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sabato 31 maggio 2014

"IL LIBERALISMO E' UN PECCATO" di Don Félix Sardà y Salvany, (Capitolo 38°)...

Continuiamo la publicazione del  LIBRO "IL LIBERALISMO E' UN PECCATO" DI Don Félix Sardà y Salvany. 
«La parte dottrinale di cotesto libro, la quale riguarda il liberalismo, è eccellente, conforme ai documenti di Pio IX e di Leone XIII, e giudicata dalla Sacra Congregazione dell'Indice dottrina sana.» La Civiltà Cattolica, anno XXXIX, vol. IX della serie XIII, Roma 1888, pag. 346.   
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Capitolo 38: è indispensabile o no,  ricorrere in tutti i casi a una decisione speciale della Chiesa e dei suoi pastori, per sapere se uno scritto o un individuo deve essere rigettato o combattuto come liberale ?

Tutto ciò che voi avete appena esposto, ci si dirà ora, urta nella pratica con una grave difficoltà. Voi avete parlato di individui e scritti liberali, e ci avete raccomandato con insistenza di fuggirli come la peste, loro e le loro più lontane influenze.
Ora, chi oserà con la sola sua propria autorità e senza ricorrere preventivamente a una sentenza decisiva della Chiesa docente, qualificare come liberale tale individuo o tale libro ?

È questo uno scrupolo, o meglio una stupidaggine, molto diffusa da qualche anno, dai liberali e da coloro che sono intaccati dal liberalismo.

Teoria nuova nella Chiesa di Dio, e che noi abbiamo visto sostenere con nostra grande sorpresa, da certi che noi giammai avremmo mai immaginato capaci di cadere in una tale aberrazione !
Teoria, del resto, comodissima per il diavolo e i  suoi seguaci; tanto che quando un buon cattolico li attacca e li smaschera, li si vede immediatamente ricorrere ad essa e rifugiarsi dietro le sue trincee, domandando con un'aria magistrale piena di autorità: "e chi siete dunque voi per qualificarci me e il mio giornale come liberali ? Chi vi ha fatto maestri in Israele per dichiarare chi è buon cattolico e chi non lo è ? È a voi che occorre richiedere una patente di cattolicesimo  ?".
Quest'ultima frase soprattutto ha fatto fortuna, come si dice, e non c'è cattolico intaccato di liberalismo che non se ne serva come di un'ultima risorsa, nei casi gravi e imbarazzanti.
Vediamo dunque ciò che occorre pensare su questo argomento, e se la teologia dei cattolici liberali è una teologia sana in ciò che riguarda questo punto.
Prima di tutto poniamo la questione con tutta la chiarezza e la nettezza necessarie.
Per accusare di liberalismo una persona o uno scritto, occorre sempre attendere che la Chiesa docente abbia portato un giudizio speciale su questa persona su questo scritto ?
Noi rispondiamo con fermezza: NO ! 
Se questo paradosso liberale fosse una verità, esso fornirebbe indubitabilmente il mezzo più efficace per annullare, in pratica tutte le condanne della Chiesa, relative agli  scritti come alle persone.
La Chiesa sola possiede il supremo magistero dottrinale di diritto e di fatto, Iuri et Facti; la sua sovrana autorità si personifica nel Papa, ed essa è l'unica che possa, definitivamente e senza appello, qualificare astrattamente le dottrine, dichiarare che esse sono concretamente contenute in un tale o in un tal altro libro, o professate da tale o tale altra persona. Questa non è affatto una infallibilità per finzione legale, come quella che si attribuisce ai tribunali supremi della terra ma veramente una infallibilità reale ed effettiva, poiché essa emana dalla continua assistenza dello Spirito Santo, ed è garantita dalla promessa solenne del Salvatore.
Questa infallibilità si esercita sul dogma e sul fatto dogmatico, e di conseguenza essa ha tutta l'estensione necessaria per risolvere perfettamente e in ultima istanza qualsiasi questione.
Tutto ciò si rapporta alla sentenza ultima decisiva, alla sentenza solenne, irreformabile e senza appello, alla sentenza di ultimo grado come noi l'abbiamo chiamata.
Ma, questa sentenza, destinata a guidare e  a illuminare i fedeli, non esclude altri giudizi, meno autorevoli ma tuttavia molto rispettabili, che non si possono disprezzare e che possono perfino obbligare in coscienza il vero cristiano. Sono i seguenti e noi preghiamo il lettore di notare bene la loro gradazione.

