la traduzione di un servizio protestante”(J. Guitton - 1998)
Considerando la riforma liturgica della Messa, imposta dal Papa Paolo VI a tutta la Chiesa latina negli anni 70, Jean Guitton, modernista e massone, ha fatto, tra altre, le seguente affermazione:
1 – “Prima del concilio la Messa era la Messa. Evidentemente in latino, non ci capiva niente, ma si aveva l’impressione (impressione???) che fosse la Messa. Mentre adesso si ha la sensazione che sia la traduzione di un servizio protestante. Dal mio punto di vista, la riforma della liturgia così come l’ha voluta il concilio (Vaticano II) era buona; certo non voleva che la Messa, l’Eucaristia, fossero sacrificate, né sopratutto ridotte a quello che i protestanti fanno durante la loro cerimonia, che chiamamo la cena. Per esempio, quando si è deciso che il sacerdote non dicesse la messa rivolto all’altare, volgendo le spalle ai fedeli, ma di fronte loro, è stata compiuta una riforma decisiva che ha veramente turbato mlti cristiani. Con ragione (Con ragione???) — perché i fedeli comprendessero — si è voluto celebrare la liturgia nella lingua comune, ma senza volontà di abolire il sacro. Oggi, praticamente, l’Eucaristia non ha più il carattere sacro, serio e divino che aveva in passato. (...)”.
J. Guitton con Francesca Pini, L’infinito in fondo al cuore, Ed. Mondadori, Milano, 1998, p. 103. Il grosseto è nostro).
2 – “(...). Spesso mi domando se i sacerdoti che dicono messa credono veramente che nell’ostia ci sia il corpo e il sangue di Cristo. Sopratutto quando — terminata la funzione — li si vede scapare in fretta e furia dalla chiesa, come se con ciò avessero finito la loro giornata. Allora le persone si domandono se i sacerdoti credono veramente. Se i sacerdoti non credessero, infatti, perché mai dovrebbero essere loro a credere?” (Op. cit. p. 104. Il grossetto è nostro).
3 – Alla domanda di Francesca Pini se “quindi oggi la messa rischia di assomigliarsi a una liturgia della parola”, Guitton risponde:
“I protestanti non hanno questa idea del sacramento, della transustanziazione: essi ripetono ciò che ha fatto Gesù Cristo, ma in modo simbolico. La loro cena è una liturgia della parola, non è un atto che trasforma (trasforma o transustanzia???) il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Cristo nel senso fondamentale del gesto, così come pensano (?) i cattolici. La Chiesa cattolica ha ragione di voler rendere la sua liturgia più accessibile e comprensibile ai protestanti, ma non può tuttavia abbandonare l’essenza del cattolicesimo: che nel pane e nel vino consacrati ci sono il corpo e il sangue di Cristo nel senso sostanziale, veritiero e profondo!”
(ivi. p.104. Il grassetto è nostro).
Domandiamo: Jean Guitton, considerato il “più grande filosofo cattolico del seculo XX”, amico intimo di Paolo VI, presente nel concilio Vaticano II e l’unico laico che, in tutta la storia della Chiesa, ha avuto il diritto di parlare in un concilio, Guitton, nella sua critica alla “Nuova Messa” di Paolo VI, ha affermato, o no, una verità?
IL NOVUS ORDO È STATO IMPOSTO ILLEGALMENTE DA PAOLO VI ?
di don Antony Cekada dalla Rivista SODALITIUM, 51- 2000.
La Fraternità San Pio X e una leggenda popolare tra i tradizionalisti.
La maggior parte dei cattolici che abbandonano la Nuova Messa lo fanno perché la trovano cattiva, irrispettosa o non-cattolica.
Istintivamente, tuttavia, il cattolico sa che la Chiesa di Gesù Cristo non può darci qualcosa di dannoso, perché in tal caso la Chiesa ci condurrebbe all’inferno piuttosto che in cielo.
Infatti i teologi cattolici insegnano che le leggi universali che riguardano la disciplina della Chiesa, a cui appartengono le leggi che regolano la sacra liturgia, sono infallibili. Ecco una spiegazione classica del teologo Hermann: “La Chiesa è infallibile nella sua disciplina universale. Con l’espressione disciplina universale si intendono le leggi e gli usi che appartengono all’ordine esterno di tutta la Chiesa. Si tratta qui di tutto ciò che concerne il culto esterno, come la liturgia e le rubriche, o la amministrazione dei sacramenti...
Se [la Chiesa] fosse capace di consigliare, ordinare o tollerare nella sua disciplina qualcosa contro la fede e la morale, o qualcosa che possa nuocere alla Chiesa stessa o ai fedeli, essa si allontanerebbe dalla sua missione divina, il che è impossibile”. (1)
Il cattolico si trova quindi, prima o poi, di fronte ad un dilemma: la Nuova Messa è cattiva, ma si presume che coloro che ci hanno ordinato di assistervi (Paolo VI e i suoi successori), fossero investiti dell’autorità stessa di Gesù Cristo. Che fare dunque? Accettare un male per obbedienza all’autorità, o rifiutare l’autorità a causa del male che ci ordina di fare? Scegliere il sacrilegio, o scegliere lo scisma?
Come può un cattolico risolvere questo apparente dilemma, cioè che l’autorità della Chiesa possa comandare di fare il male?
Nel corso di questi anni soltanto due spiegazioni, in sostanza, sono state proposte:
Lo si prova in questo modo: se riconosciamo che la Nuova Messa è cattiva, o nociva alle anime, o che distrugge la fede, allora riconosciamo implicitamente un’altra cosa: che Paolo VI, che promulgò (impose) quel rito cattivo nel 1969, quando lo fece non poteva essere investito della vera autorità nella Chiesa. Egli aveva in un modo o nell’altro perso l’autorità papale, se mai l’aveva posseduta prima.
Come può essere successo? Secondo l’insegnamento di almeno due papi (Innocenzo III e Paolo IV) e di quasi tutti i canonisti e teologi cattolici, la perdita della fede causa automaticamente la perdita dell’autorità pontificia.
Secondo questa tesi il carattere cattivo della Nuova Messa è come una freccia luminosa e gigantesca puntata verso i papi posteriori al Vaticano II, e sulla quale lampeggerebbe il seguente Messaggio: “Nessuna autorità papale. Hanno abbandonato la fede cattolica”[*].
