giovedì 25 febbraio 2016
Dov'è questa Ortodossia?...
Mentre le armi russe strepitanti sulle spiagge del Danubio tentano
aprire ai trionfi della loro Chiesa le vaste regioni d'Oriente, un
libretto scritto in lingua russa e tradotto in, francese da un certo
Alessandro Popovitski [1], come Parola della pretesa ortodossia
Moscovita al Cattolicismo Romano, sembra tentare le frontiere
dell'Occidente per prepararvisi conquiste pacifiche. Un libro anonimo
ambasciador senza missione di una Chiesa che non è una,
può egli meritare qualche attenzione?
Non è chi non sappia
come corrispondessero i Patriarchi orientali allorchè dopo tanti
altri tentativi la carità inalterabile del regnante Pontefice
fece, come buon pastore, i primi passi per ricuperare le pecorelle
smarrite [2]. Dopo aver ricevuto
tali prove di cotesto spirito di
conciliazione, come potrebbe la Romana Chiesa cattolica
prendere per sinceri questi anonimi inviti alla pace in nome di quei
medesimi che la ricusarono?
Se l'Innominato è veramente interprete della Chiesa Orientale,
se la Chiesa Orientale è veramente in tal disposizione, ci mostri
prima le credenziali di questa, ci mostri dov'ella è, ciò
ch'ella crede, l'organo per cui parla. Tutto questo è notissimo
nella Chiesa Romana, la quale parla per organo del Pontefice, pubblica
l'unità di sue dottrine nei simboli e professioni di fede, ed
insegna e governa dovunque è un Vescovo devoto alla Cattedra di
Pietro. Ma la Chiesa Orientale dov'è, a Pietroburgo o a Mosca, a
Costantinopoli o ad Atene, ad Alessandria o ad Antiochia? Accetta le
dottrine medesime, la stessa disciplina, la legge, i sacramenti
medesimi per ogni dove? Parla per bocca dello Czar, dei Patriarchi, o
del Sinodo? Il sig. Popovitski, il quale pensa che la costituzione
della sua Chiesa è ignota ai teologi occidentali al par delle
steppe ove si è confinata [3],
avrebbe dovuto rispondere a tutti questi quesiti, perchè
sapessimo d'onde muove l'invito (caro e dolce invito se fosse
sincero!) di conciliazione e di pace.
A dir vero l'Anon. sembra asserire che il centro della sua Chiesa
è il concilio Ecumenico, poichè invoca il concilio tenuto in
Costantinopoli contro Fozio, per dimostrare che la Chiesa si
regge per governo sinodale [4].
Ma quest'autorità intermittente, come ben la dice la Revue
des deux mondes, può ella dare unità alla Chiesa [5]? Supposto poi anche, che possa
darla, dov'è più la Chiesa Orientale dopo l'ottavo concilio
Ecumenico, se mai più non fu veduta riunita in generale adunanza
[6], trattone i Concilii lionese e
fiorentino ch'ella accettò sulle prime, ed oggi ricusa? Sarebbe
anzi possibile il riunirla, sminuzzata come ella è in altrettante
Chiese, quante ne sono le Nazioni [7]?
Anzi l'Anonimo stesso non
confessa egli che ormai un tal Governo è finito [8]? — Vero è ch'egli ne chiama in colpa
l'ambizione del Pontefice
Nicolò e la scandalosa anarchia del clero Romano [9]: accusa invero un po' strana, quando si pensa
che in questa Chiesa ove l'ambizione e l'anarchia cagionarono
l'abolizione del governo sinodale, ancor si tennero e si riveriscono
dopo l'ottavo altri dieci sinodi ecumenici; laddove la Chiesa
Orientale, senza ambizione di Papi
e senz'anarchia, mai
più non riuscì a raggranellarne pur uno. Ma infine qualunque
ne sia la causa è certo il fatto, e l'Anonimo lo confessa, che la
Chiesa Orientale non ha per centro di unità il sinodo, almeno da
nove o dieci secoli.
Or dunque, torniamo a domandare, chi è, e dov'è questo
personaggio, questa unica Chiesa Orientale, che ha incaricato
l'Anonimo di recarci la parola di
sua ortodossia? Rispondere che questa Chiesa è il
complesso di tutte le Chiese d'Oriente, sarebbe un personificare le
astrazioni, e darci per una
Società la moltiplicità di molte
frazioni. L'unità di una Chiesa, dice autor non sospetto il
protestante Guizot [10], altro
non è che l'unità di coloro che abbracciano la Verità;
la qual verità essendo essenzialmente una ed universale, una
parimente ed universale tende a formare la società che la
professa. Ed essendo proprio della verità governare tutte le
intelligenze e, mediante queste, tutte le operazioni dell'uomo or
individuato or sociale; la società riunita nel vero tende
essenzialmente a governare con quel vero tutto il genere umano. E
poichè ogni società ha bisogno di un Governo, anche alla
società religiosa è necessaria la unità di un Governo.
La Chiesa dunque, prosiegue in sentenza il Guizot, vien costituita
necessariamente da un tutto, 1.° di dottrine che l'uomo vuol
conoscere per ispiegare a sè stesso la propria natura; 2.°
di precetti corrispondenti a queste dottrine, di cui spiegano la
morale; 3,° di promesse che la morale sanciscono con la speranza
di un felice avvenire; e tutto ciò sotto la direzione di una
autorità visibile. Ecco ciò che intendiamo per unità
religiosa, ecco ciò che l'Anon. avrebbe dovuto mostrarci nella
sua Chiesa Orientale; affinchè sapessimo chi lo abbia mandato, e
chi ci inviti a conciliazione e concordia.
