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venerdì 24 luglio 2015

Eccellenza della Vulgata di San Girolamo

Fonte: Progetto Barruel...

Fulcran Grégoire Vigouroux

Prêtre de Saint-Sulpice
Da: Manuel Biblique ou cours d'Écriture Sainte a l'usage des Séminaires, huitième édition revue et augmentée, t. I, Paris 1892 pag. 211-225, traduzione C.S.A.B.

Traduzione dell'Antico Testamento da parte di S. Girolamo.

131 — Come S. Girolamo si preparò alla traduzione della Bibbia ebraica.

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/32/Guercino_-_St_Jerome_in_the_Wilderness_-_WGA10950.jpg 

1° San Girolamo iniziò lo studio dell'ebraico verso il 374, in età assai avanzata, cioè a circa quarantacinque anni; ebbe come principale insegnante un Ebreo convertito, ed in seguito ricevette anche lezioni da Giudei non convertiti che pagò a peso d'oro [1]. Il santo dottore acquisì una conoscenza della lingua santa davvero ammirevole [2], in un'epoca in cui v'era la mancanza di ogni ausilio per effettuare simili studî, in cui non esisteva grammatica nè dizionario, ed in cui non si poteva far ricorso che all'insegnamento orale. I Settanta e gli altri traduttori greci sapevano l'ebraico perchè erano ebrei, e conoscevano il greco perchè era la lingua che usavano nei loro rapporti con i gentili tra i quali si trovavano a vivere; essi non dovevano far altro dunque, per compiere la loro opera, che servirsi delle loro conoscenze pratiche di entrambe le lingue. San Girolamo al contrario dovette studiare, tra difficoltà d'ogni genere, una lingua che si parlava solamente all'interno delle famiglie israelite e che ci si rifiutava di insegnare ai cristiani.
2° Quando il nostro santo si fu familiarizzato coll'ebraico, intraprese la traduzione di quei libri dell'Antico Testamento che possediamo in questa lingua, terminando un tal lavoro in quindici anni, dal 390 al 405.
3° Il motivo per cui San Girolamo aveva intrapreso un'opera così laboriosa e delicata fu lo stesso che aveva condotto Origene a realizzare la sua Esapla: volle cioè dare una riproduzione fedele del testo originale per tagliar corto alle obiezioni dei Giudei [3].
4° Per realizzare il suo progetto, il pio e sapiente traduttore riuscì a procurarsi il manoscritto ebraico di cui si serviva la sinagoga di Betlemme e lo copiò di propria mano [4]: ebbe così a disposizione per compiere la sua opera un'eccellente recensione del testo originale [5]. Visitò anche l'intera Palestina per poter tradurre con maggior sicurezza possibile tutto ciò che nella Bibbia è in relazione con la geografia di quei luoghi [6]. Di fronte a passaggi difficili faceva spesso ricorso ai dottori ebrei più celebri; ce lo dice lui stesso in vari luoghi dei suoi scritti [7], e lo studio della Vulgata mostra in effetti che egli seguì la tradizione esegetica degli ebrei.
5° Non trascurò in effetti nessuno degli ausilî letterarii di cui poteva profittare, al fine di meglio comprendere il senso del testo: si serviva costantemente, nel proprio lavoro, delle traduzioni greche dei Settanta, di Aquila, di Teodozione e di Simmaco, e dell'Esapla di Origene [8]; scrisse in una delle sue lettere di aver confrontato la traduzione d'Aquila con il testo originale [9]. Nessuna edizione antica o moderna è mai stata pubblicata con risorse critiche paragonabili a quelle di cui potè disporre a suo tempo san Girolamo per conoscere il vero e proprio testo originale.

132. — Eccellenza della Vulgata.

«L'opera di san Girolamo è un monumento unico e senza rivali tra le antiche traduzioni» afferma Westcott [10]. «La traduzione di san Girolamo è senza dubbio la migliore fra le traduzioni antiche,» afferma il Dr. Kaulen [11].
Essa si distingue da tutte le altre versioni antiche per lo sforzo coscienzioso del traduttore di essere all'altezza del proprio compito; mentre le traduzioni greche della Bibbia erano state fatte da persone che si servivano solamente della conoscenza pratica che avevano della lingua per rendere il contenuto della Sacra Scrittura intelligibile agli altri, la versione di san Girolamo è invece un'opera scientifica, che coniuga felicissimamente le ricerche personali col rispetto della tradizione ebraica e cristiana, tenendo conto delle giuste esigenze del buon gusto e adempiendo così a tutte le condizioni necessarie per compiere un eccellente lavoro [12].

133. — Caratteristiche della traduzione dell'Antico Testamento di san Girolamo.

Le tre caratteristiche principali per cui la versione di san Girolamo si distingue sono: 1° la fedeltà. 2° una certa eleganza di stile e 3° la conservazione dell'antica Italica per quanto ciò era possibile.

134. — Prima caratteristica della versione di san Girolamo: la fedeltà.

Il santo dottore nel Prologus Galeatus afferma di «non aver cambiato nulla alla verità ebraica [13].» e ciò può dirlo a buon diritto; i luoghi infatti nei quali egli non ha compeso il vero senso del testo sono estremamente rari, tolti quelli oscuri e discutibili. Quanto ai brani in cui l'ebraico è chiaro, e nei quali la Vulgata si allontana dall'originale, come in Gen. XIV, 5, ove בהם, be-Hàm, che significa a Ham, e tradotto *cum eis*. «con loro», sono così rari in un'opera di sì lungo respiro, che ciò giustamente stupisce: Dio ha palesemente soccorso l'interprete della sua parola in un'opera così importante per la Chiesa.