2. Paolo VI possedeva l’autorità papale ma non promulgò la Nuova Messa legalmente.
Secondo questa posizione, Paolo VI non rispettò esattamente le procedure legali quando promulgò la Nuova Messa. Di conseguenza, la Nuova Messa, non è in realtà una legge universale, e noi quindi non siamo tenuti ad obbedire alla legislazione che presumibilmente l’ha imposta; così l’infallibilità della Chiesa è “salva”. Questa teoria era molto diffusa nel movimento tradizionalista fin dai suoi inizi, negli anni sessanta.
La tesi, bisogna riconoscerlo, è di quelle che cercano di “salvare capra e cavoli”. Essa permette di “riconoscere” il Papa ma d’ignorare le sue leggi, di denunciare la sua Nuova Messa e di conservare quella vecchia. Dà alle anime semplici, che temono lo scisma, la sicurezza di essere ancora, malgrado le apparenze, “fedeli al Santo Padre”.
Ho esaminato la prima posizione nel mio studio Tradizionalisti, l’Infallibilità e il Papa. (2) Qui tratterò della seconda posizione, e metterò in evidenza le grosse difficoltà che essa presenta rispetto alla logica, all’autorità della Chiesa e al diritto canonico.
La Fraternità sacerdotale San Pio X e la teoria della “promulgazione illegale”
Molti cattolici aderiscono alla posizione secondo la quale la Nuova Messa fu promulgata illegalmente, ma il maggior numero dei sostenitori si trova fra i membri e i simpatizzanti della Fraternità sacerdotale San Pio X (FSSPX) di monsignor Marcel Lefebvre.
Questa teoria corrisponde esattamente a quello che si può definire come il concetto giansenista-gallicano della Fraternità circa il papato: il Papa viene “riconosciuto” ma le sue leggi e i suoi insegnamenti devono essere “passati al setaccio”. Così voi conservate i vantaggi sentimentali di avere teoricamente un Papa, ma nessuno degli inconvenienti pratici di dovergli obbedire.
(Durante tutti questi anni, il fascino emotivo che questa posizione ha esercitato sui laici, ha costituito per la FSSPX un’inesauribile miniera d’oro. Questa vecchia gallina gallicana depone davvero uova d’oro).Gli argomenti abituali
Per spiegare la seconda posizione, ci riportiamo quindi a due articoli dell’ex superiore del distretto della Fraternità per gli Stati Uniti, il reverendo François Laisney.
Il reverendo Laisnay definisce la Nuova Messa “cattiva in se stessa” (3), e pericolosa per la fede cattolica (4). Egli riconosce, in linea di massima, il principio sul quale si fonda la prima posizione, cioè che la Chiesa non può promulgare una legge universale che sia cattiva o dannosa per le anime.
Ma, afferma, “nella promulgazione della Nuova Messa non era impegnata in pieno l’autorità papale” (5) e “Papa Paolo VI non obbligò ad adottare la [Nuova] Messa, ma la permise soltanto... Non vi è nessun ordine, obbligo o precetto chiaro che l’impone ad ogni sacerdote!” (6).
Egli sostiene i seguenti argomenti, che sono tipici di quelli che sostengono questa posizione, contro la promulgazione illegale della Nuova Messa da parte di Paolo VI:
“Il Novus Ordo Missæ non è stato promulgato dalla Sacra Congregazione dei Riti secondo la procedura canonica corretta”.
“Negli Acta Apostolicæ Sedis (l’organo ufficiale della Chiesa Cattolica che annuncia le nuove leggi per tutta la Chiesa) non appare nessun decreto della Sacra Congregazione dei Riti che imponga la Nuova Messa”.
Nelle edizioni successive della Nuova Messa, [quel decreto del 1969] è sostituito da un secondo decreto (26 Marzo 1970) che si limita a permettere l’uso della Nuova Messa. Questo secondo decreto, che permette soltanto il suo uso, senza renderlo obbligatorio, figura negli Acta Apostolicæ Sedis.
Una Nota del 1971 della Congregazione per il Culto Divino concernente la Nuova Messa, dice che “non si può trovare in questo testo nessuna proibizione esplicita per nessun sacerdote di celebrare la Messa tradizionale, né alcun obbligo di celebrare esclusivamente la Nuova Messa”.
Un’altra Nota del 1974, dice il reverendo Laisney, impone sì un obbligo, ma non appare negli Acta, e non dice che Paolo VI l’abbia approvata, per cui non ha forza cogente.
- La caratteristica di queste riforme è la loro “confusa legislazione”. “È Proprio in questo che si vede l’assistenza dello Spirito Santo nella Chiesa, che non ha permesso che i modernisti promulgassero le loro riforme correttamente, con una perfetta forza legale”.
Don Laisnay presenta quindi la sua conclusione: “Il Novus Ordo Missæ è stato promulgato da papa Paolo VI con un tale numero di irregolarità - in particolare l’assenza totale dei termini giuridici corretti necessari per obbligare tutti i sacerdoti e i fedeli - che non si può affermare che esso sia coperto dall’infallibilità di cui gode il Papa nelle leggi universali” (7).
Per valutare le affermazioni di don Laisney, noi daremo per scontato, come fa lui, il fatto che Paolo VI fosse realmente un vero Papa e che, come tale, fosse investito della piena potestà legislativa sulla Chiesa. Questo ci permetterà di costringere il Reverendo a tener conto dei criteri oggettivi, tratti dal diritto canonico, che ne conseguono a partire da questa tesi.
Dimostreremo allora, esaminando i principi generali del diritto canonico e i testi legislativi specifici alla questione, che gli argomenti e le conclusioni del reverendo Laisney sono falsi su ogni punto.
“Promulgare” una legge significa nient’altro che annunciarla pubblicamente.
L’essenza della promulgazione è di far conoscere pubblicamente una legge alla comunità, o da parte dello stesso legislatore o sotto la sua autorità, cosicché la volontà del legislatore d’imporre un’obbligo venga ad essere conosciuta dai soggetti (8).
Il Codice di Diritto Canonico dice semplicemente: “Le leggi emanate dalla Santa Sede sono promulgate a partire dalla loro pubblicazione nella raccolta ufficiale degli Acta Apostolicæ Sedis, salvo che in casi particolari sia prescritto un altro modo di promulgazione” (9).
Questo è tutto quello che il Codice prescrive, e che è sufficiente per far conoscere la volontà del legislatore, cioè il Papa.