Ma tutto ciò noi lo cercammo indarno nella Parola
ortodossa, la quale, assunto gratuitamente il suo titolo nel
frontespizio, come potrebbe assumerlo ogni uomo che parla e scrive,
discorre poscia con tutta la franchezza d'un plenipotenziario, per non
dire, con tutta l'acerbità d'un censore.
Privi così di ogni speranza per parte di lui, interrogammo fra i
viaggiatori d'Oriente due recentissimi Anglicani iti per l'appunto a
pellegrinare colà in cerca dell'unità religiosa. Ma
ohimè! i tentativi recenti del Patterson e del Palmer ci hanno
vie meglio confermati, l'unità della Chiesa Orientale essere un
ente di ragione e nulla più. Qual fu infatti l'esito dei loro
pellegrinaggi intrapresi con tanta lealtà di buona fede, e con
tanta fiducia di rinvenire la vera unità della Chiesa?
Il primo ne rende conto nel giornale del suo viaggio in Egitto,
Siria, Palestina e Grecia [11];
e scrivendo dal Cairo si mostra ben poco soddisfatto della unità
dei Greci orientali. «La Chiesa Russa, dic'egli, è governata
da un Sinodo di Vescovi sotto la direzione dell'Imperatore, e senza
appello a Costantinopoli... La sede bizantina erasi opposta alla
nomina del Patriarca presente del Cairo, tenuto per intruso da molti
dei Greci [12].... Il Vescovo
d'Atene è presidente di un Sinodo subordinato al Ministro dei
culti, la cui intera indipendenza venne riconosciuta dal Patriarca di
Costantinopoli con rescritto del Settembre 1850; e la condizione di
questa Chiesa è tale, al dire del dott. Waddington (continua il
Patterson) che il Governo laico, se stabilisce un sistema accorto di
educazione, s'impadronirà ben presto di tutti i poteri
ecclesiastici». Or una Chiesa dipendente in Russia dallo Czar, in
Grecia dal Ministro dei culti, in Costantinopoli e nelle altre Sedi
patriarcali dal Sultano e dai Patriarchi rispettivi, qual può
lasciarci speranza di vera e costante unità [13]?
La risposta la troviamo nell'opera del Palmer, di cui un estratto
scritto da un Russo della illustre famiglia Gagarin può vedersi
nell'Univers del 24 Aprile
1853. «I Russi e i Greci, dic'egli, discordano in quistioni di
somma importanza. Invalido è pei Greci il battesimo conferito da
un eretico o anche solo da un laico, invalido parimente se vi manchi
la triplice immersione: si ribattezzano dunque in Costantinopoli e
cattolici e protestanti se abbraccino lo scisma. Laddove a Pietroburgo
valido è tenuto negli uni e negli altri il battesimo, onde e
protestanti e cattolici che passano allo scisma, vengono ammessi senza
più alla partecipazione di tutti gli altri sacramenti. Di che il
Palmer inferisce contro i Greci Bizantini, restar essi uniti di
comunione con una Chiesa che agli occhi loro è composta in gran
parte di non battezzati, incapaci per conseguenza di ricevere tutti
gli altri sacramenti; e poter quindi accadere, bizzarra combinazione!
che un protestante ricusato dalla comunione bizantina come non
battezzato, facciasi accettare in Russia senz'altro battesimo; e passi
poscia non solo alla comunione, ma perfino all'episcopato in quella
medesima Chiesa Bizantina che lo riprovò come infedele
finchè non viaggiò per la Russia. In conclusione dunque i
due pellegrini anglicani nulla hanno chiarito nella nostra quistione,
e dopo l'incomodo di sì lunghi viaggi si trovano allo stesso
punto ove noi fummo lasciati dal nostro Anonimo.
Or vedete, disdetta! Non possiamo sapere dov'è questa Chiesa
Orientale che ha pronunziata la parola dell'ortodossia: e più se
ne va in traccia, più siamo costretti a riconoscere che ella
è una pura astrazione, un puro ente
di
ragione. Cionondimeno poichè non vogliamo dismettere
ogni speranza di vedere un giorno tornato al sen materno della Chiesa
quei traviati, poichè se non altro l'errore vantando
un'autorità senza prove e una imparzialità senza effetti,
può far gabbo ai lettori; carità e prudenza ci suggeriscono
una risposta sì per togliere ogni pretesto all'ostinazione
dell'errore, sì per cautelare la buona fede dei credenti.
Tutta la sostanza di quest'opuscolo è rinchiusa, può
dirsi, nelle prime pagine, non essendo il rimanente che una
ripetizione delle solite accuse per lo più futili e puerili
intorno a riti, ad usanze, ed esercizii di pietà, che vengono
censurati dai Greci nella Chiesa cattolica; alle quali accuse
basterebbero per risposta le opere inedite recentemente pubblicate del
Conte Giuseppe De Maistre [14]
e il libro anonimo di un ex-consigliere di Stato di Russia, di cui
darem poscia un breve sunto [15].
Epilogheremo qui dunque in pochi periodi quelle prime pagine,
affinchè i nostri lettori abbiano sott'occhio proposto dalla Parola dell'ortodossia moscovita
lo stato della quistione: poscia nei successivi articoli andremo
svolgendo quei punti che ai nostri lettori potranno, a parer nostro,
riuscire più cari, or sia per l'importanza delle dottrine, or per
la varietà degli argomenti. E prima di tutto porremo in chiaro la
differenza che passa fra la morta immobilità della Chiesa
scismatica, e la progressiva immortalità della Chiesa cattolica.
