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giovedì 9 luglio 2015

San Vincenzo Lirinese COMMONITORIO [PARTE SECONDA (Cap. X-XXII)] CAP. X...

Fonte: Progetto Barruel...
Da: Antidoto alle massime empie e sovversive. Serie di scritti tendenti a nutrir l'intelletto di sane dottrine ed a  ringagliardire nel cuore i più nobili affetti,  vol. III, Napoli 1854 pag. 43-71. 
 http://www.unavox.it/NuoveImmagini/Santi/Quod_ubique_picc.jpg

San Vincenzo Lirinese

COMMONITORIO

[PARTE SECONDA (Cap. X-XXII)]

CAP. X.

Si riproduce in ristretto la medesima confessione di fede, e sono confutati gli eretici.

22. Ma ciò, che intorno alle esposte eresie, ed alla Fede Cattolica brevemente sopra dicemmo, con maggior brevità e concisione qui ripetiamo a giovar la memoria; onde ripetuto più chiaramente s'apprenda, e con più di tenacità si ritenga. Anatema pertanto a Fotino, che non crede alla Trinità della Persona, e che dice Cristo essere puro uomo. Anatema ad Apollinare, ch'asserisce corruttibile e mutabile la divinità, e toglie a Cristo la proprietà d'umanità perfetta in sè stessa. Anatema a Nestorio, che nega essere Dio nato della Vergine, ch'ammette due Cristi, e che rinnegata la credenza della Trinità, c'insinua una sua escogitata quaternità. Beata all'opposto la Cattolica Chiesa, la quale adora un solo Dio nell'Augustissima Trinità, e l'uguaglianza della Trinità in una medesima Divinità; cosicchè nè l'Unità della sostanza confonda la proprietà delle Persone, nè la distinzione della Trinità distragga l'Unità, della Divinità. Beata, io ripeto, la Chiesa che crede in Gesù Cristo due vere e perfette sostanze, e che sia in lui una sola individua persona; cosicchè nè la distinzione delle due nature distragga l'Unità della persona, nè del pari questa Unità di persona annulli la distinzione delle sostanze. Beata la Chiesa, che come confessa Cristo essere uno, ed essere stato sempre uno, confessa del pari l'Uomo essere stato unito a Dio non dopo il parto, sibbene già fino dall'alvo materno. Beata la Chiesa, che riconosce Dio fatt'Uomo non per conversion di natura, ma per assunzion di persona, non suppositizia ed apparente, ma sussistente e sostanziale. Beata la Chiesa, che insegna tanta virtù inchiudere questa Unità di Persona, che lei mediante con maraviglioso ed ineffabile mistero accomuni all'Uomo distinzioni divine, ed operazioni umane accomuni a Dio. Conciossiachè in virtù della personale unità non nega che l'Uomo, in quanto è Dio, discendesse dal cielo, e crede che Dio, in quanto è Uomo, sia creato, abbia patito, sia stato crocifisso; in virtù finalmente di cosiffatta personale Unità confessa l'Uomo Figlio di Dio, e Dio figlio di una Vergine. Beata pertanto e veneranda, benedetta e sacrosanta confessione, e sotto ogni rispetto degna di compararsi a quella superna lode degli angeli, i quali pel trisagio [1] [gr. Τρισάγιον, tre volte Santo, cioè trina santificazione, lat. trina sanctificatio. N.d.R.] glorificano l'unico Signore Iddio. E perciò pure insiste con ogni potere nell'inculcare l'Unità personale di Cristo, perchè alterazione non soffra l'augusto mistero della ineffabile Trinità. Queste cose di passaggio vogliamo aver dette, le quali altrove dovranno col divino aiuto più largamente trattarsi e dilucidare. Ora sulle nostre tracce è a tornare. [Testo latino: Sed jam ea quae supra de memoratis haeresibus, vel de Catholica fide breviter dicta sunt, renovandae causa memoriae brevius strictiusque repetamus; quo scilicet et intelligantur iterata plenius, et firmius inculcata teneantur. Anathema igitur Photino non recipienti plenitudinem Trinitatis et Christum hominem tantummodo solitarium praedicanti. Anathema Apollinari adserenti in Christo conversae divinitatis corruptionem, et auferenti perfectae humanitatis proprietatem. Anathema Nestoro neganti ex virgine Deum natum, adserenti duos Christos, et explosa Trinitatis fide quaternitatem nobis introducenti. Beata vero Catholica Ecclesia, quae unum Deum in Trinitatis plenitudine et item Trinitatis aequalitatem in una divinitate veneratur; ut neque singolaritas substantiae personarum confundat proprietatem; neque item Trinitatis distinctio unitatem separet deitatis. Beata inquam Ecclesia, quae in Christo duas veras perfectasque substantias, sed unam Christi credit esse personam; ut neque naturarum distinctio unitatem personae dividat, neque item personae unitas differentiam confundat substantiarum. Beata inquam Ecclesia, quae ut unum semper Christum et esse et fuisse fateatur, unitum hominem Deo, non post partum, sed jam in ipso Matris utero confitetur. Beata inquam Ecclesia, quae Deum factum hominem non conversione naturae, sed personae ratione intelligit: personae autem non simulatoriae et transeuntis, sed substantivae ac permanentis. Beata inquam Ecclesia, quae hanc personae unitatem tantam vim habere praedicat, ut propter eam miro ineffabilique mysterio et Divina homini et Deo adscribat humana. Nam propter eam et hominem de caelo secundum Deum descendisse non abnegat, et Deum secundum hominem credit in terra factum, passum, et crucifixum. Propter eam denique et hominem Dei Filium, et Deum Filium Virginis confitetur. Beata igitur ac veneranda, benedicta, et sacrosancta, et omnino supernae illi Angelorum laudationi comparanda confessio, quae unum Dominum Deum trina sanctificatione glorificat. Idcirco etenim vel maxime unitatem Christi praedicat, ne mysterium Trinitatis excedat. Haec in excursu dicta sint, alias, si Deo placuerit, uberius tractanda et explicanda. Nunc ad propositum redeamus. N.d.R.]

CAP. XI.

La caduta d'Origene e di Tertulliano fu una prova della Chiesa.

23. Dicevamo adunque nelle cose già più avanti discusse, che nella Chiesa di Dio l'errore del maestro è una prova del popolo; e tanto è questa più grave, quanto è più dotto chi errava. La qual cosa provammo innanzi coll'autorità della sacra Scrittura, e con esempi quindi tratti dalla ecclesiastica istoria, rammemorando coloro, ch'essendo avuti un tempo come sana dottrina, caddero poi negli errori d'altrui, od eglino stessi si fabbricarono una eretica setta. Caso invero di grande rimarco, utile alla propria nostra istruzione, e a ricordar necessario. Ed il quale noi è d'uopo con somma accuratezza rischiariamo, ed alla memoria torniamo con una serie di moltiplici esempî; affinchè apprendano tutti i veri Cattolici, ch'eglino debbono riconoscere i dottori, ch'approva la Chiesa, e non disertare con essi la credenza di lei. Ma potendo noi molti nominare in questo genere di prove, io stimo che niuna possa stare di fronte a quella, che Origene promosse [2]. Nel quale spiccarono doti sì illustri, così proprie di lui e maravigliose, che fino dalla sua prima giovinezza stimasse ognun di leggieri comprovata per ogni sorta argomenti la fede sua. Imperocchè se cosa può la specchiata forma di vivere, fu indomabile la fatica, grande la purità, instancabile la pazienza, moltiplice il soffrir ch'egli fece per amore di religione. Se fa autorità la schiatta, o la dottrina; chi più nobil di lui, che usciva di famiglia dal martirio illustrata?  E non solo egli per Gesù Cristo il padre perdette, ma fu spoglio d'ogni suo avere, e tra le angustie della santa sua povertà tanto perfezionossi, che per la confession della Fede parecchie volte martoriato venisse. E non solo egli possedeva simili qualità, che dovevano quindi essere di prova; ma tanta egli possedette forza d'ingegno, tanto fu questo profondo, penetrante ed ornato, ch'ogn'altro di gran lunga lasciossi dietro; e sì vasta la copia di dottrina ed erudizion d'ogni fatta, che poche cose vi furono della divina, e, son per dire, nissuna della scienza umana, ch'egli non avesse intieramente addentrato; ed i cui studi, avendo dato fondo a tutta la greca letteratura, alla ebraica con alacrità egli si volse [3]. [= Egli, avendo dato fondo a tutta la letteratura greca, rivolse alacremente i suoi studi a quella ebraica lat. cujus scientiae cum Graeca concederent, Hebraea quoque elaborata sunt. N.d.R.] Ricorderò io la copia di sua eloquenza?  Ebbe questa sì dilettosa, sì soave, sì dolce, ch'a me paia non parole siano uscite della bocca di lui, ma piuttosto favi di miele. Quali cose a persuadersi difficili egli non recò all'evidenza?  quali d'arduo eseguimento, come se facilissime, a buon termine non condusse? Ma forse col nesso solo degli argomenti tesseva egli le sue elucubrazioni? Non ci visse anzi altri, che più di lui usasse le autorità scritturali. Forse lasciò pochi scritti?  Niun mortale gli andava in ciò innanzi; di modo che non solo io stimo, che non possano leggersi, ma nè riandarsi pure tutte le opere sue. Al quale, perchè niuno amminicolo alla sua dottrina mancasse, abbondò pure la pienezza degli anni [4]. Ma che?  fu poco felice ne' suoi discepoli?  Chi in questo più fortunato di lui? Senza novero uscirono della sua scuola i Dottori, i Vescovi, i Confessori ed i Martiri. Chi potrebbe conoscere in quanta stima, in quanto onore ed affetto fosse avuto da ognuno?  Chi fuvvi che un nonnulla amasse la Religione, e fino non si partisse dagli stremi punti del mondo per andarlo a vedere? Qual Cristiano non l'ebbe come profeta, qual filosofo non venerollo come maestro?  Quanto poi egli fosse avuto in istima, non che a private persone, alle imperiali puranco lo dicon le istorie; le quali n'affermano essere lui stato chiamato a corte dalla madre dell'imperatore Alessandro [5], a cagione, egli è certo, della sua celestiale sapienza, della cui venustà e del cui amore quella matrona era ardente. E le sue lettere di ciò fanno pur testimonio, le quali con autorità di cristian magistero egli scrisse a Filippo Augusto, primo che fu cristiano degl'imperatori romani [6]. Intorno alla cui incredibile scienza s'altri non creda a noi come a testimonianza di cristiano, alla dichiarazion presti fede de' gentili filosofi. Poichè dice Porfirio quell'empio, ch'egli mosso quasi ancora fanciullo dalla fama di lui andò in Alessandria, e ch'egli quivi lo vide già vecchio, ma sì tale e sì grande da parergli in esso racchiusa l'arca di tutte le scienze. Verrà meno anzi il tempo, ch'io basti a raccogliere anche in menoma parte le esimie qualità, che in quel personaggio spiccarono; le quali tutte non erano esclusivamente indirette ad innalzamento di religione, ma sì ancora a gravezza di prova. Giacchè quanti pochi senza difficoltà avrebbero abbandonato un uomo di tanto ingegno, di tanta dottrina, di tanta estimazione? Quanti non avrebbero detto amar meglio d'errare con Origene, che con altri nella verità consentire?  Che più?  A tal progredì la bisogna, che la troppo pericolosa prova di così egregia persona, di sì profondo dottore, di sì accreditato profeta più che d'uomo s'avesse, [la prova, la tentazione fu sovrumana, lat. non humana aliqua (tentatio) N.d.R.] ed allontanasse dalla integrità della Fede moltissimi, come il fatto mostronne. Onde quell'Origene sì grande e sì qualificato, concedendo troppo al suo ingegno, e troppo fidando in sè stesso; mentre abusa molto superbamente del dono di Dio; mentre tiene a vile la vetusta semplicità della Religione Cristiana, mentre presume di vantaggiar tutti in iscienza, e ponendo da banda le tradizioni della Chiesa e i documenti de' Maggiori, mentre interpreta di capo in senso affatto nuovo alcuni tratti della Scrittura [7], meritò che pure intorno alla sua persona si mettesse in sull'avviso la Chiesa di Dio; e pur si dicesse di lui: «Quando si levi su in mezzo al tuo popolo un profeta... e dirà a te: andiamo, e seguiamo gli dei stranieri... non darai ascolto alle parole di lui... perchè il Signore Dio vostro fa prova di voi, affinchè si faccia manifesto, se lo amiate, o no».
E veramente non solo fu prova, ma pure ardua prova la tentata di quel dottore; [= quella tentazione di quel dottore, N.d.R.] avendo cercato d'indurre bel bello la Chiesa e quasi insensibilmente dall'antica religione in una novella empietà, affezionata com'essa gli era, ed in lui attenta, e maravigliata del suo ingegno, della sua eloquenza, della severità di sua vita, del suo credito; o la quale di nulla sospettava, da lui nulla temeva. Ma qui dirà alcuno, che furono alterate le opere di Origene. Anzi che impugnarlo, io amo ciò sia. Poichè questo non che da parecchi Cattolici, pure da Eretici fu detto e fu scritto. Ma quello, cui noi qui dobbiamo por mente è, che se non esso com'esso [= se non lui in quanto tale N.d.R.], i suoi scritti pure promulgati in suo nome sono di grande prova; i quali sparsi di molte bestemmie, non come d'altri, ma come suoi e si leggano e s'amano; quindi sebbene non fosse intendimento di lui lo spargere errori, l'autorità d'Origene vi appare, ed ha forza ad indurre in errore.
24. Ned altrimenti [= Nè altrimenti N.d.R.] di Tertulliano vuol dirsi [8]. Perocchè come Origene tra' Greci, è questi ne' Latini senza più da stimarsi il principale di tutti i Padri. Chi più erudito delle divine scienze e le umane? Colla maravigliosa capacità della sua mente d'ogni sorta scienze raggiunse, conobbe gli svariati filosofici sistemi gli autori tutti ed i loro seguaci, tutto il loro sapere, tutte le storie, tutta quant'ha la umana letteratura comprese. Così poi s'innalzò per raziocinio ed intellettuale energia, che niuna cosa siasi ad impugnare proposto, ch'egli col suo acume non addentrasse, o colla forza degli argomenti non ischiacciasse. E chi da tanto sarà che vaglia a sufficientemente lodarlo della sua foggia di dire?  È questo tessuto [= il suo dire è tessuto... N.d.R.] con certa una sua connessione di prove, ch'astringa anche i non persuasi a pur venire nella sentenza di lui; e del quale quante sono sentenze, tante sono vittorie. E questo sanno assai bene Marcione, Apelle, Prassea, Ermogene, gli Ebrei, i Gentili, gli Gnostici, ed altri di simil fatta, le cui bestemmie egli con molti scritti e voluminosi, quasi fulminandole, estinse [9]. Eppure Tertulliano dopo tutte queste sì grandi cose, poco osservante del cattolico domma, vale a dire, dell'universale ed antica credenza, più dotto che fortunato, cangiato poi fede negli ultimi anni di vita, tolse l'autorità ai suoi buoni scritti col susseguente errore, come un certo tratto scrisse di lui il beato confessore Ilario [10]: ed egli pure servì di grande prova alla Chiesa. Ma ciò basti di lui. Mi appagherò di rammentare soltanto, che insorgenti contro alla Chiesa le novelle furie di Montano, e gli stolti sogni di pazze donnicciuole, egli questi asseverò quali vere profezie ad onta di quanto n'avvertiva Mosè; e sì fece, che di lui e de' suoi scritti potesse dirsi: «Quando si levi su in mezzo al tuo popolo un profeta, e ti dica d'adorare gli dei stranieri, non darai ascolto alle parole di lui; perchè il Signore Dio vostro fa prova di voi, se lo amiate o no.» Per tanta adunque e sì grande moltitudine d'ecclesiastici esempî noi a tutta evidenza dobbiamo accorgere [= dobbiamo osservare, notare lat. debemus advertere N.d.R.], e secondo è detto nel Deuteronomio assai chiaro conoscere, che qualora alcun dottor della Cbiesa aberri dalla Fede, ciò permetta la provvidenza divina a provare, se noi amiamo Dio con tutto il nostro cuore, e con tutta l'anima nostra.