135. —  Seconda caratteristica della versione di san Girolamo: una certa eleganza di stile.

1° Pur impegnandosi a rendere esattamente il senso, san Girolamo non volle trascurare lo stile. — 1° Evitò pertanto di fare una traduzione servile: ciò sarebbe andato a scapito della lingua senza alcun profitto per il lettore e talvolta persino a detrimento della chiarezza [14]. — 2° Allo scopo di assecondare le abitudini della lingua latina san Girolamo impiegò locuzioni come la seguente: Acervus Mercurii, Prov., XXVI, 8; aruspices, IV Reg., XXI, 6; lamia, onocentauri, Is., XXXIV, 14; fauni, Jer., L, 39, ecc. — 3° Il santo Dottore altresì, allo scopo di conformarsi allo specifico della lingua latina, ha sostituito dei periodi alle frasi disarticolate dell'ebraico; ad es. l'ebraico ha, Gen. XIII, 10: «E Lot levò i suoi occhi e vide.» La Vulgata traduce: «Elevatis itaque Loth oculis vidit.» Si notano cambiamenti analoghi specialmente nella Genesi [15]. Le congiunzioni ergo, autem, vero, ecc., sono aggiunte spesso per legare le frasi e le parti della frase [16].
2° Nonostante il suo gusto classico san Girolamo non rifiuta di far uso di parole e modi di dire popolari qualora siano più chiari e più proprî a rendere il suo pensiero [17]: ecco dunque le parole capitium, Job. XXX, 18; grossitudo, III Reg., VII, 26; odientes, II Reg., XXII, 41; sinceriter, Tob., III, 5; uno per uni al dativo, Ex., XXVII, 14; Num., XXIX, 14; numquid per nonne, Gen., XVIII, 23, ecc. [18].

136. — Terza caratteristica della versione di san Girolamo: conservazione parziale dell'antica Italica.

Talune espressioni e costruzioni precedenti si leggono nella Vulgata perchè il nuovo traduttore della Bibbia desiderava conservare il più possibile dell'antica versione italica, affinchè non fossero confusi coloro che avevano fatto l'abitudine a leggerla e ne sapevano talune parti a memoria[19]. Le sue correzioni e variazioni avevano provocato vive critiche, come ci fa sapere egli stesso [20]. Tale attaccamento alla versione primitiva era in fondo rispettabile; e per non urtar troppo costoro san Girolamo conservò un gran numero d'ebraismi che si leggevano nei Settanta e che erano passati per loro mezzo nel latino [21].

137. — Uso della traduzione di san Girolamo.

La traduzione di san Girolamo, malgrado la propria superiorità, fu adottata nella Chiesa latina non senza grandi difficoltà a causa dell'abitudine a servirsi della versione italica, che differiva in parecchi punti dalla nuova versione; ce lo dice lo stesso san Girolamo in varî luoghi dei suoi scritti [22]. Rufino lo ritenne eretico e falsario [23]; vero è che questo scrittore non godeva di grande autorità; anche lo stesso sant'Agostino inizialmente non approvò la versione del solitario di Betlemme, sebbene più tardi ne abbia riconosciuto il merito [24]. Tuttavia a poco a poco ci si abituò a preferire la versione del santo Dottore all'Italica: Cassiano, sant'Eucherio vescovo di Lione, San Vincenzo di Lerino, Salviano ecc. ne tesseranno gli elogi [25], e dalle loro testimonianze vediamo che tale versione trovò la migliore accoglienza proprio in Gallia. In Italia dai tempi di san Gregorio Magno (ca. 540-604) ci si serviva ancora dell'antica Italica, insieme alla nuova Vulgata [26]; ma avendo questo sovrano Pontefice fatto uso ordinario di quest'ultima versione nel suo famoso libro Moralia in Job, da allora la vecchia Italica fu abbandonata, di maniera che la traduzione di san Girolamo, circa due secoli dopo la sua morte, divenne propria della Chiesa latina [27]; il Concilio di Trento infine sanzionò solennemente l'autorità della Vulgata, dichiarando autentica tale versione.

III. Autorità della Vulgata.

138. — La Vulgata è dichiarata autentica dal Concilio di Trento.