Al qual proposito gioverà l'accompagnare in un secondo articolo
il nostro Anon. nei viaggi de' suoi missionarii per apprezzarne le
imprese, e alle tombe de' suoi martiri per veder come verdeggino le
loro palme e corone. Mostrerem poscia brevemente, quanto sia
straniero, nelle opere dei nostri autori (non volendolo giudicare
sleale nel disconoscerle), chi osa accusare i Latini di avere scansata
la quistione storica per trincerarsi nelle teorie. Il 4.°
articolo darà ai lettori alcuni cenni sopra lo stato della Chiesa
Russa tratti dal citato opuscolo persécutions
et souffrances. Toccheremo negli ultimi due la questione
importantissima dei Luoghi Santi, donde si è originata o almeno
ha tolto il pretesto la tremenda guerra che fa oggidì palpitare
tutte le Potenze europee. [I tre articoli intitolati I
luoghi Santi (VI, VII ed VIII della serie) non sono del P.
Taparelli ma di un altro autore, tuttavia non indicato nell'Indice
generale
della Civiltà Cattolica (aprile 1850-decembre 1903,
compilato da Giuseppe del Chiaro Segretario della Direzione, Roma
1904). N.d.R.]
Ben veggono i nostri lettori che la materia non può essere
nè più importante per la gravità, nè più
dilettevole per la varietà, nè più opportuna pel tempo.
Rifacciamoci dunque dal principio, ed esponiamo in breve il piano
d'attacco seguito dall'A. nella sua parte principale.
«Solo dalla conquista di Costantinopoli pei Latini nel
1204 furono spezzati dalla spada de' Crociati gli ultimi legami fra
le due Chiese già molto allentati per Fozio e Michele
Cerulario. Da quell'epoca, trascurando i fatti e i concilii sempre
favorevoli all'Oriente, ma non accessibili senza studii profondi, i
Latini trincerandosi nelle teorie circoscrissero la quistione fra le
due Chiese alla pretesa Monarchia di Roma, sistema illegale e
contrario alle leggi della vera Chiesa universale, appoggiato alle
false decretali d'Isidoro, e proposto nella sua pienezza soltanto al
secolo XVI dal Card. Bellarmino.
«L'errore di tal sistema consiste nell'aver trasformato
il primato d'onore sugli altri quattro Patriarchi, conceduto a Roma
dai concilii come ad antica capitale dell'universo pagano, in una
sovranità del Papa su tutta la Chiesa. Che il Papa fosse
Patriarca dell'Occidente, niuno può nè vuole negarlo: ma
tale egli era al titolo stesso che nelle rispettive loro
giurisdizioni i Patriarchi di Costantinopoli, d'Alessandria,
d'Antiochia e di Gerusalemme: il primo dei quali per decreto pure
dei Concilii, come Vescovo della nuova Roma, centro delle riunioni
ecclesiastiche ove assisterono gl'Imperatori, ebbe pure il diritto
di presedere sopra i suoi colleghi di Oriente. Eran dunque tutti
uguali i Patriarchi, tutti poteano dirsi ugualmente Vicarii di G.
C., senz'altro privilegio che della presidenza derivato dalla
importanza della città; dalla quale importanza nacque eziandio
la superiorità del Patriarca Alessandrino sull'Antiocheno. Ma i
Papi non contenti del primato di onore e del titolo di successore di
S. Pietro (meglio direbbesi dei SS. Pietro e Paolo che consacrarono
unitamente primo Vescovo di Roma S. Lino), si arrogarono il titolo
esclusivo di Vicarii di G. C., di Vescovi universali; e invece di
riconoscersi i primi tra i fratelli, vollero divenirne i Capi,
d'onde la grazia del sacerdozio negli altri si trasfonde:
cotalchè niuno senza di essi può essere Vescovo, nè
hanno validità o infallibilità o diritto di legare o
sciogliere senza la loro conferma, gli stessi Concilii generali. La
Chiesa Romana divenne in tal guisa una vera monarchia, mentre la
Chiesa Cattolica era stata dal Redentore istituita sotto forma
federale: i Romani, spinsero la lor pervicacia nel sostenere
l'autocrazia papale fino a pretendere, che, chi non riconosce il
Papa per capo della Chiesa, si esclude da sè medesimo dall'arca
di salvezza.»
Così in sostanza il primo paragrafo, la cui sentenza vien
poscia dimostrata dall'A. sotto due aspetti, vale a dire 1.°
ricorrendo alla tradizione per dimostrare che il Vescovo di Roma mai
non ebbe superiorità di giurisdizione sugli altri Patriarchi;
2.° presentandoci un ritratto della Chiesa Orientale presente,
somigliantissima, com'egli dice, alla Chiesa del V secolo; laddove la
Chiesa Occidentale, introdotte col primato pontificio mille altre
novità, ha perdute le antiche fattezze, allontanandosi
volontariamente dalla regola dei Concilii ed ergendo in dogmi le sue
innovazioni [16] (pag. 62).
Se nell'invocare la
tradizione l'A. avesse disseppelliti con uno sforzo di critica, fatti
e documenti novelli, lo seguiremmo negli ipogei dei secoli trapassati
per verificarne le scoperte. Ma poichè egli stesso ci avverte che
lungi dallo scoprir nuovi fatti, neppur pretende ripetere tutto il
già detto; ma solo citerà pochi degli argomenti antichi,
estraendone alcuni dall'opera del dott. Allies ex-ministro anglicano [17]; ognun vede che ci dobbiam
contentare ancor noi di citare le risposte già date mille volte
dai Latini, e specialmente quelle del med. Allies, già divenuto
cattolico, per mostrare all'A., che questi non hanno mai cercato di
eludere, com'egli dice, per mancanza d'erudizione gli argomenti
storici.