A meno che un’altra disposizione sia stata espressa in una legge particolare, una legge diventa effettiva (e obbligatoria) tre mesi dopo la data di pubblicazione ufficiale negli Acta (10). Il periodo intermedio prima dell’entrata in vigore si chiama vacatio legis.
Un Decreto che non esiste?
La Nuova Messa (Novus Ordo Missæ) è apparsa poco a poco.
Il Vaticano per prima cosa pubblicò il nuovo Ordinario in un libretto del 1969, insieme all’Istruzione Generale sul Messale Romano (una prefazione che precisa la dottrina e le rubriche) (11).
All’inizio di questo libretto appare la lunga Costituzione Apostolica sulla Nuova Messa, Missale Romanum, di Paolo VI, e il 6 aprile 1969 il decreto Ordine Missæ della Sacra Congregazione dei Riti (Consilium). Questo decreto, a firma del Cardinale Benno Gut, afferma che Paolo VI approvò l’allegato Ordinario della Messa, e che la Congregazione l’aveva promulgato per speciale mandato del Papa. Esso stabilisce il 30 novembre 1969 come data di entrata in vigore della legge.
Tuttavia, per delle ragioni sconosciute, questo decreto non venne mai pubblicato negli Acta. E così don Laisney e moltissimi altri sostengono che questa omissione significa che la Nuova Messa non è stata mai “debitamente promulgata” e quindi non obbliga nessuno.
Ma la tesi che si fonda su questa svista burocratica è improponibile. Nel diritto canonico il punto chiave riguardo alla promulgazione di qualsiasi legge sta nella volontà del legislatore. In questo caso, manifestò Paolo VI la volontà di imporre ai suoi soggetti un obbligo (cioè la Nuova Messa)? E lo fece, per di più, negli Acta?
La Costituzione Apostolica di Paolo VI
È facile rispondere a questa domanda. Negli Acta Apostolicæ Sedis del 30 aprile 1969 troviamo la Costituzione Apostolica Missale Romanum, che porta la firma di Paolo VI. È intitolata: “Costituzione Apostolica. Per la quale il Messale Romano, restaurato con decreto del Concilio Ecumenico Vaticano II, viene promulgato. Paolo, Vescovo, Servo dei Servi di Dio, a Perpetua Memoria” (12).
La legge rispetta, ovviamente, la semplice norma canonica per la promulgazione. Il Legislatore Supremo non ha bisogno del Decreto di un Cardinale perché la sua legge abbia effetto. La Nuova Messa è promulgata, e la legge è obbligatoria.
Inoltre nel testo della Costituzione, Paolo VI mostra ben chiaramente che la sua volontà è di imporre l’obbligo di una legge ai soggetti. Da notare in particolare il suo linguaggio nei passaggi seguenti.
L’Istruzione Generale che precede il Nuovo Ordinario della Messa “impone nuove norme per celebrare il sacrificio Eucaristico” (13).
“Abbiamo decretato che tre nuovi Canoni siano aggiunti a questa Preghiera [il Canone Romano]” (14).
“Abbiamo ordinato che le parole di Nostro Signore siano un’unica e stessa formula in ciascun Canone” (15).
“E così è Nostra volontà che queste parole siano dette in questo modo in ogni Preghiera Eucaristica” (16).
“Tutte le cose che abbiamo prescritte con questa Nostra Costituzione, cominceranno ad avere effetto dal 30 novembre di quest’anno” (17).
“È nostra volontà che queste leggi e prescrizioni siano ora e in futuro stabili ed effettive” (18).
I termini canonici latini che un Papa impiega abitualmente per fare una legge, sono tutti presenti qui: normæ, præscripta, statuta, proponimus, statuimus, jussimus, volumus, præscripsimus, ecc.
Gli stessi termini usati nella Quo Primum
Questo linguaggio è importante per un’altra ragione: alcune di quelle parole appaiono anche nella Quo primum, la Bolla del 1570 con cui il Papa san Pio V promulgava il Messale Tridentino.
Il rev. Laisney, come molti altri, pretende che la legge di Paolo VI non impose un obbligo; piuttosto Paolo VI “presentò” o “permise” semplicemente la Nuova Messa (19).
Questo è falso. Sia Quo Primum che Paolo VI usano gli stessi termini “legislativi” nei passaggi chiave: norma, statuimus e volumus.
Il canonista benedettino Oppenheim dice che questi sono termini “precettivi” che “indicano chiaramente un obbligo stretto” (20).
Se questo tipo di parole ha reso obbligatoria la Quo Primum di Pio V, produce lo stesso effetto per il Missale Romanum di Paolo VI.
“È nostra volontà...”
“È nostra volontà [volumus] che queste leggi e prescrizioni siano, ora e in futuro, stabili ed effettive” (21).
Le prime traduzioni in inglese rendevano il verbo latino volumus con “Noi desideriamo che”. Alcuni sacerdoti e scrittori ne arguirono che Paolo VI avesse solo un vago “desiderio” che i cattolici usassero la Nuova Messa, e che egli avesse tuttalpiù espresso un pio augurio.
Ma nella Quo Primum S. Pio V usa gli stessi identici verbi per imporre la Messa tridentina:
“È nostra volontà [volumus] poi - e lo decretiamo con la stessa autorità - che dopo la pubblicazione di questa nostra Costituzione e del Messale, i sacerdoti della Curia romana... siano obbligati a cantare o a leggere la Messa secondo questo Messale” (22).
In entrambi i casi il verbo volumus esprime l’essenza della legislazione della Chiesa: la volontà del legislatore di imporre un obbligo ai suoi sudditi (23).
Paolo VI abroga Quo Primum
Il rev. Laisney tira fuori un’altra frottola (24): si tratta della favola secondo la quale Paolo VI non avrebbe abrogato (revocato) la bolla Quo Primum di san Pio V (25).
I sostenitori di questa posizione citano talvolta un passaggio del Codice che stabilisce che “una legge più recente, emanata dall’autorità competente, abroga la legge precedente se l’abrogazione è espressa esplicitamente” (26).
L’argomento è dunque che Paolo VI non menzionò Quo Primum per nome, quindi non l’abrogò esplicitamente. Quo primum, di conseguenza, non ha mai perso la sua forza di legge, e noi siamo ancora liberi di celebrare la vecchia Messa (27).