CAPO XII.

Nell'insorgere d'una nuova eresia si discerne il peso del grano dalla leggerezza della paglia; cioè, il Cristiano costante dal poco fermo.

25. Perciò colui è vero e sincero Cattolico, il quale ama la verità del Signore, la Chiesa, il corpo di Cristo, e che niente antepone alla Religione divina, niente alla cattolica Fede, non l'autorità, non l'affetto, non l'ingegno, non la facondia, non la dottrina d'uomo che sia; ma tutti questi motivi per nulla movendolo, e stabile e fermo perseverando nella vera credenza, risolve di dover solo ciò confessare e tenere, che conosce d'avere ab antico insegnato la Cattolica Chiesa. Quanto poi di nuovo ed inudito accorge volersi per altri intrudere oltre ciò, o contra ciò, che tutti i Cristiani hanno sempre creduto, non ha come appartenente a religione, sibbene a prova; e dice colle parole del beato Apostolo Paolo [11]: «Fa di mestieri, che sianvi anche delle eresie, affinchè si palesino quelli, che tra voi sono di buona lega». [Lat.: Quae cum ita sint, ille est verus et germanus Catholicus, qui veritatem Dei, qui Ecclesiam, qui Christi corpus diligit, qui Divinae Religioni, qui Catholicae Fidei nihil praeponit, non hominis cujuspiam auctoritatem, non amorem, non ingenium, non eloquentiam, non Philosophiam, sed haec cuncta despiciens, et in fide fixus et stabilis permanens, quidquid universaliter antiquitus Ecclesiam catholicam tenuisse cognoverit, id solum sibi tenendum credendumque decernit; quidquid vero ab aliquo deinceps uno praeter omnes vel contra omnes Sanctos novum et inauditum subinduci senserit, id non ad Religionem sed ad tentationem potius intelligat pertinere, tum praecipue beati Apostoli Pauli eruditus eloquiis. Hoc est enim quod in prima ad Corinthios Epistola scribit: Oportet, inquit, et haereses esse, ut probati manifesti fiant in vobis (1 Cor. XI, 19). N.d.R.] Come se dicesse: Non sono di presente tolti di mezzo da Dio gli autori di eresia nell'intendimento, che si chiariscano i veri Credenti, che è quanto a dire, perchè ognuno appaia come sia fermo e fedele, e costante amatore della cattolica Fede. Ogniqualvolta di fatto infuria qualche novella dottrina, si scorge all'istante il peso del grano dalla leggerezza della paglia; ed allora senza grande fatica si espelle dell'aia ciò, che in essa pel proprio peso non si conteneva. Dachè altri se ne spulano incontanente, altri poi malmenati soltanto temono di perire, ed hanno vergogna a tornare feriti, semivivi, e quasi uccisi; somiglianti a coloro, che bevvero dose tal di veleno, che nè gli uccida, e nè la vagliano a digerire; nè rechi morte, nè loro lasci sopportabile vita. Ahi misera condizione! Da quanti strazianti pensieri, da quante interne tempeste non sono essi agitati?  Perocchè ora tratti vanno dall'imperversato errore, ove al vento piaccia a gettarli; ora tornati sopra sè stessi quasi flutti contrari s'affiaccano; con istolta prosunzione ora approvano ciò, ch'appare dubbioso, e con irragionevole titubanza ciò temono, che resta evidente: sempre esitanti ove debbano andare, ove tornare, a che intendere, da che fuggire, che ritenere, che ripudiare. La quale ansietà d'un cuore incerto e sbattuto è certamente, s'ancora hanno eglino fior di senno, una medicina, cui porge loro la misericordia di Dio. Perciò fuori del sicurissimo porto della Cattolica Fede sono essi agitati, sbattuti, e quasi sommersi da diverse procelle dell'anima; perchè raccolgano le vele d'una mente superba in mal punto spiegate ai venti delle novità, ed in alto mare fiottate, e si rifugino nel fidatissimo seno di loro tenera e buona madre, e vi si tengano fermi; e senza più rivomitino gli amari e torbidi flutti degli errori, onde possano bere l'acqua limpida e viva del vero. Disapprendano saviamente ciò, che male appararono; e della dottrina della Chiesa intendano ciò, che d'essere inteso è capace; in ciò, ch'è superiore alla umana ragione, alla Fede si sottomettano [12].

CAPO XIII.

Si espongono le parole dell'Apostolo Paolo: O Timoteo custodisci il deposito.

26. Perchè più e più fiate queste cose ravvolgendo nell'animo, e meco stesso considerandole, non so finire di maravigliarmi di tanta stoltizia d'alcuni, di tanta empietà di mente acciecata, di tanta sfrenatezza d'aberrazione, che non si chiamino paghi della già stabilita una volta, e dalla antichità ricevuta forma di credere; ma cerchino ognora d'amalgamare novità su novità, ed ognora mostrino ardenza d'aggiungere, di tramutare, d'alcunchè torre alla Religione; come se non fosse natura di divino principio [lat. quasi non caeleste dogma sit N.d.R.] d'essere sufficiente, ove sia rivelato una volta, e ch'agguisa [= a guisa, a modo N.d.R.] d'istituzione umana abbisogni di correzione continua, od anche di riprovazione per essere perfezionata; quando all'opposto ricordano gli oracoli del Signore [13]: «Non oltrepassare i termini che fissarono i padri tuoi.... Non portar giudizio sopra chi è giudice di sua natura.... Chi squarcia la siepe sarà morso dal serpe». E come ne fa avvertiti la sentenza apostolica, onde come da spada spirituale furono sempre recise, e si recideranno le scellerate innovazioni d'ogni eresia [14]: «O Timoteo, custodisci il deposito, avendo in avversione le profane novità delle parole, e le contraddizioni di quella scienza di falso nome, della quale alcuni facendo pompa hanno deviato dalla Fede». E dopo queste tanto chiare parole saranvi anche uomini d'ostinazione così sfrontata, di così dura impudenza, di così incorreggibile pertinacia, che non s'arrendano a tanta autorità di divine sentenze, non soccombano sotto sì grave peso, non si spezzino a martellate siffatte, non s'affrangano [= non siano affranti, distrutti, lat. non conterantur N.d.R.] a fulmini così tremendi? Fuggi, dice l'Apostolo, le profane novità delle parole. Non disse l'Antichità, non la Vetustà; anzi egli disse apertamente l'opposto. Se dunque è da fuggire la novità, è da tenere l'antichità; se quella è profana, questa debbe essere santa; e fuggi, soggiunge, le contraddizioni di quella scienza di falso nome. Ed è falso davvero il nome nelle dottrine degli eretici; dachè presso costoro l'ignoranza si dice scienza, serenità la caligine, la tenebra luce. Della quale scienza, prosiegue, alcuni facendo pompa deviarono dalla fede. Di cosa facendo pompa deviarono dalla fede, se non s'intenda d'una nuova e per l'avanti ignorata dottrina?  Perocchè ti verrà udito a gridar costoro: Venite, o ignoranti, e infelici, che volgarmente siete detti Cattolici, ed imparate la vera fede; cui tranne noi niuno conosce, che si tenne nascosta secoli e secoli, di presente poi rivelata e additata; ma imparatela furtivamente e di soppiatto; e vi delizierà le anime vostre. E soggiungono ancora: Come l'avrete voi appresa, insegnatela di nascosto; perchè il mondo non l'oda, nol sappia la Chiesa; dachè a pochi è dato di penetrare il segreto di tanto mistero. Non son forse queste le parole di quella meretrice, che ne' Proverbii di Salomone chiama a sè i viandanti, che viaggiano al loro destino? [15] «Chi è stoltissimo si volga a me». Gli scemi quinci di mente esorta a togliere di buona voglia gli occulti mangiari, ed a bere furtivamente l'acqua a riuscir loro più dilettosa. Cosa quindi egli accade? Salomone lo dice [16]: «Ma colui non sa, che gli abitatori della terra trovino presso di lei perdizione». Chi siano questi l'accenna l'Apostolo, quando dice, che deviarono dalla Fede.
27. Ma egli è pregio dell'opera, che noi colla possibile maggiore accuratezza spieghiamo tutta quanta la sentenza apostolica [lat. Sed operae pretium est totum ipsum Apostoli capitulum diligentius pertractare. N.d.R.]. O Timoteo, dice, custodisci il deposito, avendo in avversione le profane novità delle parole. Quella esclamazione esprime prescienza, e carità. Poichè prevedeva l'Apostolo gli errori futuri, pe' quali si rattristava anzi fossero sorti. Che inchiudesi nel nome di Timoteo, se non universalmente tutta la Chiesa, ed in ispecie tutto il corpo de' Presidi, i quali essi stessi debbono intiera possedere la scienza della Religione, e pura ad altri insegnarla? Che per custodia del deposito? se non che difendano essi questo deposito dai ladri ed insieme dai nemici; onde trovati i guardiani a dormire non rubino, e non soprasseminino il loglio tra la buona semenza, che nel suo campo seminò il Figliuolo dell'uomo? Custodisci, egli dice, il deposito; vale a dire, ciò, che ti è stato affidato non ciò che tu molinasti; [= ciò che hai ricevuto, non ciò che hai inventato, lat. quod accepisti, non quod excogitasti N.d.R.] non cosa di tua mente, ma dottrina positiva; non roba d'usurpazione privata, ma di pubblica trasmissione; non insegnamento da te promulgato, ma a te dedotto; [= a te condotto, cioè tramandato dai Padri, lat. rem ad te perductam, non a te prolatam N.d.R.] di cui non de[v]i essere tu autore, sibbene custode; non istitutore, ma seguitatore; non guidatore, ma esecutore. Custodisci il deposito, conserva, cioè, inviolato ed intatto il tesoro della Cattolica Fede. Ciò stesso, che ti fu consegnato, mantieni, e sì ad altri per te si trasmetta. Ricevesti oro, fa di rendere oro; non intendo cosa a cosa sostituisca [= non voglio che tu sostituisca una cosa ad un'altra, lat. Nolo mihi pro aliis alia subjicias. N.d.R.]; non voglio che impudentemente e fraudolentemente cangi piombo o rame per oro; non voglio apparenza, ma sì veramente d'oro sostanza. O Timoteo, o sacerdote, o predicatore, o dottore, s'a ciò la divina munificenza ti fece sufficiente per ingegno, per dottrina, per esercizio, sii il Beseleele del Tabernacolo spirituale [17]; incidi le gemme preziose della fede divina, uniscile con fedeltà, adornale con sapienza, aggiungi loro splendore, venustà, ed eleganza. Per la tua esposizione si conosca con maggior chiarezza ciò, che per l'avanti era con minore intelligenza creduto; si rallegri la posterità d'aver capito per mezzo tuo ciò, che gli antichi veneravano, non inteso. Ma insegna quanto apparasti; onde esprimendoti in maniera novella, non venga tu a dire cose novelle. [Ma insegna quanto hai imparato; onde esprimendoti in maniera nuova, non venga tu a dire cose nuove. Lat. Eadem tamen quae didicisti, doce; ut cum dicas nove, non dicas nova. N.d.R.]

