venerdì 24 luglio 2015
Eccellenza della Vulgata di San Girolamo
1° San Girolamo iniziò lo studio dell'ebraico verso il
374,
in età assai avanzata, cioè a circa quarantacinque anni;
ebbe come principale insegnante un Ebreo convertito, ed in seguito
ricevette anche lezioni da Giudei non convertiti che pagò a
peso d'oro [1]. Il santo dottore
acquisì una conoscenza della
lingua santa davvero ammirevole [2],
in un'epoca in cui v'era la
mancanza di ogni ausilio per effettuare simili studî, in cui non
esisteva grammatica nè dizionario, ed in cui non si poteva far
ricorso che all'insegnamento orale. I Settanta e gli altri traduttori
greci sapevano l'ebraico perchè erano ebrei, e conoscevano il
greco perchè era la lingua che usavano nei loro rapporti con i
gentili tra i quali si trovavano a vivere; essi non dovevano far altro
dunque, per compiere la loro opera, che servirsi delle loro conoscenze
pratiche di entrambe le lingue. San Girolamo al contrario dovette
studiare, tra difficoltà d'ogni genere, una lingua che si
parlava solamente all'interno delle famiglie israelite e che ci si
rifiutava di insegnare ai cristiani.
2° Quando il nostro santo si fu familiarizzato coll'ebraico,
intraprese la traduzione di quei libri dell'Antico Testamento che
possediamo in questa lingua, terminando un tal lavoro in quindici
anni, dal 390 al 405.
3° Il motivo per cui San Girolamo aveva intrapreso un'opera
così laboriosa e delicata fu lo stesso che aveva condotto
Origene a realizzare la sua Esapla: volle cioè dare una
riproduzione fedele del testo originale per tagliar corto alle
obiezioni dei Giudei [3].
4° Per realizzare il suo progetto, il pio e sapiente traduttore
riuscì a procurarsi il manoscritto ebraico di cui si serviva la
sinagoga di Betlemme e lo copiò di propria mano [4]: ebbe così a disposizione per
compiere la sua opera un'eccellente recensione del testo
originale [5]. Visitò anche
l'intera Palestina per poter
tradurre con maggior sicurezza possibile tutto ciò che nella
Bibbia è in relazione con la geografia di quei luoghi [6]. Di fronte a
passaggi difficili faceva spesso ricorso ai dottori ebrei più
celebri; ce lo dice lui stesso in vari luoghi dei suoi scritti [7], e
lo studio della Vulgata mostra in effetti che egli seguì la
tradizione esegetica degli ebrei.
5° Non trascurò in effetti nessuno degli ausilî
letterarii
di cui poteva profittare, al fine di meglio comprendere il senso del
testo: si serviva costantemente, nel proprio lavoro, delle traduzioni
greche dei Settanta, di Aquila, di Teodozione e di Simmaco, e
dell'Esapla di Origene [8]; scrisse
in una delle sue lettere di aver confrontato la traduzione d'Aquila con
il testo originale [9]. Nessuna
edizione antica o moderna è mai stata pubblicata con risorse
critiche paragonabili a quelle di cui potè disporre a suo tempo
san Girolamo per conoscere il vero e proprio testo originale.
«L'opera di san Girolamo è un monumento unico e senza
rivali tra le antiche traduzioni» afferma Westcott [10].
«La traduzione di san Girolamo è senza dubbio la migliore
fra le traduzioni antiche,» afferma il Dr. Kaulen [11].
Essa si distingue da tutte le altre versioni antiche per lo sforzo
coscienzioso del traduttore di essere all'altezza del proprio compito;
mentre le traduzioni greche della Bibbia erano state fatte da persone
che si
servivano solamente della conoscenza pratica che avevano della lingua
per rendere il contenuto della Sacra Scrittura intelligibile agli
altri, la versione di san Girolamo è invece un'opera
scientifica, che coniuga felicissimamente le ricerche personali
col
rispetto della tradizione ebraica e cristiana, tenendo conto delle
giuste esigenze del buon gusto e adempiendo così a tutte le
condizioni necessarie per compiere un eccellente lavoro [12].
Le tre caratteristiche principali per cui la versione di san Girolamo
si distingue sono: 1° la fedeltà. 2° una certa eleganza
di stile e 3° la conservazione dell'antica Italica per quanto
ciò era possibile.
Il santo dottore nel Prologus
Galeatus afferma di «non aver
cambiato nulla alla verità ebraica [13].» e ciò
può dirlo a buon diritto; i luoghi infatti nei quali egli non ha
compeso il vero senso del testo sono estremamente rari, tolti quelli
oscuri e discutibili. Quanto ai brani in cui l'ebraico è chiaro,
e nei quali la Vulgata si allontana dall'originale, come in Gen. XIV,
5, ove בהם, be-Hàm, che significa a Ham, e tradotto *cum
eis*.
«con loro», sono così rari in un'opera di sì
lungo respiro, che ciò giustamente stupisce: Dio ha palesemente
soccorso l'interprete della sua parola in un'opera così
importante per la Chiesa.