1)    -Giudizi dei vescovi nelle loro diocesi.
Ciascun vescovo è il giudice nella sua diocesi, per l'esame delle dottrine, la loro qualificazione ed eventuale pubblicazione, dei libri che le contengono o no. La sua sentenza non è infallibile, ma essa è eminentemente degna di rispetto e obbligante in coscienza, quando essa non sia in contraddizione evidente con una dottrina precedentemente definita, o più ancora quando essa non sia disapprovata con una sentenza emanata da un'autorità superiore.

2)    - Giudizi dei parroci nelle loro parrocchie
        questo magistero è subordinato al precedente, esercitando nella sua sfera più ristretta, analoghe attribuzioni. Il parroco è pastore, egli può e deve, in questa qualità, distinguere i buoni pascoli dai cattivi. La sua dichiarazione non è infallibile, ma essa merita di essere rispettata alle condizioni annunciate nel paragrafo precedente.

3)    - Giudizi dei direttori spirituali.
Valendosi delle loro illuminazioni e della loro scienza , i confessori possono e debbono dire, a quelli che dirigono,  il loro pensiero su una certa dottrina o un certo libro a proposito dei quali li si consulti; giudicare, secondo le regole della morale e della filosofia, il pericolo di tale lettura o di tale compagnia per i loro penitenti. Essi possono anche con una certa autorità intimare loro l'ordine di rinunziarvi. Il confessore ha dunque, anche lui, un certo diritto di giudicare le dottrine e le persone.

4)    - Giudizi dei semplici teologi consultati dal fedele laico.
Peritis in arte credendum, dice la filosofia: "occorre valersi di ciascuno per ciò che concerne la sua professione o la sua carriera". Non gli  si attribuisce una vera infallibilità, ma una competenza per risolvere le questioni che vi sono collegate. Ora la Chiesa concede ai teologi qualificati un certo diritto ufficiale di spiegare ai fedeli la scienza sacra e le sue applicazioni.

In virtù di questo diritto, essi scrivono sulla teologia, qualificano e giudicano secondo il loro sapere reale e la loro leale maniera di vedere. È dunque sicuro che essi posseggano una certa autorità scientifica per giudicare in materia di dottrina, e per dichiarare quale libro la confermi e quale persona la professi. È così che dei semplici teologi esercitano col mandato del vescovo la censura delle opere stampate e che essi siano i garanti della loro ortodossia apponendovi la loro firma.
Essi non sono infallibili, ma il loro parere serve ai fedeli come prima regola nei casi ordinari e quotidiani, e le loro decisioni sono valide fino a che  un'autorità superiori non le annulli.

5)    - Giudizi della semplice ragione umana dovutamente illuminata.

6)    Sì, lettore, questa regione è anch'essa un luogo teologico per parlare come i teologi, è un criterio scientifico in materia di religione.
La Fede domina la ragione, quest'ultima deve essergli subordinata in tutto; ma, è falso pretendere che la ragione non possa nulla da sola, falso pretendere che la luce inferiore, accesa da Dio nell'intendimento umano, non illumini nulla, benché essa non illumini quanto la luce superiore.
È dunque permesso e perfino comandato al fedele di ragionare con la sua Fede, tirandone delle conseguenze, facendone delle applicazioni, deducendone dei paragoni e analogie.