Prima per altro d'intraprendere questo lavoro da copista, stimiam
necessario entrare nello spirito di chi scrisse questa Parola
Orientale, affine di fargli comprendere, s'egli per sorte ci leggesse,
dove stia veramente il fondo o il nodo del dibattimento, e d'onde
muova precisamente l'accusa degli Orientali contro la Chiesa romana.
Teniam per sicuro che l'A. ignora egli stesso questa segreta radice
dei suoi pregiudizii, mentre rimprovera ai Latini di volere
perpetuamente evitare i fatti per risalire alla teoria [18]. Qual meraviglia, che non volendo udir parlare
di teoria, egli ignori anche quella da cui muove senza avvedersene?
Voglia per altro o non voglia, ogni questione presuppone
necessariamente una teoria; giacchè una serie di fatti
spicciolati, non collegati da verun principio, darebbe mai una
conclusione? No certamente. L'A. dunque presuppone senza dimostrarlo
un principio; e il suo principio è questo «quella
sola
Chiesa
è vera e legittima che dura perpetuamente la stessa, e in
questa perpetua immobilità consiste l'unità e
perpetuità della Chiesa». Presupposto un tal
principio da lui nè proposto, nè dimostrato, si comprende
benissimo, che tragga innanzi con una serie di fatti più o meno
alterati, coi quali pretende provare, che la Chiesa Orientale è
oggi la medesima che ai tempi antichi: da tal medesimezza inferisce
che la Chiesa Orientale è una;
e poichè nella Comunione romana non ravvisa l'immobilità
medesima, ne conclude naturalmente che questa ha traviato, e che ha
eretto in dogmi le sue novità [19].
A questa serie di fatti e di conseguenze, se si toglie l'appoggio di
quel principio, chi non vede che riesce insussistente e perde ogni
legame?
Voglia dunque o non voglia l'A. anch'egli è costretto, come i
latini di ricorrere alle teorie: con questa sola differenza che i
Latini sono conscii a sè medesimi dei principii su cui si
appoggiano, e ne recano la dimostrazione ai loro avversarii; l'Anonimo
all'opposto, o la Parola
dell'ortodossia orientale, non conosce forse i principii su
cui si appoggia, o li assume come assiomi senza dimostrarli.
Noi per altro che non possiamo contentarci di tanto, ci prenderemo la
libertà di esaminare il principio prima di ribattere i fatti a
cui viene applicato, e forse basterà questo esame per isciogliere
in gran parte, agli occhi almeno delle persone che discorrono, le
obbiezioni proposteci dalla Parola
Orientale.
Orsù dunque, è egli innegabile che sola
vera e legittima è quella Chiesa la quale serbasi perpetuamente
la medesima? Se dall'ignoto A. potessimo ottenere una
risposta, domanderemmo in prima, che cosa intende per serbarsi
la medesima? Ma poichè da chi si nasconde non può
sperarsi risposta, osserveremo noi stessi, esservi due
medesimezze; l'una che conviene agli esseri inanimati,
l'altra che conviene ai viventi. Gli esseri inanimati, quali sarebbero
una rupe o una statua, allora si conservano i medesimi quando con
rigida immutabilità serbano per secoli la stessa forma: e tali
sono per cagion d'esempio i capilavori della scultura greca, l'Ercole
Farnese, il Laocoonte, la Venere dei Medici, l'Apollo di Belvedere;
cui chi vuol dimostrare non alterati dee provare che loro non fu
aggiunta nè tolta una briciola alla materia e alle fattezze con
che uscirono di mano all'artefice. L'altra medesimezza è degli
esseri viventi e molto più dei morali, i quali allora si dicono i
medesimi quando quel principio di vita che sortirono nascendo lo
svolgono senza alterarlo, procedendo con regolata operazione secondo
la natura lor propria verso la perfezione. E in tal senso diciamo una
medesima persona il bambino che si svolge in fanciullo, che cresce in
adulto, che ingagliardisce nella virilità, che nella vecchiaia si
accascia; un medesimo il popolo che collegato da un diritto primitivo
in pubblica società, svolge quel diritto nelle successive sue
leggi, secondo che gl'incrementi e le vicende a cui ogni vivente
è soggetto, rendono necessarie novelle applicazioni del diritto e
delle relazioni antiche.
Il nostro orientale Innominato che avversa le teorie, poco uso ai
concetti intellettuali e morali, sembra non avere pur sospettato
questa seconda medesimezza, consono in questo come in altri punti alla
materialità di quei protestanti e giansenisti, che per ottenere
la perfezione nella Chiesa vorrebbono ricondurla precisamente,
rigidamente alle condizioni materiali chi del V, chi del IV, del III,
del II secolo. Il che vale appunto come il voler tornare alle fattezze
di fanciullo un uomo robusto, affinchè possa dirsi quel medesimo
che nacque dal sen materno.
Pieno il nostro anonimo di questo concetto, è naturalissimo che
accusi (pag. 7) il sistema
della Chiesa Romana come contrario alle tradizioni della Chiesa
primitiva; e che all'opposto, per dimostrare una essersi serbata
costantemente la Chiesa Orientale, si appigli a tutti quei tratti di
materiale somiglianza, per cui ella sembragli rappresentare agli occhi
del corpo la stessa fisonomia [= fisionomia N.d.R.]. Scorrete il libretto e
troverete a pag. 15 un fatto rilevante,
ed è che l'ordine gerarchico stabilito in Efeso e in Calcedonia
è mantenuto scrupolosamente fin oggi, perchè la piccola
isola di Cipro, affrancata allora dalla sedia di Antiochia, serbasi
tutt'ora indipendente, mentre la Anatolia e l'isola di Creta
rimangono, come furono, subordinate al Patriarca di Costantinopoli [20].