1° Pur impegnandosi a rendere esattamente il senso, san Girolamo
non volle trascurare lo stile. — 1° Evitò pertanto di
fare una
traduzione servile: ciò sarebbe andato a scapito della lingua
senza alcun profitto per il lettore e talvolta persino a detrimento
della chiarezza [14]. —
2° Allo scopo di assecondare le
abitudini
della lingua latina san Girolamo impiegò locuzioni come la
seguente: Acervus Mercurii,
Prov., XXVI, 8; aruspices, IV
Reg.,
XXI, 6; lamia, onocentauri, Is., XXXIV, 14; fauni, Jer., L, 39,
ecc. — 3° Il santo Dottore altresì, allo scopo di
conformarsi allo specifico della lingua latina, ha sostituito dei
periodi alle frasi
disarticolate dell'ebraico; ad es. l'ebraico ha,
Gen. XIII, 10: «E Lot levò i suoi occhi e vide.» La
Vulgata traduce: «Elevatis itaque Loth oculis vidit.» Si
notano cambiamenti analoghi specialmente nella Genesi [15]. Le
congiunzioni ergo, autem, vero, ecc., sono aggiunte spesso
per
legare le frasi e le parti della frase [16].
2° Nonostante il suo gusto classico san Girolamo non
rifiuta di far uso di parole e modi di dire popolari qualora siano
più
chiari e più proprî a rendere il suo pensiero [17]: ecco dunque
le parole capitium, Job. XXX,
18; grossitudo, III Reg.,
VII, 26; odientes, II Reg.,
XXII, 41; sinceriter, Tob.,
III, 5; uno per uni al dativo, Ex., XXVII, 14;
Num., XXIX, 14; numquid per nonne, Gen., XVIII, 23, ecc. [18].
Talune espressioni e costruzioni precedenti si leggono nella Vulgata
perchè il nuovo traduttore della Bibbia desiderava conservare il
più possibile dell'antica versione italica, affinchè non
fossero confusi
coloro che avevano fatto l'abitudine a leggerla e ne sapevano talune
parti a
memoria[19]. Le sue correzioni e
variazioni avevano provocato vive
critiche, come ci fa sapere egli stesso [20].
Tale attaccamento alla
versione primitiva era in fondo rispettabile; e per non urtar troppo
costoro san Girolamo conservò un gran numero d'ebraismi che si
leggevano nei Settanta e che erano passati per loro mezzo nel latino [21].
La traduzione di san Girolamo, malgrado la propria superiorità,
fu adottata nella Chiesa latina non senza grandi difficoltà a
causa dell'abitudine a servirsi della versione italica, che differiva
in
parecchi punti dalla nuova versione; ce lo dice lo stesso san Girolamo
in varî luoghi dei suoi scritti [22].
Rufino lo ritenne eretico e
falsario [23]; vero è che
questo scrittore non godeva di grande autorità; anche lo stesso
sant'Agostino inizialmente non approvò la versione del solitario
di Betlemme, sebbene
più tardi ne abbia riconosciuto il merito [24]. Tuttavia a poco a poco ci
si abituò a preferire la versione del santo Dottore all'Italica:
Cassiano, sant'Eucherio vescovo di Lione, San Vincenzo di Lerino,
Salviano ecc. ne tesseranno gli elogi [25],
e dalle loro testimonianze
vediamo che tale versione trovò la
migliore accoglienza proprio in Gallia. In Italia dai tempi di san
Gregorio Magno (ca.
540-604) ci
si serviva ancora dell'antica Italica, insieme alla nuova
Vulgata [26]; ma avendo questo
sovrano Pontefice fatto uso
ordinario di quest'ultima versione nel suo famoso libro Moralia in Job, da allora la
vecchia Italica fu abbandonata, di maniera che la traduzione di san
Girolamo,
circa due secoli dopo la sua morte,
divenne propria della Chiesa latina [27];
il Concilio di Trento infine sanzionò solennemente
l'autorità della Vulgata,
dichiarando autentica tale versione.
1° Il Concilio di Trento attribuì una particolare
autorità alla versione della Vulgata [28] col decreto seguente,
emesso nella IV sessione l'8 aprile 1546: «Insuper eadem
sacrosancta Synodus, considerans non parum utilitatis accedere posse
Ecclesiae Dei, si ex omnibus latinis
editionibus, quae
circumferuntur, Sacrorum librorum quaenam pro authentica habenda sit,
innotescat; statuit et declarat, ut haec ipsa vetus et vulgata editio,
quae longo tot saeculorum usu in ipsa Ecclesia probata est, in publicis
lectionibus, disputationibus, praedicationibus et expositionibus pro
authentica habeatur, et ut nemo illam rejicere quovis praetextu audeat
vel praesumat.» E siccome gli esemplari della Vulgata erano
allora pieni di errori, il Concilio decretò subito dopo,
«ut posthac Sacra Scriptura, potissimum vero haec ipsa vetus et
vulgata editio quam emendatissime imprimatur [29].» [«Inoltre
lo stesso Sacrosanto Concilio, riflettendo poter provenire non poca
utilità alla Chiesa di Dio, se sia manifesto quale fra tutte le
latine edizioni de' Sacri libri che hanno corso, abbia ad aversi per
autentica; stabilisce, e dichiara, che questa medesima antica e vulgata
edizione, che per lunga consuetudine di tanti secoli è stata
approvata nella medesima Chiesa, si abbia per autentica nelle pubbliche
lezioni, dispute, prediche, ed esposizioni: e che niuno ardisca o
presuma con qualunque pretesto di rigettarla.» N.d.R.] In seguito a
quest'ultima disposizione del concilio di Trento, i sovrani Pontefici
fecero preparare e pubblicare una nuova edizione corretta della Vulgata.