1° Il Concilio di Trento attribuì una particolare autorità alla versione della Vulgata [28] col decreto seguente, emesso nella IV sessione l'8 aprile 1546: «Insuper eadem sacrosancta Synodus, considerans non parum utilitatis accedere posse Ecclesiae Dei, si ex omnibus latinis editionibus, quae circumferuntur, Sacrorum librorum quaenam pro authentica habenda sit, innotescat; statuit et declarat, ut haec ipsa vetus et vulgata editio, quae longo tot saeculorum usu in ipsa Ecclesia probata est, in publicis lectionibus, disputationibus, praedicationibus et expositionibus pro authentica habeatur, et ut nemo illam rejicere quovis praetextu audeat vel praesumat.» E siccome gli esemplari della Vulgata erano allora pieni di errori, il Concilio decretò subito dopo, «ut posthac Sacra Scriptura, potissimum vero haec ipsa vetus et vulgata editio quam emendatissime imprimatur [29].» [«Inoltre lo stesso Sacrosanto Concilio, riflettendo poter provenire non poca utilità alla Chiesa di Dio, se sia manifesto quale fra tutte le latine edizioni de' Sacri libri che hanno corso, abbia ad aversi per autentica; stabilisce, e dichiara, che questa medesima antica e vulgata edizione, che per lunga consuetudine di tanti secoli è stata approvata nella medesima Chiesa, si abbia per autentica nelle pubbliche lezioni, dispute, prediche, ed esposizioni: e che niuno ardisca o presuma con qualunque pretesto di rigettarla.» N.d.R.] In seguito a quest'ultima disposizione del concilio di Trento, i sovrani Pontefici fecero preparare e pubblicare una nuova edizione corretta della Vulgata.
2° In questo decreto, il Concilio di Trento ci dà la certezza: 1° che la Vulgata non contiene alcun errore in ciò che riguarda la fede ed i costumi, e 2° che i fedeli possono servirsene in tutta sicurezza e senza esporsi ad alcun pericolo [30]. I giureconsulti intendono autentico lo scritto che fa fede ed autorità, di modo che deve essere ammesso da tutti sugli obbietti che esso testimonia [31]. Il documento autentico per eccellenza è quello autografo; ma la copia di uno scritto autografo è altrettanto autentica, quando tale copia è conforme all'originale. Se tale conformità esiste solamente di fatto, senza esser stata verificata, l'autenticità è meramente interna; se essa è stata constatata da una persona privata, l'autenticità si dice privata; se è stata constatata da un'autorità ufficiale, l'autenticità è pubblica. Una traduzione che rende fedelmente il senso dell'originale può essere dichiarata dall'autorità competente autentica come una copia fatta sull'autografo; l'autenticità consiste allora non nella conformità delle parole, ma nella conformità del senso tra l'originale e la traduzione, ed è in quest'ultima accezione che il Concilio di Trento ha dichiarato la Vulgata latina autentica. Tale Concilio attesta con ciò che la Vulgata è fedele e rende fedelmente il testo primitivo, almeno quanto alla sostanza, di modo che ci fa conoscere la Rivelazione che Dio ha consegnato nelle Sacre Scritture. I Padri del Concilio si sono pronunciati sulla fedeltà della Vulgata e sulla sua conformità col testo originale, senza fare uno studio comparato tra questa versione ed i testi originali; tuttavia appoggiandosi a buon diritto sull'esperienza di nove o dieci secoli, per cui l'edizione della Bibbia in uso nella Chiesa d'occidente rendeva esattamente la parola di Dio [32]. Ciò che abbiamo detto dell'eccellenza della Vulgata latina mostra, indipendentemente dall'autorità del Concilio e dell'assistenza dello Spirito Santo ad esso assicurata, quanto una tale decisione sia fondata.

139. — Cause che hanno obbligato il Concilio di Trento ad adottare una traduzione ufficiale ed unica della Bibbia.

Una tale decisione è stata spesso attaccata dai nemici della Chiesa, ma è perfettamente fondata ed al di sopra di ogni critica. Ad una Chiesa la cui condizione essenziale è l'unità serve, per quanto possibile, una versione unica. Fino al Rinascimento non vi era stato alcun bisogno di rendere obbligatorio l'uso di una sola traduzione, perchè di fatto tutta la Chiesa si serviva da lunghissimo tempo di quella di san Girolamo; ma quando si cominciò a studiare il greco e l'ebraico, non si tardò a fare traduzioni nuove dell'Antico e del Nuovo Testamento, cosa da cui risultarono parecchi inconvenienti. L'accettazione indiscriminata, da parte dei professori di teologia e dei predicatori, della prima versione che capitava o, ciò che nè lo stesso, dell'interpretazione arbitraria dei testi originali induceva parecchia confusione e diventava fonte di errori. Il Concilio rimediò al male alla radice, proibendo saggiamente l'uso di altre traduzioni che non fossero quella della Vulgata sia sulle cattedre sia nelle scuole [33]. Tale decisione era così opportuna che gli stessi protestanti l'accettarono di fatto, sebbene attaccandola in teoria, dato che in Germania i luterani adottarono la traduzione in tedesco di Lutero [34], ed in Inghilterra la Bibbia inglese di Giacomo I (1611) è ancora oggi la sola traduzione autorizzata [35].

140. — Il Concilio di Trento non ha preteso dichiarare che la traduzione della Vulgata è assolutamente perfetta.

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Del resto si è potunto attaccare il Concilio di Trento solo snaturandolo e pretendendo che ne seguisse che la traduzione della Vulgata fosse perfetta e soppiantasse il testo originale; ma ciò è voler attribuire al Concilio ciò che non ha mai detto nè voluto dire.
Il Concilio non ha preteso definire che non vi fosse alcun difetto, anche leggero, nella Vulgata [36]. «Secondo l'opinione comune che scaturisce con evidenza dallo studio attento e comparato del testo della Vulgata e dei testi originali, afferma il P. Corluy S.J. [37] occorre ammettere che, nei luoghi in cui non si tratta direttamente nè della fede nè dei costumi, vi possono essere nella Vulgata delle frasi, dei versetti, che non hanno corrispondenza coll'originale ispirato. Ecco ciò che a questo proposito afferma l'eminentissimo cardinal Franzelin nel suo trattato De Scriptura, tesi XIX, in cui prende in esame il decreto del Concilio di Trento sull'autenticità della Vulgata: «Tuttavia l'autenticità di tale traduzione (la Vulgata) quale è stata dichiarata dal Concilio, non giunge al grado di perfezione per cui la si dovrebbe credere conforme ai testi originali sia in ciascuno dei luoghi che non appartengono per sè all'edificazione della dottrina cristiana, sia nel modo secondo cui tale dottrina vi è enunciata [38]

141. — Il Concilio di Trento non ha voluto mettere la Vulgata al di sopra dei testi originali della Bibbia.