Con ugual fedeltà si osserva, dic'egli poco dopo, il dritto di
appellazione alla Sede di Costantinopoli (il che, a dir vero, non
sappiamo come si accordi colla indipendenza conceduta alla Chiesa
degli Elleni, della Servia [= Serbia
N.d.R.], del Montenegro, della
Georgia, della Russia, come l'A. medesimo riferisce a pag. 35: ma
ciò poco monta al proposito presente, che è di mettere in
chiaro la materialità dei concetti del nostro anonimo in punto di
unità e perpetuità,
e non di confutarne gli errori storici). Proseguiamo la lettura, e
vedremo, l'A. (pag. 22)
ammirar nella sua Chiesa la fisonomia dei primi
e più bei secoli, perchè anche nel settimo Concilio
ecumenico la costituzione della Chiesa governata sinodalmente e le
parole materiali del simbolo si conservano perfettamente le stesse: e
le stesse ancora nel Concilio che condannò Fozio, ove
intervennero i cinque Patriarchi.
«D'allora in poi, prosiegue l'A., l'ordine
conciliare del Governo cessò nella Chiesa per colpa dei
Pontefici ambiziosi e dei disordini del Clero Romano: e ne
cita in conferma (grandi autorità in vero!) il Maimbourg e il
Fleury (pag. 23). Ma la
Chiesa Orientale conservatasi costantemente la stessa, rimase
scandolezzata al Concilio di Firenze, quando il Papa volle ammettere i
Vescovi al bacio del piede, come Vicario di Cristo, ed introdurre nel
simbolo la parola Filioque,
(pag. 24).» Se invece di farsi baciare il piede, si fosse
contentato di un bacio in fronte; se invece d'aggiunger la parola nel
simbolo si fosse contentato di aggiungerla in una professione di fede;
chi sa? la faccenda forse si sarebbe aggiustata, giacchè la
fisonomia
orientale sarebbe rimasta la medesima.
Ognuno sa come andò a finire quel solenne tentativo di riunione:
«la Chiesa Orientale continuò, dice l'A., a ricusare la
supremazia illegittima di Roma, e a mantenere la sua gagliarda
costituzione sinodale, governata da molti Patriarchi e sinodi
indipendenti (p. 26). Si
ricordino i Romani, soggiunge, che se essi posseggono una Cattedra
apostolica ove siede il successore dei SS. Apostoli Pietro e Paolo,
due noi ne possediamo fondate da S. Pietro ed altre molte fondate da
altri Apostoli (sembra che l'anonimo calcoli il valore
dell'autorità, come il negoziante calcola il valor della borsa,
tanto più grave quanto più conta ghinee): si ricordino che
l'uffizio divino si celebra in Oriente nella lingua appunto del
Vangelo e delle Epistole (non sappiamo come questo si accordi con gli
uffizii in lingua slava di
cui l'A. si vanta a pag. 45): che l'Oriente ha conservato tutti i riti
dei secoli primitivi, tutti i dogmi, tutti i canoni dell'antica Chiesa
(pag. 26 e 27): che
l'Oriente continua a radunare i quattro suoi Patriarchi per deliberare
delle quistioni dogmatiche (pag.
32); (vorremmo sapere quanti concilii generali hanno adunati dopo la
loro separazione da Roma? se si contentano di adunar Patriarchi,
confessino che la loro disciplina è cambiata) che nel nominare i
Patriarchi si rispettano tuttora i canoni ecumenici e le regole
gerarchiche non ostante l'oppressione in cui geme; nè la Chiesa
riconosce altra autorità, che quella dei canoni ammessi fino al
settimo Concilio ecumenico, eccettuandone solo qualche articolo
complementario (chi sa se tra gli art. complementarii non potrebbe
trovarsi la negazione anche di qualche dogma di fede, del Purgatorio
per es., di cui si nega dogmaticamente l'esistenza, mentre si afferma
praticamente riscotendo le propine e i suffragi [riscuotendo
cioè danaro per i suffragi, N.d.R.],
come fra poco vedremo? [21] (pag. 33). Ed ecco perchè
quando i Sinodi orientali si riuniscono, ognuno è colpito della
perfetta somiglianza che hanno cogli antichi per l'identità di
disciplina, di gerarchia, di lingua e di paramenti sacerdotali. A dir
vero dobbiam confessar con dolore, che se le elezioni degli altri
Patriarchi sono rigorosamente canoniche, quella di Costantinopoli
dipende pur troppo dall'arbitrio del Sultano [22];
ciò non ostante possiam consolarci, perchè anche questi
Patriarchi vengono nominati per via di Sinodo e continuano a ricevere
il baston pastorale dall'antico Metropolitano di Bizanzio, il Vescovo
di Eraclea. Un tale spettacolo, conclude con un epifonema che ha del
comico, un tale spettacolo non è egli consolante per l'ortodossia
(pag. 34) [23]?»