2° In questo decreto, il Concilio di Trento ci dà la
certezza: 1° che la Vulgata non contiene alcun errore in ciò
che riguarda la fede ed i costumi, e 2° che i fedeli possono
servirsene in tutta sicurezza e senza esporsi ad alcun pericolo [30]. I
giureconsulti intendono autentico
lo scritto che fa fede ed
autorità, di modo che deve essere ammesso da tutti sugli
obbietti che esso testimonia [31].
Il documento autentico per
eccellenza è quello autografo;
ma la copia di uno scritto
autografo è altrettanto autentica, quando tale copia è conforme all'originale. Se tale
conformità esiste solamente di
fatto, senza esser stata verificata, l'autenticità è
meramente interna; se essa
è stata constatata da una persona
privata, l'autenticità si dice privata;
se è stata
constatata da un'autorità ufficiale, l'autenticità
è pubblica. Una traduzione che rende fedelmente il
senso
dell'originale può essere dichiarata
dall'autorità competente autentica come una copia fatta
sull'autografo; l'autenticità consiste allora non nella
conformità delle
parole, ma nella conformità del senso tra l'originale e la
traduzione, ed è in quest'ultima accezione che il Concilio di
Trento ha
dichiarato la Vulgata latina autentica. Tale Concilio attesta con
ciò
che la Vulgata è fedele e rende fedelmente il testo primitivo,
almeno
quanto alla sostanza, di modo che ci fa conoscere la Rivelazione che
Dio ha consegnato nelle Sacre Scritture. I Padri del Concilio si sono
pronunciati sulla fedeltà della Vulgata e sulla sua
conformità col testo originale, senza fare uno studio comparato
tra questa versione ed i testi originali; tuttavia appoggiandosi a buon
diritto sull'esperienza di nove o dieci secoli, per cui
l'edizione della Bibbia in uso nella Chiesa d'occidente rendeva
esattamente la parola di Dio [32].
Ciò che abbiamo detto
dell'eccellenza della Vulgata latina mostra, indipendentemente
dall'autorità del Concilio e dell'assistenza dello Spirito Santo
ad esso assicurata, quanto una tale decisione sia fondata.
Una tale decisione è stata spesso attaccata dai nemici della
Chiesa, ma è perfettamente fondata ed al di sopra di ogni
critica. Ad una Chiesa la cui condizione essenziale è
l'unità serve, per quanto possibile, una versione unica. Fino al
Rinascimento non vi era stato alcun bisogno di rendere obbligatorio
l'uso di una sola traduzione, perchè di fatto tutta la Chiesa si
serviva da lunghissimo tempo di quella di san Girolamo; ma quando si
cominciò a studiare il greco e l'ebraico, non si tardò a
fare traduzioni nuove dell'Antico e del Nuovo Testamento, cosa da cui
risultarono parecchi inconvenienti. L'accettazione indiscriminata, da
parte dei professori di teologia e dei predicatori, della prima
versione che capitava o, ciò che nè lo stesso,
dell'interpretazione arbitraria dei testi originali induceva parecchia
confusione e diventava fonte di errori. Il Concilio rimediò al
male alla radice, proibendo saggiamente l'uso di altre traduzioni che
non fossero quella della Vulgata sia sulle cattedre sia nelle scuole [33]. Tale decisione era così
opportuna che gli stessi
protestanti l'accettarono di fatto, sebbene attaccandola in teoria,
dato che in Germania i luterani adottarono la traduzione in tedesco di
Lutero [34], ed in Inghilterra la
Bibbia inglese di Giacomo I (1611)
è ancora oggi la sola traduzione autorizzata [35].
Del resto si è potunto attaccare il Concilio di Trento solo
snaturandolo e pretendendo che ne seguisse che la traduzione della
Vulgata fosse perfetta e soppiantasse il testo originale; ma ciò
è voler attribuire al Concilio ciò che non ha mai detto
nè voluto dire.
Il Concilio non ha preteso definire che non vi fosse alcun difetto,
anche leggero, nella Vulgata [36].
«Secondo l'opinione comune che
scaturisce con evidenza dallo studio attento e comparato del testo
della Vulgata e dei testi originali, afferma il P. Corluy S.J. [37]
occorre ammettere che, nei luoghi in cui non si tratta direttamente
nè della fede nè dei costumi, vi possono essere nella
Vulgata delle frasi, dei versetti, che non hanno corrispondenza
coll'originale ispirato. Ecco ciò che a questo proposito afferma
l'eminentissimo cardinal Franzelin nel suo trattato De Scriptura,
tesi XIX, in cui prende in esame il decreto del Concilio di Trento
sull'autenticità della Vulgata: «Tuttavia
l'autenticità di
tale traduzione (la Vulgata) quale è stata dichiarata dal
Concilio, non giunge al grado di perfezione per cui la si dovrebbe
credere conforme ai testi originali sia in ciascuno dei luoghi che non
appartengono per sè all'edificazione
della dottrina cristiana,
sia nel modo secondo cui tale dottrina vi è enunciata [38].»