CAPO XIV.

Quale progresso ammetta la Chiesa in fatto di religione.

28. Ma qui dirà alcuno: dunque nella Chiesa di Gesù Cristo non avrassi progresso [profectus N.d.R.] alcuno di religione? S'abbia egli sì, e s'abbia grandissimo. Imperò chi saravvi sì degli uomini invidioso, o a Dio esecrabile che s'adoperi di ciò impedire? Ma sia tale, ch'abbia a dirsi vero progresso [profectus N.d.R.], e non cangiamento [permutatio N.d.R.] di fede. Poichè è proprio del progresso [profectus N.d.R.], ch'una cosa qualunque vadasi nella sua propria natura avanzando [in semetipsum unaquaeque res amplificetur N.d.R.]; è proprio del cangiamento [permutatio N.d.R.], che cosa in cosa tramutisi [transvertatur N.d.R.]. Conviene pertanto, che coll'avvicendarsi di generazioni e di secoli sì la religione di ciascuno in particolare, come in generale di tutti, sì in individuo, come in complesso in tutta la Chiesa cresca, e grandemente progredisca d'intendimento, di scienza e sapere; ma secondo la propria sua essenza [in suo dumtaxat genere N.d.R.], vale a dire, secondo i suoi proprii principii, in uno stesso identico ragionamento, ed immutabile avviso. [È chiaro quanto il concetto di progresso (profectus, che oggi, per non ingenerare confusione, saremmo costretti a tradurre con altro termine, ad es. avanzamento, incremento) qui impiegato da S. Vincenzo si discosti da quello inaugurato dalla rivoluzione francese ed attualmente imperante, che invece denota mutazione essenziale (permutatio) per di più colla connotazione di permanente. Questo capitoletto del Commonitorio è citato nel capo IV della Costituzione dogmatica Dei Filius del Concilio Vaticano, dunque si tratta di un insegnamento fondamentale per ogni vero cattolico. Lat. Sed forsitan dicit aliquis: Nullusne ergo in Ecclesia Christi profectus habebitur religionis? Habeatur plane, et maximus. Nam quis ille est tam invidus hominibus, tam exosus Deo, qui istud prohibere conetur? Sed ita tamen ut vere profectus sit ille fidei, non permutatio. Siquidem ad profectum pertinet, ut in semetipsum unaquaeque res amplificetur; ad permutationem vero, ut aliquid ex alio in aliud transvertatur. Crescat igitur oportet, et multum vehementerque proficiat tam singulo rum quam omnium, tam unius hominis quam totius Ecclesiae, aetatum ac seculorum gradibus, intelligentia, scientia, sapientia, sed in suo duntaxat genere, in eodem scilicet dogmate, eodem sensu, eademque sententia. N.d.R.]
29. La religione degli animi pareggi il procedimento de' corpi; i quali sebbene col trascorrer degli anni svolgano e sviluppino la lor membratura, pure sempre rimangono essenzialmente gli stessi. Ci ha notabile differenza tra il primo fiore di puerizia, e la matura vecchiezza; ciononostante queglino stessi, che furono giovinetti, essi sono gli stessi divenuti già vecchi; cosicchè sebbene si cangi la condizione e l'aspetto del medesimo identico individuo, sia nondimeno sempre la natura e la persona di prima. Piccole sono le membra dei bambini da latte, grandi quelle de' giovani fatti; nondimeno sempre sono le stesse membra. Quante le membra de' bambini, tante quelle pur degli adulti; giacchè quali si ravvisano elle nel processo dell'età più matura, erano elle già nella virtù stessa del germe; di modo che nulla si discopra nel vecchio, che già prima nel fanciullo non si celasse. Non è quinci dubbio essere questa la diritta e legittima norma del progredire, questo il costante e bellissimo ordinamento del crescere; che nei più attempati, cioè, l'età sviluppi quelle parti e le forme, che la sapienza del Creatore ne' più giovani aveva già innanzi formato. Che se la umana natura si trasformi di poi in una specie dalla sua diversa, ne le s'aggiunga un membro non suo, o le si tolga: sarà d'uopo ne muoia, o divengane mostruosa, o indeboliscane. Così pure il principio della Religion cristiana è mestieri segua le stesse leggi di progredire; cogli anni si vada più rafforzando, si dilati col tempo, coll'età si sublimi; ma resti illeso ed incorrotto nella sua essenza, nel numero delle sue parti, in tutte, quasi dissi, le sue membra, e nella sua organica disposizione sia completo e perfetto; non ammetta perciò cangiamento di sorta, non iscapito d'alcuna sua proprietà, varietà non soffra di sua naturale composizione. [Lat. Imitetur animarum religio rationem corporum: quae licet annorum processu numeros suos evolvant et explicent, eadem tamen quae erant permanent. Multum interest inter pueritiae florem et senectutis maturitatem; sed iidem tamen ipsi fiunt senes qui fuerant adolescentes; ut quam vis unius ejusdemque hominis status habitusque mutetur, una tamen nihilominus eademque natura, una eademque persona sit. Parva lactentium membra, magna juvenum; eadem ipsa sunt tamen. Quot parvulorum artus, tot virorum; et si qua illa sunt quae aevi maturioris aetate pariuntur, jam in seminis ratione proserta sunt; ut nihil novum postea proferatur in senibus, quod non in pueris jam ante latitaverit. Unde non dubium est, hanc esse legitimam et rectam proficiendi regulam, hunc ratum atque pulcherrimum crescendi ordinem, si eas semper in grandioribus partes ac formas numerus detexat aetatis, quas in parvulis creatoris sapientia praeformaverat Quod si humana species in aliquam deinceps non sui generis vertatur effigiem, aut certe addatur quidpiam membrorum numero vel detrahatur, necesse est, ut totum corpus vel intercidat, vel prodigiosum fiat, vel certe debilitetur. Ita etiam christianae Religionis dogma sequatur has decet profectuum leges, ut annis scilicet consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate, incorruptum tamen illibatumque permaneat, et universis partium suarum mensuris, cunctisque quasi membris ac sensibus propriis plenum atque perfectum sit, quod nihil praeterea permutationis admittat, nulla proprietatis dispendia, nullam definitionis sustineat varietatem. N.d.R.]
30. I nostri maggiori seminarono, a cagion d'esempio buona semenza di fede nel mistico campo di santa Chiesa, assai iniquo sarebbe e fuori d'ogni ragione, che noi lor successori cogliamo il soprasseminato errore della zizzania in luogo del vero frumento. È anzi natural conseguente, che non discrepando il processo dalla origine prima, dagl'incrementi della buona istituzione la messe mietiamo della buona dottrina; onde svolgendosi dalla prima virtù di quel seme alcun frutto col proceder del tempo, se ne goda, ed abbiasi caro, ma nulla si cangi nella natura dalla semenza; le si aggiunga splendore, bellezza, e varietà; resti però sempre la stessa in ogni suo essenziale organismo. Guardiamo bene, che quella rosea piantagione della credenza cattolica in cardi non convertasi e spine. Guardiamo bene, io ripeto, che in questo spiritual paradiso dagl'innesti del cinnamomo e del balsamo all'impensata producansi loglio ed aconito. Tuttociò adunque, che nella coltura della Chiesa di Dio fu seminato dalla fede dei nostri padri, è d'uopo si coltivi e mantengasi dall'industria de' figli; il medesimo fiorisca e maturisi; il medesimo progredisca, si perfezioni. Che è lecito quegli antichi dommi della celeste filosofia coll'avanzarsi del tempo siano adornati, raffazzonati, abbelliti, ma che si mutino è nefando attentato; nefando attentato dimezzarli, mutilarli. Ricevano sì bene evidenza, chiarezza, ordinamento; ma mantengano la pienezza, integrità, e proprietà loro.

CAPO XV.

Rigettata una parte del principio cattolico, corre il pericolo di tutta abolirsi la Religione.

31. Imperciocchè ove fosse consentita una volta questa empia licenza di frode, inorridisco a pur dire quanto grande pericolo ne conseguirebbe di tutta spiantare e cessare la Religione. Perchè rigettata qualunque parte della dottrina cattolica, quasi in forza di consuetudine e di lecita usanza altre ed altre cose se ne rigetteranno, e nuovamente altre e poi altre [18]. E rinnegatane alla spicciolata ciascuna parte, ch'altro infine verranne, se non che si neghi tutto del pari?  E se comincerassi a confondere dottrine nuove con vecchie, profane con sagre, nascerà urgenza su tutto irrompa una tal costumanza; cosicchè niente d'intatto, d'illibato, d'immacolato, d'intiero siasi per lasciar nella Chiesa; ma dove per innanzi era il sacrario del casto ed incorrotto vero, sia quindi per essere un lupanare d'empii errori e di sozzi. Ma la divina pietà tenga lontana dalle menti de' suoi fedeli una tanta scelleratezza, e cosiffatto furore sia proprio solo degli empî.
32. Ma la Chiesa di Gesù Cristo, diligente e gelosa custode della dottrina depositata presso di lei niente ne cangia, niente ne menoma, niente vi aggiunge; le cose necessarie non toglie, non aggiunge superflue; le proprie non lascia, non usurpa le altrui; sibbene con ogni solerzia possibile s'adopera a più chiare stabilire, ed a fare risplendere, con sapiente semplicità maneggiandole, quelle antiche dottrine, ch'erano solo state abbozzate ed accennate; quelle usa poi custodire che già furono definite e comprovate. E perchè di fatto ella s'appoggia all'autorità de' Concilii, se non perchè quei medesimi dommi, che già per lo innanzi nella sincerità della fede credevansi, si credessero poi con più fissa attenzione? ciò che prima senza grande ressa si predicava, con più calore poi s'inculcasse? ciò che prima senza specialità si professava, con maggiore sollecitudine poi si conservasse?  Eccitata la Cattolica Chiesa dalle novità degli eretici questo sempre, ned altro fece co' decreti de' suoi Concilii, che trasmettere ai posteri con iscritto chirografo ciò, che dai Maggiori con sola la orale tradizione aveva ella ricevuto; compendiando in breve scrittura gran mole d'insegnamento; ed alle volte per amor di chiarezza significando una vecchia credenza con espressione tennicamente novella [19]. [Lat.: (31) Nam si semel admissa fuerit haec impiae fraudis licentia, horreo dicere quantum exscindendae atque abolendae Religionis periculum consequatur. Abdicata etenim qualibet parte Catholici dogmatis, alia quoque atque item alia, ac deinceps alia et alia, jam quasi ex more et licito, abdicabuntur. Porro autem singillatim partibus repudiatis, quid aliud ad extremum sequetur, nisi ut totum pariter repudietur? Sed et e contra, si novitia veteribus, extranea domesticis, et profana sacratis admisceri coeperint, proserpat hic mos in universum necesse est, ut nihil posthac apud Ecclesiam relinquatur intactum, nihil illibatum, nihil integrum, nihil immaculatum, sed sit ibidem deinceps impiorum ac turpium errorum lupanar, ubi erat antea castae et incorruptae sacrarium veritatis. Sed avertat hoc a suorum mentibus nefas Divina pietas, sitque hic potius impiorum furor. (32) Christi vero Ecclesia sedula et cauta depositorum apud se dogmatum custos, nihil in his unquam permutat, nihil minuit, nihil addit, non amputat necessaria, non apponit superflua, non amittit sua, non usurpat aliena, sed omni industria hoc unum studet, ut vetera fideliter sapienterque tractando, si qua sunt illa antiquitus informata et inchoata, accuret et poliat, si qua jam expressa et enucleata, consolidet, firmet, si qua jam confirmata, et definita, custodiat. Denique quid unquam aliud Conciliorum decretis enisa est, nisi ut quod antea simpliciter credebatur, hoc idem postea diligentius crederetur, quod antea lentius praedicabatur, hoc idem postea instantius praedicaretur, quod antea securius colebatur, hoc idem postea sollicitius excoleretur? Hoc, inquam semper, nec quidquam praeterea, haereticorum novitatibus excitata, Conciliorum suorum decretis Catholica perfecit Ecclesia, nisi ut quod prius a majoribus sola traditione susceperat, hoc deinde posteris etiam per scripturae chirographum consignaret, magnam rerum summam paucis litteris comprehendendo; et plerumque, propter intelligentiae lucem, non novum fidei sensum novae appellationis proprietate signando. N.d.R.]

