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giovedì 25 febbraio 2016

Dov'è questa Ortodossia?...

Fonte: Progetto Barruel...
La Civiltà Cattolica anno V, serie II, vol. V, Roma 1854 pag. 167-185.

R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio d.C.d.G.

PAROLA DI UN CATTOLICO ROMANO IN RISPOSTA ALLA PAROLA DELL'ORTODOSSIA GRECO-RUSSA.

§. I.

Dov'è questa Ortodossia?

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Mentre le armi russe strepitanti sulle spiagge del Danubio tentano aprire ai trionfi della loro Chiesa le vaste regioni d'Oriente, un libretto scritto in lingua russa e tradotto in, francese da un certo Alessandro Popovitski [1], come Parola della pretesa ortodossia Moscovita al Cattolicismo Romano, sembra tentare le frontiere dell'Occidente per prepararvisi conquiste pacifiche. Un libro anonimo ambasciador senza missione di una Chiesa che non è una, può egli meritare qualche attenzione? 

Non è chi non sappia come corrispondessero i Patriarchi orientali allorchè dopo tanti altri tentativi la carità inalterabile del regnante Pontefice fece, come buon pastore, i primi passi per ricuperare le pecorelle smarrite [2]. Dopo aver ricevuto tali prove di cotesto spirito di conciliazione, come potrebbe la Romana Chiesa cattolica prendere per sinceri questi anonimi inviti alla pace in nome di quei medesimi che la ricusarono?
Se l'Innominato è veramente interprete della Chiesa Orientale, se la Chiesa Orientale è veramente in tal disposizione, ci mostri prima le credenziali di questa, ci mostri dov'ella è, ciò ch'ella crede, l'organo per cui parla. Tutto questo è notissimo nella Chiesa Romana, la quale parla per organo del Pontefice, pubblica l'unità di sue dottrine nei simboli e professioni di fede, ed insegna e governa dovunque è un Vescovo devoto alla Cattedra di Pietro. Ma la Chiesa Orientale dov'è, a Pietroburgo o a Mosca, a Costantinopoli o ad Atene, ad Alessandria o ad Antiochia? Accetta le dottrine medesime, la stessa disciplina, la legge, i sacramenti medesimi per ogni dove? Parla per bocca dello Czar, dei Patriarchi, o del Sinodo? Il sig. Popovitski, il quale pensa che la costituzione della sua Chiesa è ignota ai teologi occidentali al par delle steppe ove si è confinata [3], avrebbe dovuto rispondere a tutti questi quesiti, perchè sapessimo d'onde muove l'invito (caro e dolce invito se fosse sincero!) di conciliazione e di pace.
A dir vero l'Anon. sembra asserire che il centro della sua Chiesa è il concilio Ecumenico, poichè invoca il concilio tenuto in Costantinopoli contro Fozio, per dimostrare che la Chiesa si regge per governo sinodale [4]. Ma quest'autorità intermittente, come ben la dice la Revue des deux mondes, può ella dare unità alla Chiesa [5]? Supposto poi anche, che possa darla, dov'è più la Chiesa Orientale dopo l'ottavo concilio Ecumenico, se mai più non fu veduta riunita in generale adunanza [6], trattone i Concilii lionese e fiorentino ch'ella accettò sulle prime, ed oggi ricusa? Sarebbe anzi possibile il riunirla, sminuzzata come ella è in altrettante Chiese, quante ne sono le Nazioni [7]?
Anzi l'Anonimo stesso non confessa egli che ormai un tal Governo è finito [8]? — Vero è ch'egli ne chiama in colpa l'ambizione del Pontefice Nicolò e la scandalosa anarchia del clero Romano [9]: accusa invero un po' strana, quando si pensa che in questa Chiesa ove l'ambizione e l'anarchia cagionarono l'abolizione del governo sinodale, ancor si tennero e si riveriscono dopo l'ottavo altri dieci sinodi ecumenici; laddove la Chiesa Orientale, senza ambizione di Papi e senz'anarchia, mai più non riuscì a raggranellarne pur uno. Ma infine qualunque ne sia la causa è certo il fatto, e l'Anonimo lo confessa, che la Chiesa Orientale non ha per centro di unità il sinodo, almeno da nove o dieci secoli. 