I Padri avevano opportunamente riconosciuto il valore dei testi
originali della Bibbia [39]; il
Concilio di Trento, col suo decreto,
non ha voluto per nulla disprezzarne il merito nè diminuirne
l'autorità, ma parla solamente delle edizioni latine. Il
cardinal Pallavicini, nella Storia
del Concilio di Trento, dichiara
che il Concilio «non ha mai avuto l'intenzione di porre la
Vulgata al di sopra del testo ebraico e del testo greco, o d'impedire
agli scrittori di ricorrervi, quando lo giudicassero a proposito, per
avere una completa intelligenza del testo [40].»
Possiamo dunque concludere che è sempre stato lecito, sia prima
sia dopo il Concilio, ricorrere ai testi originali ed alle antiche
traduzioni per spiegare il testo sacro [41].
[Traduzione: C.S.A.B.]
[1] S. Girolamo, Praefat. in Job, t. XXVIII, col.
1081. «Memini me ob intelligentiam hujus voluminis (Job), Lyddaeum quemdam
praeceptorem, qui apud Hebraeos primus haberi putabatur, non parvis
redemisse nummis.» Egli ebbe cinque maestri ebrei. Si veda J.
Morin, Exercitationes biblicae,
l. I, Exerc. III, c. II, n° 2—3, in—f°, 1660, p.
66.
[2] Si veda Hody, De Bibl. text. orig., part. II, p.
359.
[3] «[Deus] scit me ob hoc
in peregrinae linguae eruditione sudasse, scriveva san Girolamo a santa
Paola ed a sant'Eustochia, ne Judaei de falsitate Scripturarum
ecclesiis ejus diutius insultarent.» Praef. in transl. Isaiae, t.
XXVIII, col. 774. San Girolamo tradusse i sacri Libri nel seguente
ordine: i quattro Libri dei Re, Giobbe, i Profeti, i Salmi. Qui una
malattia interruppe la sua opera, che riprese verso la fine del 393,
traducendo successivamente i Proverbi, il Cantico dei Cantici,
l'Ecclesiaste, Esdra e Neemia o secondo libro d'Esdra, i Paralipomeni,
il Pentateuco, Giosuè, i Giudici, Ruth, Ester, Tobia e Giuditta.
La traduzione del Pentateuco è la meglio riuscita di tutte.
[4] S. Girolamo, Epist. XXXVI ad Damasum, I, t.
XXII, col. 452.
[5] La lettera di S.
Girolamo, ad Domn. et Rogat.,
t. XXIX, col. 401-402, che funge da prefazione ai Paralipomeni,
dimostra con qual cura il nostro santo s'occupava della correzione e
dell'esattezza dei manoscritti: «Cum a me nuper litteris
flagitassetis, ut vobis librum Paralipomenon latino sermone
transferrem, de Tiberiade Legis quemdam doctorem, qui apud Hebraeos
admirationi habebatur, assumpsi: et contuli cum eo a vertice, ut aiunt,
usque ad extremum unguem, et sic confirmatus, ausus sum facere quod
jubebatis. Libere enim vobis loquor, ita et in graecis et latinis
codicibus hic nominum liber vitiosus est, ut non tam hebraea quam
barbara quaedam et sarmatica nomina congesta arbitrandum sit...
Scriptorum culpae adscribendum, dum de inemendatis inemendata
scriptitant; et saepe tria nomina, subtractis e medio syllabis, in unum
vocabulum cogunt, vel e regione unum nomen, propter latitudinem suam,
in duo vel tria vocabula dividunt. Sed et ipsae appellationes, non
homines, ut plerique aestimant, sed urbes, et regiones, et saltus, et
provincias sonant, et oblique sub interpretatione et figura eorum,
quaedam narrantur historiae.»
[6] «Sanctam Scripturam
lucidius intuebitur, qui Judaeam oculis contemplatus sit et antiquarum
urbium memorias locorumque vel eadem vocabula vel mutata cognoverit.
Unde et nobis curas fuit, cum eruditissimis Hebraeorum hunc laborem
subire, ut circumiremus provinciam, quam universae Ecclesiae Christi
sonant.» Praef. in lib. Paral.
ad Domn. et Rogat., t. XXIX, col. 401.
[7] Praef. in lib. Paral. ad Domn. et Rogat.,
ibid. Si veda la citazione alla nota 3, p. 210; et Praef. in Job, citato p. 211, nota
2.
[8] «Interdum, dice nel
prologo del suo commentario all'Ecclesiaste, t. XXIII, col, 1011,
Aquilae quoque et Symmachi et Theodotionis recordatus sum.» Egli
cita frequentemente questi tre traduttori nel suo commentario ad Isaia.
[9] «Jampridem cum
voluminibus Hebraeorum editionem Aquilae confero, ne quid forsitan
propter odium Christi synagoga mutaverit, et, ut amicae menti fateor,
quae ad nostram fidem pertineant roborandum plura reperio.» Ep. XXXII ad Marc., t. XXII, col.
446.
[10] W. Smith's Dictionary of the Bible, t. III, p.