CAP. XVI.

Torna alle parole dell'Apostolo: O Timoteo, custodisci il deposito, avendo in avversione le profane novità delle parole.

33. Ma torniamo all'Apostolo. «O Timoteo, egli dice, custodisci il deposito, avendo in avversione le profane novità delle parole». Fuggile come una vipera, come uno scorpione, come un basilisco, onde non che col morso, ma nè coll'alito pure ti rechino offesa. Cosa significa egli fuggire, se non che nè l'alimento pur prendere in compagnia di chi innovazioni propaga? Che significa: Fuggi? Risponde l'Apostolo san Giovanni [20]: «S'alcuno viene da voi, e non porta questa dottrina:» vale a dire la cattolica, la universale, e che mediante la incorrotta tradizione di tutte le età persevera sempre identicamente la stessa, e tale manterrassi per tutta la successione de' secoli: «Nol ricevete in casa e nol salutate; perchè chi lo saluta partecipa alle opere sue malvagie». Dice le profane novità delle parole. Che significa egli profane?  Che non hanno nulla di sacro, nulla di religioso, estranee ai penetrali di santa Chiesa, la quale è il tempio di Dio. Le profane novità delle parole, egli dice. Lo che val quanto a dire le novità dei principii, delle materie, delle opinioni, che sono contrarie alla vetusta antichità. Le quali novità ricevendo, sarebbe mestieri violare tutta, o sì certo in gran parte la fede de' Padri; sarebbe mestieri asserire che pel tratto sì lungo di secoli abbiano ignorato, abbiano errato, abbiano bestemmiato, non sapessero cosa credessero, tutti i fedeli di tutte le età, tutti i santi, gli illibati, i puri, gli astinenti, le vergini, tutti i Cherici, i Diaconi, i Sacerdoti, tante migliaia di Confessori, tanta moltitudine di Martiri, tante illustri città, tanti celebri popoli e sì numerosi, tante provincie, tante isole, tanti regni, tanti re, tante razze, tanti nazioni, tutto insomma quasi l'orbe universo, incorporato a Gesù Cristo suo Capo mediante la Cattolica Fede.
34. Abbi in avversione, dice l'Apostolo, le profane novità delle parole, le quali di ricevere e di seguire non fu mai costume appo [= presso  N.d.R.] i Cattolici, sempre sivveramente appo gli Eretici. Quale eresia mai difatti rigurgitò, che non siasi manifestata sotto un dato nome, a luogo determinato circoscritta, ad un limitato periodo di tempo ristretta?  Chi ci visse fondator d'eresie che non siasi prima distaccato dalla universale ed antica fede della Cattolica Chiesa? Lo che sia così veramente più chiaro, che non è dessa la luce [= più chiaro della stessa luce, N.d.R.], dimostrano i fatti. Chi mai esistette prima di quel profano Pelagio, che concedesse tanta virtù al libero arbitrio da non credere necessaria all'uomo la grazia divina, perchè fossero meritorie in ordine alla vita eterna le opere sue?  Chi prima del mostruoso Celestio discepolo di lui negò fosse vincolato tutto il genere umano dalla colpa d'Adamo? Chi prima del sacrilego Ario osò segregare l'Unità dalla Trinità?  Chi prima dello scellerato Sabellio confondere nell'Unità la Trinità? Chi prima del crudelissimo Novaziano [21] asseverò Dio crudele, e che meglio ami la morte del peccatore, ch'egli convertasi e viva? Chi prima di Simon Mago, percosso dall'anatema dell'Apostolo, disse Dio creatore causa dei mali, delle scelleraggini, delle empietà, e dei nostri delitti?  Da lui pur venne con continuata ed occulta derivazione quella illuvie vera di tutte brutture [= quella sentina di turpitudini, lat. turpitudinum gurges N.d.R.] fino all'ultimo Priscilliano [22]. Simon Mago asserisce, che tale Iddio colle proprie sue mani crea la natura dell'uomo, [così] che per essenziale suo instinto e per necessario impulso di volontà non possa e non voglia altro che il peccato; ed è perciò, ch'agitata ed infiammata dalle furie di tutti i vizii nell'interminabile abisso delle turpitudini tutte venga ella violentemente tratta. Innamerabili sono esempi siffatti, i quali noi per amore di brevità passiamo sotto silenzio; e dai quali tutti si mostra con assoluta evidenza e chiarezza, che tutte le [e]resie, com'ebbero costume ed instinto di deliziarsi delle profane novità, così ebbero sempre in fastidio la dottrina dell'antichità; e per le contraddizioni d'una scienza di falso nome sempre deviarono dalla fede. È proprio, al contrario, de' Cattolici di conservare il deposito de' santi Padri, e le verità loro affidate, e di condannare le profane novità, e dire, come disse, e ridisse l'Apostolo: «S'alcuno insegni diversamente dalla dottrina già ricevuta, sia anatema». [Viceversa è proprio dei cattolici il conservare il deposito dei santi Padri e le verità loro affidate, e di condannare le profane novità, e come disse e ripetè l'Apostolo (Gal. I, 9): se alcuno evangelizzerà a voi oltre quello, che avete appreso, sia anatema. — Lat. Contra vero catholicorum hoc vere proprium, deposita sanctorum Patrum et commissa servare, damnare profanas novitates, et sicut dixit atque iterum praedixit Apostolus (Gal. I, 9.), si quis annuntiaverit praeterquam quod acceptum est, anathema sit. — A questo proposito si legga con attenzione la seguente importantissima nota di Mons. Antonio Martini a Gal. I, 8: «Vers. 8. Ma quand'anche noi od un Angelo del cielo evangelizzi a voi oltre ec. Dimostra l'immutabilità della dottrina cristiana, la quale venendo da Dio non può cangiarsi giammai, nè è lecito di aggiugnervi, e quando ciò si facesse o da un uomo, od anche, per impossibile, da un Angelo del cielo, contro un tal novatore fulmina Paolo l'eterna maledizione. Lo Spirito santo mandato da Gesù Cristo agli Apostoli insegnò loro, e per mezzo loro alla Chiesa tutte le verità appartenenti alla Fede di Cristo. Queste verità contenute o implicitamente o esplicitamente nella scrittura e nella tradizione della Chiesa sono il prezioso deposito confidato alla medesima Chiesa, deposito, che ella conserverà incorrotto ed intero sino alla fine de' secoli, e chiunque ad esso pretenderà o di togliere, o di aggiugnere alcuna cosa, sarà separato dalla comunione della Chiesa, come è stato fatto contro tutti, gli eretici da principio della Chiesa fino a questi ultimi tempi. Così contro gli Ariani nel gran concilio di Nicea, contro gli Eutichiani in quello di Calcedonia, e così finalmente contro i Calvinisti, Luterani e simili novatori nel sagrosanto concilio di Trento.» N.d.R.]

CAP. XVII.

Che metodo tengono gli Eretici nell'interpretare la Scrittura.