I Padri avevano opportunamente riconosciuto il valore dei testi originali della Bibbia [39]; il Concilio di Trento, col suo decreto, non ha voluto per nulla disprezzarne il merito nè diminuirne l'autorità, ma parla solamente delle edizioni latine. Il cardinal Pallavicini, nella Storia del Concilio di Trento, dichiara che il Concilio «non ha mai avuto l'intenzione di porre la Vulgata al di sopra del testo ebraico e del testo greco, o d'impedire agli scrittori di ricorrervi, quando lo giudicassero a proposito, per avere una completa intelligenza del testo [40]
Possiamo dunque concludere che è sempre stato lecito, sia prima sia dopo il Concilio, ricorrere ai testi originali ed alle antiche traduzioni per spiegare il testo sacro [41]. [Traduzione: C.S.A.B.]

NOTE:

[1] S. Girolamo, Praefat. in Job, t. XXVIII, col. 1081. «Memini me ob intelligentiam hujus voluminis (Job), Lyddaeum quemdam praeceptorem, qui apud Hebraeos primus haberi putabatur, non parvis redemisse nummis.» Egli ebbe cinque maestri ebrei. Si veda J. Morin, Exercitationes biblicae, l. I, Exerc. III, c. II, n° 2—3, in—f°, 1660, p. 66.
[2] Si veda Hody, De Bibl. text. orig., part. II, p. 359.
[3] «[Deus] scit me ob hoc in peregrinae linguae eruditione sudasse, scriveva san Girolamo a santa Paola ed a sant'Eustochia, ne Judaei de falsitate Scripturarum ecclesiis ejus diutius insultarent.» Praef. in transl. Isaiae, t. XXVIII, col. 774. San Girolamo tradusse i sacri Libri nel seguente ordine: i quattro Libri dei Re, Giobbe, i Profeti, i Salmi. Qui una malattia interruppe la sua opera, che riprese verso la fine del 393, traducendo successivamente i Proverbi, il Cantico dei Cantici, l'Ecclesiaste, Esdra e Neemia o secondo libro d'Esdra, i Paralipomeni, il Pentateuco, Giosuè, i Giudici, Ruth, Ester, Tobia e Giuditta. La traduzione del Pentateuco è la meglio riuscita di tutte.
[4] S. Girolamo, Epist. XXXVI ad Damasum, I, t. XXII, col. 452.
[5]  La lettera di S. Girolamo, ad Domn. et Rogat., t. XXIX, col. 401-402, che funge da prefazione ai Paralipomeni, dimostra con qual cura il nostro santo s'occupava della correzione e dell'esattezza dei manoscritti: «Cum a me nuper litteris flagitassetis, ut vobis librum Paralipomenon latino sermone transferrem, de Tiberiade Legis quemdam doctorem, qui apud Hebraeos admirationi habebatur, assumpsi: et contuli cum eo a vertice, ut aiunt, usque ad extremum unguem, et sic confirmatus, ausus sum facere quod jubebatis. Libere enim vobis loquor, ita et in graecis et latinis codicibus hic nominum liber vitiosus est, ut non tam hebraea quam barbara quaedam et sarmatica nomina congesta arbitrandum sit... Scriptorum culpae adscribendum, dum de inemendatis inemendata scriptitant; et saepe tria nomina, subtractis e medio syllabis, in unum vocabulum cogunt, vel e regione unum nomen, propter latitudinem suam, in duo vel tria vocabula dividunt. Sed et ipsae appellationes, non homines, ut plerique aestimant, sed urbes, et regiones, et saltus, et provincias sonant, et oblique sub interpretatione et figura eorum, quaedam narrantur historiae.»
[6] «Sanctam Scripturam lucidius intuebitur, qui Judaeam oculis contemplatus sit et antiquarum urbium memorias locorumque vel eadem vocabula vel mutata cognoverit. Unde et nobis curas fuit, cum eruditissimis Hebraeorum hunc laborem subire, ut circumiremus provinciam, quam universae Ecclesiae Christi sonant.» Praef. in lib. Paral. ad Domn. et Rogat., t. XXIX, col. 401.
[7] Praef. in lib. Paral. ad Domn. et Rogat., ibid. Si veda la citazione alla nota 3, p. 210; et Praef. in Job, citato p. 211, nota 2.
[8] «Interdum, dice nel prologo del suo commentario all'Ecclesiaste, t. XXIII, col, 1011, Aquilae quoque et Symmachi et Theodotionis recordatus sum.» Egli cita frequentemente questi tre traduttori nel suo commentario ad Isaia.
[9] «Jampridem cum voluminibus Hebraeorum editionem Aquilae confero, ne quid forsitan propter odium Christi synagoga mutaverit, et, ut amicae menti fateor, quae ad nostram fidem pertineant roborandum plura reperio.» Ep. XXXII ad Marc., t. XXII, col. 446.
[10] W. Smith's Dictionary of the Bible, t. III, p. 1700. — «Vulgata, male aliis neglecta, cum sit versionum una omnium praestantissima,» afferma Michaelis, Supplem. ad Lexic. Hebr., Gottinga, 1792, part. III, n° 893, p. 992. Wallon dice lo stesso: «[Agnoscamus Vulgatam] magni faciendam... propter interpretis... doctrinam et fidelitatem, quem de Ecclesia bene meruisse gratis animis praedicant Protestantium doctissimi.» Bibl. Poligl., Proleg., X, n° 11, 4, t. I, 1657, p. 74. Si vedano altre testimonianze in Brunati, Del nome dell'autore, de' correttori e dell'autorità della versione Volgata, nelle sue Dissertazioni bibliche, in-8°, Milano, 1838, diss. VIII, p. 69-75.