Ma i fautori di questa idea scambiano per realtà i loro desideri. Nella norma citata sopra, esplicitamente non significa solo “nominatamente” (28). Un legislatore può revocare “esplicitamente” una legge in un altro modo - ed è quello che succede qui, quando Paolo VI, dopo aver dichiarato il suo volumus alla Nuova Messa, aggiunse la clausola seguente: “Nonostante, nella misura necessaria, le Costituzioni Apostoliche e le ordinanze dei Nostri Predecessori, e le altre prescrizioni, anche quelle degne di speciale menzione o emendamento” (29).
Questa clausola abroga esplicitamente Quo Primum.
Prima di tutto la bolla Quo Primum rientra fra gli atti pontifici più solenni, come la Costituzione Papale o Apostolica (30). E nel passaggio tratto dalla Costituzione Apostolica di Paolo VI, egli revoca precisamente le “Costituzioni Apostoliche” dei suoi predecessori.
In secondo luogo, per abrogare esplicitamente una legge, un Papa non ha bisogno di citarla nominatamente. Secondo il canonista Cicognani, c’è abrogazione esplicita anche se il legislatore inserisce “delle clausole abrogative o derogative, come è abituale nei decreti, rescritti, e altri atti pontifici: nonostante qualsiasi cosa in contrario, nonostante qualsiasi cosa in contrario di qualunque genere, per quanto degne di una menzione speciale” (31).
Paolo VI, in altre parole, usò l’esatto tipo di linguaggio richiesto per abrogare esplicitamente una legge precedente.
E facendo questo, Paolo VI usò ancora alcune delle stesse frasi usate da S. Pio V nella Quo Primum per revocare le leggi liturgiche dei suoi precedessori: “Nonostante le precedenti costituzioni Apostoliche e ordinanze… e qualunque legge e consuetudine contraria vi possa essere” (32).
Ancora una volta, se questo linguaggio valeva nel 1570, vale anche nel 1969 (33).
Alla luce di quanto sopra, non è possibile continuare a sostenere la leggenda secondo la quale la legge di Paolo VI non abrogò esplicitamente Quo primum.
Quanto alle altre opinioni errate che circolano sulla Quo Primum, saranno trattate in un prossimo articolo.
Conclusione evidente
Paolo VI pone qui una legge. Tutto lo dimostra in modo chiaro: il linguaggio legislativo tecnico, l’enumerazione di leggi specifiche, il fissare una data di entrata in vigore, il linguaggio che revoca le Costituzioni Apostoliche dei suoi predecessori, e l’espressione esplicita del legislatore indicante la sua volontà di imporre queste leggi.
Tutto questo don Laisney non lo capisce. “Non c’è, egli dice, un ordine chiaro, un comando, o un precetto che lo renda obbligatorio per tutti i sacerdoti”, e aggiunge che Paolo VI “non dice” quello che un sacerdote deve fare alla data di entrata in vigore della legge (34).
Ebbene, se il linguaggio della Costituzione di Paolo VI non è abbastanza “chiaro”, riferiamoci all’ulteriore legislazione pubblicata negli Acta Apostolicæ Sedis.
Ancora una volta Paolo VI manifesta chiaramente la sua volontà, non solo di imporre la sua Nuova Messa, ma anche di proibire specificatamente il vecchio rito.
L’Istruzione dell’ottobre 1969
L’Istruzione Constitutione Apostolica (20 ottobre 1969) porta il titolo: “Sull’applicazione progressiva della Costituzione Apostolica Missale Romanum” (35).
Lo scopo generale del documento era di risolvere certi problemi pratici: le conferenze episcopali non erano in grado di completare la traduzione in vernacolare del nuovo rito in tempo per il 30 novembre, data che Paolo VI aveva stabilito per l’entrata in vigore della Nuova Messa.
L’Istruzione comincia con enumerare le tre parti del nuovo Messale già approvato da Paolo VI: l’Ordo Missæ, l’Istruzione Generale e il nuovo Lezionario, e poi stabilisce: “I documenti precedenti decretarono che, a partire dal 30 novembre di quest’anno, Prima Domenica d’Avvento, siano adottati il nuovo rito e il nuovo testo” (36).
Per far fronte ai problemi pratici che ne derivavano, la Congregazione per il Culto Divino, “con l’approvazione del Sommo Pontefice, stabilisce le regole seguenti” (37).
Fra le diverse norme vi sono le seguenti: - “Ciascuna conferenza episcopale stabilirà anche il giorno a partire dal quale (eccetto nei casi citati ai paragrafi 19-20) diventerà obbligatorio adottare il [Nuovo] Ordinario della Messa. Tale data, tuttavia, non dovrà essere procrastinata oltre il 28 novembre 1971” (38).
“Ciascuna conferenza episcopale stabilirà il giorno a partire dal quale sarà obbligatorio l’uso dei testi del nuovo Messale Romano (eccetto i casi indicati ai paragrafi 19-20)” (39).
Le eccezioni valevano per i sacerdoti anziani che celebravano delle Messe in privato e che avevano incontrato delle difficoltà con i testi o i riti nuovi. Col permesso dell’Ordinario avrebbero potuto continuare a usare il vecchio rito.
L’Istruzione terminava con la seguente dichiarazione:
“Il 18 ottobre 1969 il Sommo Pontefice, Papa Paolo VI, approvò questa Istruzione e ordinò che diventasse legge pubblica, affinché potesse essere osservata fedelmente da tutti quelli a cui si riferisce” (40).
Troviamo qui ancora una volta i termini “precettivi” della Chiesa che legifera; questi termini, come dice Oppenheim, indicano chiaramente un’obbligazione stretta di usare, nel nostro caso, il Nuovo Ordinario della Messa non più tardi del 28 novembre 1971.
Il Decreto del marzo 1970
Il Decreto Celebrationis Eucharistiæ (26 marzo 1970) è intitolato: “La nuova edizione del Messale Romano è promulgata e dichiarata editio typica” (41).
Questo Decreto accompagnava la pubblicazione del nuovo Messale di Paolo VI, che conteneva il Nuovo Ordinario della Messa approvato precedentemente, un’Istruzione Generale riveduta e tutte le nuove Orazioni per l’intero anno liturgico.
Anche il decreto usa il linguaggio precettivo della legislazione pontificia: “Questa Sacra Congregazione per il Culto Divino, per mandato dello stesso Sommo Pontefice, promulga questa nuova edizione del Messale Romano, fatta secondo i decreti del Vaticano II, e la dichiara edizione tipica” (42).
C’è bisogno di ribadire ciò che è evidente? Il Nuovo Messale è la legge, per ordine di Paolo VI.