35. Altri domanderà se gli eretici usino dell'autorità delle divine Scritture. Ne usano certamente e con grande insistenza. Imperocchè tu li vedi percorrere sur ogni [= su ogni N.d.R.] volume della divina Legge, tolgono [= prendono (cioè citano) N.d.R.] da Mosè, dai libri dei Re, dai Salmi, dagli Apostoli, dagli Evangelii, dai Profeti [23]. Giacchè o parlino presso i loro, o gli estranei, in privato od in pubblico, nelle concioni, o negli scritti, nelle piazze od alle mense, è raro ch'eglino profferiscano cosa, la qual non s'aiutino di colorare co' detti della sacra Scrittura [24]. Leggete gli opuscoli di Paolo Samosateno, di Priscilliano, d'Eunomio, di Gioviniano e d'altri pestilenze di simil fatta, e ci vedrete una infinita raccolta di autorità scritturali, e non tralasciata quasi pagina alcuna, che non sia colorita ed imbellettata di passi del Testamento vecchio e del nuovo. Ma tanto sono più da temere e schifare, quanto più si riparano all'ombra della Legge divina. Dachè ben essi conoscono, che i loro fetori non sarebbero sì facilmente per piacere ad alcuno, se da sè soli esalassero; perciò gli aspergono, per così dire, degli aromi della celeste parola, onde chi di leggieri disprezzerebbe l'errore dell'uomo, sì di leggieri non abbia a vile gli oracoli del Signore. Fanno essi come sogliono fare coloro, i quali volendo propinare a' fanciulli certe amare bevande, aspergono prima di mele [= di miele, lat melle N.d.R.] gli orli del vaso [25]; affinchè quella inesperta età non tema amarulenza, ov'ha pregustato dolcezza. Lo che pure è nell'intento di quelli, che trista gramigna e succhi nocivi abbelliscono con parole di medicina; cosicchè, appena siavi chi sospetti di veleno, ove leggesi scritto l'opposto rimedio [26].
36. E perciò che ancora il divin Salvatore esclamava: «Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi vestiti da pecore; ma di dentro sono lupi rapaci [27]». Cosa debbesi intendere per vestimento di pecora, se non le parole degli Apostoli o de' Profeti, le quali con certa loro nativa schiettezza ed all'ovile ed a quell'Agnello immacolato, che toglie il peccato del mondo, hanno nutrito, per così dire, le lane? Quali sono i lupi rapaci, se non le rabbiose e feroci dottrine, che insidiano di continuo al pecorile della Chiesa, ed in ogni maniera che lor cada in acconcio straziano e scerpano la greggia di Gesù Cristo? Ma per muovere con più frode sulle incaute pecorelle, ritenendone la ferocia, depongono l'apparenza di lupi, e s'avvolgono, quasi in pelli pecorine, degli aforismi della Legge di Dio; ond'altri sentendo la morbidezza delle lane, non sospetti dell'acutezza dei denti. Ma cosa n'avverte il divin Salvatore? Dai loro frutti li conoscerete. Vale a dire; come principieranno a non sol profferire ma pure a chiosare; non solo ad enunciare, ma ancora ad interpretare quelle divine parole; allora conoscerassi la costoro amarulezza, l'acerbità, la rabbiosa natura; allora esalerà il novello lor tossico, allora se ne scopriranno le profane novità; allora innanzi tutto vedrete squarciarsi la siepe, oltrepassarsi i paterni confini, ferirsi la Cattolica Fede, lacerarsi l'ecclesiastico domma.
37. Di siffatta pasta erano coloro, che sfolgora l'Apostolo Paolo nella seconda a quei di Corinto [28]: «Imperocchè questi tali falsi apostoli sono operai finti, egli dice, che si trasfigurano in Apostoli di Cristo». Cosa vuol dire nel carpirli di trasfigurarsi in Apostoli di Cristo? [Che è questo (ingannevole) trasfigurarsi in Apostoli di Cristo? Lat. Quid est transfigurantes se in Apostolos Christi? N.d.R.] Predicavano i veri Apostoli i precetti della divina Legge, e quelli pure li predicavano: adducevano i veri Apostoli l'autorità de' Salmi, le sentenze dei Profeti, e quelli non altrimenti facevano. Ma quando le sentenze ch'ugualmente allegavano, non ugualmente al senso apostolico interpretavano; allora si chiarirono i sinceri dai fraudolenti, i semplici dagli azzimati, gli onesti dai malvagi, allora in una parola i veri Apostoli dagli apostoli falsi. «Nè ciò è da ammirarsi, mentre anche Satana si trasforma nell'angelo della luce. [E non v'è da stupirsene, dato che lo stesso Satana si trasforma in angelo della luce. lat. Et non mirum, inquit. Ipse enim satanas transfigurat se in Angelum lucis. N.d.R.] Non è dunque gran cosa, che anche i ministri di lui si trasfigurino in ministri della giustizia». Secondo l'ammaestramento adunque dell'Apostolo Paolo quantunque volte i falsi apostoli, i falsi profeti, ed i falsi dottori producono le sentenze della divina Legge, onde interpretandola pel rovescio, si sforzano gli errori lor comprovare, non ha dubbio, ch'eglino imitino le astute macchinazioni del loro antesignano il demonio; le quali sentenze certo costui non mai ricorderebbe, qualora non conoscesse non esservi più facile via, ch'addurre l'autorità delle divine parole per trarre altri in inganno, e per intruder la fraude dell'empio errore. Che s'alcuno dirammi, come comprovisi che il demonio abbia usato i passi della sacra Scrittura: io gli risponderò, che legga gli Evangelii, ne' quali è scritto [29]: «Allora il diavolo lo menò nella città santa, e poselo sulla sommità del tempio, e gli disse: «se tu sei figliuolo di Dio, gettati giù; imperocchè sta scritto, che ha commesso ai suoi Angeli la cure di te, ed essi ti porteranno nelle mani, affinchè non inciampi a caso col tuo piede nella pietra». Come comporterassi costui coi meschinelli mortali, s'egli coll'autorità delle Scritture assalì lo stesso Signore della maestà?  Se sei figliuolo di Dio, gettati giù. Perchè? Perchè sta scritto, egli dice. Noi dobbiamo avvertire e bene a mente tenere il documento di questo passo; acciocchè, qualora veggiamo ad alcuni produrre parole d'Apostoli, o di Profeti contra la Fede Cattolica, da tanto esempio d'evangelica autorità punto non dubitiamo che parli il demonio per la bocca di quelli. Imperciocchè come allora il capo parlava al Capo, ora le membra parlano alle membra; le membra, cioè, del demonio alle membra di Cristo, i perfidiosi ai fedeli, i sacrileghi ai religiosi, gli eretici in una parola ai cattolici. Che dicono essi? Se sei figliuolo di Dio, gettati giù. Che è quanto a dire; se vuoi essere figliuolo di Dio: s'acquistare l'eredità del regno celeste, gettati giù dalla dottrina e dalla tradizione di codesta sublime Chiesa, la quale è pure stimata il tempio di Dio. E s'altri interroghi un eretico di qualsivoglia setta, che cose siffatte gli va insinuando: Come provi e donde ammaestri ad abbandonare l'universale ed antica fede della Chiesa Cattolica?  Egli senza esitare risponde: Perchè sta scritto. E di presente ti viene sciorinando mille testimonii, mille esempii, mille autorità estratte dalla Legge, dai Salmi, dagli Apostoli, dai Profeti, onde, interpretati con frode e tutta nuova maniera, l'anima dalla cattolica sommità si precipiti nel miserando abisso dell'eresia. In modo poi tuttaffatto straordinario hanno sempre gli eretici ingannato i malaccorti colle loro promesse. Poichè hanno sempre la sfrontatezza di promettere e d'insegnare, che nella loro congregazione, cioè, nella conventicola del loro asseclismo [= nella conventicola della loro (perfida) comunione (asseclismo significa insieme di settarii, setta, dal lat. assecla che significa settario, partigiano). Lat. in ecclesia sua, id est, in communionis suae conventiculo N.d.R.], grande e speciale è la grazia di Dio e del tutto proprietà personale; cosicchè, sebbene non durino fatica, non manifestino impegno, non usino diligenza di sorta, non chiedano, non cerchino, non battano, pure coloro, che di quella fanno parte, con tale divina economia ricevono gli aiuti, che se fossero [= come se fossero N.d.R.] portati nelle mani degli Angeli, ond'a pietra non iscontrino piede; lo che non è altro che dire, che non possono peccare piu mai [30].

CAP. XVIII.

È da opporsi agli Eretici, quando a confermare i loro errori allegano le divine Scritture.

38. Ma qui forse altri diranne: se il demonio ed i suoi seguitatori, de' quali altri sono falsi apostoli, altri falsi profeti, altri falsi dottori, ed insomma tutti eretici, usano le parole, le sentenze, e le promesse divine: come dovrannosi comportare i Cattolici ed i figli di santa madre Chiesa? Con che metodo potranno per le sante Scritture il vero sceverare dal falso? Guarderanno, io rispondo, a scrupolosamente eseguire quanto sull'iniziare di questo nostro Commonitorio, e ch'a noi tramandarono santi uomini e dotti, abbiamo avvertito; che s'interpreti, cioè, la divina parola secondo la tradizione della Chiesa universale, e secondo le regole dell'insegnamento cattolico. Della quale Cattolica ed Apostolica Chiesa è d'uopo seguano la Universalità, Antichità ed Unanimità. Cosicchè, qualora una parte insorga contra la universalità, la novità contra l'antichità, il dissentire d'uno o di pochi contra il consenso di tutti, o d'assai maggior numero di Cattolici, preferisca la sanezza della universalità alla corruzion della parte; in questa stessa universalità preferisca il religioso ossequio dell'antichità alla sacrilega profanazione della novita; similmente in essa l'antichità [= nella stessa antichità, lat. in ipsa vetustate N.d.R.] alla temerità d'uno o di pochi preferisca anzi tutto, se havvene, i decreti de' Concilii ecumenici; ed ove manchino questi, si seguano, ciocchè ad essi è più prossimo, gli unanimi pareri dei molti e dei grandi Dottori. Le quali cautele con lealtà, prudenza e diligenza praticate, senza molta difficoltà ci porremo in grado di scoprire la Dio mercè i nocivi errori degli eretici riluttanti [31].
39. Ed accorgo già a questo tratto assai ben convenire, ch'io per gli esempi dimostri, [Mi pare che sia qui conveniente ch'io con esempi dimostri, lat. Hic jam consequens esse video ut exemplis demonstrem N.d.R.] come si possano conoscere e condannare le profane novità degli eretici, [una volta] allegati, e tra loro collazionati gli uniformi pareri degli antichi Dottori. La quale antica uniformità de' santi Padri dobbiamo noi con grande impegno ricercare e seguire non già in tutte le più minute quistioncelle della sacra Scrittura, ma sì certamente in ciò, che risguarda la sana e diritta norma del credere. Ma nè d'ogni tempo, nè le eresie tutte sono a questo modo da confutare: sibbene solo, com'esse insorgano, le novelle e recenti, onde affogarle nel più breve tempo possibile, ed innanzi che, propagato più largamente il venefico loro morbo, abbiano ad alterare le regole dell'antica credenza, ed attentino di viziare i codici dei Maggiori. Del resto le già dilatate ed invecchiate non sono a ripulsare per tal maniera; poichè dal lungo lasso di tempo larga occasione hanno elleno avuto di frodare la verità. E perciò quelle più antiche profanità, siano scisme od eresie, o vogliono rintuzzarsi colla sola autorità delle sante Scritture, ove necessità lo richiegga; o certamente fuggirle già innanzi condannate e sconfitte dagli universali Concili de' Padri. E come prima a scaturire cominci la putredine d'un empio errore qualunque, ed a sua difesa vada razzolando alcune parole dalla sacra Scrittura, ed espongale con fallacia e con frode: tosto debbono conferirsi i giudizi de' nostri Maggiori [= subito si devono mettere insieme i giudizi dei nostri maggiori, lat. majorum sententiae congregandae sunt N.d.R.] per interpretare la divina parola, al paragone de' quali, se una dottrina qualunque insorta appaia nuova, sarà per ciò stesso profana, e senza andirivieni è da contraddire, e senza lungaggini da condannare. Ma sono a collazionarsi i giudizî, o pareri di soli quei Padri, i quali santi, sapienti, e costanti vissero, insegnarono, perseverarono nella Fede e Comunione Cattolica, e sì meritarono o di morire in Cristo fedeli, o felici d'essere uccisi per la confessione di Cristo. Ai quali è pure con questa cautela ad aggiustar fede; [= Ai quali si deve dar credito con la seguente cautela... lat. quibus tamen hac lege credendum est... N.d.R.] che s'abbia per certo ed indubitato, e legittimo tuttociò, che tutti, od il maggior numero d'essi abbiano, quasi una concorde congrega di Maestri, con chiarezza, ripetutamente e con proposito stabilito, accettato, conservato, trasmesso. Quanto poi abbia egli opinato siasi pure un unto, un dotto, un vescovo, un Confessore, od un Martire, oltre il sentire, o contra il sentire di tutti, tale sentenza di lui, staccato dall'autorità della comune, pubblica e generale uniformità vuolsi rilegare tra le personali, oscure e private opinioncelle; affinchè con sommo pericolo dell'eterna nostra salute, e giusta la sacrilega costumanza degli eretici e degli scismatici, non seguiamo il novello errore d'un uomo, abbandonata l'antica verità del cattolico domma [32].

CAP. XIX.

Di quanta autorità sia l'unanime consenso de' Padri.

40. De' quali santi Padri ond'altri imprudentemente non pensi essere da tenersi in poco pregio il religioso ed universale consenso; ne giova riferire quanto dice l'Apostolo nella sua prima a quei di Corinto [33]: «Ed alcuni ha in primo luogo Dio destinati Apostoli nella sua Chiesa; de' quali egli era uno; altri profeti, quale leggiamo negli Atti apostolici essere stato Agabbo, altri dottori», i quali ancora espositori son detti, ed i quali il medesimo Apostolo alle volte chiama ancora profeti, perchè gli oracoli de' profeti sono ai popoli per essi spiegati. Chiunque pertanto disprezzasse costoro, che, provvidenzialmente costituiti nella Chiesa di Dio secondo l'esigenza de' tempi e de' luoghi, consentono unanimi un qualche punto della fede cattolica nel nome di Gesù Cristo, costui disprezzerebbe non uomini, ma sì esso Dio. Dalla veridica concordia de' quali onde alcun non dissenta, assai di proposito ciò stesso inculca s'osservi l'Apostolo, quando dice [34]: «Or io vi scongiuro, o fratelli, che diciate a tutti il medesimo, e non siano scisme tra voi; ma siate perfetti nello stesso sentimento e stesso parere». Che s'altri straniassesi dal comune loro sentire, oda come conchiuda il medesimo Apostolo [35]: «Non è Dio del disordine, ma della pace»: non di colui, cioè, che si partì dalla uniformità di sentire, ma di coloro, che rimasero concordi nel credere: «conforme io insegno, ei ripete, in tutte le Chiese de' santi»; che è quanto a dire, de' Cristiani cattolici. I quali perciò sono santi, perchè perseverano in comunanza di fede. E perchè uomo del mondo non si arrogasse per avventura, posti gli altri in non cale, d'essere lui solo ascoltato, ed a lui solo doversi fede prestare, poco appresso, l'Apostolo stesso soggiunge; «È forse da voi venuta la parola di Dio?  Oppure a voi soli è pervenuta?» E perchè questa non togliesse altri com'espressione di poco momento, egli aggiunse: «S'alcuno si tiene per profeta, o per uomo spirituale, riconosca, che le cose, ch'io scrivo, sono precetti del Signore». I quali precetti accennano senza dubbio a stabilire, che se v'abbia profeta, od uomo spirituale, cioè, maestro in materia di spirito, con massima diligenza si mostri osservatore della uguale uniformità; che non proponga le proprie alle altrui opinioni, nè s'allontani dall'universale consenso. Per la qual cosa, soggiunse «chi ignora i precetti, sarà ignorato»; che è quanto a dire: Chi non apprende le dottrine ignorate, e chi le apprese misconosce, sarà dimenticato, si avrà per indegno d'essere considerato tra gli uniti nella fede ed i parificati nella umiltà; del quale infortunio io non so, se possa pensarsi, non che darsi il maggiore. E ciò secondo la minaccia apostolica vediamo accaduto a quel Giuliano [36] seguitator di Pelagio; il quale o trasandò d'unirsi al sentimento de' suoi Colleghi, o pretese di rifiutarlo. Ma è tempo oggimai di produrre il pratico esempio che già promettemmo, ove mostrare in qual modo siansi unite le sentenze de' santi Padri, perchè secondo le stesse per decreto ed autorità del Concilio si stabilisse la regola del credere della Chiesa. Lo che in ordinata maniera volendo fare, abbia qui fine questo Commonitorio; onde le cose che seguono, da altro cominciamento imprendiamo [37].