[11] Kaulen, Einleitung in die heilige Schrift, n° 151, p. 117.
[12] Kaulen, Einleitung in die heilige Schrift, p. 117, 118; G. Hoberg, De sancti Hieronymi ratione interpretandi, in-8°, Friburgo in Brisgovia, 1886. — M. Glaire ha messo insieme, in capo alla sua traduzione francese della Sacra Bibbia secondo la Vulgata, 3a ed., t. I, 1889, p. XI-XII, i giudizi dei più abili critici e degli interpreti più sapienti del protestantismo sulla Vulgata.
[13] «Mihi omnino conscius non sum, mutasse me quidpiam de hebraica veritate.» Prol. Galeat. o Prefat. in lib. Samuel et Malachim, t. XXVIII, col. 557-558.
[14] «Volui, afferma,... non verba sed sententias transtulisse.» Epist. LVII ad Pamm., 6, t. XXII, col. 572. «Non debemus impolita nos verborum interpretatione torquere, cum damnum non sit  in sensibus, quia unaquaeque lingua... suis proprietatibus loquitur... Non debemus sic verbum de verbo exprimere, ut  dum syllabas sequimur, perdamus intelligentiam.» Epist. CVI ad Sun. et Fret., 30, 29, t. XXII, col. 847. «Hoc sequimur ut ubi nulla est de sensu mutatio, latini sermonis elegantiam conservemus.» Ibid., 54, t. XXII, col. 856.
[15] Gen., XXXII, 13; XLI, 14; XXXI, 32, 47; XXVII, 38; XXXIX, 19; XL, 5, ecc.
[16] Sull'eleganza della traduzione di san Girolamo, si veda Ozanam, La civilisation au Ve siècle, Oeuvres, t. II, p. 120-129.
[17] «Illud autem semel monuisse sufficiat, afferma, nosse me cubitum et cubita (cubiti) neutrali appellari genere, sed pro simplicitate et facilitate intelligentiae vulgique consuetudine ponere et genere masculino. Non enim curae nobis est vitare sermonum vitia, sed Scripturae Sanctae obscuritatem quibuscumque verbis disserere.» Comment. in Ezech., XI., 5, t. XXV, col. 378.
[18] Si veda Vercellone, Variae lectiones Vulgatae editionis, t. I, p. CXII; t. II, p. XXVII; Kaulen, Geschichte der Vulgata, p. 181-182.
[19] «De Hebraeo transferens, afferma, magis me Septuaginta interpretum consuetudini coaptavi, in his duntaxat quae non multum ab Hebraicis discrepabant. Interdum Aquilae quoque et Symmachi et Theodotionis recordatus sum, ut nec novitate nimia lectoris studium deterrerem, nec rursum contra conscientiam meam, fonte veritatis omisso, opinionum rivulos consectarer.» Comm. in Eccl. Prol., t. XXIII, col. 1101.
[20] «Corrector vitiorum falsarius dicor, et errores non auferre sed serere. Tanta est enim vetustatis consuetudo, ut etiam confessa plerisque vitia placeant.» S. Girolamo, Praef. in Job, t. XXIX, col. 61.
[21] Così: «sermo, quem fecisti,» per res, II Reg., XII, 21; verbum impiegato assai frequentemente al posto di res; «cum consummasset comedere,» Am., VII, 2 ; «addidit furor Domini irasci contra Israel,» II Reg., XXIV, 1; «Juravit dicens: si videbunt homines isti... terram,» per non videbunt, Num., XXXII, 10-11; plorans ploravit, Lam., I, 2; in odorem suavitatis, per «in odorem suavem,» Ez., XX, 41, ecc.
[22] Praef. I in Job; Praef. II in Job, t. XXVII, col. 1079, et t. XXIX, col. 61.
[23] Rufin, Invectiv., nell'ediz. benedett. di san Girolamo, t. IV, 2, p. 424, 440, 450; S. Girolamo, Apol. adv. Ruf., ibid., p. 363-445; Migne, t. XXIII, col. 407-463.
[24] S. Agostino, Ep. LXXXVIII, in S. Hieronymi Opera, t. IV, 2, col. 610 ; Ep. XCVII, col. 641. Cf. col. 610. De Doctr. Christ., IV, n° 15, t. XXXIV, col. 96.
[25] Tutti i testi di tali autori sono riuniti e citati per esteso in Hody, De Bibliorum textibus originalibus, versionibus graecis et latina Vulgata, 1705, l. III, part. II, c. V, p. 397 sq. Una parte ne è citata nel Migne, Pat. lat., t. XXVIII, col. 139-142.
[26] «Novam translationem dissero, afferma S. Gregorio, sed cum probationis causa exigit, nunc novam, nunc veterem per testimonia assumo; ut quia Sedes apostolica, cui Deo auctore praesideo, utraque utitur, mei quoque labor studii ex utraque fulciatur.» Moral. in Job, Ep. miss., 5, t. LXXV, col. 5l6.
[27] «De hebraeo autem in latinum eloquium tantummodo Hieronymus presbyter Sacras Scripturas convertit: cujus editione generaliter omnes Ecclesiae usquequaque utuntur, pro eo quod veracior sit in sententiis et clarior in verbis.» S. Isidoro di Siviglia (570-636). De off. Eccl., I, 12. 8, t. LXXXIII, col. 748. Beda (673-735) chiama la versione di san Girolamo semplicemente «la nostra edizione».
