto in Croce per la salvezza di tutti gli uomini e non solo di una razza, se vi è un’Alleanza ancora in piedi che garantisce la salvezza di chi ne fa parte? ● È interessante - per concludere - quanto dice l’Autore sulla reciprocità dei rapporti ecumenici ebraico cristiani. Vale a dire: se il cristianesimo si è giudaizzato, col Vaticano II, anche l’ebraismo dovrebbe cristianizzarsi (p. 76). Egli risponde nettamente che l’argomento vale solo a senso unico, ossia per i cristiani verso l’ebraismo, mentre non è assolutamente applicabile per gli ebrei verso il cristianesimo. Infatti 1°) il cristianesimo ha fatto soffrire il giudaismo sino alla shoah, mentre mai il giudaismo ha perseguitato il cristianesimo. Al che si risponde facilmente citando i Vangeli e gli Atti degli Apostoli, i quali rivelano divinamente la persecuzione continua del giudaismo contro Gesù, gli Apostoli e i primi Discepoli cristiani. Inoltre la storia ha dimostrato ampiamente che le persecuzioni attuate dalla Roma pagana contro i cristiani vennero aizzate dal giudaismo (v. Umberto Benigni [+ 1934], Marta Sordi [+ 2010] ed Ilaria Ramelli, autori citati in articoli comparsi su questo sito). 2°) Il cristianesimo è nato dal giudaismo, mentre il giudaismo non deve nulla al cristianesimo. Anche qui la risposta è sin troppo semplice. Il cristianesimo è nato da Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, che hanno decretato ab aeterno l’Incarnazione del Verbo nel seno della Vergine Maria. Ciò è rivelato nell’Antico Testamento (dalla Genesi sino ai Maccabei). Per cui l’Antico Testamento era tutto relativo al Nuovo Testamento e a Gesù Cristo. Onde Mosè e i Profeti annunziarono Cristo venturo, che fu rigettato dal ‘falso Israele’ ed accolto dal ‘vero Israele’, ossia da coloro che fedeli allo spirito dell’Antico Testamento hanno accolto il Messia Gesù Cristo venuto, una “piccola reliquia d’Israele” (San Paolo) alla quale si è unito il resto del genere umano (i Pagani). Il giudaismo attuale è il ‘falso Israele’ fedele alla lettera della Torah, ora la “lettera uccide mentre è lo spirito che vivifica” (San Paolo). Quindi il cristianesimo non ha ricevuto nulla di positivo dal giudaismo post-biblico o attuale, mentre il giudaismo mosaico o vetero-testamentario è relativo ed ordinato totalmente al cristianesimo senza il quale non ha ragion d’essere. Per cui il giudaismo odierno si trova oggettivamente in uno stato di errore e di accecamento, avendo rifiutato il Messia e l’Unico Salvatore del mondo e deve convertirsi a Cristo. La posizione giudaico-cristiana (sia da parte del Vaticano II, sia da parte ebraico-talmudica) è completamente capovolta e distorta, in rottura per diametrum e non in continuità con le ‘Fonti della Rivelazione’. Ma l’Autore persevera nell’indurimento di cuore e nell’accecamento della mente dei suoi antenati, asserendo: «Non c’è nell’ebraismo alcun elemento costitutivo della sua natura, che esiga un confronto col cristianesimo. […]. Pertanto attese cristiane riguardo la possibilità di cambiamenti teologici significativi nell’ebraismo saranno inevitabilmente deluse» (ib., p. 77). L’invocazione “Il suo Sangue ricada su di noi e sui nostri figli” continua a riecheggiare sulla bocca degli ebre talmudisti. ● Recentemente un caso pratico di ‘monologo’ analogo è scoppiato il 7 luglio del 2011 tra il card. Kurt Koch e il rabbino Riccardo Di Segni. Infatti il cardinale aveva scritto su L’Osservatore Romano (7 luglio 2011) che «La Croce di Gesù è il permanente ed universale Yom Kippur […] per ebrei e cristiani». Ma siccome già l’8 ottobre 2008 il rabbino Di Segni su L’Osservatore Romano aveva spiegato che la festa dello Yom Kippur [perdono] ebraico esprime le “differenze inconciliabili tra i due mondi” ebraico e cristiano e che l’ebraismo avendo il Kippur “non ha bisogno della salvezza dal peccato proposta dalla Fede cristiana”, ha risposto di nuovo sempre su L’Osservatore Romano al cardinal Koch il 29 luglio 2011: “Se i termini del discorso sono quelli di indicare agli ebrei il cammino della croce, non si capisce il perché di un dialogo e il perché di Assisi”[10]. Il cardinale allora ha rispolverato la neo-dottrina conciliare scrivendo che per il cristianesimo «L’Alleanza di Dio con il popolo d’Israele ha una validità permanente e [anche] la fede nella redenzione universale in Gesù Cristo». Quel che non si riesce a capire è come Gesù possa essere Salvatore universale se l’ebraismo permane in Alleanza con Dio. Clericalmente