CAP. XX.

Ricapitolazione di tutta l'Opera.

41. Abbiamo detto nelle cose di sopra trattate questa essere sempre stata, ed essere non manco al presente la consuetudine de' Cattolici, di comprovare, cioè, con questi due mezzi le verità della Fede. Primamente coll'Autorità della sacra Scrittura, in secondo luogo colla Tradizione della Chiesa Cattolica. Non già perchè, in quanto è in sè, non basti a tutto il Canone scritturale; ma perchè molti interpretando di proprio capo le divine sentenze, vi molinano sopra svariate opinioni ed errori. Urge quindi, che l'interpretazione della divina Scrittura s'indirizzi a stabilire l'uniforme regola del credere della Chiesa, singolarmente in que' principî, ove s'appoggiano le fondamenta di tutto l'edifizio cattolico. Dicemmo puranco doversi guardare nella Chiesa stessa il consenso della Universalità e dell'Antichità; onde non ci spezziamo dall'intierezza dell'unità in un partito di scisma; o dalla osservanza dell'antichità non precipitiamo nelle novità dell'eresia. Dicemmo, che nella stessa antichità della Chiesa sono con forte proposito da osservare due regole, alle quali debbono attenersi assolutamente coloro, che non vonno eretici divenire. Primamente è da tenersi senza esitanza per verità ciò, che in antico con autorità di generale Concilio da tutti i Vescovi della cattolica Chiesa fu decretato; secondamente, ove insorga nuova controversia, che non ritrovisi ancor definita, è da ricorrere alle sentenze de' santi Padri, di quelli s'intende, i quali singoli secondo i propri luoghi ed i tempi perseverando nella unità della comunione e della fede, ne siano stati irriprensibili ammaestratori, e per vero e per cattolico da tenere quanto in uno stesso senso si rivengano uniformi d'aver consentito.

CAP. XXI.

Nel Concilio Efesino fu stabilita la regola della Fede secondo le sentenze de' santi Padri.

42. La quale ultima asserzione, perchè non sembri noi piuttosto facciamo di nostro privato giudizio, che con autorità della Chiesa, producemmo l'esempio del santo Concilio in Efeso celebrato, ora corre il terz'anno, consoli a Costantinopoli Basso ed Antioco; nel quale trattandosi di stabilire regole di Fede; perchè in esso pure non s'intrudesse perfidamente la profana novità, come fu in quello di Rimini, tutti i Vescovi, ch'ivi furono in numero di presso a dugento, convennero in questa cattolicissima, sicurissima, ed ottima determinazione di produrre le sentenze de' santi Padri; dei quali essendo altri stati Confessori, certo constasse tutti essere stati ed avere perseverato nell'essere di cattolici Sacerdoti: purchè giusta il loro consenso e giudizio formalmente e solennemente venisse confermata la santità del domma antico, e fosse proscritta la bestemmia della profana novità. Lo che praticato, fu di piena ragione l'empio Nestorio giudicato nemico della cattolica vetustà, e proclamato il beato Cirillo uniforme alla venerabile antichità [38]. E perchè nulla mancasse di credibilità alla nostra asserzione, indicammo noi i nomi ed il numero dei padri, avvegna l'ordine smenticassimo [39], secondo la cui unanime e concorde sentenza furono esposte le sentenze della sacra Scrittura, ed il canone stabilito del domma divino. Ed ecco ad aiutar la memoria i personaggi, i cui scritti in luogo di giudici, o di testimoni in quel Concilio vennero addotti. Dessi furono san Pietro vescovo di Alessandria, Dottore chiarissimo e beatissimo Martire; sant'Atanasio, Dottor fedelissimo, ed eminentissimo Confessore [40]; san Teofilo vescovo della stessa città, personaggio assai chiaro per sicura credenza, per vita illibata, per estension di dottrina, il quale ebbe a successore il venerando Cirillo, ch'ora illustra la Chiesa d'Alessandria. E perchè non credessesi ciò dottrina d'una sola città, ovvero provincia furono pur consultati que' luminari della Cappadocia [41] san Gregorio di Nazianzo, e san Basilio vescovo di Cesarea e Confessore, e similmente l'altro san Gregorio vescovo Nisseno per merito di vita, di fede, d'integrità, di dottrina degnissimo di suo fratello Basilio. Ma perchè si provasse, che non la sola Grecia, od il solo Oriente, ma pure aver sempre così creduto Occidente, ed il mondo latino, furonvi del pari lette alcune epistole de' santi Felice e Giulio vescovi di Roma [42]. Ed affinchè il Capo non solo, ma si producessero le membra puranco a formare cosiffatto giudizio, scelse da mezzodì il beatissimo san Cipriano vescovo di Cartagine e Martire, e da settentrione sant'Ambrogio vescovo di Milano [43]. Questi tutti pertanto sono i Dottori, i consiglieri,  i testimoni, i giudici addotti dal Concilio Efesino nel sagrato numero del Decalogo; de' quali ritenendo quella beata Sinodo la dottrina, seguitandone il consiglio, credendone la testimonianza, il giudizio obbedendone senza fastidio, arroganza e favore pronunziò intorno alle regole della fede. Benchè si potesse citare un numero assai maggiore di Padri, non fu necessario; non convenendo impiegare il tempo nell'esame d'una moltitudine di testimoni, ove punto non dubitavasi, che que' dieci non altrimenti sentissero intorno alla verità da tutti gli altri loro Colleghi. Dopo le quali tutte testimonianze quella aggiungemmo del beato Cirillo, la quale è riferita nella storia del sullodato Concilio. Poichè essendo stata letta l'epistola di san Capreolo vescovo di Cartagine [44], ch'ad altro non intendeva, e non altro pregava, se non che condannata la novità si difendesse l'antichità: il vescovo Cirillo al terminare delle sessioni disse e definì quanto noi crediamo di dover qui riportare [45]: «Ed ancora questa epistola, ch'è stata letta del venerabile e piissimo vescovo di Cartagine Capreolo verrà inserita negli atti autentici, e d'esso è assai chiaro il parere. Perciocchè egli intende, che si confermino i dommi dell'antica fede, i nuovi poi ad ozio inventati, ed empiamente diffusi vuole si eliminino e si condannino. Tutti i vescovi acclamarono: Queste sono le voci di tutti; queste cose tutti diciamo, questo è il sentimento di tutti». Quali infine erano le voci e gl'intendimenti di tutti; se non che si conservasse quanto era stato dagli antichi trasmesso, si riprovasse quanto era novellamente inventato? Dopo le quali cose noi ammirammo ed a cielo innalzammo la grande umiltà e santità di quel Concilio, e che quel gran numero di Vescovi per la più parte Metropolitani, di così squisita erudizione, e di così profonda dottrina, che senza più quasi tutti valessero a valentemente disputare de' dommi, e loro mediante potesse quella ragunanza [= adunanza, lat. congregatio N.d.R.] nudrir fiducia di potere un nonnulla [= un qualcosa, lat. aliquid N.d.R.] di per sè stessa tentare, e stabilire: non pertanto nulla innovarono, nulla conghietturarono, non s'arrogarono nulla; ma in ogni miglior modo avvisarono di non trasmettere ai posteri ciò, ch'eglino stessi non avessero ricevuto dai Padri. E non solo pe' casi presenti sapientemente quella bisogna acconciarono; ma diedero esempio ancora da imitare agli avvenire; onde questi pure osservassero le dottrine della sacra antichità, riprovassero le invenzioni della profana novità. Nè meno inveimmo contro alla scellerata prosunzione di Nestorio, ch'osò millantarsi egli primo ed unico aver colto il senso della sacra Scrittura; ed iva dicendo tutti quelli, che innanzi a lui ebbero l'ufficio d'ammaestrare, averlo ignorato, cioè, tutti i Vescovi, tutti i Confessori, tutti i Martiri, de' quali altri avevano esposto la divina Legge, altri poi avevano consentito e dato fede agli espositori; ch'asseverava in una parola ora errare, ed aver sempre errato la Chiesa, la quale, come all'empio pareva, aveva seguito e seguiva ignoranti ed erronei maestri.

CAP. XXII.

Sentenze dell'Apostolica Sede contra le novità.

43. Le quali cose sebbene appieno ed abbondantemente bastassero a sconfiggere ed estinguere tutte le innovazioni profane; pure purchè a tanta abbondanza non mancasse argomento di sorta, aggiungemmo in ultimo una duplice autorità dell'Apostolica Sede. L'una del santissimo papa Sisto [46], il quale illustra ora venerando la Chiesa Romana; [= il quale degno d'ammirazione aggiunge ora splendore alla Romana Chiesa; lat. qui nunc Romanam Ecclesiam venerandus illustrat N.d.R.] l'altra del suo antecessore di santa memoria papa Celestino [47], cui credemmo d'uopo produrre. [= che giudichiamo pure necessario qui riferire; lat. quam hic quoque interponere necessarium judicavimus. N.d.R.] Dice adunque il venerabile Sisto nella lettera, che intorno alla controversia di Nestorio mandò al Vescovo d'Antiochia [48]: «Perciocchè, giusta l'Apostolo, [= secondo l'Apostolo, lat. sicut ait Apostolus N.d.R.] una è la Fede; quanto essa chiaramente conservò dobbiamo credere, dobbiam ritenere». Cosa è da credere e da ritenere?  Prosiegue egli e dice: «Non sia lecito alla novità di aggiungere cosa di sorta alla antichità. La chiara fede e credenza de' Maggiori non è da essere intorbidata da alcuna mistura di fango». Veramente all'apostolica egli si espresse, ornando del predicato di chiarezza la fede dei Maggiori, e mistura di fango appellando le innovazioni profane. Ed santo papa Celestino alla foggia stessa e nella stessa sentenza si espresse. Dachè dice nella lettera mandata ai vescovi delle Gallie, rimprocciandoli [= rimproverandoli, lat. arguens N.d.R.] di lor connivenza, perchè sbarattassero [= abbandonassero, mettessero da parte, lat. destituentes N.d.R.] col silenzio l'antica fede, e pativano [= sopportavano, lat. paterentur N.d.R.]  insorgessero le profane novità: «Meritamente ne siamo noi accagionati, qualora col silenzio favoriamo l'errore. [= Giustamente, disse, diveniamo colpevoli in questa causa, se col silenzio favorissimo l'errore, lat. Merito, inquit, causa nos respicit, si silentio foveamus errorem. N.d.R.] Si coreggano adunque costoro, non sia data a loro libertà di predicare secondo il loro capriccio». S'altri qui dubitasse su quali cada l'inibizione di tener sermoni secondo il loro capriccio; se sopra i predicatori, cioè, dell'antichità, od i trovatori di novità: egli stesso risponda, e sciolga il dubbio dei leggitori: «Lasci, stando in questi termini la bisogna, la novità di perseguitare l'antichità». [Lat. Desinat itaque, inquit, si ita res est, incessere novitas vetustatem. N.d.R.] Questa fu adunque la beata sentenza di san Celestino; non già che l'antichità lasciasse di combattere la novità; ma sì, che la novità lasciasse di perseguitare l'antichità. Ai quali Apostolici e cattolici decreti chi ostasse, innanzi tutti gli è d'uopo vituperi la memoria di san Celestino, che stabilì finisse la novità di perseguire l'antichità; derida la definizione di Sisto, che sentenziò non essere lecito alla novità cosa di sorta, disconvenendo ogni aggiunta all'antichità; disprezzi i decreti del beato Cirillo, che con sommi elogi innalzò lo zelo del venerabile Capreolo, perchè intendeva si confermassero le antiche dottrine, e si condannassero i novelli trovati. Calpesti ad un tratto la Sinodo d'Efeso; il giudizio, cioè, de' santi Vescovi di quasi tutto Oriente; ai quali divinamente inspirati piacque di null'altro decretare ad esser creduto dai posteri, se non ciò, che la sacra Antichità in Gesù Cristo unita e concorde credette. I quali ad alta voce acclamando testimoniarono pure tale essere il dire, tale l'intento, tale il giudizio di tutti. E come tutti gli eretici stati innanzi a Nestorio, disprezzando l'antichità e difendendo la novità, furono condannati, in simil guisa Nestorio autore di novità, ed impugnatore dell'antichità si riprovasse. Il consenso de' quali, dalla sacrosanta e divina grazia inspirato, s'ad altri spiacesse, qual altra induzione ne seguirebbe, se non che sia stata ingiustamente condannata la profanità di Nestorio?  Verrebbe in ultimo a vilipendere quasi marame [= come se fosse spazzatura, lat. velut quaedam purgamenta N.d.R.] tutta la Chiesa di Cristo, gli Apostoli ed i Profeti maestri di lei; e singolarmente il beato Apostolo Paolo. Quella perchè non mai recesse dall'osservanza di coltivare e ritenere la Fede una volta affidatale; questo, il quale ebbe scritto; «O Timoteo, custodisci il deposito, avendo in avversione le profane novità delle parole». Ed altrove: «S'alcuno evangelizzi a voi oltre quello, che v'abbiamo noi evangelizzato, sia anatema». Se dunque non sono a violare nè le apostoliche definizioni, nè i decreti della Chiesa, onde giusta l'uniforme consenso dell'Antichità e della Universalità di stretta giustizia furono ognora gli eretici riprovati infino a questi ultimi Pelagio, Celestio e Nestorio, è certo mestieri a quantunque Cattolici, che vogliansi addimostrare figli legittimi di santa Madre Chiesa, si tengano quincinnanzi uniti e muoiano nella fede dei Padri; ed all'opposto detestino, aborriscano, maledicano, dannino le sacrileghe novità de' profani.
Queste presso a poco son le dottrine, ch'avendo più largamente trattate ne' due Commonitorii, ora per sommi capi alquanto più brevemente abbiamo riepilogato; affinchè la mia memoria, in grazia di cui queste cose scrivemmo, si rinfreschi coll'assidua lettura, e non si stanchi dell'applicazione soverchia [49].
FINE