[28] Sull'autorità della Vulgata si veda Lamy, Introductio in S. S., Introd. gen., c. V, sect. II, t. I, p. 174-178; J. Didiot, Commentaire traditionnel de la IVe session du Concile de Trente, in Revue des sciences ecclésiastiques, septembre 1890, p. 193 sq.
[29] Nella Congregazione generale del 17 marzo 1546, i Padri che erano stati incaricati, il 5 marzo, di occuparsi degli abusi che si erano potuti intrudere nell'uso delle Scritture e di cercarvi un rimedio, avevano persino proposto che la Santa Sede pubblicasse, oltre ad un'edizione corretta della Vulgata, un'edizione della Settanta e del testo ebraico: «Id munus erit Smi D. N.... curando etiam, ut unum codicem graecum, unumque hebraeum, quoad fieri potest, correctum, habeat Ecclesia Sancta Dei.» Acta concilii Tridentini, ed. A. Theiner, t. I, p. 65. Cf. p. 61 (Aquensis), 63 (Card. S. Crucis), p. 83 (Card. Polus).
[30] Cf. Bellarmin. De controv., De Verbo Dei, l. II, c. X sq., Praga, 1721, t. I, p. 52 sq. Si veda la citazione di Véga, n° 139, nota 1.
[31] «(Authenticum est) scriptum aliquod, quod ex se fidem facit in judicio et supremae est auctoritatis, ut a nullo rejici vel in quaestionem vocari debeat,» afferma il giureconsulto Giuliano (Tract. de fide instrumentorum), in Walton, Biblia polyg., Proleg., VII, n° 16, t. I, p. 42.
[32] Uno dei membri della commissione ufficiale del Concilio di Trento, il Vescovo di Fano, che proponeva si dichiarasse autentica la Vulgata latina, spiegava un tale progetto come segue: «Nos recipimus vulgatam editionem, quae a Hieronymo et ab Ecclesia semper recepta est, et est antiqua... Item recepta est vulgata tanquam authentica: aliae autem non rejiciuntur, quia et illae etiam bonae, sed ista melior... Una praeterea recepta est, et unâ tantum Ecclesia utatur, et non pluribus confuse.» Acta Concilii Tridentini, ed. Theiner, t. I, p. 70, col. 2.
[33] «In honorem vetustatis et honoris quem ei jam a multis annis detulerunt concilia latina quae sunt ea usa, et ut certo scirent fideles, quod et verissimum est, nullum inde haberi posse perniciosum errorem, et tuto illam et citra periculum posse legi, ad coercendam etiam confusionem quam affert multitudo translationum, et temperandam licentiam nimiam cudendi semper novas translationes, sapienter statuit ut ista uteremur in publicis lectionibus, praedicationibus et expositionibus. Atque eatenus voluit eam authenticam haberi, ut certum omnibus esset nullo eam defoedatam errore, ex quo perniciosum aliquod dogma in fide et moribus colligi posset, atque ideo adjecit ne quis illam quovis praetextu rejicere auderet.» André Véga, De Justif., l. XV, 9, in-f°, Colonia, 1572, p. 692. Egli racconta di aver appreso proprio dalla bocca del cardinale di Santa Croce, che presiedeva la VI sessione del Concilio di Trento, che tale fosse il senso di questo decreto. Certo è d'altronde, Atti del Concilio di Trento alla mano, che i Padri vollero, con la loro decisione, rimediare agli abusi regnanti. «Primus abusus est: habere varias editiones Sacrae Scripturae, et illis velle uti pro authenticis in publicis lectionibus, disputationibus et praedicationibus. — Remedium est: habere unam tantum editionem, veterem scilicet et vulgatam, qua omnes utantur pro authentica in publicis lectionibus, disputationibus, expositionibus et praedicationibus, et quod nemo illam rejicere audeat, aut illi contradicere, non detrahendo tamen auctoritati purae et verae interpretationis septuaginta interpretum, qua nonnunquam usi sunt Apostoli; neque rejiciendo alias editiones, quatenus authenticae illius vulgatae intelligentiam juvant.» Congregazione generale del 17 marzo 1546. A. Theiner, Acta genuina Concilii Tridentini, 2 in-4°, Agram, t. I (1874), p. 64. Si vedano anche le spiegazioni che sull'argomento ci offre a pag. 79 il Vescovo di Fano, uno dei membri della commissione incaricata di redigere il testo che abbiamo riportato, e ciò che afferma il cardinal Polus, pag. 83.
[34] Lutero stesso scriveva: «Si diutius steterit mundus, iterum necessarium erit, ut propter diversas Scripturae interpretationes quae nunc sunt, ad conservandam fidei unitatem, Conciliorum decreta recipiamus atque ad ea confugiamus.» De veritate corporis Christi cont. Zuinglium.