Abbiam voluto spigolare qua e colà i precipui tratti di
somiglianza che formano pel nostro A. questo spettacolo
consolante, senza troppo esaminare la verità delle
asserzioni, solo per far conoscere in quali puerilità faccia egli
consistere l'identità e la unità della Chiesa. Aggiungasi a
questa materialità di somiglianze ammirata dall'Anonimo, il
panegirico ch'egli tesse all'Oriente perchè non ha le messe
così brevi, nè celebra come i Latini i suoi vesperi dietro
l'altare, nè suona l'organo in chiesa o il campanello alla
elevazione, nè asconde il penitente in un confessionale; nè
battezza per aspersione, nè abbandona il cadavere prima della
sepoltura: e si vedrà viemeglio se abbiano ragione i Latini
quando accusano gli scismatici di scambiare l'immobilità con la
fermezza abbandonando lo spirito dell'antica Chiesa per serbarne le
materiali fattezze. A parere di costui la legittima operazione d'una
Chiesa consiste, non già nel dare liberamente ai fedeli quei
pastori e quelle norme, che li guidino alla salvezza eterna, ma nel
far passare per la trafila del Concilio, e nel modellare ad uno stampo
antico e coprire cogli antichi paramenti sacerdotali quel giogo che
gli viene imposto dagl'infedeli. Faccia il Poter laicale tutto
ciò che gli piace; innalzi per es. alla Cattedra di Bizanzio il
Patriarca Antimo, poi ne lo rimuova, poi torni ad introdurlo, come
recentemente ha fatto; i Greci si rassegneranno umilmente a questa
nuova foggia d'istituzione canonica per parte del Sultano; e
finchè manda il bastone per mano del Vescovo d'Eraclea, intima i
comandi per organo dei Concilii, e lascia ai Vescovi i piviali e le
mitre del IX secolo, la loro Chiesa non cambia, e la loro unità
è sicura.
Non invidieremo all'ignoto A. di questo libello nè la
identità della sua Chiesa, nè la materialità della sua
filosofia. Si consoli egli pure collo spettacolo
che lo colpisce nella perfetta somiglianza dei suoi piviali
moderni cogli antichi; ma ci permetta di attenerci per la nostra
unità a quella teoria dei Latini ch'egli tanto paventa e di cui
passiamo adesso a rendergli ragione. Per noi l'unità e
perpetuità della Chiesa non consiste nè nei piviali, nè
nei pastorali; anzi neppure nella verbale immutabilità dei
simboli e delle formole: la quale se oggi dovesse farisaicamente
rispettarsi avrebbe dovuto rispettarsi fin dal principio; e un tal
rispetto non avrebbe dovuto permettere l'introduzione di nuovi
simboli, dopo il primo dettato dagli Apostoli. Eppure i Greci hanno
consentito ai nuovi simboli di Nicea, di Atanasio, di Costantinopoli,
alle formole dell' ὁμοούσιον
e del Θεοτόκος,
alle mutazioni delle giurisdizioni per cui certe Chiese sono passate
dall'obbedienza di Costantinopoli a quella di Pietroburgo, d'Atene o
simili.
Se queste innovazioni furono legittime perchè determinate
sinodalmente; se le stesse riforme ispirate dal protestantesimo a
Pietro il Grande (pag. 36)
son divenute legittime perchè furono consentite dai Patriarchi di
Oriente; non veggiamo per qual motivo l'immobilità debba
prendersi per unità identica, o perchè si voglia togliere al
Sinodo di Firenze o al Tridentino (pag.
26) quell'autorità che competeva all'Efesino e al Calcedonese; ed
i Greci ci sembrano evidentemente innovatori nella disciplina della
Chiesa quando ricusano ai Sinodi recenti l'autorità che
riconobbero nei Sinodi antichi.
Basterebbe questa loro incoerenza per mostrare quanto sia più
una e costante e ragionevole la Chiesa Latina, o piuttosto la Chiesa
Cattolico-Romana, la quale ha sempre continuato a svolgere con
l'autorità medesima quei principii di fede, di morale, di
organizzazione, la cui semente venne a lei confidata dal divino suo
Istitutore, non già perchè la seppellisse involta in un
sudario, ma perchè coltivandola la facesse fruttificare. Quando
dunque la Chiesa Cattolico-Romana introduce coll'autorità dei
concilii ecumenici quelle mutazioni di disciplina e quelle professioni
di fede che i tempi richieggono; lungi, dal discostarsi dalla
disciplina antica, la siegue anzi tenacemente facendo nei secoli
recenti quello che a tempo loro faceano i Padri di Nicea, di
Calcedonia, di Efeso e di Costantinopoli.
Così certo, la pensarono ne1 secolo IV il gran Dottore S. Ilario
e poco dopo il dottissimo Lirinese: «Novitates
vocum, sed profanas, devitare iubet Apostolus: tu cur pias excludis?
quum presertim ab eo dictum sit: omnis scriptura divinitus inspirata
utilis est. Innascibilem scriptum numquam legis: numquid ex hoc
negandum erit, quia novum est? Decernis similem Patri Filium.
Evangelia non praedicant; quid est quod non refugis hanc vocem? In
uno novitas eligitur, in alio submovetur. Ubi impietatis occasio,
novitas admittitur: ubi autem religionis maxima
et sola cautela est,
excluditur». Così il santo Dottore (Hilar. libr.
adv. Constant. Imper. Num. 16). [«L'Apostolo comanda
bensì di evitare i termini nuovi, ma profani (1 Tim. VI, 20): e
perché escludi quelli pii, dato che egli ha detto
espressamente: Tutta la
Scrittura divinamente ispirata è utile (2 Tim. III,
16)? Non vi leggi da nessuna parte il termine innascibile:
e sarà forse da rigettarsi, perchè è nuovo? Affermi
che il Figlio è simile al Padre; ma i Vangeli non lo dicono
espressamente: e perché allora non respingi anche questa
espressione? In un caso si sceglie la novità, in un altro si
scarta. Quando si dà occasione d'empietà, la novità
è ammessa; quando invece
in essa consiste la massima e l'unica difesa della religione,
è esclusa.» Traduzione: C.S.A.B.
N.d.R.]