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Or dunque, torniamo a domandare, chi è, e dov'è questo personaggio, questa unica Chiesa Orientale, che ha incaricato l'Anonimo di recarci la parola di sua ortodossia? Rispondere che questa Chiesa è il complesso di tutte le Chiese d'Oriente, sarebbe un personificare le astrazioni, e darci per una Società la moltiplicità di molte frazioni. L'unità di una Chiesa, dice autor non sospetto il protestante Guizot [10], altro non è che l'unità di coloro che abbracciano la Verità; la qual verità essendo essenzialmente una ed universale, una parimente ed universale tende a formare la società che la professa. Ed essendo proprio della verità governare tutte le intelligenze e, mediante queste, tutte le operazioni dell'uomo or individuato or sociale; la società riunita nel vero tende essenzialmente a governare con quel vero tutto il genere umano. E poichè ogni società ha bisogno di un Governo, anche alla società religiosa è necessaria la unità di un Governo. La Chiesa dunque, prosiegue in sentenza il Guizot, vien costituita necessariamente da un tutto, 1.° di dottrine che l'uomo vuol conoscere per ispiegare a sè stesso la propria natura; 2.° di precetti corrispondenti a queste dottrine, di cui spiegano la morale; 3,° di promesse che la morale sanciscono con la speranza di un felice avvenire; e tutto ciò sotto la direzione di una autorità visibile. Ecco ciò che intendiamo per unità religiosa, ecco ciò che l'Anon. avrebbe dovuto mostrarci nella sua Chiesa Orientale; affinchè sapessimo chi lo abbia mandato, e chi ci inviti a conciliazione e concordia.
Ma tutto ciò noi lo cercammo indarno nella Parola ortodossa, la quale, assunto gratuitamente il suo titolo nel frontespizio, come potrebbe assumerlo ogni uomo che parla e scrive, discorre poscia con tutta la franchezza d'un plenipotenziario, per non dire, con tutta l'acerbità d'un censore.
Privi così di ogni speranza per parte di lui, interrogammo fra i viaggiatori d'Oriente due recentissimi Anglicani iti per l'appunto a pellegrinare colà in cerca dell'unità religiosa. Ma ohimè! i tentativi recenti del Patterson e del Palmer ci hanno vie meglio confermati, l'unità della Chiesa Orientale essere un ente di ragione e nulla più. Qual fu infatti l'esito dei loro pellegrinaggi intrapresi con tanta lealtà di buona fede, e con tanta fiducia di rinvenire la vera unità della Chiesa?
Il primo ne rende conto nel giornale del suo viaggio in Egitto, Siria, Palestina e Grecia [11]; e scrivendo dal Cairo si mostra ben poco soddisfatto della unità dei Greci orientali. «La Chiesa Russa, dic'egli, è governata da un Sinodo di Vescovi sotto la direzione dell'Imperatore, e senza appello a Costantinopoli... La sede bizantina erasi opposta alla nomina del Patriarca presente del Cairo, tenuto per intruso da molti dei Greci [12].... Il Vescovo d'Atene è presidente di un Sinodo subordinato al Ministro dei culti, la cui intera indipendenza venne riconosciuta dal Patriarca di Costantinopoli con rescritto del Settembre 1850; e la condizione di questa Chiesa è tale, al dire del dott. Waddington (continua il Patterson) che il Governo laico, se stabilisce un sistema accorto di educazione, s'impadronirà ben presto di tutti i poteri ecclesiastici». Or una Chiesa dipendente in Russia dallo Czar, in Grecia dal Ministro dei culti, in Costantinopoli e nelle altre Sedi patriarcali dal Sultano e dai Patriarchi rispettivi, qual può lasciarci speranza di vera e costante unità [13]?
La risposta la troviamo nell'opera del Palmer, di cui un estratto scritto da un Russo della illustre famiglia Gagarin può vedersi nell'Univers del 24 Aprile 1853. «I Russi e i Greci, dic'egli, discordano in quistioni di somma importanza. Invalido è pei Greci il battesimo conferito da un eretico o anche solo da un laico, invalido parimente se vi manchi la triplice immersione: si ribattezzano dunque in Costantinopoli e cattolici e protestanti se abbraccino lo scisma. Laddove a Pietroburgo valido è tenuto negli uni e negli altri il battesimo, onde e protestanti e cattolici che passano allo scisma, vengono ammessi senza più alla partecipazione di tutti gli altri sacramenti. Di che il Palmer inferisce contro i Greci Bizantini, restar essi uniti di comunione con una Chiesa che agli occhi loro è composta in gran parte di non battezzati, incapaci per conseguenza di ricevere tutti gli altri sacramenti; e poter quindi accadere, bizzarra combinazione! che un protestante ricusato dalla comunione bizantina come non battezzato, facciasi accettare in Russia senz'altro battesimo; e passi poscia non solo alla comunione, ma perfino all'episcopato in quella medesima Chiesa Bizantina che lo riprovò come infedele finchè non viaggiò per la Russia. In conclusione dunque i due pellegrini anglicani nulla hanno chiarito nella nostra quistione, e dopo l'incomodo di sì lunghi viaggi si trovano allo stesso punto ove noi fummo lasciati dal nostro Anonimo.
Or vedete, disdetta! Non possiamo sapere dov'è questa Chiesa Orientale che ha pronunziata la parola dell'ortodossia: e più se ne va in traccia, più siamo costretti a riconoscere che ella è una pura astrazione, un puro ente di ragione. Cionondimeno poichè non vogliamo dismettere ogni speranza di vedere un giorno tornato al sen materno della Chiesa quei traviati, poichè se non altro l'errore vantando un'autorità senza prove e una imparzialità senza effetti, può far gabbo ai lettori; carità e prudenza ci suggeriscono una risposta sì per togliere ogni pretesto all'ostinazione dell'errore, sì per cautelare la buona fede dei credenti.

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§. II.

È immobile o immortale?

Tutta la sostanza di quest'opuscolo è rinchiusa, può dirsi, nelle prime pagine, non essendo il rimanente che una ripetizione delle solite accuse per lo più futili e puerili intorno a riti, ad usanze, ed esercizii di pietà, che vengono censurati dai Greci nella Chiesa cattolica; alle quali accuse basterebbero per risposta le opere inedite recentemente pubblicate del Conte Giuseppe De Maistre [14] e il libro anonimo di un ex-consigliere di Stato di Russia, di cui darem poscia un breve sunto [15]