[35] È apparsa in Inghilterra nel 1881 un'edizione riveduta del Nuovo Testamento e nel 1885 un'edizione riveduta dell'Antico Testamento, ma tale revisione è stata fatta da una commissione ufficiale il cui lavoro peraltro ha provocato numerose proteste.
[36] «Concilium Tridentinum non eo sensu authenticam declaravit Vulgatam editionem, ut significaret nullum vel levissimum mendum in illam irrepsisse, multoque minus ut eamdem originalibus textibus praeferret, sed ut testaretur Vulgatam prae omnibus latinis editionibus quae tunc circumferebantur, in universum egregie praeclareque originales textus reddere, nunquam in substantialibus deficere, nil a revelata doctrina absonum continere, nihilque a pietate alienum.» C. Vercellone, Variae lectiones Vulgatae latinae Bibliorum editionis, Romae, 1864, t. II, p. VI. Cf. il testo del Concilio, n° 138. — «Approbavit (Concilium) duntaxat Vulgatam editionem repurgatam a mendis..., afferma Véga. Nec eam tanquam e coelo delapsam adorari voluit. Interpretem illius, quisquis ille fuerit, sciebat non esse prophetam, nec nos meruisse hactenus quemquam qui eodem in omnibus spiritu Sacras Litteras a propria et nativa lingua in alienam linguam transfuderit. Ac proinde nec cohibuit nec cohibere voluit studiosorum linguarum industriam, qui aliquando docent melius potuisse aliqua verti.» De justif., XV, 9, p. 692.
[37] Corluy, L'intégrité des Évangiles en face de la critique, in Études religieuses, novembre 1876, p. 627.
[38] «Non tamen authentia versionis declarata est in gradu eo perfectionis, ut in singulis etiam per se non pertinentibus ad aedificationem doctrinae christianae, vel secundum modum quoque enuntiationis, ubique cum originalibus conformis credi jubeatur.» De divina Traditione et Scriptura, I ed., p. 465. Cf. Azevedo, S. J., Pro Vulgata Sacrorum Bibliorum latina editione contra Sixtinum Amama, Lisbona, 1792, p. 16. — La Prefazione della Vulgata afferma espressamente che nell'edizione riveduta si sono lasciate immutate talune cose che si sarebbero potute cambiare: «Sicut nonnulla consulto mutata, ita etiam alia quae mutanda videbantur, consulto immutata relicta sunt.» Praef. ad lect., in capo alla Vulgata. — «Cave ne credas versionem S. Hieronymi omnibus numeris absolutam esse. Sunt enim in ea multa quae humanam produnt infirmitatem, quod ipse Hieronymus agnovit dum in commentariis suis seipsum plus semel castigavit (Comment, in Is. XIX et passim). Quandoque ita celeriter in conficienda versione versatus est ut difficile ipsi fuerit opus suum ad summam perfectionem deducere; sic librum Tobiae intra spatium unius diei, tres libros Salomonis intra triduum transtulit (Praef. in Tob., Praef. in libros Salom.). Neque S. Doctor omnia ea ratione vertit qua ipse voluisset, sed ne nimia novitate lectores offenderet, quandoque Septuaginta interpretibus se conformabat, in his duntaxat quae non multum ab hebraicis discrepabant.» Lamy, Introd. in S. S., t. I, no 12, p. 163. Cf. J. Didiot, Revue des sciences eccl., mai 1889.
[39] «Ei linguae potius credatur unde in alias, per interpretes, facta est translatio.» S. Agostino, De Civ. Dei, XV, XIII, 3, t. XLI, col. 454. «Sicut in Novo Testamento, si quando apud Latinos quaestio exoritur, et est inter exemplaria varietas, recurrimus ad fontem Graeci sermonis, quo novum scriptum est Instrumentum; ita in Veteri Testamento, siquando inter Graecos Latinosque diversitas est, ad Hebraicam confugimus veritatem... Sic psallendum, ut nos interpretati sumus (nella revisione dei Salmi dell'antica Vulgata), et tamen sciendum quid Hebraica Veritas habeat. Hoc enim quod Septuaginta transtulerunt, propter vetustatem in Ecclesiis decantandum est; et illud ab eruditis sciendum propter notitiam Scripturarum.» S. Girolamo, Epist.CVI ad Sunniam et Fretelam, 2, 46, t. XXII, col. 838, 853. Si veda tutta l'epistola.