Udiamo
adesso il Lirinese (N.°23): «Sed
forsitan dicit aliquis: nullusne ergo in Ecclesia Christi profectus
habebitur religionis? Habeatur plane et maximus. Nam quis ille est
tam invidus hominibus, tam exosus Deo qui istud prohibere conetur?
Sed ita tamen ut vere profectus sit ille fidei, non permutatio.
Siquidem ad profectum pertinet ut in semetipsum unaquaeque res
amplificetur; ad permutationem vero ut aliquid ex alio in aliud
transvertatur. Crescat igitur oportet et multum vehementerque
proficiat tam singulorum quam omnium, tam unius hominis quam totius
Ecclesiae, aetatum ac saeculorum gradibus intelligentia, sapientia,
scientia, sed in suo dumtaxat genere, in eodem scilicet dogmate
eodem sensu eademque sententia. Imitetur animarum religio rationem
corporum, quae licet annorum processu numeros suos evolvant et
explicent, [eadem tamen, quae erant, permanent.] Multum interest
inter pueritiae florem, et senectutis maturitatem; sed iidem tamen
ipsi fiunt senes qui fuerant adolescentes, ut quamvis unius
eiusdemque hominis status habitusque mutetur, una tamen nihilominus
eademque natura, una eademque persona sit. Parva lactentium membra,
magna iuvenum; eadem ipsa sunt tamen. Quot parvulorum artus, tot
virorum; et si qua illa sunt quae aevi maturioris aetate pariuntur,
iam in seminis ratione proserta sunt; ut nihil novum postea
proferatur in senibus, quod non in pueris iam antea latitaverit.
Unde non dubium est hanc esse legitimam et rectam proficiendi
regulam, hunc ratum atque pulcherrimum crescendi ordinem, si eas
semper in grandioribus partes ac formas numerus detexat aetatis,
quas in parvulis Creatoris sapientia praeformaverat. Quod si humana
species in aliquam deinceps non sui generis vertatur effigiem, aut
certe addatur quippiam membrorum numero vel detrahatur, necesse est,
ut totum corpus vel intercidat, vel prodigiosum fiat, vel certe
debilitetur. Ita etiam christianae religionis dogma sequatur has
decet profectuum leges: ut annis scilicet consolidetur, dilatetur
tempore, sublimetur aetate; incorruptum tamen illibatumque
permaneat, et universis partium suarum mensuris cunctisque quasi
membris ac sensibus propriis plenum atque perfectum sit, quod nihil
praeterea permutationis admittat, nulla proprietatis dispendia,
nullam definitionis sustineat varietatem. Exempli gratia: Severunt
maiores nostri antiquitus in hac ecclesiastica segete triticeae
fidei semina; iniquum valde et incongruum est ut nos eorum posteri
pro germana veritate frumenti subdititium zizaniae legamus errorem.
Quin potius hoc rectum et consequens est ut, primis atque extremis
sibimet non discrepantibus, de incrementis triticeae inistitutionis,
triticei quoque dogmatis frugem demetamus; ut cum aliquid ex illis
seminum primordiis accessu temporis evolvatur et nunc laetetur et
excolatur, nihil tamen de germinis proprietate mutetur: addatur
licet species, forma, distinctio, eadem tamen cuiusque generis
natura permaneat.... Christi vero Ecclesia sedula et cauta
depositorum apud se dogmatum custos nihil in his unquam permutat,
nihil minuit, nihil addit, non amputat necessaria, non apponit
superflua, non amittit sua, non usurpat aliena; sed omni industria
hoc unum studet ut omnia fideliter, sapienterque tractando, si qua
sunt illa antiquitus informata et inchoata, accuret et poliat, si
qua iam expressa et enucleata consolidet, firmet; si qua iam
confirmata et definita custodiat. Denique quid unquam aliud
conciliorum decretis enisa est ut quod antea simpliciter credebatur,
hoc idem postea diligentius crederetur, quod antea lentius
praedicabatur, hoc idem postea instantius praedicaretur, quod antea
securius colebatur, hoc idem postea sollicitius excoleretur? Hoc
inquam semper, nec quicquam praeterea. Haereticorum novitatibus
excitata conciliorum suorum decretis catholica perfecit Ecclesia, ut
quod prius a maioribus sola traditione susceperat, hoc deinde
posteris etiam per scripturae chirographum consignaret, magnam rerum
summam paucis literis comprehendendo, et plerumque propter
intelligentiae lucem, non novum fidei sensum novae appellationis
proprietate signando».
[«Ma
forse taluno dirà: Dunque nella Chiesa di Cristo nessun
avanzamento si avrà della Religione? Si abbia certo, e
grandissimo. Poichè chi è colui tanto inviso agli
uomini, tanto odioso a Dio, il quale si sforzi di proibirlo? Ma in
tal modo però che sia avanzamento vero della fede, non
mutamento. Certamente all'avanzamento è proprio che in
sè medesima qualunque cosa si amplii, mentre al mutamento
è proprio che qualcosa si trasformi in qualcos'altro. È
necessario dunque che cresca, e molto e veementemente si avanzi,
tanto degl'individui che di tutti, così d'un solo uomo come
di tutta la Chiesa, secondo i gradi delle età e dei secoli,
l'intelligenza, la scienza e la sapienza, ma nel suo genere
solamente, nel medesimo Domma perciò, nel medesimo senso,
nella medesima sentenza. La religione delle Anime imiti la ragione
de' corpi, i quali benchè coll'avanzare degli anni si
sviluppino e crescano, nondimeno rimangono gli stessi che erano.