Epilogheremo qui dunque in pochi periodi quelle prime pagine, affinchè i nostri lettori abbiano sott'occhio proposto dalla Parola dell'ortodossia moscovita lo stato della quistione: poscia nei successivi articoli andremo svolgendo quei punti che ai nostri lettori potranno, a parer nostro, riuscire più cari, or sia per l'importanza delle dottrine, or per la varietà degli argomenti. E prima di tutto porremo in chiaro la differenza che passa fra la morta immobilità della Chiesa scismatica, e la progressiva immortalità della Chiesa cattolica. Al qual proposito gioverà l'accompagnare in un secondo articolo il nostro Anon. nei viaggi de' suoi missionarii per apprezzarne le imprese, e alle tombe de' suoi martiri per veder come verdeggino le loro palme e corone. Mostrerem poscia brevemente, quanto sia straniero, nelle opere dei nostri autori (non volendolo giudicare sleale nel disconoscerle), chi osa accusare i Latini di avere scansata la quistione storica per trincerarsi nelle teorie. Il 4.° articolo darà ai lettori alcuni cenni sopra lo stato della Chiesa Russa tratti dal citato opuscolo persécutions et souffrances. Toccheremo negli ultimi due la questione importantissima dei Luoghi Santi, donde si è originata o almeno ha tolto il pretesto la tremenda guerra che fa oggidì palpitare tutte le Potenze europee. [I tre articoli intitolati I luoghi Santi (VI, VII ed VIII della serie) non sono del P. Taparelli ma di un altro autore, tuttavia non indicato nell'Indice generale della Civiltà Cattolica (aprile 1850-decembre 1903, compilato da Giuseppe del Chiaro Segretario della Direzione, Roma 1904). N.d.R.]
Ben veggono i nostri lettori che la materia non può essere nè più importante per la gravità, nè più dilettevole per la varietà, nè più opportuna pel tempo. Rifacciamoci dunque dal principio, ed esponiamo in breve il piano d'attacco seguito dall'A. nella sua parte principale.
«Solo dalla conquista di Costantinopoli pei Latini nel 1204 furono spezzati dalla spada de' Crociati gli ultimi legami fra le due Chiese già molto allentati per Fozio e Michele Cerulario. Da quell'epoca, trascurando i fatti e i concilii sempre favorevoli all'Oriente, ma non accessibili senza studii profondi, i Latini trincerandosi nelle teorie circoscrissero la quistione fra le due Chiese alla pretesa Monarchia di Roma, sistema illegale e contrario alle leggi della vera Chiesa universale, appoggiato alle false decretali d'Isidoro, e proposto nella sua pienezza soltanto al secolo XVI dal Card. Bellarmino. 

«L'errore di tal sistema consiste nell'aver trasformato il primato d'onore sugli altri quattro Patriarchi, conceduto a Roma dai concilii come ad antica capitale dell'universo pagano, in una sovranità del Papa su tutta la Chiesa. Che il Papa fosse Patriarca dell'Occidente, niuno può nè vuole negarlo: ma tale egli era al titolo stesso che nelle rispettive loro giurisdizioni i Patriarchi di Costantinopoli, d'Alessandria, d'Antiochia e di Gerusalemme: il primo dei quali per decreto pure dei Concilii, come Vescovo della nuova Roma, centro delle riunioni ecclesiastiche ove assisterono gl'Imperatori, ebbe pure il diritto di presedere sopra i suoi colleghi di Oriente. Eran dunque tutti uguali i Patriarchi, tutti poteano dirsi ugualmente Vicarii di G. C., senz'altro privilegio che della presidenza derivato dalla importanza della città; dalla quale importanza nacque eziandio la superiorità del Patriarca Alessandrino sull'Antiocheno. Ma i Papi non contenti del primato di onore e del titolo di successore di S. Pietro (meglio direbbesi dei SS. Pietro e Paolo che consacrarono unitamente primo Vescovo di Roma S. Lino), si arrogarono il titolo esclusivo di Vicarii di G. C., di Vescovi universali; e invece di riconoscersi i primi tra i fratelli, vollero divenirne i Capi, d'onde la grazia del sacerdozio negli altri si trasfonde: cotalchè niuno senza di essi può essere Vescovo, nè hanno validità o infallibilità o diritto di legare o sciogliere senza la loro conferma, gli stessi Concilii generali. La Chiesa Romana divenne in tal guisa una vera monarchia, mentre la Chiesa Cattolica era stata dal Redentore istituita sotto forma federale: i Romani, spinsero la lor pervicacia nel sostenere l'autocrazia papale fino a pretendere, che, chi non riconosce il Papa per capo della Chiesa, si esclude da sè medesimo dall'arca di salvezza.»
Così in sostanza il primo paragrafo, la cui sentenza vien poscia dimostrata dall'A. sotto due aspetti, vale a dire 1.° ricorrendo alla tradizione per dimostrare che il Vescovo di Roma mai non ebbe superiorità di giurisdizione sugli altri Patriarchi; 2.° presentandoci un ritratto della Chiesa Orientale presente, somigliantissima, com'egli dice, alla Chiesa del V secolo; laddove la Chiesa Occidentale, introdotte col primato pontificio mille altre novità, ha perdute le antiche fattezze, allontanandosi volontariamente dalla regola dei Concilii ed ergendo in dogmi le sue innovazioni [16] (pag. 62).
Se nell'invocare la tradizione l'A. avesse disseppelliti con uno sforzo di critica, fatti e documenti novelli, lo seguiremmo negli ipogei dei secoli trapassati per verificarne le scoperte. Ma poichè egli stesso ci avverte che lungi dallo scoprir nuovi fatti, neppur pretende ripetere tutto il già detto; ma solo citerà pochi degli argomenti antichi, estraendone alcuni dall'opera del dott. Allies ex-ministro anglicano [17]; ognun vede che ci dobbiam contentare ancor noi di citare le risposte già date mille volte dai Latini, e specialmente quelle del med. Allies, già divenuto cattolico, per mostrare all'A., che questi non hanno mai cercato di eludere, com'egli dice, per mancanza d'erudizione gli argomenti storici. 