[40] Pallavicini, Hist. Conc. Trid., l. VI, c. XVII. Cf. tutta la discussione che si verificò a proposito del decreto e che prova l'esattezza di ciò che afferma Pallavicini, Acta Concilii Tridentini, ed. Theiner, t. I, p. 79-83. — Salmeron, che era teologo al Concilio, afferma: «Nihil ibi de exemplaribus aut graecis aut hebraicis agebatur; tantum inter tot editiones latinas quot nostra saecula parturierant, quaenam ex illis praestaret sermo erat... Et rejectis reliquis latinis, unam hanc Vulgatam reliquis tanquam veriorem, puriorem, dilucidiorem, ac suis fontibus, unde est orta, magis consentientem pronuntiavit... Liberum autem reliquit omnibus qui Scripturas profundius meditantur, fontes graecos aut hebraeos, quatenus opus sit, consulere... Ubi hebraea vel graeca lectio diversa sit, non autem editioni Vulgatae contraria, modo latinam interpretationem non respuamus vel contemnamus, sed pro viribus, quoad ejus fieri possit, et tueamur et explicemus, licebit nobis, salva Concilii Tridentini generalis auctoritate sive graeci sive hebraici exemplaris lectionem variam producere, eamque uti verum Bibliorum textum expendere et enarrare; nec tantum bonos mores per eam aedificare, verum etiam fidei dogmata comprobare et stabilire, atque adeo ab illa sumere efficax argumentum tanquam ex textu Spiritus Sancti. Ita enim saepe Hieronymus facere consuevit... Hoc etiam a plerisque catholicis scriptoribus, qui post Concilinm Tridentinum aliquid scripto obsignarunt, observatum video.» Salmeron, Commentarii in evangel. hist., Prolegomena, III, Colonia, 1612, t. I, p. 24-25. — Il Concilio avrebbe persino desiderato che si pubblicasse una valida edizione del testo ebraico e del testo greco, e Sisto V pubblicò un'edizione della Settanta per soddisfare a questa richiesta, , n° 109. — « Authentia editionis Vulgatae, soggiunge il cardinal Franzelin, non est declarata in comparatione cum textibus hebraico et graeco nec cum antiquis versionibus multoque minus ad excludendam auctoritatem horum textuum, sed declarata est in comparatione cum versionibus latinis, quae recentius ab haereticis plerumque hominibus procusae tum circumferebantur... Manserunt ergo illi textus et illae antiquae versiones in tota externa auctoritate, ut fuerant ante edituni decretum, in quo de illis nullo modo agebatur. Porro licet nullo explicito Ecclesiae decreto declarata sit authentia textus hebraici in Veteri Testamento, et textus graeci in Novo Testamento ut nobis adhuc praesto sunt, de ea tamen certe constat non solum critice et historice sed de authentia quoad rei summam etiam dogmatice. Ipsa enim authentia editionis Vulgatae quae dogmatice declarata est, supponit authentiam textus hebraici et graeci, saltem ut in omnibus exemplaribus simul sumptis in Ecclesia Dei adhuc exstat et dignosci potest. Ad quam intimam connexionem cum Vulgata accedit, quoad textum graecum Novi Testamenti, ipse multorum saeculorum publicus usus in Ecclesia inde ab aetate apostolica. Utrumque hoc argumentum suo modo valet etiam pro authentia versionis Septuaginta.» Franzelin, De divina Traditione et Scriptura, thesis XIX, corollarium 3, 2a ediz., p. 567.
[41] Si veda n° 138, 2°, nota 1, p. 220. «sicut igitur ante decretum Concilii fas erat interpretibus recurrere ad textus primigenios et ad antiquas versiones, ut explicarent quae erant obscura et emendarent quae minus recte se habebant, ita etiam post decretum Concilii eadem ipsis remanet potestas.» Lamy, Introductio ad Scripturam, t. I, n° 37, p. 176. Cf. il brano d'Iodocus Revesteyn Tiletanus, Apologia pro conc. Trid., 1568, t. I, p. 99, citato in Franzelin, ibid., p. 566. —La maggioranza dei teologi segue questa opinione. Si veda la lista che ne fa Lamy, loc. cit., p. 178, e Franzelin, ibid., p. 563; Hody, *De antiquis Bibliorum versionibus, part. II, l. 3, c. 15, p. 509 sq.; Mariana, Pro editione vulgata, c. XXI, in Migne, Scripturae Sacrae cursus completus, t. I, col. 664 sq. Bellarmino dice espressamente, Controv. de Verbo Dei, II, 10, 11, t. I, p. 53, 56: «Mendacium (Calvini) est, decrevisse Tridentinos Patres, minime esse audiendos eos qui ex fonte ipso purum liquorem proferunt... Hoc ideo mendacium voco, quod nihil ejusmodi in decreto Concilii legatur... Respondeo quatuor temporibus licere nobis recurrere ad fontes Hebraeos et Graecos: 1° Quando in nostris codicibus videtur esse error librariorum... 2° Quando latini codices variant, ut non possit certo statui quae sit vera vulgata lectio... 3° Quando verba aut sententia in latino est anceps, possumus recurrere ad fontes, si forte ibi non sit ambiguitas... 4° Licet recurrere ad fontes, ad energiam et proprietatem vocabulorum intelligendam.» Si possono vedere gli esempi che Bellarmino dà di ciascuno di questi casi. — Contro coloro che esagerano l'autorità dei testi originali, si veda T. G. Czuppon, Vindiciae Vulgatae latinae editionis, qua Ecclesia romano-catholica utitur contra assertam hebraei et graeci textus hodierni absolutam authentiam, 2 vol., Sabariae, 1798

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