La Notifica del giugno 1971
La Notifica Instructione de Constitutione (14 giugno 1971) è intitolata “Sull’uso e sull’inizio dell’obbligo del nuovo Messale Romano, [del Breviario], e del Calendario” (43).
Questa Notifica, come l’Istruzione dell’ottobre 1969, affronta alcune delle difficoltà pratiche che avevano ritardato l’attuazione della nuova legislazione liturgica.
“Avendo attentamente considerato queste cose, la sacra Congregazione per il Culto Divino, con l’approvazione del Sommo Pontefice, pone le seguenti regole sull’uso del Messale Romano” (44).
Essa ordina che in tutti i paesi “dal giorno in cui i testi tradotti saranno usati per le celebrazioni in lingua vernacolare, sarà permessa soltanto la forma riveduta della Messa e [del breviario], anche per coloro che continuano ad usare il Latino” (45).
Il senso piano del testo è che deve essere usato il nuovo rito, e che il rito tradizionale è proibito; il Papa lo vuole e tutti devono obbedire.
La Notifica dell’ottobre 1974
Infine c’è la Notifica Conferentia Episcopalium (28 ottobre 1974) (46).
Essa specifica ancora che quando una conferenza episcopale decreta che una traduzione del nuovo rito è obbligatoria, “la Messa, sia in Latino che in vernacolare, secondo la legge deve essere celebrata soltanto nel rito del Messale Romano promulgato il 3 aprile 1969 dall’autorità del Papa Paolo VI” (47). L’accento sulla parola “soltanto” (tantummodo) si trova nell’originale.
Gli Ordinari devono assicurarsi che tutti i sacerdoti e i fedeli di Rito Romano “nonostante il pretesto di una qualche consuetudine, anche di lunga data, accettino rigorosamente l’Ordinario della Messa nel Messale Romano” (48).
Ancora una volta è evidente che la Nuova Messa è stata debitamente promulgata ed è obbligatoria: non ci sono eccezioni.
Il rev. Laisney ammette che questa Notificazione impone l’obbligo di celebrare la Nuova Messa. Tuttavia nega che abbia effetto legale perché non venne pubblicata negli Acta Apostolicæ Sedis e perché non specifica che fu ratificata dal Sommo Pontefice (49).
Don Laisney, ahimè, ha frainteso ancora un altro principio del Codice in materia di promulgazione.
In primo luogo, la Notifica non è una nuova legge. È quello che i canonisti definiscono una “interpretazione autorevole e dichiarativa” di una legge precedente. Essa, secondo il Codice, “indica semplicemente il significato delle parole della legge, già certe di per sé”. In tal caso “l’interpretazione non ha bisogno di essere promulgata, ed ha effetto retroattivo” (50). In altre parole, essa ha forza di legge anche senza la pubblicazione negli Acta.
In secondo luogo, anche se strettamente parlando, tale dichiarazione non avesse bisogno del consenso esplicito del Papa, Paolo VI approvò comunque il testo finale della notifica (51).
Nessuna consuetudine immemorabile
La Notifica affronta un aspetto secondario interessante: un certo numero di scrittori tradizionalisti che volevano ad ogni costo riconoscere l’autorità di Paolo VI, pretendevano tuttavia che “la consuetudine immemorabile” permetteva loro di conservare il vecchio rito e di rifiutare la Nuova Messa di Paolo VI.
A prima vista questa affermazione non ha senso. I sacerdoti celebravano la Messa tradizionale perchè un Papa aveva promulgato una legge scritta che ordinava di farlo. La consuetudine è semplicemente un uso, oppure una legge non scritta, che può essere o in accordo con la legge scritta, o contraria ad essa, o al di fuori di essa.
la Notifica, in ogni caso, afferma che la Nuova Messa è obbligatoria “nonostante il pretesto di una consuetudine qualunque, anche di lunga data”.
Secondo il Codice, “una legge non revoca le consuetudini centenarie o immemorabili, a meno che non ne faccia espressa menzione” (52).
Ma i canonisti dicono che una clausola “nonostante” (nonobstante), come quella che abbiamo vista, revoca veramente ed esplicitamente una consuetudine immmemorabile (53). Quindi, anche se la vecchia Messa costituisse una consuetudine immemorabile, la Notifica la revoca debitamente, liquidando in più la questione come un “pretesto”.
Ma questo ci porta semplicemente alla vera questione che si nasconde, in effetti, dietro la discussione sulla promulgazione “illegale” o meno del Novus Ordo da parte di Paolo VI.
Chi interpreta le leggi del Papa?
Per la FSSPX e per molti altri, ahimè, la risposta è “ognuno, tranne il Papa”.
Don Laisney ci informa, per esempio, che Paolo VI non impegnò nella sua Costituzione Apostolica “la medesima pienezza di potere” che impegnò Pio V nella sua. Paolo VI non menzionò la “natura di un obbligo”, i relativi “soggetti”, la sua “solennità” (54).
L’affermazione di Don Laisney non dà nessuna riferimento. Per cui siamo nell’impossibilità di trovare i canonisti che propongono questi criteri di distinzione, ai quali ogni cattolico, laico o chierico, possa far ricorso per decidere da solo se è tenuto ad osservare una Costituzione Apostolica firmata dal Sommo Pontefice della Chiesa Universale.
Vogliono farci credere che la miriade di giuristi esperti di diritto canonico della Curia Romana, incaricati di preparare i decreti del Papa, non sarebbero stati capaci di redigere un testo giuridico adeguato al facile compito di preparare un nuovo rito della Messa, obbligatorio. E ciò, addirittura, neppure dopo cinque tentativi: una CostituzioneApostolica e quattro (le ho contate!) dichiarazioni per l’attuazione della Costituzione.
Invece qualche polemista incompetente e il basso clero del mondo intero sono liberi di giudicare che il Supremo legislatore è giuridicamente incapace di promulgare le proprie leggi, e quindi di rifiutargli la propria sottomissione per decenni e decenni.
Dei protestanti del diritto Canonico?
L’approccio alle leggi pontificie di don Laisney e degli altri sostenitori di questa teoria, è infatti “un Protestantesimo del diritto canonico”: voi interpretate i passaggi scelti come fa comodo a voi, e che nessun Papa venga mai a dirvi come devono essere interpretati. E se non trovate la formula magica che secondo voi è “richiesta” per costringervi a obbedire, bene, tanto peggio per il Vicario di Cristo sulla terra. Questa è la mentalità delle sètte: Giansenisti, Gallicani, discepoli di Feeney. A parole dicono di riconoscere il Vicario di Cristo, ma nei fatti rifiutano di sottomettersi: è proprio la precisa e classica definizione dello scisma.