 Il semplice fedele può così diffidare, a prima vista, di una nuova dottrina che gli sia presentata, nella misura in cui la veda in disaccordo con un'altra dottrina definita. Può se questo disaccordo è evidente combatterla come malvagia e definire malvagio il libro che la sostenga.
Ciò che non può, è di definirla ex cathedra, ma gli è perfettamente lecito ritenerla perversa, segnalarla come tale ad altri affinché si regolino, gettare il grido d'allarme e tirare i primi colpi ( contro tale dottrina ndt).
Il fedele laico può fare tutto ciò, l'ha fatto in tutta la Storia con gli applausi della Chiesa. Ciò non significa farsi pastore del gregge, e neppure il suo umile valletto; è semplicemente servirlo come cane da guardia e avvisarlo abbaiando, oportet allatrare canes. Occorre che i cani abbaino, ricorda a questo proposito molto opportunamente un grande vescovo spagnolo, degno dei migliori secoli della nostra storia.
E che per caso i prelati più zelanti non la vedrebbero in questo modo, essi che in 1000 occasioni esortano i loro fedeli ad astenersi dalla lettura dei cattivi giornali e libri, senza farli peraltro conoscere ? Essi mostrano così la convinzione nella quale sono che il criterio naturale, illuminato dalla Fede, è sufficiente al fedele per riconoscerli con l'applicazione delle dottrine già conosciute sulla materia.
L’Index stesso contiene per caso il titolo di tutti i libri proibiti ?
In testa a questa raccolta, sotto la rubrica: regole generali dell’Index, non si trovano certi principi ai quali un buon cattolico deve rapportarsi per giudicare molti stampati di cui l'indice non fa menzione, ma che le regole date permettono a ciascun lettore di giudicare da se stesso ? 

Arriviamo ora a una considerazione più generale.
A che servirebbe la regola della Fede e della morale, se in ciascun caso particolare il semplice fedele non potesse farne lui stesso l'immediata applicazione, se fosse continuamente obbligato a consultare il Papa o il pastore diocesano ?
 Come  la regola generale della morale è la legge, e che tuttavia ciascuno porta dentro di sé una coscienza, dictamen praticum, in virtù della quale egli fa le applicazioni speciali di questa regola generale, sotto riserva di correzione, se si sbagliasse,  così la regola generale della Fede, che è l'autorità infallibile della Chiesa, consente e deve consentire che ciascuno col suo giudizio particolare ne faccia le applicazioni concrete, senza pregiudizio della correzione e della ritrattazione che ne farebbe se, ciò facendo, si sbagliasse.
Sarebbe rendere vana, assurda e impossibile la regola superiore della Fede esigere la sua applicazione speciale e immediata dall'autorità competente, in ciascun caso, a qualsiasi ora e minuto.

Si riscontra qui un certo giansenismo brutale satanico, somigliante a quello dei discepoli del disgraziato vescovo di Ypres, quando essi esigevano per la ricezione dei sacramenti delle disposizioni tali che rendevano tale ricezione assolutamente impossibile per gli uomini a profitto dei quali tali sacramenti sono destinati.
Il rigorismo legale che si invoca qui è così assurdo quanto il rigorismo ascetico predicato a Port-Royal; esso darebbe dei risultati ancora peggiori e più disastrosi. Se poi lo dubitate osservate ciò che accade. I più rigoristi su questo punto sono i più induriti settari della scuola liberale.
Come si spiega questa apparente contraddizione ? Essa  si spiega molto semplicemente, se ci si vuol ricordare che niente conviene di più al liberalismo, di questa museruola legale imposta alle labbra e alla penna dei suoi avversari più risoluti.
Sarebbe, per la verità, un grande trionfo per esso ottenere, sotto il pretesto che nessun altro che il Papa e i vescovi possa parlare con autorità nella Chiesa, il silenzio di uomini come i de Maistre, i Valdegamas, i Veuillot, i Villoslada, gli Aparisi, i Tejado, gli Orti y Lara, i Nocedal e tanti altri, di cui, per la misericordia divina, si sono sempre avuti e si avranno fino alla fine gloriosi esempi nella società cristiana. Ecco ciò che il liberalismo vorrebbe, e, ancor più, che la Chiesa stessa gli rendesse il servizio di disarmare i suoi più illustri campioni.

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