1700. — «Vulgata, male aliis neglecta, cum sit versionum
una omnium praestantissima,» afferma Michaelis, Supplem. ad Lexic. Hebr., Gottinga,
1792, part. III, n° 893, p. 992. Wallon dice lo stesso:
«[Agnoscamus Vulgatam] magni faciendam... propter interpretis...
doctrinam et fidelitatem, quem de Ecclesia bene meruisse gratis animis
praedicant Protestantium doctissimi.» Bibl. Poligl., Proleg., X, n°
11, 4, t. I, 1657, p. 74. Si vedano altre testimonianze in Brunati, Del nome dell'autore, de' correttori e
dell'autorità della versione Volgata, nelle sue Dissertazioni bibliche, in-8°,
Milano, 1838, diss. VIII, p. 69-75.
[11] Kaulen, Einleitung in die heilige Schrift,
n° 151, p. 117.
[12] Kaulen, Einleitung in die heilige Schrift,
p. 117, 118; G. Hoberg, De sancti
Hieronymi ratione interpretandi, in-8°, Friburgo in
Brisgovia, 1886. — M. Glaire ha messo insieme, in capo alla sua
traduzione francese della Sacra Bibbia secondo la Vulgata, 3a ed., t.
I, 1889, p. XI-XII, i giudizi dei più abili critici e degli
interpreti più sapienti del protestantismo sulla Vulgata.
[13] «Mihi omnino conscius
non sum, mutasse me quidpiam de hebraica veritate.» Prol. Galeat. o Prefat. in lib. Samuel et Malachim,
t. XXVIII, col. 557-558.
[14] «Volui, afferma,...
non verba sed sententias transtulisse.» Epist. LVII ad Pamm., 6, t. XXII,
col. 572. «Non debemus impolita nos verborum interpretatione
torquere, cum damnum non sit in sensibus, quia unaquaeque
lingua... suis proprietatibus loquitur... Non debemus sic verbum de
verbo exprimere, ut dum syllabas sequimur, perdamus
intelligentiam.» Epist. CVI ad
Sun. et Fret., 30, 29, t. XXII, col. 847. «Hoc sequimur ut
ubi nulla est de sensu mutatio, latini sermonis elegantiam
conservemus.» Ibid.,
54, t. XXII, col. 856.
[15] Gen., XXXII, 13; XLI, 14;
XXXI, 32, 47; XXVII, 38; XXXIX, 19; XL, 5, ecc.
[16] Sull'eleganza della
traduzione di san Girolamo, si veda Ozanam, La civilisation au Ve siècle,
Oeuvres, t. II, p. 120-129.
[17] «Illud autem semel
monuisse sufficiat, afferma, nosse me cubitum
et cubita (cubiti) neutrali
appellari genere, sed pro simplicitate et facilitate intelligentiae
vulgique consuetudine ponere et genere masculino. Non enim curae nobis
est vitare sermonum vitia, sed Scripturae Sanctae obscuritatem
quibuscumque verbis disserere.» Comment.
in Ezech., XI., 5, t. XXV, col. 378.
[18] Si veda Vercellone, Variae lectiones Vulgatae editionis,
t. I, p. CXII; t. II, p. XXVII; Kaulen, Geschichte der Vulgata, p. 181-182.
[19] «De Hebraeo
transferens, afferma, magis me Septuaginta interpretum consuetudini
coaptavi, in his duntaxat quae non multum ab Hebraicis discrepabant.
Interdum Aquilae quoque et Symmachi et Theodotionis recordatus sum, ut
nec novitate nimia lectoris studium deterrerem, nec rursum contra
conscientiam meam, fonte veritatis omisso, opinionum rivulos
consectarer.» Comm. in Eccl.
Prol., t. XXIII, col. 1101.
[20] «Corrector vitiorum
falsarius dicor, et errores non auferre sed serere. Tanta est enim
vetustatis consuetudo, ut etiam confessa plerisque vitia
placeant.» S. Girolamo, Praef.
in Job, t. XXIX, col. 61.
[21] Così: «sermo, quem fecisti,» per res, II Reg., XII, 21; verbum impiegato assai
frequentemente al posto di res;
«cum consummasset comedere,»
Am., VII, 2 ; «addidit
furor Domini irasci contra
Israel,» II Reg., XXIV, 1; «Juravit dicens: si videbunt homines isti...
terram,» per non videbunt,
Num., XXXII, 10-11; plorans ploravit,
Lam., I, 2; in odorem suavitatis,
per «in odorem suavem,»
Ez., XX, 41, ecc.
[22] Praef. I in Job; Praef. II in Job,
t. XXVII, col. 1079, et t. XXIX, col. 61.
[23] Rufin, Invectiv., nell'ediz. benedett. di
san Girolamo, t. IV, 2, p. 424, 440, 450; S. Girolamo, Apol. adv. Ruf., ibid., p. 363-445; Migne, t. XXIII,
col. 407-463.
[24] S. Agostino, Ep. LXXXVIII, in S. Hieronymi Opera, t. IV, 2, col. 610 ; Ep. XCVII, col. 641. Cf. col. 610. De Doctr. Christ., IV, n° 15,
t. XXXIV, col. 96.
[25] Tutti i testi di tali
autori sono riuniti e citati per esteso in Hody, De Bibliorum textibus originalibus,
versionibus graecis et latina Vulgata, 1705, l. III, part. II,
c. V, p. 397 sq. Una parte ne è citata nel Migne, Pat. lat., t. XXVIII, col. 139-142.
[26] «Novam translationem
dissero, afferma S. Gregorio, sed cum probationis causa exigit, nunc
novam, nunc veterem per testimonia assumo; ut quia Sedes apostolica,
cui Deo auctore praesideo, utraque utitur, mei quoque labor studii ex
utraque fulciatur.» Moral. in
Job, Ep. miss., 5, t. LXXV, col. 5l6.