Il Papa o la Curia?
Al contrario, il Codice stabilisce in poche parole quale deve essere l’approccio del Cattolico all’interpretazione delle leggi pontificie:
“Le leggi sono autorevolmente interpretate dal legislatore e dal suo successore, e da coloro a cui il legislatore conferisce il potere di interpretare le leggi” (55).
A parte il Papa, chi possiede questo potere di interpretare le sue leggi con autorità? “Le sacre Congregazioni nelle materie che sono loro proprie,” dice il canonista Coronata. Le loro interpretazioni vengono pubblicate “a mo’ di legge” (56).
Nel caso della Nuova Messa, Paolo VI delegò il potere di interpretare la nuova legislazione liturgica alla Congregazione per il Culto Divino.
La Congregazione pubblicò tre documenti, un’Istruzione, un Decreto, e una Notificazione: essi stabiliscono chiaramente che la legge originale che promulga la Nuova Messa è obbligatoria.
Tali documenti sono classificati tra “le interpretazioni generali autentiche” della legge (57), e spesso sono genericamente indicate come “decreti generali”. La Congregazione promulgò inoltre questi tre documenti negli Acta Apostolicæ Sedis, come è richiesto dal Codice.
Uno di questi documenti, l’Istruzione dell’ottobre 1969, ci interessa qui particolarmente. Essa cita la Costituzione Apostolica di Paolo VI, l’Istruzione Generale del Messale Romano, il Nuovo Ordinario della Messa, il Decreto del 6 aprile 1969, e l’Ordinario per il nuovo Lezionario, e poi stabilisce: “I citati documenti decretano che dal 30 novembre di quest’anno, Prima Domenica di Avvento, siano usati il nuovo rito e il nuovo testo” (58).
Anche se la legge originale fosse stata in qualche modo difettosa o dubbia, questo passaggio (e quelli simili negli altri documenti) risolverebbe il problema: infatti corrisponde ai criteri del Codice per dare, ad una legge che in precedenza era dubbia, un’interpretazione autentica. Il rappresentante del legislatore, cioè la Congregazione per il Culto Divino, dice che la legge precedente “decreta... che siano usati il nuovo rito e il nuovo testo”.
Quindi, qualsiasi dubbio possiate aver avuto, è risolto. Questa interpretazione autentica, dice il Codice, “ha la medesima forza della legge stessa” (59).
Consideratevi perciò obbligati dalla legge, dal momento che i responsabili della sua interpretazione, ve lo hanno detto. Sottomettetevi quindi alla legge del Papa. È quanto dovrebbe fare un vero Cattolico, cioè uno per cui il Papa non è solo un ritratto da appendere al muro, o una frase vuota nel Te igitur!
Non è una Legge Universale?
Come abbiamo notato sopra, don Laisney credeva che le “deficienze legali”, che egli pretendeva di trovare riguardo al Novus Ordo, impedissero di porre la nuova legge sotto l’infallibilità delle leggi universali (60).
A questo argomento il rev. Peter Scott, successore di don Laisney come Superiore del Distretto degli Stati Uniti della FSSPX, aggiungeva un altro travisamento.
In un dibattito con lo scrittore inglese Michael Davies, il rev. Scott affermava: “Sarebbe un insulto grave e inammissibile per i Cattolici di rito orientale (molti dei quali sono tradizionalisti) se voi affermaste [come fa il signor Davies] che “il rito Romano... è equivalente... a quello della Chiesa universale”, semplicemente a causa della preponderanza numerica. Un decreto per il Rito Romano, anche promulgato correttamente, non vale per la Chiesa universale” (61).
Altri hanno fatto essenzialmente lo stesso ragionamento: la legislazione di Paolo VI sulla Nuova Messa non è veramente “universale”, perché non si applica ai Cattolici di Rito Orientale.
Il reverendo Scott, ahimé, ha confuso alcuni termini legali e abituali del diritto canonico.
La legge ecclesiastica è divisa effettivamente quanto al rito in occidentale e orientale, ma questo non ha niente a che fare con il problema che trattiamo.
Quando un canonista definisce “universale” una legge, non si riferisce alla sua applicazione ad entrambi i riti Latino e Orientale. Piuttosto si riferisce all’estensione della legge, cioè al territorio sul quale ha forza.
Perciò una legge particolare obbliga solo entro un certo determinato territorio. Una legge universale, invece, “obbliga in tutto il mondo cristiano” (62).
La legislazione che ha promulgato la Nuova Messa voleva, ovviamente, essere obbligatoria nel mondo intero.
Lo stesso principio vale per le varie Dichiarazioni, Direttive, Istruzioni, Notifiche, Risposte, ecc. della Sacra Congregazione dei Riti (Culto Divino).
Nessuno dubita, dice il canonista Oppenheim, che tutti questi decreti per la Chiesa Universale (conosciuti talvolta nel loro insieme come “decreti generali”... abbiano il carattere di vera legge (63). Infatti “i decreti generali che sono rivolti alla Chiesa universale (di Rito Romano) hanno la forza di legge universale” (64). In più, in base al Decreto della S. Congregazione dei Riti, essi hanno la stessa autorità che se fossero emanati direttamente dal Romano Pontefice (65).
È quindi impossibile affermare che la legislazione liturgica di Paolo VI non possa essere definita una legge disciplinare universale.
In breve
Dopo quanto abbiamo detto circa la legislazione di Paolo VI sulla Nuova Messa, vorremmo, per concludere, fare un riassunto di ciò che è stato detto, e poi insistere su di un punto in particolare (66).
Abbiamo esaminato l’affermazione, portata avanti dal rev. Laisney e da numerosissimi altri scrittori tradizionalisti, secondo la quale Paolo VI impose “illegalmente” il Novus Ordo, e abbiamo dimostrato i punti seguenti:
1)Il fine della promulgazione di una legge è di manifestare che il legislatore vuole imporre un obbligo ai soggetti.
2) Nella Costituzione Apostolica Missale Romanum, Paolo VI manifestò la volontà di imporre la Nuova Messa come un obbligo. Ciò risulta evidente da:
a) Almeno sei passaggi particolari.
b) Vocabolario legislativo tipico del diritto canonico.
c) Parallelismo con la Quo Primum.
d) Promulgazione negli Acta Apostolicæ Sedis.