Molto vi corre tra il fiore della puerizia e la maturità
della vecchiaia; ma a diventar vecchi sono quelli stessi che erano
stati fanciulli; talmentechè quantunque di uno e medesimo
uomo gli stati e gli abiti si mutino, una nondimeno e la medesima
sia la sua natura e la sua persona. Piccole le membra dei
lattanti, grandi quelle dei giovani; sono però le stesse in
entrambe le età. Quante le giunture dei bambini, tante quelle
degli uomini, e se qualcuna se ne forma nell'età più
matura, essa era di già preparata nella ragione del seme;
onde niente di nuovo in appresso si palesa nei vecchi, che
già prima non fosse nascosto nei bambini. Per cui non
v'è dubbio che sia questa la legittima e vera regola di
avanzamento, questo l'approvato, e bellissimo ordine di
accrescimento: se nei maggiorenni discopra sempre le medesime
parti e forme che la sapienza del Creatore aveva preformate
nei bambini. Che se poi l'umana specie si trasformi in altra
effigie di genere non suo, certamente è necessario o che
qualche cosa si aggiunga al numero delle membra, o che si tolga
via, cosicchè o tutto il corpo si guasti, o divenga
mostruoso, o certamente si debiliti: così anche è giusto
che il dogma della Cristiana Religione seguiti queste leggi
d'avanzamento, che certamente con gli anni si consolidi, col tempo
si dilati, con l'età si sublimi, ma rimanga incorrotto ed
illibato, e con tutte le misure delle sue parti, e sia pieno e
perfetto quasi in tutti i membri e sensi proprii, che non ammetta
inoltre cambiamento, danno nella proprietà, nè sopporti
varietà di definizione. Per esempio: seminarono i maggiori
nostri anticamente in questa ecclesiastica messe i semi del buon
grano della Fede. Molto iniqua cosa ed incongrua è che noi,
loro posteri, invece della sicura verità del frumento
raccogliamo il fraudolento errore della zizzania. Anzi che
piuttosto è giusto e conseguente che, non discordando fra
sè i semi e la messe, anche dall'accrescersi della triticea
istituzione facciamo la mietitura del buon grano del dogma,
acciocchè quando una qualche parte di quei semi
iniziali col passare del tempo si sviluppi, ed ora felicemente sia
accresciuta, niente però della proprietà de' germi si
muti. Benchè si aggiunga la bellezza, la forma, la
distinzione, rimanga nondimeno ferma la natura medesima di
ciaschedun genere. Non sia mai pertanto che quelle rosee piante
del senso cattolico si cambino in cardi e spine. Non sia mai,
dirò, che in questo spiritual Paradiso dai solchi di
cinnamomo e di balsamo provengano repentinamente loglio ed
aconito. Quanto dunque in quest'agricoltura della Chiesa di Dio
è stato piantato dalla fede de' Padri, questo stesso conviene
che sia coltivato ed osservato dall'industria de' figliuoli,
questo stesso fiorisca e maturi, questo stesso avanzi e sia
perfezionato. Giusto è dunque che gli antichi dogmi della
celeste filofofia col progresso del tempo siano ben preparati,
limati e politi; ma è delitto che siano mutati, delitto che
siano tronchi o mutilati. Prendano pure l'evidenza, la luce, la
distinzione; ma è necessario ritengano la pienezza,
l'integrità, la proprietà. (...) La Chiesa di Cristo
però sollecita e cauta custode dei Dogmi presso di lei
depositati, niente in essi mai cambia, niente scema, niente
aggiunge, non recide le cose necessarie, non aggiunge le
superflue, non tralascia le proprie, non usurpa le altrui, ma con
ogni industria in ciò solo si sforza, che cioè, tutte
trattandole fedelmente e sapientemente, se ve ne sono di
anticamente formate e incominciate, le curi e le polisca, se ve ne
sono di già espresse e dichiarate, le consolidi e confermi,
se ve ne sono di già confermate e definite, le custodisca.
Infine che altra cosa mai si è sforzata di fare con i decreti
dei Concilii, se non che ciò che prima semplicemente era
creduto, questo stesso dipoi fosse più diligentemente
creduto; ciò che prima più lentamente era predicato, lo
stesso dipoi fosse più instantemente predicato; ciò che
prima più sicuramente era venerato, lo stesso poi fosse
più sollecitamente coltivato? Ciò dirò sempre, non
altro. La Cattolica Chiesa, eccitata dalle novità degli
Eretici, perfezionò i decreti de' suoi Concilii,
affinchè ciò che prima aveva ricevuto dai suoi maggiori
per sola tradizione, questo stesso consegnasse ai posteri anche
col chirografo della scrittura, comprendendo in poche lettere gran
somma di cose, e il più delle volte per lume
dell'intelligenza, non esprimendo un novo senso di Fede con la
proprietà della nuova denominazione.»
N.B.: profectus, cioè avanzamento,
giovamento, dal verbo proficere,
si potrebbe tradurre progresso
se si potesse eliminare il nefasto sostrato ideologico
rivoluzionario di costante e
radicale innovazione eterogenea che tale termine porta
necessariamente con sè da alcuni secoli a questa parte. Meglio
dunque parlare di avanzamento
nell'unico senso di approfondimento.
N.d.R.] Così intendevano
nei primi secoli questi santi Dottori, ben diversamente dal
Greco-russo, l'unità della Chiesa, ferma nei suoi principii, ma
progressiva nelle inferenze, nelle formole, nelle applicazioni: ed
ella è molto più una e costante svolgendo in tal guisa i
principii con quella medesima autorità con cui li svolgeva
anticamente, di quel che sia la Chiesa Greca mantenendo i paramenti
sacri all'antica e interdicendosi frattanto l'uso degli antichi
diritti in materie dottrinali.
[CONTINUA]
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