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Prima per altro d'intraprendere questo lavoro da copista, stimiam necessario entrare nello spirito di chi scrisse questa Parola Orientale, affine di fargli comprendere, s'egli per sorte ci leggesse, dove stia veramente il fondo o il nodo del dibattimento, e d'onde muova precisamente l'accusa degli Orientali contro la Chiesa romana. Teniam per sicuro che l'A. ignora egli stesso questa segreta radice dei suoi pregiudizii, mentre rimprovera ai Latini di volere perpetuamente evitare i fatti per risalire alla teoria [18]. Qual meraviglia, che non volendo udir parlare di teoria, egli ignori anche quella da cui muove senza avvedersene?
Voglia per altro o non voglia, ogni questione presuppone necessariamente una teoria; giacchè una serie di fatti spicciolati, non collegati da verun principio, darebbe mai una conclusione? No certamente. L'A. dunque presuppone senza dimostrarlo un principio; e il suo principio è questo «quella sola Chiesa è vera e legittima che dura perpetuamente la stessa, e in questa perpetua immobilità consiste l'unità e perpetuità della Chiesa». Presupposto un tal principio da lui nè proposto, nè dimostrato, si comprende benissimo, che tragga innanzi con una serie di fatti più o meno alterati, coi quali pretende provare, che la Chiesa Orientale è oggi la medesima che ai tempi antichi: da tal medesimezza inferisce che la Chiesa Orientale è una; e poichè nella Comunione romana non ravvisa l'immobilità medesima, ne conclude naturalmente che questa ha traviato, e che ha eretto in dogmi le sue novità [19]. A questa serie di fatti e di conseguenze, se si toglie l'appoggio di quel principio, chi non vede che riesce insussistente e perde ogni legame?
Voglia dunque o non voglia l'A. anch'egli è costretto, come i latini di ricorrere alle teorie: con questa sola differenza che i Latini sono conscii a sè medesimi dei principii su cui si appoggiano, e ne recano la dimostrazione ai loro avversarii; l'Anonimo all'opposto, o la Parola dell'ortodossia orientale, non conosce forse i principii su cui si appoggia, o li assume come assiomi senza dimostrarli. 

Noi per altro che non possiamo contentarci di tanto, ci prenderemo la libertà di esaminare il principio prima di ribattere i fatti a cui viene applicato, e forse basterà questo esame per isciogliere in gran parte, agli occhi almeno delle persone che discorrono, le obbiezioni proposteci dalla Parola Orientale.
Orsù dunque, è egli innegabile che sola vera e legittima è quella Chiesa la quale serbasi perpetuamente la medesima? Se dall'ignoto A. potessimo ottenere una risposta, domanderemmo in prima, che cosa intende per serbarsi la medesima? Ma poichè da chi si nasconde non può sperarsi risposta, osserveremo noi stessi, esservi due medesimezze; l'una che conviene agli esseri inanimati, l'altra che conviene ai viventi. Gli esseri inanimati, quali sarebbero una rupe o una statua, allora si conservano i medesimi quando con rigida immutabilità serbano per secoli la stessa forma: e tali sono per cagion d'esempio i capilavori della scultura greca, l'Ercole Farnese, il Laocoonte, la Venere dei Medici, l'Apollo di Belvedere; cui chi vuol dimostrare non alterati dee provare che loro non fu aggiunta nè tolta una briciola alla materia e alle fattezze con che uscirono di mano all'artefice. L'altra medesimezza è degli esseri viventi e molto più dei morali, i quali allora si dicono i medesimi quando quel principio di vita che sortirono nascendo lo svolgono senza alterarlo, procedendo con regolata operazione secondo la natura lor propria verso la perfezione. E in tal senso diciamo una medesima persona il bambino che si svolge in fanciullo, che cresce in adulto, che ingagliardisce nella virilità, che nella vecchiaia si accascia; un medesimo il popolo che collegato da un diritto primitivo in pubblica società, svolge quel diritto nelle successive sue leggi, secondo che gl'incrementi e le vicende a cui ogni vivente è soggetto, rendono necessarie novelle applicazioni del diritto e delle relazioni antiche.
Il nostro orientale Innominato che avversa le teorie, poco uso ai concetti intellettuali e morali, sembra non avere pur sospettato questa seconda medesimezza, consono in questo come in altri punti alla materialità di quei protestanti e giansenisti, che per ottenere la perfezione nella Chiesa vorrebbono ricondurla precisamente, rigidamente alle condizioni materiali chi del V, chi del IV, del III, del II secolo. Il che vale appunto come il voler tornare alle fattezze di fanciullo un uomo robusto, affinchè possa dirsi quel medesimo che nacque dal sen materno. 