[27] «De hebraeo autem in
latinum eloquium tantummodo Hieronymus presbyter Sacras Scripturas
convertit: cujus editione generaliter omnes Ecclesiae usquequaque
utuntur, pro eo quod veracior sit in sententiis et clarior in
verbis.» S. Isidoro di Siviglia (570-636). De off. Eccl., I, 12. 8, t.
LXXXIII, col. 748. Beda (673-735) chiama la versione di san Girolamo
semplicemente «la nostra edizione».
[28] Sull'autorità della
Vulgata si veda Lamy, Introductio in
S. S., Introd. gen., c. V, sect. II, t. I, p. 174-178; J.
Didiot, Commentaire traditionnel de
la IVe session du Concile de Trente, in Revue des sciences ecclésiastiques,
septembre 1890, p. 193 sq.
[29] Nella Congregazione
generale del 17 marzo 1546, i Padri che erano stati incaricati, il 5
marzo, di occuparsi degli abusi che si erano potuti intrudere nell'uso
delle Scritture e di cercarvi un rimedio, avevano persino proposto che
la Santa Sede pubblicasse, oltre ad un'edizione corretta della Vulgata,
un'edizione della Settanta e del testo ebraico: «Id munus erit
Smi D. N.... curando etiam, ut unum codicem graecum, unumque hebraeum,
quoad fieri potest, correctum, habeat Ecclesia Sancta Dei.» Acta concilii Tridentini, ed. A.
Theiner, t. I, p. 65. Cf. p. 61 (Aquensis), 63 (Card. S. Crucis), p. 83
(Card. Polus).
[30] Cf. Bellarmin. De controv., De Verbo Dei, l. II,
c. X sq., Praga, 1721, t. I, p. 52 sq. Si veda la citazione di
Véga, n° 139, nota 1.
[31] «(Authenticum est)
scriptum aliquod, quod ex se fidem facit in judicio et supremae est
auctoritatis, ut a nullo rejici vel in quaestionem vocari
debeat,» afferma il giureconsulto Giuliano (Tract. de fide instrumentorum), in
Walton, Biblia polyg., Proleg.,
VII, n° 16, t. I, p. 42.
[32] Uno dei membri della
commissione ufficiale del Concilio di Trento, il Vescovo di Fano, che
proponeva si dichiarasse autentica la Vulgata latina, spiegava un tale
progetto come segue: «Nos recipimus vulgatam editionem, quae a
Hieronymo et ab Ecclesia semper recepta est, et est antiqua... Item
recepta est vulgata tanquam authentica: aliae autem non rejiciuntur,
quia et illae etiam bonae, sed ista melior... Una praeterea recepta
est, et unâ tantum Ecclesia utatur, et non pluribus
confuse.» Acta Concilii
Tridentini, ed. Theiner, t. I, p. 70, col. 2.
[33] «In honorem
vetustatis et honoris quem ei jam a multis annis detulerunt concilia
latina quae sunt ea usa, et ut certo scirent fideles, quod et
verissimum est, nullum inde haberi posse perniciosum errorem, et tuto
illam et citra periculum posse legi, ad coercendam etiam confusionem
quam affert multitudo translationum, et temperandam licentiam nimiam
cudendi semper novas translationes, sapienter statuit ut ista uteremur
in publicis lectionibus, praedicationibus et expositionibus. Atque
eatenus voluit eam authenticam haberi, ut certum omnibus esset nullo
eam defoedatam errore, ex quo perniciosum aliquod dogma in fide et
moribus colligi posset, atque ideo adjecit ne quis illam quovis
praetextu rejicere auderet.» André Véga, De Justif., l. XV, 9, in-f°,
Colonia, 1572, p. 692. Egli racconta di aver appreso proprio dalla
bocca del cardinale di Santa Croce, che presiedeva la VI sessione del
Concilio di Trento, che tale fosse il senso di questo decreto. Certo
è d'altronde, Atti del Concilio di Trento alla mano, che i Padri
vollero, con la loro decisione, rimediare agli abusi regnanti.
«Primus abusus est: habere varias editiones Sacrae Scripturae, et
illis velle uti pro authenticis in publicis lectionibus,
disputationibus et praedicationibus. — Remedium est: habere unam
tantum editionem, veterem scilicet et vulgatam, qua omnes utantur pro
authentica in publicis lectionibus, disputationibus, expositionibus et
praedicationibus, et quod nemo illam rejicere audeat, aut illi
contradicere, non detrahendo tamen auctoritati purae et verae
interpretationis septuaginta interpretum, qua nonnunquam usi sunt
Apostoli; neque rejiciendo alias editiones, quatenus authenticae illius
vulgatae intelligentiam juvant.» Congregazione generale del 17
marzo 1546. A. Theiner, Acta genuina
Concilii Tridentini, 2 in-4°, Agram, t. I (1874), p. 64. Si
vedano anche le spiegazioni che sull'argomento ci offre a pag. 79 il
Vescovo di Fano, uno dei membri della commissione incaricata di
redigere il testo che abbiamo riportato, e ciò che afferma il
cardinal Polus, pag. 83.