3) La Costituzione Apostolica di Paolo VI abrogò (revocò) la Quo Primum usando una formula tipica utilizzata abitualmente a questo scopo.
4)La Congregazione per il Culto Divino (CCD) promulgò successivamente tre documenti (che sono infatti dei “decreti generali”... che attuano la Costituzione di Paolo VI.
Questi documenti:
a) Impongono la Nuova Messa come obbligatoria.
b) Proibiscono (salvo alcuni casi) la vecchia Messa.
c) Fanno uso del vocabolario legislativo tipico.
d) Dicono espressamente di avere l’approvazione di Paolo VI.
e) Furono pubblicati regolarmente negli Acta.
5) La CCD pubblicò anche una Notifica del 1974 che ripeteva che soltanto la Nuova Messa poteva essere celebrata e che la vecchia Messa era proibita. Respingeva come “un pretesto” la formula della “consuetudine immemorabile”. Questo documento era un’interpretazione dichiarativa della legge, e come tale non doveva essere promulgata negli Acta per avere forza di legge.
6)I documenti pubblicati dalla CCD erano “un’interpretazione autorevole della legge” che, secondo il Codice, avevano “la stessa forza della legge”, poiché erano pubblicati da una congregazione Romana “alla quale il legislatore aveva delegato il potere di interpretare le leggi”.
7)L’obiezione che rifiuta di considerare la legislazione di Paolo VI come disciplina universale, perché non obbliga i riti orientali, è basata sull'incomprensione del termine “universale”. Il termine non si riferisce al rito, ma all'estensione territoriale della legge.
Le conseguenze inevitabili
Per tutte le suddette ragioni, quindi, se voi insistete nel dire che Paolo VI era veramente Papa, in possesso del pieno potere legislativo come Vicario di Cristo, dovete anche accettarne la conseguenza inevitabile, che è l’esercizio dell’autorità pontificia:
1) La Nuova Messa fu promulgata legalmente.
2) La Nuova Messa è obbligatoria.
3) La Messa tradizionale fu vietata.
Se insistete ancora dicendo che la Nuova Messa è cattiva [**], la logica vuole che arriviate alla conclusione, che la fede e le promesse di Cristo vi vietano di trarre: la Chiesa di Cristo è venuta meno. Infatti il Successore di Pietro, che possiede l’autorità di Cristo, ha usato questa stessa autorità per distruggere la fede di Cristo, imponendo una Messa che è cattiva. Dunque, per voi la promessa di Cristo a Pietro e ai suoi successori è una menzogna e un inganno: le porte dell’Inferno hanno prevalso.
Paolo VI rispettò tutte le forme legali che ogni vera autorità pontificia impiega normalmente, per imporre le leggi disciplinari universali. Canonicamente, egli rispettò la procedura alla lettera.
Ma ciò che Paolo VI impose era cattivo, sacrilego, distruttore della fede. È per questo che noi, in quanto cattolici, la rifiutiamo.
Poiché sappiamo che l’autorità della Chiesa è incapace d’imporre delle leggi universali cattive, noi dobbiamo di conseguenza concludere che Paolo VI, che ha promulgato delle leggi cattive, non possedeva in realtà l’autorità pontificia.
Perchè, se è impossibile che la Chiesa stessa venga meno, è possibile invece - come insegnano i papi, i canonisti e i teologi - che un Papa, in quanto individuo, perda la fede e automaticamente perda l’incarico e l’autorità pontificia.
In una parola, una volta che noi riconosciamo che la Nuova Messa non è cattolica, riconosciamo anche che il suo promulgatore, Paolo VI, non era né un vero cattolico né un vero Papa [*].
Chi è l’autore
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Abbo, J. & Hannon, J. The Sacred Canons, 2a ed. St Louis, Herder, 1960, 2 volumi.
Bugnini, A. La Riforma Liturgica (1948-1975), Roma, CLV-Edizioni Liturgiche, 1983.
Cekada, A. Traditionalists, Infallibility and the Pope, Cincinnati, St Gertrude the Great Church, 1995.
Cicognani, A. Canon Law, 2a ed, Westmin-ster MD, Newman, 1934.
Codex Juris Canonici 1917. Coronata, M. Institutiones Juris Canonici, 4e ed., Torino, Marietti, 1950, 3 volumi.
Culto Divino, Congregazione del, Decreto Celebrationis Eucharistiæ (26 marzo 1970), AAS 62 (1970) 554.
Notifica Conferentia Episcopalium (28 octobre 1974), Notitiæ 10 (1974) 353.
Istruzione Constitutione Apostolica (20 octobre 1969), AAS 61 (1969) 749-753.
Notifica Instructione de Constitutione (14 juin 1971), AAS 712-715.
Hermann, P. Institutiones Theologiæ Dog-maticæ, Roma, Della Pace, 1904, 2 volumi
Laisney, F. “Was the Perpetual Indult Ac-corded by St Pius V Abrogated?”, Angelus, 22 (dicembre 1999)
Lewis & Short, A New Latin Dictionary, 2a ed., New York, 1907.
Lohmuller, M. Promulgation of Law. Washington, CUA Press, 1947.
Michiels, G. Normæ Generales Juris Canonici, 2a ed., Paris, Desclée, 1949, 2 volumi.
Oppenheim, P. Tractatus de Jure Liturgico, Torino, Marietti, 1939, 2 volumi.
Ordo Missæ, Editio Typica, Typis Polyglottis Vaticanis, 1969.
Paolo VI, Costituzione Apostolica Missale Romanum (3 aprile 1969), AAS 61 (1969) 217-222.
Pio V, (San). Bolla Quo Primum Tempore (19 luglio 1570).
Prummer, D. Manuale Juris Canonici, Freiburg, Herder, 1927.
Sacra Congregazione dei Riti, Decreto Ordinis Prædicatorum (23 maggio 1846) 2916.
Scott, P. “Debate over New Order Mass Status Continues,” Remnant, 31 maggio 1997, 1ff.
"Sono disposto a discutere sul primato papale" (papa Bergoglio)
RispondiEliminahttp://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/francesco-terra-santa-34340/
Distruttore del papato?
Speriamo. Del vecchio concetto di papato non se ne sente certo la mancanza ( tranne qualche fascio nostalgico!)
EliminaUah,ha,ha ! Questa pubblicazione chiara di don Cekada, dovrebbe mettere fine alla diatriba degli pseudotradizionalisti: "papa sì,ma non obbedisco".