Pieno il nostro anonimo di questo concetto, è naturalissimo che accusi (pag. 7) il sistema della Chiesa Romana come contrario alle tradizioni della Chiesa primitiva; e che all'opposto, per dimostrare una essersi serbata costantemente la Chiesa Orientale, si appigli a tutti quei tratti di materiale somiglianza, per cui ella sembragli rappresentare agli occhi del corpo la stessa fisonomia [= fisionomia N.d.R.]. Scorrete il libretto e troverete a pag. 15 un fatto rilevante, ed è che l'ordine gerarchico stabilito in Efeso e in Calcedonia è mantenuto scrupolosamente fin oggi, perchè la piccola isola di Cipro, affrancata allora dalla sedia di Antiochia, serbasi tutt'ora indipendente, mentre la Anatolia e l'isola di Creta rimangono, come furono, subordinate al Patriarca di Costantinopoli [20].
Con ugual fedeltà si osserva, dic'egli poco dopo, il dritto di appellazione alla Sede di Costantinopoli (il che, a dir vero, non sappiamo come si accordi colla indipendenza conceduta alla Chiesa degli Elleni, della Servia [= Serbia N.d.R.], del Montenegro, della Georgia, della Russia, come l'A. medesimo riferisce a pag. 35: ma ciò poco monta al proposito presente, che è di mettere in chiaro la materialità dei concetti del nostro anonimo in punto di unità e perpetuità, e non di confutarne gli errori storici). Proseguiamo la lettura, e vedremo, l'A. (pag. 22) ammirar nella sua Chiesa la fisonomia dei primi e più bei secoli, perchè anche nel settimo Concilio ecumenico la costituzione della Chiesa governata sinodalmente e le parole materiali del simbolo si conservano perfettamente le stesse: e le stesse ancora nel Concilio che condannò Fozio, ove intervennero i cinque Patriarchi. «D'allora in poi, prosiegue l'A., l'ordine conciliare del Governo cessò nella Chiesa per colpa dei Pontefici ambiziosi e dei disordini del Clero Romano: e ne cita in conferma (grandi autorità in vero!) il Maimbourg e il Fleury (pag. 23). Ma la Chiesa Orientale conservatasi costantemente la stessa, rimase scandolezzata al Concilio di Firenze, quando il Papa volle ammettere i Vescovi al bacio del piede, come Vicario di Cristo, ed introdurre nel simbolo la parola Filioque, (pag. 24).» Se invece di farsi baciare il piede, si fosse contentato di un bacio in fronte; se invece d'aggiunger la parola nel simbolo si fosse contentato di aggiungerla in una professione di fede; chi sa? la faccenda forse si sarebbe aggiustata, giacchè la fisonomia orientale sarebbe rimasta la medesima. 

Ognuno sa come andò a finire quel solenne tentativo di riunione: «la Chiesa Orientale continuò, dice l'A., a ricusare la supremazia illegittima di Roma, e a mantenere la sua gagliarda costituzione sinodale, governata da molti Patriarchi e sinodi indipendenti (p. 26). Si ricordino i Romani, soggiunge, che se essi posseggono una Cattedra apostolica ove siede il successore dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, due noi ne possediamo fondate da S. Pietro ed altre molte fondate da altri Apostoli (sembra che l'anonimo calcoli il valore dell'autorità, come il negoziante calcola il valor della borsa, tanto più grave quanto più conta ghinee): si ricordino che l'uffizio divino si celebra in Oriente nella lingua appunto del Vangelo e delle Epistole (non sappiamo come questo si accordi con gli uffizii in lingua slava di cui l'A. si vanta a pag. 45): che l'Oriente ha conservato tutti i riti dei secoli primitivi, tutti i dogmi, tutti i canoni dell'antica Chiesa (pag. 26 e 27): che l'Oriente continua a radunare i quattro suoi Patriarchi per deliberare delle quistioni dogmatiche (pag. 32); (vorremmo sapere quanti concilii generali hanno adunati dopo la loro separazione da Roma? se si contentano di adunar Patriarchi, confessino che la loro disciplina è cambiata) che nel nominare i Patriarchi si rispettano tuttora i canoni ecumenici e le regole gerarchiche non ostante l'oppressione in cui geme; nè la Chiesa riconosce altra autorità, che quella dei canoni ammessi fino al settimo Concilio ecumenico, eccettuandone solo qualche articolo complementario (chi sa se tra gli art. complementarii non potrebbe trovarsi la negazione anche di qualche dogma di fede, del Purgatorio per es., di cui si nega dogmaticamente l'esistenza, mentre si afferma praticamente riscotendo le propine e i suffragi [riscuotendo cioè danaro per i suffragi, N.d.R.], come fra poco vedremo? [21] (pag. 33). Ed ecco perchè quando i Sinodi orientali si riuniscono, ognuno è colpito della perfetta somiglianza che hanno cogli antichi per l'identità di disciplina, di gerarchia, di lingua e di paramenti sacerdotali. A dir vero dobbiam confessar con dolore, che se le elezioni degli altri Patriarchi sono rigorosamente canoniche, quella di Costantinopoli dipende pur troppo dall'arbitrio del Sultano [22]; ciò non ostante possiam consolarci, perchè anche questi Patriarchi vengono nominati per via di Sinodo e continuano a ricevere il baston pastorale dall'antico Metropolitano di Bizanzio, il Vescovo di Eraclea. Un tale spettacolo, conclude con un epifonema che ha del comico, un tale spettacolo non è egli consolante per l'ortodossia (pag. 34) [23]?» 