e rabbinicamente si potrebbe dire che Gesù è Salvatore di tutti… i non-ebrei. ● Il problema di Cristo e del cristianesimo per l’ebraismo non esiste. Non è un ‘dialogo’ (discorso tra due parti), ma un ‘monologo’ del solo Israele, che vorrebbe indottrinare sub specie boni il cristianesimo e vi riesce con gli attuali prelati postconciliari, accecati ed induriti di cuore. Questo è un “mistero d’iniquità”. È l’analogo rischio che corre il mondo tradizionalista attuale nel “dialogo” col neo-modernismo, il quale si risolve in un ‘monologo’ sotto apparenza di bontà e dolcezza facendolo passare abilmente per ‘dialogo’, ma col fine di assorbimento e di cedimento dell’antimodernismo alle novità conciliari e post-conciliari. È rivelatrice la frase di Ben Horim quando scrive: «Non è la questione della verità [che conta], ma se c’è un pathos comune [un sentimento, una passione]. La questione suprema è se siamo vivi o morti alle aspettative del ‘Dio vivente’. […]. Spetta a noi, ebrei e cristiani, lasciando alle spalle conflitti e rivalità, affrontare assieme le sfide del nostro tempo» (ib., p. 78). ● Il 16 settembre 2011 - secondo il rabbino Levi Brackman - alcuni gruppi ebraici specialmente statunitensi (Abraham Foxman Direttore dell’ADL del B’nai B’rith e il rabbino David Rosen dell’American Jewish Committee) “hanno espresso la loro preoccupazione che il Vaticano potrebbe rimettere in discussione 40 anni di progressi nelle relazioni ebraico-cattoliche”[11]. Essi quindi avvertono che Nostra aetate, 4 e Lumen gentium, 16 (“i doni di Dio [Antica Alleanza] sono irrevocabili”) “non possono essere messi in discussione e lasciati al libero dibattito”. Se così non fosse il dialogo ebraico-cristiano cesserebbe. Dubito seriamente che Benedetto XVI sia tentato di rivedere 40 anni di teologia giudaizzante, della quale è stato un pioniere sin da giovane studente tedesco toccato dalla “tragedia abissale” della shoah. Questo lo ha sempre chiaramente detto, scritto ed anche fatto (nei vari incontri ecumenici nella sinagoghe del mondo). Spero che da parte del mondo legato alla Tradizione non si voglia capitolare su tutto. Tuttavia la premessa pro-shoah del 2009 ed anti-revisionista (durante il “caso Williamson) lascia qualche perplessità, poiché shoah, sionismo e Nostra aetate fanno un tutt’uno. Parvus error in principio magnus est in fine? Speriamo di no, almeno in questo caso. Sarebbe veramente una “catastrofe” (in ebraico “shoah”). ● Agire assieme, conoscersi da vicino, interloquire è la stessa vecchia tattica del neo-comunismo verso i ‘cristiani adulti’, che li faceva agire assieme ad esso, per renderli simili a sé. Agere seguitur esse, si agisce come si è. Ora se agisco assieme al comunismo, parto da una posizione tendenzialmente simile ad esso e pian piano divengo inevitabilmente eguale ad esso; se agisco assieme al giudaismo odierno, poco alla volta giudaizzo e - Dio non voglia - se agisco assieme al neo-modernismo, immancabilmente divengo neo-modernista, prima almeno praticamente (i ‘neo-modernisti anonimi’) e poi anche speculativamente. Il primato della prassi sulla teoresi è un caposaldo del talmudismo, del comunismo e del modernismo. Caveamus! Latet in erba anguis. “Bisogna agire come si pensa, altrimenti si giunge a pensare come si agisce”. d. CURZIO NITOGLIA 24 settembre 2011 [1] «Senza l’avvelenamento degli spiriti cristiani attraverso i secoli, l’Olocausto sarebbe stato impensabile» (Nathan Ben Horim, Nuovi orizzonti…, p. 51). Come si vede la shoah per l’ebraismo odierno ha una valenza teologica ben precisa, essa è figlia della dottrina cattolica rivelata e definita da San Pietro sino a Pio XII. Accettarla significa rinnegare implicitamente la dottrina cattolica di Tradizione apostolica. [2] «Una fede religiosa legata ad una Terra specifica» (Nathan Ben Horim, Nuovi orizzonti…, p. 70). [3] L’Autore parla addirittura di «carattere rivoluzionario dell’inversione di rotta [di Nostra aetate, n. 4]» (Nathan Ben Horim, Nuovi orizzonti…, p. 73). [4] Giovanni Paolo II nella ‘Lettera apostolica’ Redemptionis anno del Venerdì Santo dell’aprile 1984 ha nominato esplicitamente e formalmente primo tra tutti i Pontefici “lo Stato d’Israele” cfr Nathan Ben Horim, Nuovi orizzonti…, p. 92. [5] Mons. Brunero Gherardini ha cercato con vari libri di alto spessore teologico di porre il problema dottrinale se vi sia, realmente e non solo verbalmente, continuità tra insegnamento pastorale del concilio Vaticano II