[34] Lutero stesso scriveva:
«Si diutius steterit mundus, iterum necessarium erit, ut propter
diversas Scripturae interpretationes quae nunc sunt, ad conservandam
fidei unitatem, Conciliorum decreta recipiamus atque ad ea
confugiamus.» De veritate
corporis Christi cont. Zuinglium.
[35] È apparsa in
Inghilterra nel 1881 un'edizione riveduta
del Nuovo Testamento e nel 1885 un'edizione riveduta dell'Antico Testamento, ma
tale revisione è stata fatta da una commissione ufficiale il cui
lavoro peraltro ha provocato numerose proteste.
[36] «Concilium
Tridentinum non eo sensu authenticam declaravit Vulgatam editionem, ut
significaret nullum vel levissimum mendum in illam irrepsisse, multoque
minus ut eamdem originalibus textibus praeferret, sed ut testaretur
Vulgatam prae omnibus latinis
editionibus quae tunc circumferebantur, in universum egregie
praeclareque originales textus reddere, nunquam in substantialibus
deficere, nil a revelata doctrina absonum continere, nihilque a pietate
alienum.» C. Vercellone, Variae
lectiones Vulgatae latinae Bibliorum editionis, Romae, 1864, t.
II, p. VI. Cf. il testo del Concilio, n° 138. —
«Approbavit (Concilium) duntaxat Vulgatam editionem repurgatam a
mendis..., afferma Véga. Nec eam tanquam e coelo delapsam
adorari voluit. Interpretem illius, quisquis ille fuerit, sciebat non
esse prophetam, nec nos meruisse hactenus quemquam qui eodem in omnibus
spiritu Sacras Litteras a propria et nativa lingua in alienam linguam
transfuderit. Ac proinde nec cohibuit nec cohibere voluit studiosorum
linguarum industriam, qui aliquando docent melius potuisse aliqua
verti.» De justif., XV,
9, p. 692.
[37] Corluy, L'intégrité des
Évangiles en face de la critique, in Études religieuses, novembre
1876, p. 627.
[38] «Non tamen authentia
versionis declarata est in gradu eo perfectionis, ut in singulis etiam
per se non pertinentibus ad
aedificationem doctrinae christianae, vel secundum modum quoque
enuntiationis, ubique cum originalibus conformis credi jubeatur.»
De divina Traditione et Scriptura,
I ed., p. 465. Cf. Azevedo, S. J., Pro
Vulgata Sacrorum Bibliorum latina editione contra Sixtinum Amama,
Lisbona, 1792, p. 16. — La Prefazione della Vulgata afferma
espressamente che nell'edizione riveduta si sono lasciate immutate
talune cose che si sarebbero potute cambiare: «Sicut nonnulla
consulto mutata, ita etiam alia quae
mutanda videbantur, consulto immutata relicta sunt.» Praef. ad lect., in capo alla
Vulgata. — «Cave ne credas versionem S. Hieronymi omnibus
numeris absolutam esse. Sunt enim in ea multa quae humanam produnt
infirmitatem, quod ipse Hieronymus agnovit dum in commentariis suis
seipsum plus semel castigavit (Comment,
in Is. XIX et passim). Quandoque ita celeriter in conficienda
versione versatus est ut difficile ipsi fuerit opus suum ad summam
perfectionem deducere; sic librum Tobiae intra spatium unius diei, tres
libros Salomonis intra triduum transtulit (Praef. in Tob., Praef. in libros Salom.). Neque S.
Doctor omnia ea ratione vertit qua ipse voluisset, sed ne nimia
novitate lectores offenderet, quandoque Septuaginta interpretibus se
conformabat, in his duntaxat quae non multum ab hebraicis
discrepabant.» Lamy, Introd.
in S. S., t. I, no 12, p. 163. Cf. J. Didiot, Revue des sciences eccl., mai 1889.
[39] «Ei linguae potius
credatur unde in alias, per interpretes, facta est translatio.»
S. Agostino, De Civ. Dei, XV,
XIII, 3, t. XLI, col. 454. «Sicut in Novo Testamento, si quando
apud Latinos quaestio exoritur, et est inter exemplaria varietas,
recurrimus ad fontem Graeci sermonis, quo novum scriptum est
Instrumentum; ita in Veteri Testamento, siquando inter Graecos
Latinosque diversitas est, ad Hebraicam confugimus veritatem... Sic
psallendum, ut nos interpretati sumus (nella revisione dei Salmi
dell'antica Vulgata), et tamen sciendum quid Hebraica Veritas habeat.
Hoc enim quod Septuaginta transtulerunt, propter vetustatem in
Ecclesiis decantandum est; et illud ab eruditis sciendum propter
notitiam Scripturarum.» S. Girolamo, Epist.CVI ad Sunniam et Fretelam,
2, 46, t. XXII, col. 838, 853. Si veda tutta l'epistola.
[40] Pallavicini, Hist. Conc. Trid., l. VI, c. XVII.
Cf. tutta la discussione che si verificò a proposito del decreto
e che prova l'esattezza di ciò che afferma Pallavicini, Acta Concilii Tridentini, ed.
Theiner, t. I, p. 79-83. — Salmeron, che era teologo al Concilio,
afferma: «Nihil ibi de exemplaribus aut graecis aut hebraicis
agebatur; tantum inter tot editiones latinas
quot nostra saecula parturierant, quaenam ex illis praestaret sermo
erat... Et rejectis reliquis latinis,
unam hanc Vulgatam reliquis tanquam veriorem, puriorem, dilucidiorem,
ac suis fontibus, unde est orta, magis consentientem pronuntiavit...