Abbiam voluto spigolare qua e colà i precipui tratti di somiglianza che formano pel nostro A. questo spettacolo consolante, senza troppo esaminare la verità delle asserzioni, solo per far conoscere in quali puerilità faccia egli consistere l'identità e la unità della Chiesa. Aggiungasi a questa materialità di somiglianze ammirata dall'Anonimo, il panegirico ch'egli tesse all'Oriente perchè non ha le messe così brevi, nè celebra come i Latini i suoi vesperi dietro l'altare, nè suona l'organo in chiesa o il campanello alla elevazione, nè asconde il penitente in un confessionale; nè battezza per aspersione, nè abbandona il cadavere prima della sepoltura: e si vedrà viemeglio se abbiano ragione i Latini quando accusano gli scismatici di scambiare l'immobilità con la fermezza abbandonando lo spirito dell'antica Chiesa per serbarne le materiali fattezze. A parere di costui la legittima operazione d'una Chiesa consiste, non già nel dare liberamente ai fedeli quei pastori e quelle norme, che li guidino alla salvezza eterna, ma nel far passare per la trafila del Concilio, e nel modellare ad uno stampo antico e coprire cogli antichi paramenti sacerdotali quel giogo che gli viene imposto dagl'infedeli. Faccia il Poter laicale tutto ciò che gli piace; innalzi per es. alla Cattedra di Bizanzio il Patriarca Antimo, poi ne lo rimuova, poi torni ad introdurlo, come recentemente ha fatto; i Greci si rassegneranno umilmente a questa nuova foggia d'istituzione canonica per parte del Sultano; e finchè manda il bastone per mano del Vescovo d'Eraclea, intima i comandi per organo dei Concilii, e lascia ai Vescovi i piviali e le mitre del IX secolo, la loro Chiesa non cambia, e la loro unità è sicura.
Non invidieremo all'ignoto A. di questo libello nè la identità della sua Chiesa, nè la materialità della sua filosofia. Si consoli egli pure collo spettacolo che lo colpisce nella perfetta somiglianza dei suoi piviali moderni cogli antichi; ma ci permetta di attenerci per la nostra unità a quella teoria dei Latini ch'egli tanto paventa e di cui passiamo adesso a rendergli ragione. Per noi l'unità e perpetuità della Chiesa non consiste nè nei piviali, nè nei pastorali; anzi neppure nella verbale immutabilità dei simboli e delle formole: la quale se oggi dovesse farisaicamente rispettarsi avrebbe dovuto rispettarsi fin dal principio; e un tal rispetto non avrebbe dovuto permettere l'introduzione di nuovi simboli, dopo il primo dettato dagli Apostoli. Eppure i Greci hanno consentito ai nuovi simboli di Nicea, di Atanasio, di Costantinopoli, alle formole dell' ὁμοούσιον e del Θεοτόκος, alle mutazioni delle giurisdizioni per cui certe Chiese sono passate dall'obbedienza di Costantinopoli a quella di Pietroburgo, d'Atene o simili. 

Se queste innovazioni furono legittime perchè determinate sinodalmente; se le stesse riforme ispirate dal protestantesimo a Pietro il Grande (pag. 36) son divenute legittime perchè furono consentite dai Patriarchi di Oriente; non veggiamo per qual motivo l'immobilità debba prendersi per unità identica, o perchè si voglia togliere al Sinodo di Firenze o al Tridentino (pag. 26) quell'autorità che competeva all'Efesino e al Calcedonese; ed i Greci ci sembrano evidentemente innovatori nella disciplina della Chiesa quando ricusano ai Sinodi recenti l'autorità che riconobbero nei Sinodi antichi.
Basterebbe questa loro incoerenza per mostrare quanto sia più una e costante e ragionevole la Chiesa Latina, o piuttosto la Chiesa Cattolico-Romana, la quale ha sempre continuato a svolgere con l'autorità medesima quei principii di fede, di morale, di organizzazione, la cui semente venne a lei confidata dal divino suo Istitutore, non già perchè la seppellisse involta in un sudario, ma perchè coltivandola la facesse fruttificare. Quando dunque la Chiesa Cattolico-Romana introduce coll'autorità dei concilii ecumenici quelle mutazioni di disciplina e quelle professioni di fede che i tempi richieggono; lungi, dal discostarsi dalla disciplina antica, la siegue anzi tenacemente facendo nei secoli recenti quello che a tempo loro faceano i Padri di Nicea, di Calcedonia, di Efeso e di Costantinopoli.
Così certo, la pensarono ne1 secolo IV il gran Dottore S. Ilario e poco dopo il dottissimo Lirinese: «Novitates vocum, sed profanas, devitare iubet Apostolus: tu cur pias excludis? quum presertim ab eo dictum sit: omnis scriptura divinitus inspirata utilis est. Innascibilem scriptum numquam legis: numquid ex hoc negandum erit, quia novum est? Decernis similem Patri Filium. Evangelia non praedicant; quid est quod non refugis hanc vocem? In uno novitas eligitur, in alio submovetur. Ubi impietatis occasio, novitas admittitur: ubi autem religionis maxima et sola cautela est, excluditur». Così il santo Dottore (Hilar. libr. adv. Constant. Imper. Num. 16). [«L'Apostolo comanda bensì di evitare i termini nuovi, ma profani (1 Tim. VI, 20): e perché escludi quelli pii, dato che egli ha detto espressamente: Tutta la Scrittura divinamente ispirata è utile (2 Tim. III, 16)? Non vi leggi da nessuna parte il termine innascibile: e sarà forse da rigettarsi, perchè è nuovo? Affermi che il Figlio è simile al Padre; ma i Vangeli non lo dicono espressamente: e perché allora non respingi anche questa espressione? In un caso si sceglie la novità, in un altro si scarta. Quando si dà occasione d'empietà, la novità è ammessa; quando invece in essa consiste la massima e l'unica difesa della religione, è esclusa.» Traduzione: C.S.A.B. N.d.R.]