NOTE:

[1] Il testo ha trina santificazione; noi abbiamo creduto di tradurre l'espressione in una sola parola, non per ismania di grecizzare, ma perchè la lingua ecclesiastica si è già impossessata della voce trisagio, e quindi n'è conosciuto il valore, è semplicissima e felice nella sua composizione, e non sente di barbarismo, sebbene non l'abbiano usata i Padri de' primi secoli, se ci apponiamo.
[2] Origene Egiziano nacque in Alessandria nel 185, sesto dell'impero di Commodo, ed il nono di Eleuterio papa, essendo Consoli Friario Materno e M. Attilo Bradua. Suo padre fu s. Leonide martire, che per la confessione della Fede subì la pene capitale sotto Leto governatore dell'Egitto li 22 d'aprile. Origene ancora d'età d'anni 18 fu delegato da Demetrio vescovo d'Alessandria alla istruzione de' Catecumeni, ed in quell'età stessa meritò il titolo di Confessore. Egli cadde in vari errori, secondo che mostrano i suoi scritti, e specialmente in quello dei Chiliasti, o Millenari; e negò l'eternità dell'inferno. Molti scrittori sostengono intrusi da mano aliena gli errori negli scritti d'Origene; sappiamo che molti ve n'intruse l'originalista Ruffino d'Aquileia, scrittore del IV secolo, scomunicato da Anastasio papa. San Girolamo dice che si spera d'Origene, come si dispera di Tertulliano.
[3] Checchè ne dica Giovanni Clerc, molti sono i documenti e chiarissimi, onde evincesi la perizia d'Origene nelle lettere ebraiche; ed egli stesso attesta d'aver consultato i Codici ebraici per correggere l'edizione dell'Aquila, di Simmaco, di Teodozione, e dei Settanta, e dare così una Poliglotta emendata. Su questo argomento sono da consultare il Fabricio, tom. 5, lib. 5, cap. 1, il Tillemont in Mon. Eccl. de Orig. e Montefalcon prefazione all'Essapla di Origene.
[4] Visse 69 anni, e mori a Tiro consumato dai travagli l'anno 254 ed in quella città fu sepolto. Ai tempi di Zefirino papa venne a Roma per conoscere la più antica di tutte le Chiese, come leggiamo in Euseb. libr. 6 Eccl. Hist. cap. 20.
[5] Mammea madre di Alessandro Severo fu cristiana; ed il figlio imperatore adorava Gesù Cristo tra i suoi dii domestici, o Penati.
[6] Per le crudeltà commesse dall'imperatore Filippo alcuni negano, ch'egli avesse abbracciato la Religione cristiana. Altri sostengono che insieme a suo figlio, ch'associossi all'imperio, egli fosse cristiano. È fatto, che si mostrò favorevole ai Cristiani.
[7] S. Epifanio in Ancorat. num. 54 e 62 espone il modo onde Origene chiosò quel testi: «Molti, dice, disputano intorno al Paradiso (intendi terrestre) in modo allegorico, e fra gli altri l'avventato Origene non so quale immaginaria apparenza propalò nel mondo invece della realità». E nel numero sppresso: «Ritorno ad Origene, che Dio gli perdoni, il quale a trarre in inganno le persone inventò un'altra assurdissima favola ed allegorica». Sebbene però Origene in certi luoghi desse troppo largo campo alla energica sua fantasia, e si perdesse nell'allegorico, è pur d'avvertire, che niuno più diligentemente di lui si espose il senso letterale delle sacre Scritture.
[8] Tertulliano prete, cartaginese, visse in Roma ai tempi di Severo e di Caracalla, fino verso la metà, cioè, del terzo secolo della Chiesa; di lui scrisse Lattanzio 5. 1 presso al fine: «Settimio Tertulliano fu dotto in ogni letteratura, ma poco felice nel dire, poco ornato, ed oscuro». Egli aderì agli errori de' Montanisti per odio, dice s. Girolamo, al Papa ed al Clero Romano; in molti suoi scritti fa menzione della nuova profezia, intendi di Montano, che dicevasi lo Spirito Santo, e delle sue donne Priscilla e Massimilla, che diceva sue profetesse; contro la Chiesa scrisse i libri de persecutione, de jejuniis, de monogamia, de extasi lib. 6. Hier. in Cat. Script. Eccl. cap. 52. Il suo Apologetico è un capolavoro di tal genere. Fra gli altri errori egli diceva, e dicevano i seguaci di lui corporea l'anima amana, sebbene immortale, e che le anime dei peccatori dopo morte divenivano demonî. Anche Origene ammetteva indirettamente la corporeità dell'anima, ammettendola traduce di padre in figlio.
[9] Tertulliano prese a confutare tutti gli errori in corso ai suoi tempi, se si eccettuino quelli de' Montanisti, e de' Catari, cioè, Puri.
[10] Cap. 5 in Matth.
[11] 1. Cor. 11. «Nam oportet et haereses esse, ut et qui probati sunt manifesti fiant in vobis». Con queste parole l'Apostolo consola i buoni, e rianima i deboli; mostrando loro il consiglio di Dio nel permettere un male sì grande, qual'è l'eresia. ved. Mart. al cap. 11, v. 19 di detta Epist.
[12] È da leggere a tal proposito l'Incredulo senza scusa del Segneri, ove mostra la ragionevolezza della rivelazione dei Misteri con una evidenza tutta sua propria. L'Incredulo senza scusa è uno di quei libri aurei: che non sono mai raccomandati abbastanza quanto essi meritano, ed i quali se fossero letti, si vedrebbe regnare meno ignoranza e meno incredulità, come dirò ancora meno di presunzione in fatto di Religione.
[13] Ne transferas terminos, quos posuerunt patres tui. Prov. 22. Super judicantem ne judices. Eccli. 8. Scindentem sepem, mordebit eum serpens. Eccl. 10. [Vulgata: Prov. XXII, 28: Ne transgrediaris terminos antiquos, quos posuerunt patres tui. — Non oltrepassare i termini antichi posti da' padri tuoi. Eccli. VIII, 17 Non iudices contra iudicem. — Non giudicare contro al giudice. Eccl. X, 8 Qui dissipat sepem, mordebit eum coluber. — Chi rompe la siepe, sarà morso dalla serpe. (Trad. di Mons. A. Martini.) N.d.R.]
[14] «O Timothee, depositum custodi, devitans profanas vocum novitates, et oppositiones falsi nominis scientiae. Quam quidam promittentes, circa fidem exciderunt». 1. Tim. 6, v. 20. La Chiesa di Dio ha conservato e conserverà sino alla fine de' secoli questo deposito in virtù della infallibile promessa fattale da Gesù Cristo. Invano gli Eretici degli ultimi tempi hanno voluto mettere in paragone le profane loro novità, che offendono la sostanza della Fede colla novità d'alcune voci introdotte e consagrate dalla Chiesa per meglio spiegare ciò, ch'è stato sempre creduto; adottò nel Concilio Niceno I la parola Consustanziale per istabilire irrevocabilmente l'identità di essenza del verbo col Padre; e ha adottato la voce transustanziazione per ispiegare la dottrina cattolica intorno all'Eucaristia. Ved. Mart. al cap. 6, v. 20 e 21 dell'Epist. sudd.
[15] La Volg. «Qui est parvulus declinet ad me.» «Chi è fanciullo volgasi a me». Prov. 9, v. 16.
[16] La Volgata legge: «Et ignoravit quod ibi sunt gigantes, et in profundis infernis convivae ejus» ibid. ved. 18. «Ma colui non sa, che ivi stanno i giganti, e che i convitati di colei vanno all'inferno». Ved. Mart. ivi.
[17] Beseleel ed Ooliab furono i capi artisti, ai quali fu dal Signore domandata la costruzione del Tabernacolo. Ved. Esod. cap. 36, v. 1.
[18] Questa gran verità si è manifestata nello spirito di tutte le sette eterodosse, e negli errori dei moderni non è meno contestata. I seguaci di Lutero e Calvino si sono divisi e suddivisi in sessanta distinte categorie; niè sono meglio in acconcio nel fatto del credere i più recenti filosofi pensatori; anzi sono a tale stremo, che ci facciano sempre più raffermare nell'aotica sentenza: Che tra l'ateismo ed il cattolicismo non vi ha strada di mezzo. Ed in questo senso viene a chiaramente conchiudere il nostro Lirinese.
[19] Quanta fosse la sapienza della Chiesa nell'adottare parole a significare esclusivamente una tale, o tal altra verità, noi lo vediamo nello scalpore, che menarono gli Ariani ed Eusebiani per la parola Ομοοῦσιον che il Concilio Niceno aggiunse nel simbolo a significare la identicità di natura, che ha il Figlio col Padre; e siccome questa parola toglieva agli eretici ogni tergiversazione; cosa non fecero per levarla di mezzo? A pure invilirla chiamavano i Cattolici per beffa Omusiani, come altri eretici li chiamarono Traduciani pel rispetto, ch'essi professano alla universale tradizione della Chiesa.
[20] 2. Ioann. v. 10. «Si quis venit ad vos, et hanc doctrinam non affert, nolite recipere eum in domum, nec ave ei dixeritis. Qui enim dicit ei Ave, communicat operibus ejus malignis». E di fatto racconta san Policarpo presso sant'Efrem. lib. 3, cap. 3 che san Giovanni essendo andato al bagno, e trovatovi Cerinto, se n'andò immediatamente, dicendo ch'egli temeva, che il bagno cadesse, e lo schiacciasse insieme con Cerinto. Tanto era delicata e guardinga la fede di un tale Apostolo e sì lontano dal pericolo d'esser sedotto! Cosa dovremo dire di tanti incauti a tale e tanto esempio? In tre casi è da fuggire il consorzio cogli eretici; 1. ove siavi pericolo di sovversione; 2. ove il consorzio coll'eretico sembri un favorire l'eresia; 3. ove quel consorzio sia per gli altri motivo di giusto scandalo.
[21] Novaziano diceva che la Chiesa non ha potestà di rimettere i più gravi peccati, il cui perdono è a Dio riservato; ma ch'essa l'aveva solo di rimettere le colpe meno gravi. Il Lirinese qui adunque intende di riprovare la restrizione di quello eretico; che contro alle chiare parole di Gesù Cristo, concedente quella potestà senza limite alla sua Chièsa, bestemmiò.
[22] Costui fu vescovo nella Gallizia, unì gli errori de' Manichei e dei Gnostici, e fabbricò una nuova eresia, onde i Priscillianisti. E tanto i Manichei, che i Gnostici ebbero origine da Simon Mago. Costui si fe' pure famoso per aver preteso di comperare i doni dello Spirito Santo con denaro; donde il nome di Simonia al mercimonio di cose sacre, e detti simoniaci coloro che esercitano sì nefando mercato.
[23] Gli Eterodossi di tutti i tempi fecero pompa delle autorità scritturali, però sottoponendo la interpretazione della Scrittura allo spirito privato ed individuale di ciascheduno. Niuno non vede quale via spaziosa s'apre all'errore con un metodo così insensato. È ben cosa da muover pietà a vedere la prosunzione di certi, che senza corredo alcuno di teologiche ed ecclesiastiche discipline pretendono di farsi interpreti de' sensi profondi, e non rare volte oscuri e tropologici de' libri inspirati. Se noi dessimo ad interpretare ad un agricoltore i testi più intralciati di legge, costoro ci tratterebbero da folli; eppure i testi delle leggi umane, comunque difficili, sono parti d'umani intelletti. E noi cosa dovremo dire di loro? È perciò che le sette eterodosse non furono mai consentanee a sè stesse, e nè durarono, ma si smarrirono per la stessa loro sfrenata licenza di pensiero religioso.