Liberum autem reliquit omnibus qui Scripturas profundius meditantur,
fontes graecos aut hebraeos, quatenus opus sit, consulere... Ubi
hebraea vel graeca lectio diversa sit, non autem editioni Vulgatae
contraria, modo latinam interpretationem non respuamus vel contemnamus,
sed pro viribus, quoad ejus fieri possit, et tueamur et explicemus,
licebit nobis, salva Concilii Tridentini generalis auctoritate sive
graeci sive hebraici exemplaris lectionem variam producere, eamque uti
verum Bibliorum textum expendere et enarrare; nec tantum bonos mores
per eam aedificare, verum etiam fidei dogmata comprobare et stabilire,
atque adeo ab illa sumere efficax argumentum tanquam ex textu Spiritus
Sancti. Ita enim saepe Hieronymus facere consuevit... Hoc etiam a
plerisque catholicis scriptoribus, qui post Concilinm Tridentinum
aliquid scripto obsignarunt, observatum video.» Salmeron, Commentarii in evangel. hist., Prolegomena, III, Colonia, 1612, t.
I, p. 24-25. — Il Concilio avrebbe persino desiderato che si
pubblicasse una valida edizione del testo ebraico e del testo greco, e
Sisto V pubblicò un'edizione della Settanta per soddisfare a
questa richiesta, , n° 109. — « Authentia editionis
Vulgatae, soggiunge il cardinal Franzelin, non est declarata in
comparatione cum textibus hebraico et graeco nec cum antiquis
versionibus multoque minus ad excludendam auctoritatem horum textuum,
sed declarata est in comparatione cum versionibus latinis, quae recentius ab
haereticis plerumque hominibus procusae tum circumferebantur...
Manserunt ergo illi textus et illae antiquae versiones in tota externa
auctoritate, ut fuerant ante edituni decretum, in quo de illis nullo
modo agebatur. Porro licet nullo explicito Ecclesiae decreto declarata
sit authentia textus hebraici in Veteri Testamento, et textus graeci in
Novo Testamento ut nobis adhuc praesto sunt, de ea tamen certe constat
non solum critice et historice sed de authentia quoad rei summam etiam
dogmatice. Ipsa enim authentia editionis Vulgatae quae dogmatice
declarata est, supponit authentiam textus hebraici et graeci, saltem ut
in omnibus exemplaribus simul sumptis in Ecclesia Dei adhuc exstat et
dignosci potest. Ad quam intimam connexionem cum Vulgata accedit, quoad
textum graecum Novi Testamenti, ipse multorum saeculorum publicus usus
in Ecclesia inde ab aetate apostolica. Utrumque hoc argumentum suo modo
valet etiam pro authentia versionis Septuaginta.» Franzelin, De divina Traditione et Scriptura,
thesis XIX, corollarium 3, 2a ediz., p. 567.
[41] Si veda n° 138, 2°,
nota 1, p. 220. «sicut igitur ante decretum Concilii fas erat
interpretibus recurrere ad textus primigenios et ad antiquas versiones,
ut explicarent quae erant obscura et emendarent quae minus recte se
habebant, ita etiam post decretum Concilii eadem ipsis remanet
potestas.» Lamy, Introductio
ad Scripturam, t. I, n° 37, p. 176. Cf. il brano d'Iodocus
Revesteyn Tiletanus, Apologia pro
conc. Trid., 1568, t. I, p. 99, citato in Franzelin, ibid., p. 566. —La
maggioranza dei teologi segue questa opinione. Si veda la lista che ne
fa Lamy, loc. cit., p. 178, e Franzelin, ibid., p. 563; Hody, *De antiquis Bibliorum versionibus,
part. II, l. 3, c. 15, p. 509 sq.; Mariana, Pro editione vulgata, c. XXI, in
Migne, Scripturae Sacrae cursus
completus, t. I, col. 664 sq. Bellarmino dice espressamente, Controv. de Verbo Dei, II, 10, 11,
t. I, p. 53, 56: «Mendacium (Calvini) est, decrevisse Tridentinos
Patres, minime esse audiendos eos qui ex fonte ipso purum liquorem
proferunt... Hoc ideo mendacium voco, quod nihil ejusmodi in decreto
Concilii legatur... Respondeo quatuor temporibus licere nobis recurrere
ad fontes Hebraeos et Graecos: 1° Quando in nostris codicibus
videtur esse error librariorum... 2° Quando latini codices variant,
ut non possit certo statui quae sit vera vulgata lectio... 3°
Quando verba aut sententia in latino est anceps, possumus recurrere ad
fontes, si forte ibi non sit ambiguitas... 4° Licet recurrere ad
fontes, ad energiam et proprietatem vocabulorum intelligendam.»
Si possono vedere gli esempi che Bellarmino dà di ciascuno di
questi casi. — Contro coloro che esagerano l'autorità dei
testi originali, si veda T. G. Czuppon, Vindiciae Vulgatae latinae editionis, qua
Ecclesia romano-catholica utitur contra assertam hebraei et graeci
textus hodierni absolutam authentiam, 2 vol., Sabariae, 1798
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