 Udiamo adesso il Lirinese (N.°23): «Sed forsitan dicit aliquis: nullusne ergo in Ecclesia Christi profectus habebitur religionis? Habeatur plane et maximus. Nam quis ille est tam invidus hominibus, tam exosus Deo qui istud prohibere conetur? Sed ita tamen ut vere profectus sit ille fidei, non permutatio. Siquidem ad profectum pertinet ut in semetipsum unaquaeque res amplificetur; ad permutationem vero ut aliquid ex alio in aliud transvertatur. Crescat igitur oportet et multum vehementerque proficiat tam singulorum quam omnium, tam unius hominis quam totius Ecclesiae, aetatum ac saeculorum gradibus intelligentia, sapientia, scientia, sed in suo dumtaxat genere, in eodem scilicet dogmate eodem sensu eademque sententia. Imitetur animarum religio rationem corporum, quae licet annorum processu numeros suos evolvant et explicent, [eadem tamen, quae erant, permanent.] Multum interest inter pueritiae florem, et senectutis maturitatem; sed iidem tamen ipsi fiunt senes qui fuerant adolescentes, ut quamvis unius eiusdemque hominis status habitusque mutetur, una tamen nihilominus eademque natura, una eademque persona sit. Parva lactentium membra, magna iuvenum; eadem ipsa sunt tamen. Quot parvulorum artus, tot virorum; et si qua illa sunt quae aevi maturioris aetate pariuntur, iam in seminis ratione proserta sunt; ut nihil novum postea proferatur in senibus, quod non in pueris iam antea latitaverit. Unde non dubium est hanc esse legitimam et rectam proficiendi regulam, hunc ratum atque pulcherrimum crescendi ordinem, si eas semper in grandioribus partes ac formas numerus detexat aetatis, quas in parvulis Creatoris sapientia praeformaverat. Quod si humana species in aliquam deinceps non sui generis vertatur effigiem, aut certe addatur quippiam membrorum numero vel detrahatur, necesse est, ut totum corpus vel intercidat, vel prodigiosum fiat, vel certe debilitetur. Ita etiam christianae religionis dogma sequatur has decet profectuum leges: ut annis scilicet consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate; incorruptum tamen illibatumque permaneat, et universis partium suarum mensuris cunctisque quasi membris ac sensibus propriis plenum atque perfectum sit, quod nihil praeterea permutationis admittat, nulla proprietatis dispendia, nullam definitionis sustineat varietatem. Exempli gratia: Severunt maiores nostri antiquitus in hac ecclesiastica segete triticeae fidei semina; iniquum valde et incongruum est ut nos eorum posteri pro germana veritate frumenti subdititium zizaniae legamus errorem. Quin potius hoc rectum et consequens est ut, primis atque extremis sibimet non discrepantibus, de incrementis triticeae inistitutionis, triticei quoque dogmatis frugem demetamus; ut cum aliquid ex illis seminum primordiis accessu temporis evolvatur et nunc laetetur et excolatur, nihil tamen de germinis proprietate mutetur: addatur licet species, forma, distinctio, eadem tamen cuiusque generis natura permaneat.... Christi vero Ecclesia sedula et cauta depositorum apud se dogmatum custos nihil in his unquam permutat, nihil minuit, nihil addit, non amputat necessaria, non apponit superflua, non amittit sua, non usurpat aliena; sed omni industria hoc unum studet ut omnia fideliter, sapienterque tractando, si qua sunt illa antiquitus informata et inchoata, accuret et poliat, si qua iam expressa et enucleata consolidet, firmet; si qua iam confirmata et definita custodiat. Denique quid unquam aliud conciliorum decretis enisa est ut quod antea simpliciter credebatur, hoc idem postea diligentius crederetur, quod antea lentius praedicabatur, hoc idem postea instantius praedicaretur, quod antea securius colebatur, hoc idem postea sollicitius excoleretur? Hoc inquam semper, nec quicquam praeterea. Haereticorum novitatibus excitata conciliorum suorum decretis catholica perfecit Ecclesia, ut quod prius a maioribus sola traditione susceperat, hoc deinde posteris etiam per scripturae chirographum consignaret, magnam rerum summam paucis literis comprehendendo, et plerumque propter intelligentiae lucem, non novum fidei sensum novae appellationis proprietate signando».