e la Tradizione apostolica. Cfr. B. Gherardini Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009; Id., Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010; Id.,Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011; Id., Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011. .Ma alcuni ‘portaborse’ o ‘faccendieri’ del mondo ecclesiale hanno ridotto il tutto ad uno scambio pratico-pratico di merci, un do ut des. [6] “Mater semper certa, pater numquam”, spiegava l’ex rabbino capo di Roma Elio Toaff. (E. Toaff, Essere ebreo, Milano, Bompiani, 1997). [7] La quale rimane in piedi in tutto il suo vigore, poiché Israele non ha più il Tempio, il Sacerdozio e non è un Regno pacifico, ma si trova da 50 anni in una guerra cruenta ed interminabile, che non riesce a vincere malgrado la sproporzione degli armamenti, coi Palestinesi (cristiani ed islamici), i quali abitano da 2000 anni la Terra Santa. Attenzione! non bisogna dimenticarlo vi sono Palestinesi cristiani e cattolici-romani. Palestinese non è sinonimo di musulmano. [8] «L’ultimo Concilio della Chiesa che si era occupato dell’ebraismo fu quello di Basilea nel 1431. Questo Concilio decretò il divieto per gli ebrei di avere contatti con i cristiani, essi dovevano essere esclusi dai pubblici uffici, costretti a portare un segno distintivo sulle vesti […]. Istituito da Concilio Lateranense IV nel 1215» (Nathan Ben Horim, Nuovi orizzonti…, p. 50 e 52). L’ultima Enciclica pontificia che ha parlato di deicidio del popolo ebraico è la Mit brennender Sorge di Pio XI (14 marzo 1937), la quale insegna formalmente che “Il Verbo avrebbe preso carne da un popolo che poi Lo avrebbe confitto in Croce”. Ora, a partire da queste citazioni di due Concili dogmatici e del Magistero ordinario e autentico pontificio, che coprono un lasso di tempo di duecento (1215-1431) ed altri cinquecento anni (1431-1937) di insegnamento ininterrotto. Dove sia la “ermeneutica della continuità” tra Magistero tradizionale e quello pastorale del Vaticano II non si riesce a capire. Essa è un ente puramente logico, che esiste solo nella mente dei “neomodernisti & neoconservatori” e non è un ente reale, che esiste nella realtà oggettiva ed extra mentale. Tale ermeneutica è simile all’Araba fenice, “che vi sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa!”. [9] «In ambito ‘cristiano’ non cattolico, esiste un robusto filone ‘sionistico’ che propone una lettura teologica dello Stato d’Israele. A quest’ambito vanno ascritti alcuni movimento protestanti americani, non privi d’influsso sulla vita politica statunitense durante la presidenza Bush jr. in particolare, ci si riferisce al ‘Dispensazionalismo’ evangelico, che predilige l’Alleanza terrena [di Dio] con Israele più di quella spirituale con la Chiesa, e, prospetta il compimento letterale delle promesse davidiche a favore d’Israele» (Nathan Ben Horim, Nuovi orizzonti…, cit., p. 22). Si noti come i teoconservatori italiani (specialmente “Alleanza Cattolica” e “Lepanto Foundation” - maestri in “entrismo” - pilotati dalla ‘TFP’ brasiliana, stiano cercando di infiltrare le dottrine teoconservatrici, filo-sioniste e americaniste in ambienti tradizionali, che sino ad oggi hanno saputo resistere al flagello del neo-modernismo, per portarli al compromesso con la “cloaca di tutte le eresie”, come San Pio X definì il modernismo nell’Enciclica Pascendi dell’8 settembre 1907. [10] Si moltiplicano affannosi dibattiti per quadrare il cerchio e spiegare che Assisi III non è in rottura con la Tradizione apostolica. Viva la faccia della sincerità da parte ebraica; invece i cristiani son dovuti diventare “falsi” per “conciliare l’inconciliabile”. Nefas est ab hinimicis discere veritatem! È chiaro che l’ebraismo non vede Assisi III in un’ottica di apostolato missionario, ma sincretisticamente e tutto ciò è confermato dall’insegnamento conciliare e post-conciliare sui rapporti tra cristianesimo ed ebraismo. De ore tuo te judico serve nequam! |
martedì 27 settembre 2011
DALLA SHOAH A NOSTRA AETATE SINO ALLO STATO D’ISRAELE...
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Caro Don Curzio! Caro Gianluca ! Quali sforzi per evidenziare la verità in questi tempi difficili e pieni di compromessi per annacquare gli insegnamenti di Cristo e dei Vangeli! Quanti leggeranno e capiranno?Grazie a voi per quanto viene scritto per aprire gli occhi degli accecati o dei miopi! Mardunolbo
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