RispondiEliminaLa spiegazione dettagliata di ogni punto sostenuto da tradizionalisti e dalla Fsspx, ora porta maggior sicurezza su quanto affermato da tempo in questo blog.
Solo irriducibili nostalgici della scissione schizofrenica possono insistere nelle posizioni papolatre.
Purtroppo si sa che ve ne sono parecchi perchè l'ostinazione papolatrica è vantaggiosa, come ben dice don Cekada (tutt'altro che cieco...!):
"Così voi conservate i vantaggi sentimentali di avere teoricamente un Papa, ma nessuno degli inconvenienti pratici di dovergli obbedire."
Chiedo per favore ai gestori di cancellare continuativamente questi commenti idioti di atei che non possono quindi dare contributo intelligente o saggio ai commenti.
Vedi che sei un elemento da curare??? Sei ossessionato in maniera morbosa non solo da mardunolbo e G. Luca, ma soprattutto nei confronti di A. Rita! Al posto di perdere tempo (e farlo perdere agli altri) qui, a scrivere scemenze che non c'entrano niente con gli articoli che vengono pubblicati, sarebbe bene che lo "perdessi" andandoti immediatamente a curare, perchè sei un caso patologico. A proposito di fecondazione assistita... potrebbe essere che tu sia uno "scherzo" di detta fecondazione, sic!
EliminaMardu! Fatti dare l'accesso come amministratore o forse non si fidano di te? Senza a.rita è rimasto solo crucchetto...
EliminaOggi il "caro" Bergoglio, che viene considerato papa dalla maggior parte dei fedeli, sembra (poichè udito le sue parole che sembra si riferissero a Dio...) abbia pronunciato, anche lui come il precedente Ratzinger, una "bestemmia" alla VatII.
RispondiEliminaIn presenza dei gran capi di Israele, per manifestare la sua piena compartecipazione al dogma sacro della Shoà, ha detto:
"...qui si suppone che il Padre non sapesse,non immaginasse, cosa sarebbe successo al Figlio...".
Ripeto, sono parole riferite, non conosco il contesto, ma sembrerebbe lo stesso spirito di condiscendenza giudaica che fece dire a Ratzinger, al campo di Auschwitz:
" Dov'era Dio in questi frangenti ? "
Nell'ultimo caso Bergoglio, come fosse neanche un rabbino, ma un semplice miscredente, si chiede se Il Padre conoscesse cosa sarebbe stato fatto dall'uomo (intendendo Bergoglio, riferirsi alla Sacra "Shoà" (Olocausto degli olocausti perchè si sarebbe fatta strage degli unici figli di Dio, gli ebrei, poichè tutti gli altri -goiym- sono solo "animali parlanti").
Questa è una di quelle frasette che sono bestemmia in versione vaticansecondina, cioè detta da uno che dovrebbe essere papa, quindi capo dei fedeli cattolici, quindi prescelto per rafforzare la fede nel gregge di Dio...
Come già dissi impossibile sentire una bestemmia alla carrettiere da parte di un ecclesiastico (? abbiamo dubbi sia stato ordinato validamente...)ma una sottile frase indorata che suona come poesia di bestemmia, sì !
Ed il predecessore disse anche lui queste frasette atte a euforizzare i "fratelli maggiori" sulla fede nella Shoà.
Chissà cosa pensano però, dentro di sè, gli ebrei a sentire un capo di chiesa cristiana che si pone domande retoriche ponendo dubbi sull'Onniscenza di Dio !
Immagino cosa pensino, ed immagino il loro ghigno soddisfatto di aver conquistato un altro al dogma sostitutivo.
Ma, fossi io ebreo,credente, mi permetterei di redarguirlo in faccia di non permettersi di porre dubbi sulla Onniscenza dell'Eterno, papa o non papa che sia, cristiano, od ebreo o musulmano che sia !
Chiedo scusa della digressione sul tema, ma sono cose terribili che succedono ed hanno un'unica, valida, spiegazione come ammonisce don Cekada.
Confermata la bestemmia alla vaticansecondina del Bergoglio sulla Shoà :
Eliminahttp://radiospada.org/2014/05/11724/
Confermato che sei un esaurito ossesso zizì!
EliminaE come se non bastasse, dopo Woityla che "benedice" gli espianti d'organo a cuor battente, ecco a voi Bergoglio che auspica il microchip !
RispondiEliminahttp://www.timmylove.altervista.org/nom/papa-rfid.html
con tutta evidenza aumentano i segni che Bergoglio incarni il falso profeta che precede l'avvento dellla Bestia dell'Ap.
EliminaQuesto è uno dei più eclatanti, ma non l'ultimo della serie. Penso che assisteremo ad un'alterazione profonda dei sacramenti, in part. l'Eucaristia, in preparazione a quello che farà il protagonista della ufficiale abolizione predetta da Daniele come abominio della desolazione:
"....farà cessare il Sacrificio e l'offerta...."
temo che siamo a buon punto: quando l'antagonista di Gesù Cristo verrà sulla scena mondiale, troverà tutto pronto per il suo regno e -ahimè- masse di stolti e poveri ingenui già adusi (sotto papa Berg) a subire l'inganno globale della chiesa global-masso-ecumenista, e pronti ad adorarlo come "salvatore del mondo".
Tra poco sugli schermi di tutto il mondo, nell'incosciente applauso delle folle estasiate del papa super-buono!
Del resto il patriarca Twal ha già fatto la sviolinata a Berg paragonandolo al Battista, cfr.
tu sei il Battista del secolo, che prepara la strada al Salvatore ecc......più profetico di così! solo i ciechi volontari si ostinano a non capire a quale punto della storia siamo giunti....
A voi basta mettere un guinzaglio ed una museruola. Ed al collarino magari una croce.
EliminaPer trovare altri argomenti alla logica di don Cekada, si possono leggere le analisi super-dettagliate di Di Pietro, qui:
RispondiEliminahttp://www.agerecontra.it/public/press40/?p=8006.
Queste due lunghe, ma necessarie disquisizioni che si trovano in "Non Possumus" ed in "Agere Contra" sono la risposta drammaticamente valida e dirimente ai tentativi di un sito "tradizionalista" di proseguire ostinatamente nella strada papolatrica per la paura del vuoto "vacante".
Poveretti, speriamo intendano capire, prima o poi, anche se il comodo mentale dell'"avere un papa comunque lui sia " mi fa dubitare molto della loro volgia di comprensione futura della situazione