 [«Ma forse taluno dirà: Dunque nella Chiesa di Cristo nessun avanzamento si avrà della Religione? Si abbia certo, e grandissimo. Poichè chi è colui tanto inviso agli uomini, tanto odioso a Dio, il quale si sforzi di proibirlo? Ma in tal modo però che sia avanzamento vero della fede, non mutamento. Certamente all'avanzamento è proprio che in sè medesima qualunque cosa si amplii, mentre al mutamento è proprio che qualcosa si trasformi in qualcos'altro. È necessario dunque che cresca, e molto e veementemente si avanzi, tanto degl'individui che di tutti, così d'un solo uomo come di tutta la Chiesa, secondo i gradi delle età e dei secoli, l'intelligenza, la scienza e la sapienza, ma nel suo genere solamente, nel medesimo Domma perciò, nel medesimo senso, nella medesima sentenza. La religione delle Anime imiti la ragione de' corpi, i quali benchè coll'avanzare degli anni si sviluppino e crescano, nondimeno rimangono gli stessi che erano. Molto vi corre tra il fiore della puerizia e la maturità della vecchiaia; ma a diventar vecchi sono quelli stessi che erano stati fanciulli; talmentechè quantunque di uno e medesimo uomo gli stati e gli abiti si mutino, una nondimeno e la medesima sia la sua natura e la sua persona. Piccole le membra dei lattanti, grandi quelle dei giovani; sono però le stesse in entrambe le età. Quante le giunture dei bambini, tante quelle degli uomini, e se qualcuna se ne forma nell'età più matura, essa era di già preparata nella ragione del seme; onde niente di nuovo in appresso si palesa nei vecchi, che già prima non fosse nascosto nei bambini. Per cui non v'è dubbio che sia questa la legittima e vera regola di avanzamento, questo l'approvato, e bellissimo ordine di accrescimento: se nei maggiorenni discopra sempre le medesime parti e forme che la sapienza del Creatore  aveva preformate nei bambini. Che se poi l'umana specie si trasformi in altra effigie di genere non suo, certamente è necessario o che qualche cosa si aggiunga al numero delle membra, o che si tolga via, cosicchè o tutto il corpo si guasti, o divenga mostruoso, o certamente si debiliti: così anche è giusto che il dogma della Cristiana Religione seguiti queste leggi d'avanzamento, che certamente con gli anni si consolidi, col tempo si dilati, con l'età si sublimi, ma rimanga incorrotto ed illibato, e con tutte le misure delle sue parti, e sia pieno e perfetto quasi in tutti i membri e sensi proprii, che non ammetta inoltre cambiamento, danno nella proprietà, nè sopporti varietà di definizione. Per esempio: seminarono i maggiori nostri anticamente in questa ecclesiastica messe i semi del buon grano della Fede. Molto iniqua cosa ed incongrua è che noi, loro posteri, invece della sicura verità del frumento raccogliamo il fraudolento errore della zizzania. Anzi che piuttosto è giusto e conseguente che, non discordando fra sè i semi e la messe, anche dall'accrescersi della triticea istituzione facciamo la mietitura del buon grano del dogma, acciocchè quando una qualche parte di quei  semi iniziali col passare del tempo si sviluppi, ed ora felicemente sia accresciuta, niente però della proprietà de' germi si muti. Benchè si aggiunga la bellezza, la forma, la distinzione, rimanga nondimeno ferma la natura medesima di ciaschedun genere. Non sia mai pertanto che quelle rosee piante del senso cattolico si cambino in cardi e spine. Non sia mai, dirò, che in questo spiritual Paradiso dai solchi di cinnamomo e di balsamo provengano repentinamente loglio ed aconito. Quanto dunque in quest'agricoltura della Chiesa di Dio è stato piantato dalla fede de' Padri, questo stesso conviene che sia coltivato ed osservato dall'industria de' figliuoli, questo stesso fiorisca e maturi, questo stesso avanzi e sia perfezionato. Giusto è dunque che gli antichi dogmi della celeste filofofia col progresso del tempo siano ben preparati, limati e politi; ma è delitto che siano mutati, delitto che siano tronchi o mutilati. Prendano pure l'evidenza, la luce, la distinzione; ma è necessario ritengano la pienezza, l'integrità, la proprietà. (...) La Chiesa di Cristo però sollecita e cauta custode dei Dogmi presso di lei depositati, niente in essi mai cambia, niente scema, niente aggiunge, non recide le cose necessarie, non aggiunge le superflue, non tralascia le proprie, non usurpa le altrui, ma con ogni industria in ciò solo si sforza, che cioè, tutte trattandole fedelmente e sapientemente, se ve ne sono di anticamente formate e incominciate, le curi e le polisca, se ve ne sono di già espresse e dichiarate, le consolidi e confermi, se ve ne sono di già confermate e definite, le custodisca. Infine che altra cosa mai si è sforzata di fare con i decreti dei Concilii, se non che ciò che prima semplicemente era creduto, questo stesso dipoi fosse più diligentemente creduto; ciò che prima più lentamente era predicato, lo stesso dipoi fosse più instantemente predicato; ciò che prima più sicuramente era venerato, lo stesso poi fosse più sollecitamente coltivato? Ciò dirò sempre, non altro. La Cattolica Chiesa, eccitata dalle novità degli Eretici, perfezionò i decreti de' suoi Concilii, affinchè ciò che prima aveva ricevuto dai suoi maggiori per sola tradizione, questo stesso consegnasse ai posteri anche col chirografo della scrittura, comprendendo in poche lettere gran somma di cose, e il più delle volte per lume dell'intelligenza, non esprimendo un novo senso di Fede con la proprietà della nuova denominazione.» 

N.B.: profectus, cioè avanzamento, giovamento, dal verbo proficere, si potrebbe tradurre progresso se si potesse eliminare il nefasto sostrato ideologico rivoluzionario di costante e radicale innovazione eterogenea che tale termine porta necessariamente con sè da alcuni secoli a questa parte. Meglio dunque parlare di avanzamento nell'unico senso di approfondimento. N.d.R.] Così intendevano nei primi secoli questi santi Dottori, ben diversamente dal Greco-russo, l'unità della Chiesa, ferma nei suoi principii, ma progressiva nelle inferenze, nelle formole, nelle applicazioni: ed ella è molto più una e costante svolgendo in tal guisa i principii con quella medesima autorità con cui li svolgeva anticamente, di quel che sia la Chiesa Greca mantenendo i paramenti sacri all'antica e interdicendosi frattanto l'uso degli antichi diritti in materie dottrinali.
[CONTINUA]

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