[24] Questo argomento dell'abuso, che fanno gli eretici della sacra Scrittura è sviluppato dal Lirinese colle ragioni di Tertulliano nel Libr. de praescript. cap. 38, 39 e 40.
[25] Similitudine tolta da Lucrezio lib. 4 de Nat. rer., sebbene ad intendimento diverso. Se l'appropriò pure il Tasso nella sua Gerus.
[26] Ai suoi tempi non esistevano Giunte sanitarie.
[27] Matth. 7, v. 15. Attendite a falsis prophetis, qui veniunt ad vos in vestimentis ovium, intrinsecus autem sunt lupi rapaces. A fructibus eorum cognoscetis eos.
[28] 2 Cor. 11. «Nam ejusmodi pseudoapostoli sunt operarii subdoli, transfigurantes se in Apostolos Christi. Et non mirum: ipse enim satanas, transfigurat se in angelum lucis; non est ergo magnum, si ministri ejus transfigurentur velut ministri justitiae». [2 Cor. XI, 13-15: Imperocchè questi tali falsi apostoli sono operai finti, che si trasfigurano in Apostoli di Cristo. Nè ciò è da ammirarsi: mentre anche satana si trasforma in angelo della luce (= nè vi è in ciò da stupirsi: lo stesso satana infatti si trasforma in angelo di luce). Non è adunque gran cosa, che anche i ministri di lui si trasfigurino in ministri della giustizia: la fine de' quali sarà conforme alle opere loro. N.d.R.]
[29] Matth. 4. Tunc assumpsit eum diabolus in sanctam civitatem, et statuit eum super pinnaculum templi, et dixit ei: «Si filius Dei es, mitte te deorsum: scriptum est enim: Quia Angelis suis mandavit de te, et in manibus tollent te, ne forte offendas ad lapidem pedem tuum».
[30] Il nostro Lirinese scriveva, come sopra dicemmo, sotto alla metà del V secolo della Chiesa; vuol dire dunque che l'errore è sempre identico nel suo fraudolento modo di propagarsi; giacchè le stesse sfacciate dottrine e promesse furono propalate dagli eretici delle moderne novità; ove s'insegna che l'uomo giunto ad un determinato grado di perfezione è impeccabile.
[31] Questo sapientissimo metodo è stato sempre praticato ed inculcato dalla Chiesa Cattolica, e con ispeciale decreto ordinato dal Concilio Tridentino sess. IV. «Praeterea, ad coercenda petulantia ingenia, decernit, ut nemo suae prudentiae innixus, in rebus fidei et morum, ad aedificationem doctrinae christianae pertinentium, Sacram Scripturam ad suos sensus contorquens, contra eum sensum, quem tenuit, et tenet sancta mater Ecclesia, cujus est iudicare de vero sensu et interpretatione Scripturarum sanctarum, aut etiam contra unanimem consensum Patrum ipsa Scripturam sacram interpretari audeat». [«Inoltre, per tener in freno i temerarj ingegni, ordina che niuno appoggiato alla sua prudenza in materia di fede, e di costumi appartenenti all'edificazione della Dottrina Cristiana abbia il coraggio d'interpretare la Sacra Scrittura, ritorcendo la medesima ai propri suoi sentimenti contro quel senso, che tenne, e tiene la Santa Madre Chiesa, alla quale appartiene il giudicare del vero senso, e interpretazione delle Sante Scritture, o ancora contro l'unanime consenso dei Padri.» N.d.R.]
[32] Da questo passo del Lirinese il Dalleo inferisce, che i Padri furono incostanti nella dottrina della fede. Ma è intenzione del nostro santo Dottore di avvertire, ch'avvenendo non di raro per divino giudizio, e per umana fralezza, che anche ecclesiastici personaggi illustri per santità e per iscienza deviino, ed annunzino, secondo dice l'Apostolo, dommi novelli, come comprovasi dall'esempio di Fotino, d'Apollinare, d'Origene di Tertulliano e d'altri, il dovere di guardarcene senza rispetto a persone che sia.
[33] Cap. 12. Et quosdam quidem posuit Deus in Ecclesia primum Apostolos; secundo prophetas, tertio doctores. [1 Cor. XII, 28. N.d.R.]
[34] I Cor. 1, v. 10. «Obsecro autem vos, fratres, per nomen Domini nostri Iesu Christi; ut idipsum dicatis omnes, et non sint in vobis schismata; sitis omnes perfecti in eodem sensu, et in eadem sententia». [«Or io vi scongiuro, o fratelli, pel nome del Signor nostro Gesù Cristo, che diciate tutti il medesimo, e non siano scisme tra voi: ma siate perfetti nello stesso spirito e nello stesso sentimento.» N.d.R.]
[35] I. Cor. 14, v. 33. «Non enim est Deus dissensionis, sed pacis, sicut in omnibus Ecclesiis sanctorum doceo.» [«Imperocchè Iddio non è Dio del disordine, ma della pace: conforme io insegno in tutte le Chiese de' santi.» N.d.R.] E. v. 36. «An a vobis verbum Dei processit? Aut in vos solos pervenit? Si quis videtur propheta esse, aut spiritualis cognoscat, quae scribo vobis, quia Domini sunt mandata. Si quis autem ignorat ignorabitur». [I Cor. XIV, 36-38: «È forse da voi venuta la parola di Dio? Oppure a voi soli è venuta? Se alcuno si tien per profeta, o per uomo spirituale, riconosca, che le cose, che io vi scrivo, sono precetti del Signore. Chi poi è ignorante sarà ignorato.» N.d.R.]
[36] Costui sotto Zosimo papa fu deposto l'anno 418 dal vescovato Eclanense; e andò vagando in varie parti del mondo. Primamente fuggì a Costantinopoli; onde scacciato dopo il Concilio d'Efeso l'anno 431 o 432 esulò nelle Gallie. L'anno 439 essendo papa san Sisto finse l'abiura, ma non fu ricevuta, scopertane la finzione da san Leone allora Arcidiacono della Chiesa Romana. Ritornando l'anno 444 sotto il detto Leone già papa a menar settario rumore, egli lo fulminò di bel nuovo; e dopo avere errato in vari luoghi, abitò un borghetto della Sicilia, come accennammo di sopra.
[37] È da osservare, che il santo nostro Apologista aveva composto un secondo Comminitorio, che andò smarrito, ove mostrava la vigilanza usata dalla Chiesa nel conservare intatta la dottrina della Fede ortodossa a lei affidata. Forse cominciava dalla pratica degli Apostoli continuata senza interruzione fino ai suoi tempi; onde dimostrare, che la Chiesa per mezzo de' Concilî, e dell'unanime sentire dei Padri ha in ogni tempo gelosamente custodito il deposito sacro, affidatole dal divino suo Sposo, nostro signor G. C. Ma in ispecie accennava al Concilio efesino, celebrato ai suoi tempi. I numeri che seguono, sono una ricapitolazione de' due Commonitorî, eseguita con una sintesi sì ricca e sì maravigliosa, da potersi di per sè sola guardare come una genesi apologetica dei caratteri distintivi della vera Religione.
[38] Molti travagli e calunnie fino ad essere incriminato d'eretico apollinarista dovette sopportare san Cirillo per difendere la verità nel Concilio, innanzi e dopo di esso. L'ardore, la costanza, la dottrina, onde questo santo Dottore sostenne la vera credenza intorno alla persona di Gesù Cristo, non sono seconde a quella dei più infaticabili difensori di nostra santissima Religione.
[39] Forse da questa clausola s'argomentò egli presenziasse il Concilio, ma non è valida a sciorre ogni ragionevole dubbio.
[40] Sono piuttosto uniche, che straordinarie le persecuzioni sofferte da sant'Atanasio dagli infuriati Ariani. Egli presenziò il Concilio Niceno in qualità di Diacono e di teologo di sant'Alessandro vescovo di Alessandria. La serie di tanti vescovi dottissimi e santissimi succedutisi nella sede alessandrina ci fa non che ammirare, vedere la divina potenza della Religione Cattolica, ove poniamo a confronto l'Egitto cattolico coll'Egitto eterodosso e maomettano. Chi non terrà cara una Religione,ch'ovunque alligni reca lumi, moralità, civiltà d'ogni maniera, ed ove si spegne, succede ignoranza, brutalità, barbarismo?
[41] La Cappadocia è prov. della Natolia con al N. il mar nero, al S. la Cilicia, all'E. l'Armenia, ed all'O. la Galizia.
[42] Nel Concilio Efesino furono prima recitate le parole di s. Giulio, poi quelle di san Felice; forse san Vincenzo nomina prima Felice per osservare l'ordine cronologico. Qui non parlasi di quel Giulio surrogato da Costanzo a Liberio; ma sì di Giulio I ordinato li 27 di decembre del 269 e morto li 22 decembre del 274.
[43] Vuolsi avvertire, che il Lirinese ha tralasciato Attico vescovo di Costantinopoli, ed Anfilochio vescovo d'Iconio, la cui autorità fu per ultimo citata dal Concilio.
[44] Capreolo succedette ad Aurelio circa l'anno 430. Fu invitato al Concilio con sant'Agostino e gli altri vescovi d'Africa da Teodosio; ma sant'Agostino era morto sette mesi innanzi e gli altri non potettero andare impediti dalla persecuzione vandalica. La lettera di Capreolo fu portata da Besula suo Diacono.
[45] Ecco le parole di Capreolo: «Vestrum sanctitatem iterum atque iterum rogatam cupio, ut, Spirito Sancto cooperante, quem cordibus vestris in omnibus quae acturi estis, praesto futurum non dubito, novas doctrinas, et antehac Ecclesiasticis auribus insinuatas, priscae auctoritatis robore instructi e medio profligetis, atque ita quibuscumque novis erroribus resistatis».
[46] Sisto succedette a Celestino l'anno 434. Essendo prete si vantavano i Pelagiani d'averlo seguace, egli smentilli so[tto]scrivendo dopo Zosimo il primo la condanna, che questo papa fece di que' settarî; e scrisse lettere ad Agostino ed Alipio, onde mararigliosamente vien difesa la necessità della Grazia nel senso cattolico.
[47] Sotto Celestino si celebrò il Concilio d'Efeso. Discacciò i Pelegiani dall'Italia, e con sua enciclica ai Vescovi di Francia infrenò i Semi-pelagiani d'Africa passati a Marsiglia.
[48] Fu Giovanni sostenitore per qualche tempo di Nestorio; e quindi in lite con s. Cirillo, col quale amicossi l'anno 433.
[49] Fino del proemio il nostro Santo protesta d'avere scritto il Commonitorio ad aiutar sua memoria. Ed avvertendo di volerlo via via migliorare, ed indicando di ciò ammonire, affinchè venendogli di mano contra sua mente caduto, altri d'alcunchè meno esatto nol carpisca, [= essendogli sfuggito di mano (il Commonitorio) contro la propria volontà, qualche altro cristiano lo riprenda per qualcosa di meno esatto... cfr. testo lat. (vedi cap. I) ut si forte elapsum nobis, in manus Sanctorum devenerit, nihil in eo temĕre reprehendant...N.d.R.] mostra ad un tempo profonda modestia, e prudente circospezione. [Santi erano chiamati, come insegna Teodoreto Coment. ep. ad Philipp. Cap. 1. n. 1., tutti coloro che nei primi secoli della Chiesa per mezzo del Battesimo erano stati ammessi alla Comunione dei Fedeli, seguendosi in questo l'espressione di S. Pietro ep. 1. c. 2. v. 9., di S. Paolo ad Rom. c. 1. v. 7., ad Corint. 1. c. 1. v. 2., ed Act. c. 9. v. 13. In particolare però col titolo di Santi venivano distinti coloro che abbandonato il secolo appartenevano al Clero, siccome coloro che più degli altri dovevano mostrarsi santi per l'integrità della vita, e nell'attendere a maggior perfezione. N.d.R.]

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